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Storia della Repubblica di Firenze v. 2/3 - 37

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   bisogna, che tenga ferma abitazione nel detto palazzo egli, e suoi
   notai, e famigli, e non vi può menare sua donna, nè figliuoli.
   Resta a dire de’ tre rettori principali, Podestà, Capitano,
   Esecutore, che bisogna, che sieno forestieri, di luogo di lungi
   a Firenze per lo meno miglia sessanta, e dura l’uficio loro mesi
   sei, e non può tornare altra volta infra dieci anni, nè egli, nè
   suoi giudici, se non fusse per deliberazione del Comune vinta per
   gli consigli, che interviene rade volte. Questo si fa perchè quello
   Rettore non abbia parenti, nè amici, nè conoscenti, nè grandi, nè
   minori, se non gli ordini, e le leggi della città, i quali dee
   osservare, e hanno grandissima balìa, e stanno con grandissima
   onoranza. In prima
   Il detto Podestà tiene con seco quattro giudici dottori in legge
   civile, e sedici notai, perchè alla sua corte si piatisce di tutti
   i casi civili, di reditadi, di testamenti, e lasci di dote, di
   compre e vendite, di tutti e’ casi, de’ quali apparisce strumento
   pubblico, e hanno a conoscere, e terminare di ragione; poi dee
   tenere molta famiglia, e cavalli, e ha di salario in sei mesi
   fiorini dumilatrecento, e sta in un bellissimo palagio, e non può
   essere Podestà, nè Capitano in Firenze alcuno, se non conte, o
   marchese, o cavaliere, e che sia guelfo, e l’esecutore conviene,
   che sia il contrario, e non de’ detti gradi, ma che sia uomo
   popolare, e guelfo, e ’l Capitano, e ’l Podestà, e lo Esecutore
   hanno tutti balìa sopra i condannati, e sbanditi, e contro a tutti
   i micidj, e furti, e falsarj, e ogni cosa criminale. Il Capitano
   si dice del Popolo, e il segno suo è per guardia della città, e
   dello Stato, e reggimento d’essa, e ha balìa di fatto contro a chi
   tentasse alcuna cosa contro a reggimento; lo Esecutore ha balìa di
   fatto solamente contro a’ grandi uomini in difensione de’ popolani,
   e minori, e questo fu trovato per antico tempo a riprimere la
   superbia de’ maggiori, e farò senza più dire degli ufici drento
   della città.
   Ma gli uficj di fuori sono quegli, di che i cittadini avanzano, e
   hanno salario, e premio, e sono i principali, e maggiori; in prima
   Capitano di Pisa, Capitano d’Arezzo, Capitano di Pistoia, Capitano
   di Volterra: questi sono Signori di quelle Terre, mentre che
   durano sei mesi di tali ufici, e hanno balía per la guardia della
   Terra di ragione, e di fatto sanza misura. Appresso Podestà di
   Pisa, Podestà d’Arezzo, Podestà di Pistoia, Capitano di Cortona,
   Capitano del Borgo a San Sepolcro, Podestà di Prato, Podestà di
   Colle, Podestà di San Gimigniano, Podestà di Monte Pulciano, e
   altri, che hanno a governare i casi civili, e criminali, e menare
   suo’ giudici, e famigli assai, e sono molto onorati. Poi sono
   Vicario di San Miniato, Vicario di Val di Nievole, e di Pescia,
   Vicario di Firenzuola, Vicario di Poppi, e del Casentino, Vicario
   d’Anghiari, tre Vicariati in quello di Pisa; Capitano dell’Alpe
   di Pistoia, e Capitano di Romagna, e di Castrocaro, Vicario di
   Poppi, e di tutto il Casentino, Podestà di Castiglione Aretino,
   Podestà, ovvero Capitano di Maremma di Pisa. Poi sono tanto numero
   di Podestà in tutte l’altre terre, che sarebbe troppo lungo dire,
   a volerle sapere. A questi ufici sono eletti in Firenze buoni,
