Storia della Repubblica di Firenze v. 2/3 - 36
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a’ Dieci della Balía. Hora abbiendo sentito degli inconvenienti
che sono costà, ci è necessità lo scrivervi. E questo è, che noi
abbiamo udito che in Pisa è rimasa poca gente della nostra da
cavallo e da piede e singularmente da cavallo, la quale voi avete
mandata a pigliare le castella. Oltre a ciò sentiamo che in Pisa
è tornata molta gente di cittadini, di quelli che non v’erano
quando voi v’entrasti, e che molti contadini vi sono venuti e
tutto dì vi vengono, e che v’è entrato e entra molta vituaglia.
Di che, considerati i pericoli che potrebbono seguitare, vogliamo
e comandianvi che la gente d’arme, la quale voi, poi che entrasti
in Pisa, mandasti fuori a pigliare le castella, che sanza indugio
la facciate tornare dentro in Pisa. E le roche e’ casseri delle
castella fornite di fanti a sofficientia; e delle castella non
ci pare per ora da dubitarne, tegnendo bene la città. E quando
questa gente d’arme è dentro, che voi siate forti, fate di mandarne
fuori di Pisa chi v’è dentro tornato poi che voi v’entrasti. E
oltre a ciò de’ cittadini che vi sono da più, mandatecene qua una
brigata quelli che paiono a voi che sete in sul fatto. E dopo a
questo mandate uno bando che ciascuno Pisano o habitante in Pisa,
a pena dell’avere e della persona, debbia, infra quelle parecchi
hore che voi porrete di termine, avere portata ogni arme da
offendere e da difendere in quello luogo che vi pare, mettendolo
nel bando nominatamente, e quella arme mettete in luogo salvo; e
poi fate cercare a ciascuno le case, et torne quanta n’avessono, e
punire rigidamente chi non avesse apresentata l’arme, passato il
termine del bando. E provedete che victuaglia non v’entri se non
dì per dì, che sentiamo molta ve ne abonda. Et date modo che de’
contadini non v’entrino in quantità o in modo che pericolo alcuno
ne potesse seguire. E queste cose fate solicitamente e con buono
modo, che tutto lasciamo sopra le vostre spalle, tanto che di qua
si provegga. E fate bene e diligentemente guardare e alle porte
e in ogni altro luogo ove bisogna, sì che della città di Pisa
vi rendiate bene sicuri. Ancora abbiamo sentito, che de’ nostri
soldati insieme con alcuni Pisani e sanza, ànno tolte delle cose
e traportate d’una casa in altra, et etiandio tolte per loro; la
qual cosa ci dispiace infino a l’anima. E pertanto fate riducere
queste cose ne’ primi luoghi dove s’erano, e provedete per modo
che i soldati non faccino ruberie o villanie a persona. E chi il
contrario facesse, fate punire per modo che sia exemplo a ciascuno
di non errare. Data Florentie, die XIII octobris MCCCCVI, a hore
XXIII ½.
Duplicata die XVI octobris MCCCCVI, hora XVII.
Abbiamo sentito che certe lecta, panni e altre cose e arnesi di
Piero Gaietani e di monna Giovanna sua sirocchia e della Maria et
Iva sue nipoti, le quali cose erano nel monasterio di santo Mazeo
in Pisa, poi che ’l nostro Comune prese la città predetta, certi
de’ Gambacorti le tolsono e transportarono dove piacque loro. Il
perchè voliamo che, se voi trovate che le dette cose sieno state
tolte, da poi che voi entrasti nella città di Pisa, che voi le
facciate tutte sequestrare, a petitione del detto Piero e tenerle
salvamente. Data Florentie ut supra, die XVI octobris, hora XVII.
_Gino de Caponibus Capitaneo Pisarum._
Noi t’abbiamo scripte più lettere, del mandar qua de’ cittadini
Pisani che fussino huomini di capo e d’avere seguito, e apti a
scandalo novità: e ultimamente mandasti una scripta di centotrè o
circa, de’ quali ne sono venuti pochi più che i mezi, come per gli
Dieci della Balìa è stato scripto costà, e mandati i nomi di chi
mancha. E veggiamo che tu curi pocho del nostro scrivere e poco
conto ne fai, chè non ci ài voluti mandare quegli huomini che sono
la sicurtà del nostro Comune a cavargli di Pisa e fargli venire
qua; anzi ài fatto a tuo modo, o per preghiere o per amicitia o per
che cagione si sia. Et àci mandato uno campanaio, che tu medesimo
scrivi che egli si stava in quello di Lucha a fare campane. E
pertanto noi ti comandiamo, sotto pena della nostra gratia, che
veduta questa lettera, tu ci mandi quelli che mancano del numero
de’ predetti. Et oltre a ciò, ci manda quelli cinquanta, i quali ti
debbono avere dati scripti i dieci Proveditori di Pisa. E ancora
ci manda circa XXV altri Pisani, i nomi de’ quali ti mandiamo
in questa lettera interchiusi. Et oltre a questi, se in Pisa à
altri huomini che habbino seguito e sieno capi da fare ragunate
o novità, mandacegli qua, e sieno quanti si vogliono. E a tutti
fa’ comandamento che in brevissimo termine sieno innanzi a noi, a
pena dell’avere e della persona. E se tu non vorrai obedire, come
ài fatto infino a qui, noi terremo di modi che ti dispiaceranno,
e manderemo costà persone che ci ubidiranno. E d’una cosa ti
certifichiamo, che i nostri cittadini non sono disposti a volere
tenere tanto exercito in Pisa, da cavallo e da piede, quanto forse
tu ti dài a intendere; anzi vogliamo limitare la spesa e trarre
di cittadini di Pisa tanti, e fargli stare qua che noi ne possiamo
vivere securi. Sì che, apriti bene gli hurecchi, e fa’ quello che
ti scriviamo, altrimente non te ne loderai. E rispondici a quello
che ti scriviamo e con lettere e con fatti. Dat. Florentie, die
XXIII novembris MCCCCVI hora XXIII.
_Gino de Capponibus Capitaneo Pisarum._
Dilettissimo nostro. Colle presenti ti mandiamo una scritta
suggellata, nella quale sono scripti cierti Pisani in numero CVIII,
e quali pe’ nostri precessori, e pe’ Collegi e altri uffici che
anno balìa de’ fatti di Pisa, è stato solennemente diliberato che
debbino star qua a Firenze a’ confini; tra quali, come per essa
scripta comprenderai, certi sono che oltre all’avere eglino a stare
qua a’ confini, ci ànno ancora a conducere tutta la loro famiglia.
E per volere noi dare executione alla sopra detta deliberatione, e
acciò che detti Pisani non caggino nella infrascripta grave pena;
vogliamo e comandianti, che prestamente tu comandi a ciaschuno
Pisano, e quali nella detta scritta nominatamente si contengono,
che per tutto el presente mese di marzo, debbono essere qua, e
quelli ch’ànno a menare le famiglie secondo la forma della detta
scritta, fra ’l detto termine ce la debbono avere condotta.
