Storia della Repubblica di Firenze v. 2/3 - 40

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fatto Cardinale, et da lui lo riconosciate, comprobando questa
conditione con la vita vostra santa, esemplare et honesta; a che
siete tanto più obbligato per havere voi già dato qualche opinione
nella adolescentia vostra da poterne sperare tali frutti. Saria
cosa molto vituperosa et fuor del debito vostro et aspettatione
mia, quando, nel tempo che gli altri sogliono acquistare più
ragione et miglior forma di vita, voi dimenticaste il vostro buono
instituto. Bisogna adunque, che vi sforziate alleggerire il peso
della dignità, che portate, vivendo costumatamente, et perseverando
nelli studi convenienti alla professione vostra. L’anno passato io
presi grandissima consolatione, intendendo che, senza che alcuno
ve lo ricordasse, da voi medesimo vi confessaste più volte et
communicaste; nè credo, che ci sia miglior via a conservarsi nella
gratia di Dio, che lo abituarsi in simili modi et perseverarvi.
Questo mi pare il più utile e conveniente ricordo che per lo primo
vi posso dare. Conosco che, andando voi a Roma, che è sentina
di tutti i mali, entrate in maggior difficultà di fare quanto vi
dico di sopra, perchè non solamente gli esempi muovono, ma non vi
mancheranno particolari incitatori et corruttori; perchè, come voi
potete intendere, la promotione vostra al Cardinalato, per l’età
vostra et per le altre conditioni sopraddette, arreca seco grande
invidia, et quelli che non hanno potuto impedire la perfetione
di questa vostra dignità, s’ingegneranno sottilmente diminuirla,
con denigrare l’opinione della vita vostra, et farvi sdrucciolare
in quella stessa fossa, dove essi sono caduti, confidandosi molto
debba lor riuscire per l’età vostra. Voi dovete tanto più opporvi
a queste difficultà quanto nel Collegio hora si vede manco virtù.
Et io mi ricordo pure havere veduto in quel Collegio buon numero
d’huomini dotti et buoni, e di santa vita. Però è meglio seguire
questi esempi, perchè facendolo, sarete tanto più conosciuto
et stimato, quanto l’altrui conditioni vi distingueranno dagli
altri. È necessario che fuggiate come Scilla et Cariddi, il nome
della hipocrisia et come la mala fama; et che usiate mediocrità,
sforzandovi in fatto fuggire tutte le cose che offendono, in
dimostratione et in conversatione non mostrando austerità o troppa
severità; che sono cose, le quali col tempo intenderete et farete
meglio, a mia opinione, che non le posso esprimere. Voi intenderete
di quanta importanza et esempio sia la persona d’un Cardinale,
et che tutto il mondo starebbe bene se i Cardinali fussino come
dovrebbono essere, perciocchè farebbono sempre un buon Papa, onde
nasce quasi il riposo di tutti i Cristiani. Sforzatevi dunque
d’essere tale voi, che quando gli altri fussin così fatti, se ne
potesse aspettare questo bene universale. Et perchè non è maggior
fatica che conversar bene con diversi huomini, in questa parte vi
posso mal dar ricordo, se non che v’ingegnate, che la conversatione
vostra con gli Cardinali et altri huomini di conditione sia
caritativa et senza offensione; dico misurando ragionevolmente,
et non secondo l’altrui passione, perchè molti volendo quello che
non si dee, fanno della ragione ingiuria. Giustificate adunque
la conscientia vostra in questo, che la conversatione vostra con
ciascuno sia senza offensione. Questa mi pare la regola generale
molto a proposito vostro, perchè quando la passione pur fa qualche
inimico, come si partono questi tali senza ragione dall’amicitia,
così qualche volta tornano facilmente. Credo per questa prima
andata vostra a Roma sia bene adoperare più gli orecchi che
la lingua. Hoggimai io vi ho dato del tutto a Messer Domenedio
et a Santa Chiesa; onde è necessario, che diventiate un buono
Ecclesiastico, et facciate ben capace ciascuno, che amate l’onore