   e discreti cittadini il più che si può, e vanno in detti luoghi
   per acquistare chi onore, e chi avere, e chi l’una cosa, e chi
   l’altra; e interviene spesso, che sono di quelli, a chi viene fatto
   d’acquistare in tutto, o in parte di quel ch’è detto, e alcuna
   volta il contrario, cioè vergogna, e danno, perocchè i fatti degli
   uomini di Firenze non possono essere nascosi, e hanno troppi occhi
   addosso, e chi fa bene, n’acquista il merito, e chi fa male tosto
   è manifesto, ed è punito, e corretto, e gastigato per debito di
   giustizia, e per esemplo degli altri; e quando detti uficiali
   tornano in Firenze delle dette Terre, sono bene esaminate l’opere
   fatte per loro, e a ciascuno è retribuito a Firenze secondo il
   merito, e per la virtù di questa giustizia i buoni sono sempre
   invitati, e confortati a ben fare, e i rei e malvagi, puniti e
   spaventati, e il bene cresce, e il male si spegne, e seguitano
   una concordia in Firenze di grandi, e minori, e mezzani onorati
   ciascuno secondo suo grado, e secondo i loro meriti, che ne seguita
   una melodia sì dolce, che la sente il Cielo, e muove i santi ad
   amare questa città, e difenderla da chi volesse guastare tanto
   tranquillo e pacifico stato.
   Appresso vi sono, come dissi in principio, il gran numero di
   buoni uomini e donne, che sempre con orazioni e limosine, e sante
   operazioni impetrano da Dio misericordia contro a’ viziosi, che non
   può essere, che non ve ne sieno, a tale che per amore de’ buoni
   Nostro Signore Iddio ha guardata, e conservata quella città, e
   accresciuta quanto altra città d’Italia. Amen.
  
  DESCRIZIONE DELLE FESTE DI SAN GIOVANNI.
   Quando ne viene il tempo della Primavera, che tutto il Mondo
   rallegra, ogni Fiorentino comincia a pensare di fare bella Festa
   di San Giovanni, che è poi a mezza la State, e di vestimenti, e di
   adornamenti, e di gioie ciascuno si mette in ordine a buon’otta;
   chiunque ha a fare conviti di nozze, o altra Festa s’indugia a quel
   tempo per fare onore alla Festa mesi due innanzi, si comincia a
   fare il Palio, e le veste de’ Servitori, e’ pennoni, e le trombe,
   e i Palj del drappo, che le Terre accomandate, e del Comune danno
   per censo, e ceri, e altre cose, che si debbono offerere e invitare
   gente a procacciare cose per li conviti, e venire d’ogni parte
   cavalli per correre il Palio, e tutta la Città si vede in faccenda
   per lo apparecchiamento della Festa, e gli animi de’ giovani, e
   delle donne, che stanno in tali apparecchiamenti; non resta però,
   che i dì delle Feste, che sono innanzi, come è Santo Zanobi, e per
   la Ascensione, e per lo Spirito Santo, e per la Santa Trinità, e
   per la Festa del Corpo di Cristo, di fare tutte quelle cose, che
   allegrezza dimostrino, e gli animi pieni di letizia, ed ancora
   ballare, sonare, e cantare, conviti, e giostre, e altri giuochi
   leggiadri, che pare, che niuna altra cosa s’abbia a fare in que’
   tempi infino al dì della vigilia di San Giovanni.
   Giunti al dì della vigilia di San Giovanni, la mattina di buon’ora
   tutte le Arti fanno la mostra fuori alle pareti delle loro botteghe
   di tutte le ricche cose, ornamenti, e gioie; quanti drappi d’oro
   e di seta si mostrano, ch’adornerebbero dieci Reami! quante gioie
   d’oro, e d’ariento, e capoletti, e tavole dipinte, e intagli
   mirabili, e cose, si appartengono a fatti d’arme, sarebbe lungo a
   contare per ordine.