Notificando a ciaschuno de’ detti Pisani, come pur quelli della
Balìa di Pisa è stato deliberato, che qualunche non si rapresenterà
come di sopra si dice, per tutto el presente mese, e chi ci à a
conducere le famiglie e non ce l’avesse condotte al detto termine,
s’intendono essere e sono condannati nell’avere e nella persona,
e così contra loro e ne’ loro beni si procederebbe. E se alcuno
di quegli che nella detta scritta si contengono fussi absente
e in luogo non troppo longincho, come nel contado di Pisa o a
Luccha o a Siena o a Bolognia o a Gienova o ne’ contadi d’alcuno
de’ detti luoghi; vogliamo che, preso ch’arai la informatione
dove sieno, che prima questo facci alle loro chase significare o
a’ loro più proximi coniuncti, e poi pe’ messi della corte o per
altri e quali sopra ciò diputassi, personalmente e per iscriptura
faccia loro el comandamento che sotto la detta pena qua debbano
essere al termine predetto. E se avessi informatione che alcuno
della detta scripta fussi qui a Firenze, non obstante questo,
vogliamo che alle case loro e a quegli che sono loro più coniuncti
facci fare simile comandamento. E se alcuno de’ Priori che sono
al presente in ufficio si contenesse nella detta scripta, a loro
notifica che, fra otto dì dal dì ch’aranno diposto l’ufficio, si
debbano qua rapresentare sotto la detta pena dell’avere e della
persona. Tu vedi che questa è materia che à bisognio di diligentia,
e che tosto vi sia data executione, considerato la pena grave
nella quale eglino incorrono non ubidiendo. Oltra ciò fa’ che di
tutte le notificationi e richieste le quali a’ predetti farai,
e de’ raporti d’esse notificationi e richieste, ne facci fare
negli atti della tua corte autentica scriptura; la copia della
quale poi ci manderai, però che non vogliamo ch’alcuno si possa
schusare non ubidendo, con pretendere ignorantia e non gli essere
stato notificato. Avisandoli, che quando qua vengono, s’ànno a
rapresentare dinanzi al nostro Podestà di Firenze.
Quello si dice de’ Priori di Pisa, che notifichi loro come fra gli
otto dì dal dì che diporranno l’ufficio; non vogliamo che faccia
questa notificatione o che in alcuno modo ne parli, se non quando
diporranno l’ufficio: prima non ci pare honesto.[577]
_Gino de Capponibus._
Noi non ti potremo, Gino, scrivere in quanta displicentia e
turbatione ci sia stato il caso, il quale abbiamo sentito costà
ne’ dì passati essere corso, cioè di quella fanciulla la quale pare
che di casa di Nicholaio Aragonesi fussi tolta per certi soldati,
non sappia’ però chi si sia stato. Oltracciò abbiamo sentito, che
per te assai è stata martoriata e con aqua e con colla la detta
fanciulla, vogliendo tu ritrovare chi fussi stato quello o quegli
che avessi commesso cosa tanto abominevole vituperosa e trista.
E più pare, secondo che abbiamo informatione da persona degna di
fede, che oltre al villano caso, che avvenne l’altrieri di quella
fanciulla de’ Lanfranchi che fu guasta, essere state poste schale
per intrare a honeste donne e bennate. Questi casi quanto e’
sieno abominabili, di quanta infamia alla nostra città e quanto
pericolosi, non che tu, Gino, ma qualunque rozzo facilemente il
può giudicare. E sai che nel mondo niuna displicentia e iniuria
si può fare a chi è huomo, nè adducerlo in maggiore displicentia
che vedersi sforzare le donne loro, e l’onestà d’esse (chè sai
quanto è cara cosa) contaminare e vituperare. Quanti stati e
reggimenti per questo siano stati soversi, quanti morti e guerre
di ciò sieno seguite ne’ tempi passati e ne’ moderni, a te può
essere noto, conciosiacosa che, da poi che ’l mondo principiò,
rare sobversioni di reggimenti siano stati, che da simile materia
non abbino avuto principio. Ma pure, pognendo che in questo niuno
pericolo fossi, la cosa in sè è tanto villana e tanto trista e di
tanta infamia sono a chi à el governo, che in nessuno modo sono da
patire sanza grave punitione. E veggiamo chiaramente, Gino, che
ogni dì averranno simili inconvenienti e quali un dì potrebbono
generare grande schandalo, se in questo principio non ci si piglia
tale forma, che nessuno ardisca a comettere cose sì scellerate. E
però vogliamo e a te strettissimamente comandiamo, che in questo
fatto tu proceda in forma e modo che per tutti si cognoscha e vega,
in quanto dispiacere e odio siano a noi queste abominabili cose,
e sia tale esempro e terrore a qualunche che nessuno ardischa più
di commettere cose tanto scellerate. E se intorno acciò, perchè
quanto ti scriviamo abbia luogo, bisognasse che per la nostra
Signoria si facessi alcuno provedimento, prestamente per messo
proprio ce ne rendi avisati. La fanciulla la quale sentiamo che
anchora ài in prigione vogliamo ti sia raccomandata; però che sai,
le fanciulle essere semplice e non cognoscere gli uomini co’ quali
non praticano: et ecci stato amiratione, che lei abbi posto alla
tortura, benchè pensiamo non l’abbi fatto sanza grande cagione.
Data Florentie, die XX mensis iunii MCCCC septimo, Ind. XV.
Nº V.
(Vedi pag. 146.)
ORDINE DEGLI UFFICI DELLA REPUBBLICA DI FIRENZE.
L’ordine della città è diviso principalmente in quattro parti, o
chiamansi Quartieri, e ’l primo è il Quartiere di Santo Spirito,
e ’l secondo, quello di Santa Croce, e ’l terzo quello di Santa
Maria Novella, e ’l quarto quello di San Giovanni. Ciascuno
Quartiere è diviso per quattro Gonfaloni, che sono in tutto sedici,
e ogni Gonfalone ha suo segno, non bisogna nominargli. Appresso
v’è l’ordine delle Arti, che sono partite in ventuna, i nomi
delle quali è buono a sapere per molte cose, che hanno a seguire,
a meglio intenderle. La prima è l’Arte de’ Giudici, e Notai, e
questa ha un Proconsolo sopra’ suoi Consoli, e reggesi con grande
autorità, e puossi dire essere il ceppo della ragione di tutta
la Notarìa, che si esercita per tutta la Cristianità, e indi sono
stati i gran Maestri, e autori, e componitori d’essa. La fonte de’
dottori delle leggi è Bologna, e la fonte de’ dottori della Notarìa
è Firenze.
Appresso è l’Arte de’ Mercatanti, che trafficano in grosso fuori
di Firenze, che niun’altra città ne potrebbe de’ suoi tanti
annoverare, quanti sono il numero di quegli.
La terza è l’Arte de’ Cambiatori, che si può dire, che l’Arte
del cambiare per tutto il mondo sia quasi tutta nelle mani de’
Fiorentini, perchè per tutte le buone città di mercatanzìe tengono
fattori a fare cambi.
La quarta è l’Arte della Lana, e più panni, e più fini fanno
fare in Firenze, che in alcuno altro luogo, e i suoi Maestri sono
grandi, e buoni onorati cittadini, e sanno fare.
La quinta è l’Arte della Seta, e li drappi d’oro, e di seta, e
degli orafi, delle quali Arti si lavora nobilmente, e massime dei
drappi.
La sesta è l’Arte degli Speziali, e de’ Medici, e Merciai, ed è
grande Arte in numero di persone.
La settima è quella de’ Vaiai, e Pellicciai, e infino a qui si
chiamano le sette Arti maggiori.
Poi sono le quattordici, che si chiamano Arti minori, ciascuna è
distinta, e ordinata, secondo sua faccenda, Linaiuoli, e Rigattieri
insieme, Calzolai, Fabbri, Pizzicagnoli, Macellari, che si chiamano
Beccai, Vinattieri, Albergatori, Coreggiai, Quoiai, Corazzai,
Chiavaiuoli, Maestri di murare, Maestri di legname, e Fornai.