et stato di Santa Chiesa et della Sede Apostolica, innanzi a tutte
le cose del mondo, posponendo a questo ogni altro rispetto. Nè vi
mancherà modo con questo riservo d’aiutare la città et la casa;
perchè per questa città fa l’unione della Chiesa, et voi dovete in
ciò essere buona catena; et la casa ne va colla città. Et benchè
non si possono vedere gli accidenti che verranno, così in general
credo, che non ci habbiano a mancare modi di salvare, come si dice,
la capra e i cavoli, tenendo fermo il vostro primo presupposto, che
anteponiate la Chiesa ad ogni altra cosa. Voi siete il più giovane
Cardinale non solo del Collegio, ma che fusse mai fatto infino a
qui; et però è necessario che, dove havete a concorrere con gli
altri, siate il più sollecito, il più humile, senza farvi aspettare
o in Cappella o in Concistoro o in Deputazione. Voi conoscerete
presto gli più e gli meno accostumati. Con gli meno si vuol fuggire
la conversatione molto intrinseca, non solamente per lo fatto in
sè, ma per l’opinione; a largo, conversare con ciascheduno. Nelle
pompe vostre loderò più presto stare di qua dal moderato che di là;
et più presto vorrei bella stalla et famiglia ordinata et polita
che ricca et pomposa. Ingegnatevi di vivere accostumatamente,
riducendo a poco a poco le cose al termine, che per essere hora
la famiglia et il padron nuovo, non si può. Gioie e seta in poche
cose stanno bene a’ pari vostri. Più presto qualche gentilezza di
cose antiche et belli libri, et più presto famiglia accostumata et
dotta che grande. Convitar più spesso che andare a conviti, nè però
superfluamente. Usate per la persona vostra cibi grossi, et fate
assai esercitio; perchè in cotesti panni si viene presto in qualche
infermità, chi non ci ha cura. Lo stato del Cardinale è non manco
sicuro che grande; onde nasce che gli huomini si fanno negligenti,
parendo loro haver conseguito assai, et poterlo mantenere con
poca fatica, et questo nuoce spesso et alla conditione et alla
vita, alla quale è necessario che abbiate grande avvertenza;
et più presto pendiate nel fidarvi poco che troppo. Una regola
sopra l’altre vi conforto ad usare con tutta la sollecitudine
vostra, et questa è di levarvi ogni mattina di buona hora, perchè
oltra al conferir molto alla sanità, si pensa et espedisce tutte
le faccende del giorno; et al grado che havete, havendo a dir
l’ufficio, studiare, dare audientia etc. ve ’l trovarete molto
utile. Un’altra cosa ancora è sommamente necessaria a un pari
vostro, cioè pensare sempre et massime in questi principii, la
sera dinanzi, tutto quello che havete da fare il giorno seguente,
acciocchè non vi venga cosa alcuna immeditata. Quanto al parlar
vostro in Concistorio, credo sarà più costumatezza et più laudabil
modo in tutte le occorrenze che vi si proporranno, riferirsi alla
Santità di Nostro Signore; causando, che per essere voi giovane et
di poca esperientia sia più ufficio vostro rimettervi alla S. S. et
al sapientissimo giuditio di quella. Ragionevolmente, voi sarete
richiesto di parlare et intercedere appresso a Nostro Signore per
molte specialità. Ingegnatevi in questi principii di richiederlo
manco potete et dargliene poca molestia; che di sua natura il
Papa è più grato a chi manco gli spezza gli orecchi. Questa parte
mi pare da osservare per non lo infastidire; et così l’andargli
innanzi con cose piacevoli, o pur, quando accadesse, richiederlo
con humiltà et modestia, doverà sodisfargli più et esser più
secondo la natura sua. State sano. Di Firenze.

FINE DEL TOMO SECONDO.


NOTE:

[1] _Ricordi_ di FILIPPO RINUCCINI. — MARCH. STEFANI, agli anni 1377-78.
[2] Leggiadramente il Machiavelli: «chi non ha lo Stato in questa
terra, de’ nostri pari non trova cane che gli abbaj; e non siamo
buoni ad altro che andare a’ mortori o alle ragunate d’un mogliazzo,
o a starci tutto dì in sulla panca del Proconsolo a donzellarci.»
(_Mandragola_, atto II, scena 3.)