   Appresso per la Terra in sull’ora della terza si fa una solenne
   pricissione di tutti i Cherici, Preti, Monaci, e Frati, che sono
   grande numero di Regole, con tante Reliquie di Santi, che è una
   cosa infinita, e di grandissima divozione, oltre alla maravigliosa
   ricchezza di loro adornamenti, con ricchissimi paramenti addosso,
   quanti n’abbia il Mondo, di veste d’oro, e di seta, e di figure
   ricamate, e con molte Compagnie d’uomini secolari, che vanno
   ciascuno innanzi alla regola, dove tale Compagnia si raguna,
   con abito d’Angioli, e suoni e stromenti d’ogni ragione, e canti
   maravigliosi, facendo bellissime rappresentazioni di que’ Santi, e
   di quelle Reliquie, a cui onore la fanno. Partonsi da Santa Maria
   del Fiore, e vanno per la Terra, e quivi ritornano.
   Poi dopo mezzo giorno, e alquanto passato il caldo, circa all’ora
   del Vespro tutti i Cittadini sono ragunati ciascuno sotto il suo
   Gonfalone che sono sedici, e per ordine primo, e secondo, e così
   succedendo vanno l’uno Gonfalone drieto all’altro, e in ciascuno
   Gonfalone tutti i suoi Cittadini a due a due andando innanzi i
   più degni, e i più antichi; e così seguendo infino a’ garzoni
   riccamente vestiti, a offerere alla Chiesa di San Giovanni un
   torchietto di cera di libbre una per uno, avendo i detti Gonfaloni
   spesse volte, o la maggiore parte d’essi innanzi da sè uomini con
   giuochi d’onesti sollazzi, e belle rappresentazioni. Le strade,
   dove passano, sono tutte adorne alle mura e al sedere di capoletti,
   spalliere, e pancali, i quali sono coperti di zendadi, e per tutto
   è pieno di donne giovani, e fanciulle vestite di seta, e ornate
   di gioie, e di pietre preziose, e di perle, e questa offerta basta
   infino al coricare del sole, e fatto l’offerta, ciascuno cittadino,
   e donna si tornano a casa a dare ordine per la mattina seguente.
   La mattina di San Giovanni chi va a vedere la piazza de’ Signori,
   gli pare vedere una cosa trionfale, e magnifica, e maravigliosa,
   che appena che l’animo vi basti. Sono intorno alla gran piazza
   cento torri, che paiono d’oro, portate quali con carrette, e quali
   con portatori, che si chiamano ceri, fatti di legname, di carta, e
   di cera con oro, e con colori, e con figure rilevate, voti drento,
   e drento vi stanno uomini, che fanno volgere di continovo, e girare
   intorno quelle figure. Quivi sono uomini a cavallo armeggiando, e
   quali sono pedoni con lance, e quali con palvesi correndo, e quali
   sono donzelle, che danzano a rigoletto. In su essi sono scolpiti
   animali, e uccelli, e diverse ragioni d’alberi, pomi, e tutte cose,
   che hanno a dilettare il vedere, e il cuore.
   Appresso intorno alla ringhiera del Palagio vi ha cento pali, o
   più nelle loro aste appiccati in anelli di ferro, e i primi sono
   quelli delle maggiori città, che danno tributo al Comune, come
   quello di Pisa, d’Arezo, di Pistoia, di Volterra, di Cortona e di
   Lucignano, e di Castiglione Aretino, e di certi Signori di Poppi,
   e di Piombino, che sono raccomandati del Comune, e sono di velluto
   doppi, quale di vaio, quale di drappo di seta, gli altri tutti sono
   di velluto, o d’altri drappi, o taffettà listrati di seta, che pare
   una maravigliosa cosa a vedere.
   La prima offerta, che si fa la mattina, sì sono i Capitani della
   Parte guelfa con tutti i cavalieri, essendovi ancora Signori,
   Ambasciadori, e Cavalieri forestieri, che vanno con loro con grande
   numero de’ più onorevoli cittadini della Terra, e col Gonfalone del
   segno della Parte guelfa innanzi portato da uno de’ loro donzelli
   in su uno grosso palafreno vestito di sopravvesta di drappo, e il
   cavallo covertato infino a terra di drappo bianco col segno della
   Parte guelfa.