I Signori si chiamano Priori dell’Arti, e Gonfaloniere di Giustizia
del Popolo e Comune di Firenze, e sono otto Priori, cioè due di
ciascuno Quartiere, e un Gonfaloniere di Giustizia, che ogni volta
muta Quartiere per ordine, sicchè ogni Quartiere ha la sua volta
il Gonfaloniere di Giustizia, e tutti sono scelti uomini, e più
vantaggiati, e provati, e quegli quasi ha essere il capo di tutti
i Priori, e ha andare innanzi, e non può essere alcun Gonfaloniere
di questi, che non abbia compiuto il tempo di quarantacinque anni,
e la mattina, che entra in uficio, gli è dato in mano il Gonfalone
della Giustizia, che è la croce vermiglia nel campo bianco in un
gran Gonfalone di drappo, il quale tiene in camera sua, e quando
bisognasse aoperarlo, e salisse con esso a cavallo, tutto il popolo
lo debba seguire, e andargli dreto, e ubbidirlo.
E’ Priori sono otto, de’ quali sei hanno a essere dell’Arti
maggiori, e duo delle quattordici Arti minori, e di questo uficio
non possono essere insieme due consorti, nè parenti per linea
masculina, nè da indi a un anno; e chi è di detto ufficio, non può
essere altra volta, se non passati tre anni dal dì finisce tale
uficio.
E ’l primo uficio comincia in Calen di gennaio, e dura due mesi,
e così poi l’altro in Calen di marzo, e seguita per tutto l’anno,
sicchè in un anno si mutano sei volte; e la mattina quando entrano
in uficio, si fa festa per tutta la città colle botteghe serrate,
e tutto il popolo va alla piazza per fare compagnia a quegli, che
escono dell’uficio passato, e tornano a casa, ciascuno co’ suoi più
prossimi vicini, o amici, o parenti, e quegli, che hanno fornito
l’uficio de’ due mesi, lasciano l’uficio a’ nuovi, che entrano, e
hannogli prima due dì informati di tutte le cose, che hanno tra le
mani.
Questi due mesi stanno sempre in Palagio fermi, e in Palagio
mangiano, e dormono, e ogni dì stanno a collegio a sedere a udire,
e diterminare il bisogno del Comune, e hanno tra loro per ordine
uno di loro sempre Proposto, e tocca a ciascuno la sua volta per
sorta, e dura tre dì, e tutti gli altri hanno in que’ tre dì a
seguire il Proposto, e va innanzi allato al Gonfaloniere, e quello,
che è Proposto, è signore di proporre, e mettere a partito fra loro
ciò, che a lui pare, e sanza lui que’ tre dì non si può fare alcuna
cosa.
Le loro deliberazioni si fanno segrete con fave nere e bianche, e
hanno un frate segretario, che riceve in uno bossolo le dette fave;
ciascuno glie ne dà in mano una segretamente, e coperta, e il frate
la riceve, e mette nel bossolo. Le nere dicono sì, e le bianche
dicono no, a volere essere vinto, e deliberato, e’ si conviene che
sieno le due parti nere.
Ciascuno ha la sua camera nel Palagio fatta per ordine, e per
Quartiere, e quella del Gonfaloniere è in capo di tutte, e ciascuno
ha al suo servigio un donzello, che lo governa in camera di ciò
fa bisogno, e simile lo serve alla mensa di tagliare, e di ciò fa
bisogno, e sono nove donzelli orrevoli, e costumati, e stanno fermi
in Palagio, e così ciascuno ha due serventi da mandare in qua, e
’n là, dove fusse bisogno, e al servigio di tutto l’uficio sono
cento famigli, che per ordine vanno vestiti di verde, e portano
certi segni di Comune, i quali hanno a fare compagnia innanzi, e
dietro a’ detti Signori, quando vanno fuori, e hanno a andare per
gli cittadini quando i Signori gli vogliono, e questi cento famigli
hanno un Capitano forestiero, che si chiama Capitano de’ fanti, il
quale è sopra tutti, e hagli a tenere in ordine, e correggere, ed è
molto onorato.
E sono di tanta preminenza questi famigli de’ Signori, che quando
un di loro fusse dato per compagnia a uno, che avesse bando della
persona, o debito, non è alcuno rettore, nè uficiale, nè cittadino,
che per la vita sua dicesse, o facesse nulla contro a quel tale, e
’l detto famiglio si concede per partito, e diliberazione de’ detti
Signori.
Alla mensa de’ Signori non siede alcun altro, che loro e ’l loro
notaio, e’ Signori forestieri, o Ambasciadori di Signori, o di
Comuni quando, gli volessono fare onore, o alcuna volta per festa i
rettori, e certi uficiali cittadini.
E la mensa de’ detti Signori, si dice, che è sì bene apparecchiata,
e riccamente ornata, e pulitamente servita, quanto mensa
d’alcun’altra Signoria, e per ordine; e come sono diputati ogni
mese alla loro mensa fiorini trecento d’oro, tengono pifferi,
e sonatori, e buffoni, e giocolari, e tutte cose da sollazzo, e
da magnificenza, ma poco tempo vi mettono, che di presente sono
chiamati dal Proposto, e posti a sedere per attendere a’ bisogni
del Comune, che sempre abbonda loro faccenda, e mai non vi manca
che fare.
Hanno appresso di loro un Notaio, che sta due mesi in Palagio come
loro, e alla loro mensa, il quale non ha a fare altro, se non a
scrivere le loro deliberazioni.
Hanno un altro Notaio fermo in perpetuo, aiuta quando fa bisogno,
e ’l quale tiene i libri delle leggi, e ordini del Comune, e ha a
scrivere, e a tenere conto di tutte le informagioni che si fanno
per li Signori, e Collegi con loro Consigli.
Hanno uno Cancelliere, che sempre ne sta fermo in Palagio; i quali
hanno a scrivere tutte le lettere, e pistole, che si mandano a’
principi del mondo, e a qualunque signoria, e privata persona per
parte del Comune, i quali sono sempre poeti, e di grande scienza.
Tutti costoro hanno bisogno di tenere sotto loro molti, che
scrivano, e facciano quelle cose, che sono ordinate loro.
L’uficio, e balìa, e autorità, e potenza de’ detti Signori è grande
senza misura; ciò che vogliono, possono, mentre che dura il loro
uficio, ma non aoperano questa potenzia, se non in certi casi
necessari, e stremi, e di rado; anzi seguitano secondo gli ordini
fatti per lo Comune, e non possono essere dopo l’uficio compiuto
sindacati, nè corretti d’alcuna cosa, che fatta avessono, se non
per baratterìa, o simonìa, e questo ha a conoscere uno uficiale, e
rettore forestiere, che si chiama Esecutore degli ordini, e quando
non ci è, succede in suo luogo, il Podestà di Firenze.
Poi è l’uficio de’ sedici Gonfalonieri delle compagnie e comincia
adì otto di gennaio, e dura per quattro mesi, sicchè in un anno si
mutano tre ufici; questi hanno sempre a ogni richiesta de’ Signori,
che è quasi ogni dì essere a’ loro piedi a consigliare come fanno
i cardinali, e ’l Papa, e la mattina, che entrano, si fa festa
a botteghe serrate, e stanno i Signori in sulla ringhiera fuori
del Palagio, e simile i rettori con loro, e uno de’ detti rettori
monta in un’altra ringhiera, o vogliamo dire pergamo, e fa una
bella orazione a onore di quella signoria, e de’ Gonfalonieri, e a
ciascuno è dato il suo Gonfalone in mano, e con trombe, e pifferi
innanzi se ne vanno a casa loro accompagnati, e onorati da tutto
il popolo, e tutti gli uomini del Gonfalone vanno in compagnia col
suo, e dreto al suo Gonfaloniere, e ciascuno Gonfalone ha sotto se
tre pennoni di quel segno medesimo, che si danno dove i Gonfaloni;
costoro non hanno a fare altro, se non a’ bisogni essere con quel
segno a seguire il suo Gonfalone.