[3] «Sempre parve da gran tempo che chi ha fare le parti guarda a farla
a sè buona.» (MARCH. STEFANI, lib. XII, rub. 931.) — Vedi _Cronaca_
del MORELLI, pag. 272, i Consigli per non pagare le gravezze celando il
proprio valsente, con artifizi che si descrivono; aggiugnendo infine:
«non le pagare, rubèllati dal Comune ec.»
[4] MATTEO VILLANI, lib. V, cap. 74.
[5] Vedi in più luoghi circa alle gravezze che s’imponevano sotto
vari nomi, lo stesso Matteo; e PAGNINI, _Sulla Decima_, tomo I.
— CANESTRINI, _Scienza di Stato de’ Fiorentini_, 1ª Parte, _Sulle
Imposte_.
[6] PAGNINI, _Sulla Decima_, tomo I, pag. 16.
[7] MATTEO VILLANI, lib. III, 106; lib. VIII, 71; lib. IX, 3; e MARCH.
STEFANI, lib. XI, rubr. 883.
[8] Provvisione del 27 aprile 1369. — Petizione del 15 gennaio 1370
stile fior. — e Provvisione del 23 dicembre 1371.
[9] Quando a frenare le usure più ingorde vennero in Firenze chiamati
gli Ebrei, ebbero proibizione d’imprestare a frutto più alto. Nell’anno
1420 uscì divieto di fare contratti a usura col pegno a più di 5 danari
al mese, ch’è il 25 per cento all’anno; più tardi si trovano imprestiti
fino al 30 per cento. (PAGNINI, _Sulla Decima_, tomo II, pag. 139.)
[10] Un altro Monte fecero per la guerra di San Miniato, dove il
capitale era solamente raddoppiato, così venendo a fruttare il dieci;
si chiamò il Monte dell’uno due. (MARCH. STEFANI, lib. XI, rubr. 883.)
[11] «Ancora si fece legge; conciossiacosachè molti incantavano del
Monte, e diceano: lo Monte vale 30 per centinaio questo dì; io voglio
fare teco una cosa, io voglio poterti dare oggi a un anno, ovvero tu
dare a me, quanto a 31 per cento; che vuoi ti doni e fa’ questo? e
cadeano in patto; poi stava in sè. Se rinvigliavano, li comperava, e
se rincaravano li vendeva, e ne promutava qua e là il patto 20 volte
l’anno. Di che vi si puose su gabella fiorini 2 per cento a ogni
promutatore.» (MARCH. STEFANI, lib. IX, rubr. 727.)
[12] CAVALCANTI, _Storie_, tomo I, pag. 416; tomo II, pag. 463.
[13] «Veramente credo che comunemente già fa cinquanta anni, dal
Mugello si sarebbe tratto diecimila uomini d’arme; ma i’ credo sicuro
sieno diminuiti, come negli altri paesi tutti, e sì per la mortalità
e sì per le guerre e gravezze, per le quali è suto forza a una gran
gente il partirsi per non avere a stentare in prigione.» (_Cronaca_ del
MORELLI, pag. 223.)
[14] MATTEO VILLANI, lib. III, cap. 36. — Intorno al vivere del popolo
di Firenze in quelli stessi anni qualcosa può trarsi da un capitolo
dove l’autore dei _Centiloquio_, Antonio Pucci, descrisse non senza
vivezza le genti che praticavano in Mercato Vecchio, e le cose che ivi
si vendevano. (_Deliz. Erud_., tomo VI, pag. 267.)
[15] Vedi 1º vol., lib. III, cap. V; e _Statuto Fiorentino_, tomo II,
pag. 195.
[16] Vedi 1º vol., lib. III, cap. IV e V.
[17] Quando una parte degli Albizzi, mutato casato, si chiamò degli
Alessandri, tolsero entrambi le armi dall’arte ch’esercitavano, della
Lana: gli Albizzi presero le Matasse, e gli Alessandri la Pecora.
[18] _Tumulto de’ Ciompi_, di G. CAPPONI.
[19] Ciò dallo STEFANI; ma una Provvisione dei 23 giugno, letta dal
giovine Ammirato (lib. XIV, pag. 721), mentre ordina che i rubatori
restituissero il tolto, fa eccezione per coloro che aveano rubato a
Lapo da Castiglionchio; tanto era in odio cotesto uomo.