   Poi seguono i detti pali portati a uno a uno da un uomo a cavallo,
   quale uomo ha il cavallo covertato di seta, e quale no: come
   sono per nome chiamati, e’ vannosi a offerere alla chiesa di San
   Giovanni. E questi pali si danno per tributo delle Terre acquistate
   dal Comune di Firenze, e di loro raccomandati da un certo tempo in
   qua.
   I ceri soprascritti, che paiono torri d’oro, sono i censi delle
   Terre più antiche de’ Fiorentini, e così per ordine di degnità
   vanno l’uno drieto all’altro a offerere a San Giovanni, e poi
   l’altro dì sono appiccati intorno alla chiesa dentro, e stanno
   tutto l’anno così infino all’altra Festa, e poi se ne spiccano i
   vecchi, e de’ pali fassene paramenti, e palj da altari, e parte de’
   detti palj si vendono allo ’ncanto.
   Dopo questi si va a offerere una moltitudine maravigliosa, e
   infinita di cerotti grandi, quale di libbre cento, quale cinquanta,
   quale più, quale meno, per infino in libbre dieci di cera accesi,
   portati in mano da’ contadini di quelle ville, che gli offerano.
   Dipoi vanno, a offerere i Signori della Zecca con un magnifico
   cero portato da un ricco carro adorno, e tirato da un paio di buoi
   covertati col segno ed arme di detta Zecca, e sono accompagnati i
   detti signori di Zecca da circa di quattrocento tutti venerabili
   uomini matricolati, e sottoposti all’Arte di Calimala Francesca, e
   de’ Cambiatori, ciascheduno con begli torchietti di cera in mano di
   peso di libbre una per ciascuno.
   Dipoi vanno a offerere i Signori Priori, e loro Collegi colli loro
   Rettori in compagnia, cioè Podestà, Capitano, e Assecutore, con
   tanto ornamento, e servidori, e con tanto stormo di trombe, e di
   pifferi, che pare, che tutto il mondo ne risuoni.
   E tornati, che’ Signori sono, vanno a offerere tutti i corsieri,
   che sono venuti per correre il Palio, e dopo loro tutti i
   Fiamminghi, e Bramanzoni, che sono a Firenze tessitori di panni
   di lana, e dopo questi sono offerti dodici prigioni, i quali per
   misericordia sono stati tratti di carcere per li opportuni consigli
   a onore di San Giovanni, i quali sieno gente miserabili, e sienvi
   per che cagione si voglia.
   Fatte queste cose e offerte, uomini, e donne tornano a casa a
   desinare, e come ho detto, per tutta la città si fa quel dì nozze,
   e gran conviti con tanti pifferi, suoni, e canti, e balli, feste e
   letizia, e ornamento, che pare, che quella Terra sia il Paradiso.
   Dipoi dopo desinare passato il mezzo dì, e la gente s’è alquanto
   riposata, come ciascuno s’è dilettato, tutte le donne, e fanciulle
   ne vanno dove hanno a passare quelli corsieri, che corrono al
   Palio, che passano per una via diritta per lo mezzo della città,
   dove sono buon numero d’abitazioni, e belle case, ricche, e di
   buoni cittadini, più che in niuna altra parte, e dall’uno capo
   all’altro della città per quella diritta via piena di fiori sono
   tutte le donne, e tutte le gioie, e ricchi adornamenti della città,
   e con grande festa, e sempre vi sono molti signori, e cavalieri,
   e gentiluomini forestieri, che ogni anno delle terre circostanti
   vengono a vedere la bellezza, e magnificenza di tale festa, ed
   evvi per detto corso tanta gente, che par cosa incredibile, di
   forestieri, e cittadini, che chi non lo vedesse, non lo potrebbe
   credere, nè immaginare.