Poi v’è uno uficio, che si chiama Dodici buoni uomini, che sono
tre di ciascun Quartieri, e dura tre mesi; cominciano per il primo
uficio adì 15 di marzo, e durano mentre che ’l dì cresce, e a
mezzo giugno, che comincia il dì a scemare, entrano gli altri, e
durano infino che ’l dì è uguale alla notte; poi gli altri infino
al minorare, dipoi gli altri infino a’ dì iguali di mezo marzo, e
questo è con certo misterio, e hanno a stare ciascuno dì, quando i
Signori mandano per loro, a’ loro piedi a consigliare, e per ordine
di Comune sono molte cose di grande importanza, che non si possono
fare per gli Signori sanza i Dodici.
Questi due ufici, Gonfalonieri, e Dodici si dicono Collegi, e sono
molto onorati appresso de’ Signori.
Poi è il Consiglio del Popolo, che sono dieci per Gonfalone, e
tutti i Consoli dell’Arti insieme co’ Signori, e Collegi, e certi
altri ufici, che sono in tutto circa dugento cinquanta, per lo qual
consiglio s’hanno a conservare le leggi, e statuti, e ordini di
Comune già fatti per li Signori, e Collegi, e se non si vincesse
per le due parti del detto consiglio insieme col loro colle fave
nere, e bianche in segreto, non vale niente, e non può andare
innanzi.
E quello, che sarà confermato per lo detto consiglio, bisogna,
che vada poi un’altra volta a partito in un altro consiglio, che
si chiama consiglio del Comune, dove sono circa dugento insieme
co’ Signori, e Collegi, e non essendo confermato, e vinto per le
due parti, simile in questo secondo consiglio non vale, ma le cose
giuste, e utili, e oneste si vincono, e intendesi essere legge di
Comune.
L’uficio de’ Dieci di balìa, che sono eletti a boce, ovvero colle
fave sanza farne borsa, sono uomini valenti, e scelti, e pratichi,
e non si fanno, se non a tempo di guerra, e costoro hanno allora
di fuori della città, e ne’ fatti della guerra tutta la balía, e
potenza de’ Signori, e di tutto il Comune.
L’uficio degli Otto della guardia hanno a stare desti, e attenti
contro di chi cercasse di fare, o facesse alcune cose contro al
reggimento, e contro alla città, o castelli, o terre del Comune,
e non hanno balía di punire, ma di mettere il colpevole nelle mani
del Rettore, che ne faccia giustizia.
L’uficio de’ Regolatori sono sei, e hanno a provvedere sempre tutte
le rendite, e entrate del Comune, che elleno si mantengano buone, e
non sieno maculate, e ’n tutte le spese, che si fanno, provvedere
che ’l Comune non sia ingannato, e fare rivedere le ragioni de’
Camarlinghi, e fare riscuotere da chi deve dare.
Sono altri uficiali, che si dicono Governatori delle Gabelle delle
Porti; oggi si chiamano Maestri di Dogana, e del sale, vino, e
contratti, che hanno assai faccende a provvedere, che ’l Comune non
sia ingannato.
L’uficio de’ Capitani di Parte guelfa è grande, e d’onoranza più
per memoria dell’antica virtù, e operazioni operate sotto quel
segno, che per cose, che al dì d’oggi abbiano a fare. Hanno a
ricevere molte rendite, e spenderle in onore della Parte guelfa.
L’uficio dei Dieci della Libertà è di grande importanza, e dassi
a uomini di molta scienza, e pratichi, e hanno a udire le querele
di molti, che sono molestati civilmente alla ragione per vigore
di strumenti, e carte, e dicono, o non essere stato vero, o avere
pagato, o non doversi giudicare per quella via, o essersi obbrigati
per inganni, o fraude, e sì costoro hanno a conoscere se la cosa
il merita, e strignerli a fare compromesso, e che si vegga per
via d’equità, e di discrezione, e molto giova questo uficio allo
aiuto di persone povere, che non hanno da spendere in piatire, e in
procuratori, e avvocati.
Uficiali d’Abbondanza si fanno solo in tempo di carestia, acciocchè
la Terra stia abbondevole di grano per la povera gente, e allora
usano bellissimi modi a fare contro alla carestia.
Uficiali di Grascia hanno a provvedere sopra le mulina, e mugnai,
che rendano a’ cittadini buona ragione, e tengono ragione di molte
cose contro a coloro, che non sono sottoposti ad alcuna Arte.
Sono appresso uficiali di pupilli, e vedove, eletti a boce, buoni,
e onesti uomini, che temano Iddio, e amino misericordia, e fanno
tenere conto, e ragione di tutti e’ pupilli, che sono lasciati
sotto loro governo per insino che sieno in età perfetta.
Uficiali di Castella hanno a provvedere sempre, che le castella, e
rocche, e fortezze del Comune sieno salde, e fare racconciare dove
bisognasse, e sieno bene fornite d’opera, e da vivere, e sieno bene
guardate, e che v’è mandato tenga la famiglia, che dee tenere.
Uficiali della Torre, hanno a mantenere, e migliorare ponti, e mura
della città, e contado, fare racconciare i lastrichi delle vie,
quando sono guasti, e provvedere a tetti, e sporti, e ruine.
Uficiali di Condotta sono sopra soldare, e fare rassegnare gente
d’arme.
Molti altri ufici di Comune, che sarebbe lungo a dire, e ciascuno
ha sua casa, dove si raunano, e scrivani, e camarlinghi.
Sono dipoi i Consoli dell’Arte, e ciascuna Arte ha sua casa, e
residenza molto onorate, e ornate, dove si raunano due dì per lo
meno ogni settimana, a tenere ragione, e udire, e giudicare, e
quale Arte ha otto Consoli, e quale sei, e ’n quale sono quattro,
secondo che è maggiore, e di maggiore faccenda, e alla sentenza
de’ Consoli non si può appellare. Ogni Arte può conoscere, e
giudicare la quistione di qualunque, che si richiamasse contro a un
sottoposto a quella tale Arte, e contro a ciascuno, che non fusse
sottoposto ad alcun’Arte, quando il sottoposto di quell’Arte si
richiamasse di quel tale.
L’uficio della Mercatanzia sono uno uficiale forestiere dottore
di legge civile, con sei consiglieri cittadini de’ più notabili, e
savj, e pratichi uomini dell’Arti dette, uno di ciascun’Arte delle
cinque maggiori, che se ne trae fuori quella de’ giudici, e notai,
e quella de’ vaiai, e pellicciai, e poi uno come tocca per sorta
intra tutte le XIV Arti, cioè le XIV minori, e con esse è quella
de’ vaiai, e pellicciai, e pigliasi quello ordine perchè quelle
cinque Arti, cioè mercatanti, cambiatori, lanaiuoli, setaiuoli,
e speziali, sono mercatanti, e di loro sono eletti a questo
uficio pochi, ma solamente que’ sono i vantaggiati, e innanzi a
questo uficio vengono tutte le grandi quistioni, e gran casi di
tutto il mondo, e liti di cose fatte per mare, e per terra, e di
compagnie, e di falliti, e di rappresaglie, e d’infiniti casi, e
dannovisi giustissimi giudicj, e notabili determinazioni, e alle
loro sentenze non si può appellare. Questo uficio ha una casa, e
un palazzo assai grande, e onorato, e ornato, e magnifico, e dura
l’uficio de’ Sei tre mesi, e l’uficiale forestiere sei mesi, e
che sono costà, ci è necessità lo scrivervi. E questo è, che noi
abbiamo udito che in Pisa è rimasa poca gente della nostra da
cavallo e da piede e singularmente da cavallo, la quale voi avete
mandata a pigliare le castella. Oltre a ciò sentiamo che in Pisa
è tornata molta gente di cittadini, di quelli che non v’erano
quando voi v’entrasti, e che molti contadini vi sono venuti e
tutto dì vi vengono, e che v’è entrato e entra molta vituaglia.