[20] «E in quel medesimo dì uno che aveva nome Cecco d’Iacopo da
Poggibonsi, coll’insegna dell’arme di libertà, la quale gli fu data
per alcun nostro cittadino dell’ufficio degli Otto di guerra (del quale
il nome per al presente mi taccio) fece di grandissimi danni e ruberie
ec.» (GINO CAPPONI, _Tumulto de’ Ciompi_, pag. 222.)
[21] Questo afferma G. Capponi, che tra i narratori del Tumulto più
aderisce agli Ottimati.
[22] G. CAPPONI, _Tumulto de’ Ciompi_. — Una lettera sopra il Tumulto,
che sarebbe d’un testimone di veduta (_Deliz. Erud_., tomo XVII,
pag. 170), contiene tra le altre Petizioni queste: «Che nell’offizio
de’ Signori sia due de’ Minutissimi, due degli Artefici minuti, e il
rimanente come tocca alle sette Arti maggiori e alli Scioperati: che
all’offizio de’ dodici Buonuomini v’abbia tre di questi Minuti fuori
d’Arti; e che dell’offizio de’ Gonfalonieri delle Compagnie, v’abbi
quattro, e che di loro si debba fare squittinio di per sè: che il
Gonfaloniere di Giustizia sia comune, a ciò possa toccare anco a loro.
Che nessuno possa avere più d’un offizio per volta, salvo possa esser
consolo. Che gli Uffiziali dell’Abbondanza della carne si levino e non
si faccin più. Che nessuno possa esser preso per debito per di qui a
due anni. Che quaranta di questi Minutissimi abbino la preminenza che
ebbero gli ottanta del primo rumore. Che al Consiglio del Comune si
arroga dieci de’ Minutissimi: che chi non ha offizio di Comune, non
possa aver di quelli della Parte Guelfa: che Spinello della Camera, e
sere Stefano e ser Matteo abbino la prestanza ch’ebbono gli ottanta:
che il Gonfalone della Parte Guelfa stia in casa i Priori e mai si dia
a’ Capitani per nessuna cagione: che niuno de’ Grandi possa essere
del Consiglio del Comune, e in luogo loro sono i dieci qua addietro
scritti per Arroti cioè de’ Minuti.» Giusto fu il popolo nel remunerare
Spinello che aveva tenuto più anni i danari del Comune con lealtà e
fede, e denunziò e ripose nella Camera tre mila ducati che aveagli
donati l’Aguto quando prese la condotta; e morì povero, che non si potè
fargli il mortorio come meritava, e fu dipinto per fama nella Camera
del Comune. (MORELLI, _Cronaca_, pag. 288.)
[23] Una Provvisione dei 21 luglio (Archivio di Stato) contiene quei
punti che risguardano alla Parte guelfa ed allo Smunire; e inoltre che
sia vietato ai Capitani di parte guelfa l’inviare arroti o aggiunti
ai Consigli sia del Popolo sia del Comune, e che dieci popolani per
Quartiere siano aggiunti di nuovo al Consiglio del Comune; che al
Magistrato della Parte venga tolto il Gonfalone regale fatto fare da
Lapo da Castiglionchio, siccome vedemmo. Inoltre contiene: che Spinello
di Luca Alberti, ser Stefano Becchi e ser Benedetto Landi sieno
consorti e confederati di Salvestro de’ Medici e degli altri Priori che
furono seco in officio a tutto giugno. — Vedi per questa e per altre
due Provvisioni di quel tempo l’_Appendice_ Nº I, in fine di questo
volume.
[24] «Il quale Michele era per addietro pettinatore di lana, come
che allora fosse sopra i pettinatori e scardassieri d’Alessandro di
Niccolò a salario, e la madre e la moglie faceano bottega di cavoli
e d’erbe e dentro stoviglie di terra.» (MARCH. STEFANI, lib. X, rubr.
796.) — Questo Alessandro era degli Albizzi e fu quello il quale avendo
sciamato, fondò la casa degli Alessandri. Abbiamo dal solo Leonardo
d’Arezzo, che da giovinetto avea Michele esercitato in Lombardia il
mestiere delle armi.