   Dipoi al suono de’ tre tocchi della campana grossa del Palagio de’
   Signori, i corsieri apparecchiati alle mosse si muovono a correre,
   ed in sulla torre si veggono per li segni delli ragazzi, che su
   vi sono, quello è del tale, e quello è del tale, venuti da tutti i
   confini d’Italia i più vantaggiati corsieri barbereschi del mondo,
   e chi è il primo, che giugne al palio, lo guadagna, il quale è
   portato in sur una carretta triunfale con quattro ruote adorna con
   quattro lioni intagliati, che paiono vivi, uno in sur ogni canto
   del carro, tirato da due cavalli covertati col segno del Comune
   loro, e due garzoni, che gli cavalcano, e guidano; il quale è molto
   grande, e ricco palio di velluto chermisi fine in due pali, e tra
   l’uno e l’altro uno fregio d’oro fine largo un palmo foderato di
   pance di vaio, e orlato d’ermellini infrangiato di seta, e d’oro
   fine, che in tutto costa fiorini 300 o più, ma da un tempo in
   qua s’è fatto d’alt’e basso broccato d’oro bellissimo, e spendesi
   fiorini 600 o più.
   Tutta la gran piazza di San Giovanni, e parte della via è coperta
   di tende azzurre con gigli gialli, la chiesa è una cosa di
   maravigliosa figura; ed altro tempo richiederà a parlare d’essa,
   quando aremo a dire degli ornamenti di quella città. (_Questo
   l’autore non fece mai._)
  
  
  Nº VI.
  (Vedi pag. 170.)
  
  Vogliamo qui dare l’elenco delle Ambascerie e Commissioni affidate
  a Rinaldo degli Albizzi, che si leggono per disteso nella più volte
  citata pubblicazione del signor Guasti. A noi giovano come saggio della
  politica operosità di quegli anni e del grande credito di cui godeva
  Rinaldo in Firenze.
   I.
   1399, 23 _luglio_.
   Mandato a Montalpruno per l’edificazione d’una bastia.
   II.
   1399, 13-16 _agosto_.
   Mandato a incontrare Giovanni Orsino ambasciatore del re Ladislao.
   III.
   1399, 29 _novembre_.
   Andando Capitano d’Assisi gli è commesso dalla Signoria di parlare
   in Cortona con Uguccione dei Casali.
   IV.
   1402, 22 _giugno_ — 13 _luglio_.
   Mandato in Rimini a Carlo Malatesti dal quale ottiene il passo di
   quel Porto alle mercanzie dei Fiorentini.
   V.
   1404, 3-11 _marzo_.
   Mentre è Potestà di Rimini, viene a Firenze mandato da Carlo
   Malatesti per interessi dipendenti dalla condotta che egli teneva.
   VI.
   1404, 11 _marzo_.
   Sotto nome di messer Maso suo padre, e all’insaputa dei Dieci di
   Balìa, ha commissione dai Signori di trattare con Carlo Malatesti
   per far pace tra il Comune di Firenze e il Duca di Milano.
   VII.
   1404, 26 _aprile_ — 11 _maggio_.
   Torna a Firenze per commissione del Malatesti a proposito di questo
   trattato.
   VIII.
   1404, 24 _maggio_ — 6 _giugno_.
   Torna di nuovo pel trattato stesso.
   IX.
   1404, 11 _agosto_ — 4 _settembre_.
   Mandato dal Malatesti per accordare la Repubblica di Firenze con
   gli Ubertini e i Conti di Bagno.
   X.
   1405, 1-11 _gennaio_.
   Essendo Potestà di Città di Castello è mandato da quel Comune a
   visitare il cardinale Landolfo Maramaldo vescovo di Bari.
   XI.
   1405, 18 _gennaio_ — 2 _febbraio_.
   Viene a Firenze per esporre certe doglianze del re Ladislao in
   aggravio dei Fiorentini.
   XII.
   1405, 3-14 _febbraio_.
   Sempre Potestà della Città di Castello va per commissioni private a
   Perugia e a Todi.
   XIII.
   1405, 22 _febbraio_ — 29 _marzo_.
   Dai Castellani è mandato allo stesso Cardinale, e poi da questo
   a Napoli e quindi a Firenze per notificare alla Signoria ciò che
   aveva fatto col Re.