Di che, considerati i pericoli che potrebbono seguitare, vogliamo
e comandianvi che la gente d’arme, la quale voi, poi che entrasti
in Pisa, mandasti fuori a pigliare le castella, che sanza indugio
la facciate tornare dentro in Pisa. E le roche e’ casseri delle
castella fornite di fanti a sofficientia; e delle castella non
ci pare per ora da dubitarne, tegnendo bene la città. E quando
questa gente d’arme è dentro, che voi siate forti, fate di mandarne
fuori di Pisa chi v’è dentro tornato poi che voi v’entrasti. E
oltre a ciò de’ cittadini che vi sono da più, mandatecene qua una
brigata quelli che paiono a voi che sete in sul fatto. E dopo a
questo mandate uno bando che ciascuno Pisano o habitante in Pisa,
a pena dell’avere e della persona, debbia, infra quelle parecchi
hore che voi porrete di termine, avere portata ogni arme da
offendere e da difendere in quello luogo che vi pare, mettendolo
nel bando nominatamente, e quella arme mettete in luogo salvo; e
poi fate cercare a ciascuno le case, et torne quanta n’avessono, e
punire rigidamente chi non avesse apresentata l’arme, passato il
termine del bando. E provedete che victuaglia non v’entri se non
dì per dì, che sentiamo molta ve ne abonda. Et date modo che de’
contadini non v’entrino in quantità o in modo che pericolo alcuno
ne potesse seguire. E queste cose fate solicitamente e con buono
modo, che tutto lasciamo sopra le vostre spalle, tanto che di qua
si provegga. E fate bene e diligentemente guardare e alle porte
e in ogni altro luogo ove bisogna, sì che della città di Pisa
vi rendiate bene sicuri. Ancora abbiamo sentito, che de’ nostri
soldati insieme con alcuni Pisani e sanza, ànno tolte delle cose
e traportate d’una casa in altra, et etiandio tolte per loro; la
qual cosa ci dispiace infino a l’anima. E pertanto fate riducere
queste cose ne’ primi luoghi dove s’erano, e provedete per modo
che i soldati non faccino ruberie o villanie a persona. E chi il
contrario facesse, fate punire per modo che sia exemplo a ciascuno
di non errare. Data Florentie, die XIII octobris MCCCCVI, a hore
XXIII ½.
Duplicata die XVI octobris MCCCCVI, hora XVII.
Abbiamo sentito che certe lecta, panni e altre cose e arnesi di
Piero Gaietani e di monna Giovanna sua sirocchia e della Maria et
Iva sue nipoti, le quali cose erano nel monasterio di santo Mazeo
in Pisa, poi che ’l nostro Comune prese la città predetta, certi
de’ Gambacorti le tolsono e transportarono dove piacque loro. Il
perchè voliamo che, se voi trovate che le dette cose sieno state
tolte, da poi che voi entrasti nella città di Pisa, che voi le
facciate tutte sequestrare, a petitione del detto Piero e tenerle
salvamente. Data Florentie ut supra, die XVI octobris, hora XVII.
_Gino de Caponibus Capitaneo Pisarum._
Noi t’abbiamo scripte più lettere, del mandar qua de’ cittadini
Pisani che fussino huomini di capo e d’avere seguito, e apti a
scandalo novità: e ultimamente mandasti una scripta di centotrè o
circa, de’ quali ne sono venuti pochi più che i mezi, come per gli
Dieci della Balìa è stato scripto costà, e mandati i nomi di chi
mancha. E veggiamo che tu curi pocho del nostro scrivere e poco
conto ne fai, chè non ci ài voluti mandare quegli huomini che sono
la sicurtà del nostro Comune a cavargli di Pisa e fargli venire
qua; anzi ài fatto a tuo modo, o per preghiere o per amicitia o per
che cagione si sia. Et àci mandato uno campanaio, che tu medesimo
scrivi che egli si stava in quello di Lucha a fare campane. E
pertanto noi ti comandiamo, sotto pena della nostra gratia, che
veduta questa lettera, tu ci mandi quelli che mancano del numero
de’ predetti. Et oltre a ciò, ci manda quelli cinquanta, i quali ti
debbono avere dati scripti i dieci Proveditori di Pisa. E ancora
ci manda circa XXV altri Pisani, i nomi de’ quali ti mandiamo
in questa lettera interchiusi. Et oltre a questi, se in Pisa à
altri huomini che habbino seguito e sieno capi da fare ragunate
o novità, mandacegli qua, e sieno quanti si vogliono. E a tutti
fa’ comandamento che in brevissimo termine sieno innanzi a noi, a
pena dell’avere e della persona. E se tu non vorrai obedire, come
ài fatto infino a qui, noi terremo di modi che ti dispiaceranno,
e manderemo costà persone che ci ubidiranno. E d’una cosa ti
certifichiamo, che i nostri cittadini non sono disposti a volere
tenere tanto exercito in Pisa, da cavallo e da piede, quanto forse
tu ti dài a intendere; anzi vogliamo limitare la spesa e trarre
di cittadini di Pisa tanti, e fargli stare qua che noi ne possiamo
vivere securi. Sì che, apriti bene gli hurecchi, e fa’ quello che
ti scriviamo, altrimente non te ne loderai. E rispondici a quello
che ti scriviamo e con lettere e con fatti. Dat. Florentie, die
XXIII novembris MCCCCVI hora XXIII.
_Gino de Capponibus Capitaneo Pisarum._
Dilettissimo nostro. Colle presenti ti mandiamo una scritta
suggellata, nella quale sono scripti cierti Pisani in numero CVIII,
e quali pe’ nostri precessori, e pe’ Collegi e altri uffici che
anno balìa de’ fatti di Pisa, è stato solennemente diliberato che
debbino star qua a Firenze a’ confini; tra quali, come per essa
scripta comprenderai, certi sono che oltre all’avere eglino a stare
qua a’ confini, ci ànno ancora a conducere tutta la loro famiglia.
E per volere noi dare executione alla sopra detta deliberatione, e
acciò che detti Pisani non caggino nella infrascripta grave pena;
vogliamo e comandianti, che prestamente tu comandi a ciaschuno
Pisano, e quali nella detta scritta nominatamente si contengono,
che per tutto el presente mese di marzo, debbono essere qua, e
quelli ch’ànno a menare le famiglie secondo la forma della detta
scritta, fra ’l detto termine ce la debbono avere condotta.