[25] «Gli Otto della Guerra si tennono grandemente gabbati perchè
pareva loro essere certi d’avere a riformare la città eglino; ma la
speranza e il pensiero fallì loro, perchè il Popolo minuto vollono
essere signori loro: e fu molto giusto, che chi per propria ambizione
consente le alterazioni nella città, meriterebbe altro.» Qui Gino
Capponi pone termine al Commentario: noi continueremo.
[26] MARCH. STEFANI, lib. IX, rubr. 748 e 55.
[27] Nella Provvisione sopraccitata dei 23 giugno venne ordinata detta
consorteria, con obbligo d’assistersi come se fossero d’una medesima
casa o famiglia, la quale consorteria non vollero che desse fra di loro
divieto agli ufizi.
[28] Scrive il MONALDI, che ai trentuno «furono dati i confini dove
chiesero andare i confinati;» era discretezza a petto a quello che poi
si fece.
[29] _Tumulti del 1378_. In _Archivio Storico Italiano_, tomo XVII, 3ª
Dispensa, 1873.
[30] MARCH. STEFANI, lib. X, rubr. 800. — BONINSEGNI, _Storie_, lib.
IV, pag. 625.
[31] _Marchionne Stefani_, lib. X, rubr. 801. — Frammenti di
Cronichetta (_Giorn. Stor. degli Arch. Toscani_, tomo I, pag. 61, 78).
— AMMIRATO, lib. XIV, pag. 737, e nella Provvisione degli 11 settembre:
«illi de illa tertia Arte populi minuti sive Populi Dei, qui sunt a
dicto scruptinio prohibiti et exclusi.»
[32] Il MONALDI nel _Diario_ esprime pur egli la paura che si aveva
in Firenze di quei Ciompi: «Se i minuti avessero vinto, ogni buon
cittadino che avesse, sarebbe stato cacciato di casa sua ed entratovi
lo scardassiere, togliendovi ciò che avesse; in Firenze ed in contado
morto e diserto era ciascuno che nulla avesse.» Accenna pure alla
importanza che avea pel popolo ottenere l’estimo.
[33] MARCHIONNE STEFANI, luogo sopra citato.
[34] Ciò appare dal Boninsegni, il quale scrive che Michele ed un
Ghiotto da Secciano che si era portato francamente contro ai Ciompi,
furono dichiarati abili ad avere ufficio o beneficio del Comune.
[35] Provvisioni degli 11 e 28 settembre (_Appendice_, Nº I).
[36] Giurarono «essere fedeli e devoti e amatori del Comune e popolo
fiorentino e della sua libertà e della cattolica e cristianissima Parte
Guelfa, e che avrebbero difeso a tutto potere il governo popolare per
conservarlo in istato pacifico e libero.» (AMMIRATO, pag. 737.)
[37] MARCHIONNE STEFANI, lib. X; _Deliz. Erud_., tomo XV. — Ser NADDO
DA MONTECATINI; _Deliz. Erud._, tomo XVIII. — BONINSEGNI, _Stor.
Fior._, lib. IV. — MACHIAVELLI, _Stor. Fior_., lib. III.
[38] Il signor Palermo pubblicava insieme alle _Laudi_ l’_Apologia
di Giannozzo_: a lui lo Stefani certamente è così acerbo da non
gli credere; il Boninsegni, senz’altro aggiugnere, tiene per vera
l’imputazione.
[39] MARCHIONNE STEFANI. — SER NADDO. — BONINSEGNI.
[40] Da un luogo malconcio della _Cronaca_ di MARCHIONNE STEFANI (lib.
XI, rubr. 857) apparisce come i Cherici avessero iscritta sul Monte
una rendita di fiorini diciotto mila all’anno a titolo d’_interesse_ o
_provvisione_.
[41] Il Comune così guadagnava circa sessanta mila fiorini l’anno di
interesse: ma fu grande cosa, perchè forse cinque mila persone aveano
danari sul Monte, uomini e femmine: e molti aveano venduti i loro
poderi o case, e chi disfatto bottega per l’ingordigia dell’interesse
che il Monte pagava. Era vietato per legge mettere a partito o in
guisa alcuna promuovere mutazione agli Statuti del Monte, e ciò fino
dall’istituzione sua: ma aveano trovato modo a sospendere la legge
(STEFANI, lib. XI, rubr. 863), dalla quale erano eccettuati uomini e
donne di case principesche; Durazzo, Della Scala, Visconti ed altri, i
quali aveano danari nel Monte.