   XIV.
   1405, 13-28 _settembre_.
   Per commissione della Signoria è mandato a Città di Castello e in
   altri luoghi per cagione della guerra che era tra’ Castellani e gli
   Ubaldini della Carda.
   XV.
   1406, 6 _luglio_ — 15 _agosto_.
   Nuova commissione ai suddetti per le stesse cagioni.
   XVI.
   1506, 24 _agosto_ — 9 _novembre_.
   Mandato a Innocenzio VII in Roma e al re Ladislao in Napoli per
   indurli a non dare aiuto a’ Pisani.
   XVII.
   1406, 26 _novembre_ — 23 _dicembre_.
   Mandato a stipulare un accordo generale tra i Castellani co’ loro
   amici e gli Ubaldini.
   XVIII.
   1407, 4-19 _gennaio_.
   A Perugia per la stessa pace.
   XIX.
   1407, 20 _febbraio_ — 20 _marzo_.
   A Perugia per le cose stesse.
   XX.
   1407, 17-28 _settembre_.
   Al Monte di Santa Maria per mettere accordo tra que’ Marchesi.
   XXI.
   1408, 27 _giugno_ — 1 _luglio_.
   A Lucca per accompagnare Gregorio XII verso Siena a fare accordo
   con Paolo Guinigi.
   XXII.
   1408, 2-20 _luglio_.
   Torna a Lucca per seguitare la detta commissione.
   XXIII.
   1408, 18-31 _ottobre_.
   Essendo de’ Dieci al governo di Pisa è mandato per comporre certa
   differenza tra il Capitano di Livorno e quello del Porto Pisano.
   XXIV.
   1409, 19-22 _gennaio_.
   A Niccola castello di Lunigiana e a Sarzana per questione di
   confini col Governatore di Genova.
   XXV.
   1409, 24 _aprile_ — 3 _maggio_.
   Ambasciatore ai Cardinali radunati in Pisa per il Concilio.
   XXVI.
   1410, 21-22 _settembre_.
   Essendo Potestà di Prato è mandato a Firenze da quel Comune per una
   questione di gravezze.
   XXVII.
   1410, 10-17 _novembre_.
   A Siena mandato dalla Signoria di Firenze per un trattato di pace
   col re Ladislao.
   XXVIII.
   1410, 21-26 _dicembre_.
   Di nuovo a Siena per la conchiusione di detta pace.
   XXIX.
   1412, 23 _maggio_ — 16 _giugno_.
   Mandato dai Sei della Mercanzia a Ferrara e a Venezia per certe
   gravezze imposte in questa città sui forestieri.
   XXX.
   1413, 1-11 _gennaio_.
   Mandato di commissione privata a Rimini a cercare accordo tra
   Giovanni XXIII e Gregorio XII.
   XXXI.
   1414, 6-18 _maggio_.
   A Siena per incontrarsi con ambasciatori del re Ladislao.
   XXXII.
   1414, 8 _ottobre_ — 23 _dicembre_.
   A Napoli per trattare accordo tra Giovanni XXIII e la regina
   Giovanna II.
   XXXIII.
   1418, 29 _settembre_ — 7 _novembre_.
   Fa parte della grande ambasceria mandata al nuovo Papa Martino V
   che egli accompagna da Pavia a Milano fino a Mantova.
   XXXIV.
   1420, 9-12 settembre.
   Mandato con altri ad accompagnare papa Martino da Firenze sino ai
   confini di Siena.
   XXXV.
   1421, 25 _settembre_ — 1422, 2 _gennaio_.
   In Roma a papa Martino e quindi in Napoli alla regina Giovanna e
   poi ad Alfonso d’Aragona ch’era in campo contro a Luigi d’Angiò con
   varie commissioni e della Signoria di Firenze e del Papa.
   XXXVI.
   1423, 19 _marzo_ — 13 _aprile_.
   Al Legato di Bologna e quindi a Venezia dove insieme con gli
   ambasciatori del Duca di Savoia tratta l’accordo tra l’Imperatore e
   quella Signoria.