Notificando a ciaschuno de’ detti Pisani, come pur quelli della
Balìa di Pisa è stato deliberato, che qualunche non si rapresenterà
come di sopra si dice, per tutto el presente mese, e chi ci à a
conducere le famiglie e non ce l’avesse condotte al detto termine,
s’intendono essere e sono condannati nell’avere e nella persona,
e così contra loro e ne’ loro beni si procederebbe. E se alcuno
di quegli che nella detta scritta si contengono fussi absente
e in luogo non troppo longincho, come nel contado di Pisa o a
Luccha o a Siena o a Bolognia o a Gienova o ne’ contadi d’alcuno
de’ detti luoghi; vogliamo che, preso ch’arai la informatione
dove sieno, che prima questo facci alle loro chase significare o
a’ loro più proximi coniuncti, e poi pe’ messi della corte o per
altri e quali sopra ciò diputassi, personalmente e per iscriptura
faccia loro el comandamento che sotto la detta pena qua debbano
essere al termine predetto. E se avessi informatione che alcuno
della detta scripta fussi qui a Firenze, non obstante questo,
vogliamo che alle case loro e a quegli che sono loro più coniuncti
facci fare simile comandamento. E se alcuno de’ Priori che sono
al presente in ufficio si contenesse nella detta scripta, a loro
notifica che, fra otto dì dal dì ch’aranno diposto l’ufficio, si
debbano qua rapresentare sotto la detta pena dell’avere e della
persona. Tu vedi che questa è materia che à bisognio di diligentia,
e che tosto vi sia data executione, considerato la pena grave
nella quale eglino incorrono non ubidiendo. Oltra ciò fa’ che di
tutte le notificationi e richieste le quali a’ predetti farai,
e de’ raporti d’esse notificationi e richieste, ne facci fare
negli atti della tua corte autentica scriptura; la copia della
quale poi ci manderai, però che non vogliamo ch’alcuno si possa
schusare non ubidendo, con pretendere ignorantia e non gli essere
stato notificato. Avisandoli, che quando qua vengono, s’ànno a
rapresentare dinanzi al nostro Podestà di Firenze.
Quello si dice de’ Priori di Pisa, che notifichi loro come fra gli
otto dì dal dì che diporranno l’ufficio; non vogliamo che faccia
questa notificatione o che in alcuno modo ne parli, se non quando
diporranno l’ufficio: prima non ci pare honesto.[577]
_Gino de Capponibus._
Noi non ti potremo, Gino, scrivere in quanta displicentia e
turbatione ci sia stato il caso, il quale abbiamo sentito costà
ne’ dì passati essere corso, cioè di quella fanciulla la quale pare
che di casa di Nicholaio Aragonesi fussi tolta per certi soldati,
non sappia’ però chi si sia stato. Oltracciò abbiamo sentito, che
per te assai è stata martoriata e con aqua e con colla la detta
fanciulla, vogliendo tu ritrovare chi fussi stato quello o quegli
che avessi commesso cosa tanto abominevole vituperosa e trista.
E più pare, secondo che abbiamo informatione da persona degna di
fede, che oltre al villano caso, che avvenne l’altrieri di quella
fanciulla de’ Lanfranchi che fu guasta, essere state poste schale
per intrare a honeste donne e bennate. Questi casi quanto e’
sieno abominabili, di quanta infamia alla nostra città e quanto
pericolosi, non che tu, Gino, ma qualunque rozzo facilemente il
può giudicare. E sai che nel mondo niuna displicentia e iniuria
si può fare a chi è huomo, nè adducerlo in maggiore displicentia
che vedersi sforzare le donne loro, e l’onestà d’esse (chè sai
quanto è cara cosa) contaminare e vituperare. Quanti stati e
reggimenti per questo siano stati soversi, quanti morti e guerre
di ciò sieno seguite ne’ tempi passati e ne’ moderni, a te può
essere noto, conciosiacosa che, da poi che ’l mondo principiò,
rare sobversioni di reggimenti siano stati, che da simile materia
non abbino avuto principio. Ma pure, pognendo che in questo niuno
pericolo fossi, la cosa in sè è tanto villana e tanto trista e di
tanta infamia sono a chi à el governo, che in nessuno modo sono da
patire sanza grave punitione. E veggiamo chiaramente, Gino, che
ogni dì averranno simili inconvenienti e quali un dì potrebbono
generare grande schandalo, se in questo principio non ci si piglia
tale forma, che nessuno ardisca a comettere cose sì scellerate. E
però vogliamo e a te strettissimamente comandiamo, che in questo
fatto tu proceda in forma e modo che per tutti si cognoscha e vega,
in quanto dispiacere e odio siano a noi queste abominabili cose,
e sia tale esempro e terrore a qualunche che nessuno ardischa più
di commettere cose tanto scellerate. E se intorno acciò, perchè
quanto ti scriviamo abbia luogo, bisognasse che per la nostra
Signoria si facessi alcuno provedimento, prestamente per messo
proprio ce ne rendi avisati. La fanciulla la quale sentiamo che
anchora ài in prigione vogliamo ti sia raccomandata; però che sai,
le fanciulle essere semplice e non cognoscere gli uomini co’ quali
non praticano: et ecci stato amiratione, che lei abbi posto alla
tortura, benchè pensiamo non l’abbi fatto sanza grande cagione.
Data Florentie, die XX mensis iunii MCCCC septimo, Ind. XV.
Nº V.
(Vedi pag. 146.)
ORDINE DEGLI UFFICI DELLA REPUBBLICA DI FIRENZE.
L’ordine della città è diviso principalmente in quattro parti, o
chiamansi Quartieri, e ’l primo è il Quartiere di Santo Spirito,
e ’l secondo, quello di Santa Croce, e ’l terzo quello di Santa
Maria Novella, e ’l quarto quello di San Giovanni. Ciascuno
Quartiere è diviso per quattro Gonfaloni, che sono in tutto sedici,
e ogni Gonfalone ha suo segno, non bisogna nominargli. Appresso
v’è l’ordine delle Arti, che sono partite in ventuna, i nomi
delle quali è buono a sapere per molte cose, che hanno a seguire,
a meglio intenderle. La prima è l’Arte de’ Giudici, e Notai, e
questa ha un Proconsolo sopra’ suoi Consoli, e reggesi con grande
autorità, e puossi dire essere il ceppo della ragione di tutta
la Notarìa, che si esercita per tutta la Cristianità, e indi sono
stati i gran Maestri, e autori, e componitori d’essa. La fonte de’
dottori delle leggi è Bologna, e la fonte de’ dottori della Notarìa
è Firenze.
Appresso è l’Arte de’ Mercatanti, che trafficano in grosso fuori
di Firenze, che niun’altra città ne potrebbe de’ suoi tanti
annoverare, quanti sono il numero di quegli.
La terza è l’Arte de’ Cambiatori, che si può dire, che l’Arte
del cambiare per tutto il mondo sia quasi tutta nelle mani de’
Fiorentini, perchè per tutte le buone città di mercatanzìe tengono
fattori a fare cambi.
La quarta è l’Arte della Lana, e più panni, e più fini fanno
fare in Firenze, che in alcuno altro luogo, e i suoi Maestri sono
grandi, e buoni onorati cittadini, e sanno fare.
La quinta è l’Arte della Seta, e li drappi d’oro, e di seta, e
degli orafi, delle quali Arti si lavora nobilmente, e massime dei
drappi.
La sesta è l’Arte degli Speziali, e de’ Medici, e Merciai, ed è
grande Arte in numero di persone.
La settima è quella de’ Vaiai, e Pellicciai, e infino a qui si
chiamano le sette Arti maggiori.
Poi sono le quattordici, che si chiamano Arti minori, ciascuna è
distinta, e ordinata, secondo sua faccenda, Linaiuoli, e Rigattieri
insieme, Calzolai, Fabbri, Pizzicagnoli, Macellari, che si chiamano
Beccai, Vinattieri, Albergatori, Coreggiai, Quoiai, Corazzai,
Chiavaiuoli, Maestri di murare, Maestri di legname, e Fornai.
I Signori si chiamano Priori dell’Arti, e Gonfaloniere di Giustizia
del Popolo e Comune di Firenze, e sono otto Priori, cioè due di
ciascuno Quartiere, e un Gonfaloniere di Giustizia, che ogni volta
muta Quartiere per ordine, sicchè ogni Quartiere ha la sua volta
il Gonfaloniere di Giustizia, e tutti sono scelti uomini, e più
vantaggiati, e provati, e quegli quasi ha essere il capo di tutti
i Priori, e ha andare innanzi, e non può essere alcun Gonfaloniere
di questi, che non abbia compiuto il tempo di quarantacinque anni,
e la mattina, che entra in uficio, gli è dato in mano il Gonfalone
della Giustizia, che è la croce vermiglia nel campo bianco in un
gran Gonfalone di drappo, il quale tiene in camera sua, e quando
bisognasse aoperarlo, e salisse con esso a cavallo, tutto il popolo
lo debba seguire, e andargli dreto, e ubbidirlo.
E’ Priori sono otto, de’ quali sei hanno a essere dell’Arti
maggiori, e duo delle quattordici Arti minori, e di questo uficio
non possono essere insieme due consorti, nè parenti per linea
masculina, nè da indi a un anno; e chi è di detto ufficio, non può
essere altra volta, se non passati tre anni dal dì finisce tale
uficio.
E ’l primo uficio comincia in Calen di gennaio, e dura due mesi,
e così poi l’altro in Calen di marzo, e seguita per tutto l’anno,
sicchè in un anno si mutano sei volte; e la mattina quando entrano
in uficio, si fa festa per tutta la città colle botteghe serrate,
e tutto il popolo va alla piazza per fare compagnia a quegli, che
escono dell’uficio passato, e tornano a casa, ciascuno co’ suoi più
prossimi vicini, o amici, o parenti, e quegli, che hanno fornito
l’uficio de’ due mesi, lasciano l’uficio a’ nuovi, che entrano, e
hannogli prima due dì informati di tutte le cose, che hanno tra le
mani.
Questi due mesi stanno sempre in Palagio fermi, e in Palagio
mangiano, e dormono, e ogni dì stanno a collegio a sedere a udire,
e diterminare il bisogno del Comune, e hanno tra loro per ordine
uno di loro sempre Proposto, e tocca a ciascuno la sua volta per
sorta, e dura tre dì, e tutti gli altri hanno in que’ tre dì a
seguire il Proposto, e va innanzi allato al Gonfaloniere, e quello,
che è Proposto, è signore di proporre, e mettere a partito fra loro
ciò, che a lui pare, e sanza lui que’ tre dì non si può fare alcuna
cosa.
Le loro deliberazioni si fanno segrete con fave nere e bianche, e
hanno un frate segretario, che riceve in uno bossolo le dette fave;
ciascuno glie ne dà in mano una segretamente, e coperta, e il frate
la riceve, e mette nel bossolo. Le nere dicono sì, e le bianche
dicono no, a volere essere vinto, e deliberato, e’ si conviene che
sieno le due parti nere.
Ciascuno ha la sua camera nel Palagio fatta per ordine, e per
Quartiere, e quella del Gonfaloniere è in capo di tutte, e ciascuno
ha al suo servigio un donzello, che lo governa in camera di ciò
fa bisogno, e simile lo serve alla mensa di tagliare, e di ciò fa
bisogno, e sono nove donzelli orrevoli, e costumati, e stanno fermi
in Palagio, e così ciascuno ha due serventi da mandare in qua, e
’n là, dove fusse bisogno, e al servigio di tutto l’uficio sono
cento famigli, che per ordine vanno vestiti di verde, e portano
certi segni di Comune, i quali hanno a fare compagnia innanzi, e
dietro a’ detti Signori, quando vanno fuori, e hanno a andare per
gli cittadini quando i Signori gli vogliono, e questi cento famigli
hanno un Capitano forestiero, che si chiama Capitano de’ fanti, il
quale è sopra tutti, e hagli a tenere in ordine, e correggere, ed è
molto onorato.
E sono di tanta preminenza questi famigli de’ Signori, che quando
un di loro fusse dato per compagnia a uno, che avesse bando della
persona, o debito, non è alcuno rettore, nè uficiale, nè cittadino,
che per la vita sua dicesse, o facesse nulla contro a quel tale, e
’l detto famiglio si concede per partito, e diliberazione de’ detti
Signori.
Alla mensa de’ Signori non siede alcun altro, che loro e ’l loro
notaio, e’ Signori forestieri, o Ambasciadori di Signori, o di
Comuni quando, gli volessono fare onore, o alcuna volta per festa i
rettori, e certi uficiali cittadini.
E la mensa de’ detti Signori, si dice, che è sì bene apparecchiata,
e riccamente ornata, e pulitamente servita, quanto mensa
d’alcun’altra Signoria, e per ordine; e come sono diputati ogni
mese alla loro mensa fiorini trecento d’oro, tengono pifferi,
e sonatori, e buffoni, e giocolari, e tutte cose da sollazzo, e
da magnificenza, ma poco tempo vi mettono, che di presente sono
chiamati dal Proposto, e posti a sedere per attendere a’ bisogni
del Comune, che sempre abbonda loro faccenda, e mai non vi manca
che fare.
Hanno appresso di loro un Notaio, che sta due mesi in Palagio come
loro, e alla loro mensa, il quale non ha a fare altro, se non a
scrivere le loro deliberazioni.
Hanno un altro Notaio fermo in perpetuo, aiuta quando fa bisogno,
e ’l quale tiene i libri delle leggi, e ordini del Comune, e ha a
scrivere, e a tenere conto di tutte le informagioni che si fanno
per li Signori, e Collegi con loro Consigli.
Hanno uno Cancelliere, che sempre ne sta fermo in Palagio; i quali
hanno a scrivere tutte le lettere, e pistole, che si mandano a’
principi del mondo, e a qualunque signoria, e privata persona per
parte del Comune, i quali sono sempre poeti, e di grande scienza.
Tutti costoro hanno bisogno di tenere sotto loro molti, che
scrivano, e facciano quelle cose, che sono ordinate loro.
L’uficio, e balìa, e autorità, e potenza de’ detti Signori è grande
senza misura; ciò che vogliono, possono, mentre che dura il loro
uficio, ma non aoperano questa potenzia, se non in certi casi
necessari, e stremi, e di rado; anzi seguitano secondo gli ordini
fatti per lo Comune, e non possono essere dopo l’uficio compiuto
sindacati, nè corretti d’alcuna cosa, che fatta avessono, se non
per baratterìa, o simonìa, e questo ha a conoscere uno uficiale, e
rettore forestiere, che si chiama Esecutore degli ordini, e quando
non ci è, succede in suo luogo, il Podestà di Firenze.
Poi è l’uficio de’ sedici Gonfalonieri delle compagnie e comincia
adì otto di gennaio, e dura per quattro mesi, sicchè in un anno si
mutano tre ufici; questi hanno sempre a ogni richiesta de’ Signori,
che è quasi ogni dì essere a’ loro piedi a consigliare come fanno
i cardinali, e ’l Papa, e la mattina, che entrano, si fa festa
a botteghe serrate, e stanno i Signori in sulla ringhiera fuori
del Palagio, e simile i rettori con loro, e uno de’ detti rettori
monta in un’altra ringhiera, o vogliamo dire pergamo, e fa una
bella orazione a onore di quella signoria, e de’ Gonfalonieri, e a
ciascuno è dato il suo Gonfalone in mano, e con trombe, e pifferi
innanzi se ne vanno a casa loro accompagnati, e onorati da tutto
il popolo, e tutti gli uomini del Gonfalone vanno in compagnia col
suo, e dreto al suo Gonfaloniere, e ciascuno Gonfalone ha sotto se
tre pennoni di quel segno medesimo, che si danno dove i Gonfaloni;
costoro non hanno a fare altro, se non a’ bisogni essere con quel
segno a seguire il suo Gonfalone.