   XXXVII.
   1423, 22 _aprile_ — 6 _maggio_.
   Di nuovo al Legato di Bologna per alcune mosse del Duca di Milano.
   XXXVIII.
   1423, 7-23 _maggio_.
   Di nuovo a Bologna per trattare un accordo col Legato.
   XXXIX.
   1423, 7-17 _giugno_.
   Di nuovo a Bologna per le stesse cose.
   XL.
   1423, 31 _agosto_ — 1 _dicembre_.
   A Carlo re e Pandolfo Malatesti, il quale essendo Capitano dei
   Fiorentini, l’Albizzi rimane presso lui commissario nella guerra
   contro al Visconti.
   XLI.
   1424, 31 _gennaio_ — 26 _febbraio_.
   A Ferrara per la riconciliazione tra il Comune di Firenze e il Duca
   di Milano.
   XLII.
   1424, 2-22 _maggio_.
   A Venezia per mantenere quella Signoria nella Lega contro al
   Visconti.
   XLIII.
   1424, 30 _maggio_.
   Stando a Pratovecchio ha commissione di ricercare gli andamenti di
   un certo sbandito.
   XLIV.
   1424, 5 _giugno_.
   Dallo stesso luogo per cose private.
   XLV.
   1424, 19 _giugno_ — 28 _novembre_.
   Ambasciatore a Martino V perchè si dichiari contro al Duca di
   Milano.
   XLVI.
   Commissione di trattare essendo in Roma per la pace col Duca.
   XLVII.
   1425, 11 _luglio_ — 1426, 20 _gennaio_.
   Di nuovo a Roma per la detta guerra.
   XLVIII.
   1426, 1 _febbraio_ — 11 _giugno_.
   All’Imperatore in Vienna e quindi nell’Ungheria allo Spano per
   la pace tra detto Imperatore e la Repubblica di Venezia; poi a
   Venezia, a Ferrara e a Bologna per la pace col Visconti.
   XLIX.
   1427, 28 _ottobre_ — 1428, 13 _gennaio_.
   A Venezia di nuovo per conchiudere la detta pace.
   L.
   1429, 16-19 _giugno_.
   Va incontro al Principe di Salerno nipote di Martino V.
   LI, LII, LIII.
   1429.
   Qui è laguna nel manoscritto, supplito ampiamente nella edizione;
   Rinaldo, prima Vicario in Valdarno è uno dei Conservatori di Legge,
   va poi Commissario contro ai Volterrani ribellati.
   LIV.
   1429, 15 _dicembre_ — 1430, 21 _marzo_.
   Uno dei Commissari nella guerra contro Lucca (a questa Commissione
   va unito gran numero di sue lettere private).
   LV.
   1431, 2-3 _giugno_.
   È mandato dai Dieci a dare il bastone di Capitano generale a
   Micheletto degli Attendoli.
   LVI.
   1433, 8-21 _febbraio_.
   In Siena all’imperatore Sigismondo.
  Seguono in fine al III volume delle Commissioni quattordici Appendici
  concernenti tra molte altre cose una disputa di filosofia religiosa che
  Rinaldo sostenne da giovane, il grado e l’uffizio di Senatore di Roma
  che egli tenne i primi sei mesi del 1432, la portata dei suoi averi, i
  testi delle sentenze pronunziate contro Rinaldo degli Albizzi, il tempo
  della sua morte e cose risguardanti la sua famiglia ec.
  
  
  Nº VII.
  (Vedi pag. 250.)
  
  TRE LETTERE DELLA SIGNORIA DI FIRENZE A NERI CAPPONI, ORATORE A SIENA,
  PER IL CASO DI BROLIO. OTTOBRE 1434.
  (Dal Registro originale ad an. nel R. Archivio di Stato.)