Poi v’è uno uficio, che si chiama Dodici buoni uomini, che sono
tre di ciascun Quartieri, e dura tre mesi; cominciano per il primo
uficio adì 15 di marzo, e durano mentre che ’l dì cresce, e a
mezzo giugno, che comincia il dì a scemare, entrano gli altri, e
durano infino che ’l dì è uguale alla notte; poi gli altri infino
al minorare, dipoi gli altri infino a’ dì iguali di mezo marzo, e
questo è con certo misterio, e hanno a stare ciascuno dì, quando i
Signori mandano per loro, a’ loro piedi a consigliare, e per ordine
di Comune sono molte cose di grande importanza, che non si possono
fare per gli Signori sanza i Dodici.
Questi due ufici, Gonfalonieri, e Dodici si dicono Collegi, e sono
molto onorati appresso de’ Signori.
Poi è il Consiglio del Popolo, che sono dieci per Gonfalone, e
tutti i Consoli dell’Arti insieme co’ Signori, e Collegi, e certi
altri ufici, che sono in tutto circa dugento cinquanta, per lo qual
consiglio s’hanno a conservare le leggi, e statuti, e ordini di
Comune già fatti per li Signori, e Collegi, e se non si vincesse
per le due parti del detto consiglio insieme col loro colle fave
nere, e bianche in segreto, non vale niente, e non può andare
innanzi.
E quello, che sarà confermato per lo detto consiglio, bisogna,
che vada poi un’altra volta a partito in un altro consiglio, che
si chiama consiglio del Comune, dove sono circa dugento insieme
co’ Signori, e Collegi, e non essendo confermato, e vinto per le
due parti, simile in questo secondo consiglio non vale, ma le cose
giuste, e utili, e oneste si vincono, e intendesi essere legge di
Comune.
L’uficio de’ Dieci di balìa, che sono eletti a boce, ovvero colle
fave sanza farne borsa, sono uomini valenti, e scelti, e pratichi,
e non si fanno, se non a tempo di guerra, e costoro hanno allora
di fuori della città, e ne’ fatti della guerra tutta la balía, e
potenza de’ Signori, e di tutto il Comune.
L’uficio degli Otto della guardia hanno a stare desti, e attenti
contro di chi cercasse di fare, o facesse alcune cose contro al
reggimento, e contro alla città, o castelli, o terre del Comune,
e non hanno balía di punire, ma di mettere il colpevole nelle mani
del Rettore, che ne faccia giustizia.
L’uficio de’ Regolatori sono sei, e hanno a provvedere sempre tutte
le rendite, e entrate del Comune, che elleno si mantengano buone, e
non sieno maculate, e ’n tutte le spese, che si fanno, provvedere
che ’l Comune non sia ingannato, e fare rivedere le ragioni de’
Camarlinghi, e fare riscuotere da chi deve dare.
Sono altri uficiali, che si dicono Governatori delle Gabelle delle
Porti; oggi si chiamano Maestri di Dogana, e del sale, vino, e
contratti, che hanno assai faccende a provvedere, che ’l Comune non
sia ingannato.
L’uficio de’ Capitani di Parte guelfa è grande, e d’onoranza più
per memoria dell’antica virtù, e operazioni operate sotto quel
segno, che per cose, che al dì d’oggi abbiano a fare. Hanno a
ricevere molte rendite, e spenderle in onore della Parte guelfa.
L’uficio dei Dieci della Libertà è di grande importanza, e dassi
a uomini di molta scienza, e pratichi, e hanno a udire le querele
di molti, che sono molestati civilmente alla ragione per vigore
di strumenti, e carte, e dicono, o non essere stato vero, o avere
pagato, o non doversi giudicare per quella via, o essersi obbrigati
per inganni, o fraude, e sì costoro hanno a conoscere se la cosa
il merita, e strignerli a fare compromesso, e che si vegga per
via d’equità, e di discrezione, e molto giova questo uficio allo
aiuto di persone povere, che non hanno da spendere in piatire, e in
procuratori, e avvocati.
Uficiali d’Abbondanza si fanno solo in tempo di carestia, acciocchè
la Terra stia abbondevole di grano per la povera gente, e allora
usano bellissimi modi a fare contro alla carestia.
Uficiali di Grascia hanno a provvedere sopra le mulina, e mugnai,
che rendano a’ cittadini buona ragione, e tengono ragione di molte
cose contro a coloro, che non sono sottoposti ad alcuna Arte.
Sono appresso uficiali di pupilli, e vedove, eletti a boce, buoni,
e onesti uomini, che temano Iddio, e amino misericordia, e fanno
tenere conto, e ragione di tutti e’ pupilli, che sono lasciati
sotto loro governo per insino che sieno in età perfetta.
Uficiali di Castella hanno a provvedere sempre, che le castella, e
rocche, e fortezze del Comune sieno salde, e fare racconciare dove
bisognasse, e sieno bene fornite d’opera, e da vivere, e sieno bene
guardate, e che v’è mandato tenga la famiglia, che dee tenere.
Uficiali della Torre, hanno a mantenere, e migliorare ponti, e mura
della città, e contado, fare racconciare i lastrichi delle vie,
quando sono guasti, e provvedere a tetti, e sporti, e ruine.
Uficiali di Condotta sono sopra soldare, e fare rassegnare gente
d’arme.
Molti altri ufici di Comune, che sarebbe lungo a dire, e ciascuno
ha sua casa, dove si raunano, e scrivani, e camarlinghi.
Sono dipoi i Consoli dell’Arte, e ciascuna Arte ha sua casa, e
residenza molto onorate, e ornate, dove si raunano due dì per lo
meno ogni settimana, a tenere ragione, e udire, e giudicare, e
quale Arte ha otto Consoli, e quale sei, e ’n quale sono quattro,
secondo che è maggiore, e di maggiore faccenda, e alla sentenza
de’ Consoli non si può appellare. Ogni Arte può conoscere, e
giudicare la quistione di qualunque, che si richiamasse contro a un
sottoposto a quella tale Arte, e contro a ciascuno, che non fusse
sottoposto ad alcun’Arte, quando il sottoposto di quell’Arte si
richiamasse di quel tale.
L’uficio della Mercatanzia sono uno uficiale forestiere dottore
di legge civile, con sei consiglieri cittadini de’ più notabili, e
savj, e pratichi uomini dell’Arti dette, uno di ciascun’Arte delle
cinque maggiori, che se ne trae fuori quella de’ giudici, e notai,
e quella de’ vaiai, e pellicciai, e poi uno come tocca per sorta
intra tutte le XIV Arti, cioè le XIV minori, e con esse è quella
de’ vaiai, e pellicciai, e pigliasi quello ordine perchè quelle
cinque Arti, cioè mercatanti, cambiatori, lanaiuoli, setaiuoli,
e speziali, sono mercatanti, e di loro sono eletti a questo
uficio pochi, ma solamente que’ sono i vantaggiati, e innanzi a
questo uficio vengono tutte le grandi quistioni, e gran casi di
tutto il mondo, e liti di cose fatte per mare, e per terra, e di
compagnie, e di falliti, e di rappresaglie, e d’infiniti casi, e
dannovisi giustissimi giudicj, e notabili determinazioni, e alle
loro sentenze non si può appellare. Questo uficio ha una casa, e
un palazzo assai grande, e onorato, e ornato, e magnifico, e dura
l’uficio de’ Sei tre mesi, e l’uficiale forestiere sei mesi, e
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