   _Nerio Gini._
   Karissimo nostro. Noi siamo avisati da te della perfecta
   dispositione et optima volontà de la Signoria di Siena, et quanto
   cordialmente dispiace loro il caso di Brolio. Et quanto se offerano
   con ogni loro possa per correggier questo scandolo. Commendiamo
   la tua diligentia, et siamo più che certi de la perfecta volontà
   di cotesti magnifici Signori et karissimi fratelli nostri. Et
   perchè queste sono cose che al tutto bisogna che sieno corrette et
   gastigate, sì per honore di Comune, sì etiandio per dare exemplo
   agl’altri che non ardischino d’atentare simile materia, ci pare
   necessario di ragunare le forze et monstrare a messer Antonio
   l’error suo. Et pertanto sarai con cotesti magnifici Signori
   et ringrazierali de l’offerte per parte di questa Signoria, et
   richiederali che voglano concorrere insieme con noi colle forze
   loro, o almeno con parte d’esse forze, acciò ch’el caso di messer
   Antonio si corregga, o per forza, se lui vorrà pure perseverare
   nella sua audacia, o per altra via; perchè non dubitiamo che,
   vedendo messer Antonio le forze de’ Sanesi et nostre concorrere
   contra lui, piglerà partito di levarsi da tale temerità. Intorno
   a questa parte d’aver le forze di cotesta Signoria, metterai ogni
   diligenza; chè non dubitiamo sarà facile, vedute le proferte loro
   et la loro optima dispositione. Oltra di questo richiederai cotesti
   magnifici Signori che voglano in tutte l’altre cose apartenenti
   a correptione di questo facto procedere, et con restrignere i
   congiunti di messer Antonio et con fare gl’altri rimedii che
   si soglon fare contra i citadini inobedienti et concitatori di
   scandoli et di brighe. Noi da l’altra parte manderemo et genti
   d’armi et fanti a piè et provederemo a tutte le cose oportune per
   raquistare il Castel nostro, occupato sotto nostro salvocondotto
   sanza alcuna lealtà o fede; però ch’el nostro honore richiede che
   così facciamo, nè vediamo poter fare di meno. Dat. Florentie, die
   XII octobris 1434.
   _Nerio Gini._
   Karissimo nostro. Per l’altra lettera ti scriviamo quanto in verità
   richiede l’onor del Comune nostro, et così voglamo che tu mandi
   ad executione. Pur nientedimeno nel segreto, ci pare che, potendo
   acconciare la cosa per via di concordia sanza entrare in briga
   d’avere a metter campo et simili cose, sia miglior partito et molto
   più utile. Et pertanto, quello che ti scriviamo ne l’altra lettera,
   sia aperto et in dimostratione. Et s’elli s’adopera quella via,
   adoperisi ad effecto che l’amico discenda a voler lasciare i’ luogo
   di concordia. Et nientedimeno, per tutte l’altre vie che ti paiono
   verisimili et apte a partorir concordia, seguiterai, perchè nel
   vero è pur utile non avere a far pruova. Et se pure tu diliberi
   d’andare personalmente, guarda di giucar del sicuro.
   Hora, tu se’ molto intendente, adopera come tu credi che ben sia.
   Dat. Florentie, die XII octobris 1434.
   _Nerio Gini._
   Noi abbiamo questa mattina una tua lettera de’ dì XIII et hieri
   n’avemo una de’ dì XII a hore XVI, et abbiamo le copie de le
   lettere scripte a messer Antonio et de le sue risposte, et anchora
   la copia de la lettera scripta a te. Tutto raccolto comprendiamo
   che lui desideri sommamente l’acordo. Per la tua ultima ci chiedi
   risposta. Noi ti rispondemo a’ dì XII, et mandamoti le lettere
   per Victorio nostro cavallaro. Sì che noi teniamo che a dì XIII di
   buona hora, tu dovessi havere la risposta che tu cerchi da noi; et
   quanto allora ti scrivemo manderai ad executione. Quelle ti mandamo
   per Victorio furono due lettere. Ne la prima ti commettavamo che
   tu richiedessi la Signoria di Siena delle loro forze et genti per
   strignere messer A. a lasciar quello luogo o torglele per forza, et
   simile che tu richiedessi la Signoria di Siena a procedere contra
  
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