[42] MARCHIONNE STEFANI, lib. XI, rubr. 877.
[43] Era legge che fosse tagliata la mano _a chi ferisse, e non pagasse
fra dieci dì, di certe ferite_. Al tempo dei Ciompi fu abolita quella
legge. (STEFANI, lib. XI. rubr. 864.)
[44] Leonardo d’Arezzo scrive che Benedetto Alberti era in armi sulla
piazza quando Giorgio fu decapitato. Il Machiavelli vi aggiunge del
suo un’arringa che lo Scali prima di morire avrebbe fatta a Benedetto;
io poco m’affido all’autorità dell’Aretino che manda a morte Tommaso
Strozzi insieme e a lato di Giorgio Scali. — Vedi anche Ser NADDO DA
MONTECATINI (_Deliz. Erud_., tomo XVIII); e _Cronichetta_ di un anonimo
fiorentino pubblicata dal signor Gherardi (tomo VI dei _Documenti di
Storia Italiana_).
[45] Provvisioni dei 21, 22, 23 gennaio 1382 (stil. fior. 1381).
Archivio di Stato. — Vedi _Appendice_ Nº II.
[46] Ser NADDO DA MONTECATINI scrive che Salvestro andò a Lucca a
confine.
[47] Maddalena figlia di questo Carlo si era maritata (_Diario_ del
MONALDI) l’anno innanzi a Luchino Visconti, che ora viveva in Firenze
spossessato come dubbio figlio di quell’altro Luchino Visconti che
fu signore di Milano. È singolare che tali nozze in mezzo al governo
plebeo fossero celebrate, come si trova, con palii e giostre mentre che
il padre era a confine.
[48] BONINSEGNI e Ser NADDO.
[49] Rimane tuttora a un luogo dei Camaldoli di San Lorenzo il nome di
Cella di Ciardo.
[50] _Storie Fiorentine_ di GIOVANNI CAVALCANTI, tomo II, pag. 487.
[51] MARCHIONNE STEFANI, lib. XI, rubr. 921-23. — Ser NADDO.
[52] _Capitoli del Comune_ ec., regesto pubblicato dal signor CESARE
GUASTI. Firenze, 1866; tomo I, pag. 371-449.
[53] LIONARDO ARETINO, _Stor_., lib. IX. — MARCHIONNE STEFANI, lib.
XII. — BONINSEGNI, lib. IV. — AMMIRATO, lib. XV. — L’Archivio Centrale
di Stato (Lib. XIV dei Capitoli) ha documenti i quali risguardano a
questa vertenza; e vedi una deliberazione della Signoria, _Archivio
Storico Italiano_ (tomo XIII, pag. 119).
[54] MARCHIONNE STEFANI, lib. XI, rubr. 777.
[55] Abbiamo il decreto di questa Balìa tra’ documenti pubblicati
dal signor Passerini nella sua pregevole _Istoria della famiglia
degli Alberti_. Il bando non era da principio che per due anni, e fu
pronunziato dietro una petizione degli stessi Benedetto e Cipriano, i
quali dicevano volersi per loro faccende assentare: singolare ipocrisia
della sentenza la quale voleva dai condannati essere invocata.
[56] «Molti, gioventù che non passava l’adolescenza, si trovarono negli
uffici per procuro de’ padri loro che erano nel reggimento; e occorse
che facendosi lo squittinio in que’ tempi, si trovò che dei quattro tre
non passavano i venti anni, e pur tali furono portati allo squittinio
che giacevano nelle fasce.» (FILIPPO VILLANI, lib. XI, cap. 65.)
[57] BONINSEGNI, lib. IV. — MINERBETTI, cap. IV e seg., dell’an. 1387.
[58] SISMONDI, _Hist. des Repub. Ital._, chap. LIII.
[59] BONINSEGNI, _Stor. Fior._, lib. IV, pag. 685.
[60] Il Conte di Virtù avea di rendita ferma delle sue terre un milione
e 200 migliaia di fiorini, senza l’imposte che faceva, ed in tempo di
pace avanzava assai danari. (GORO DATI,_ Storia di Firenze_, pag. LI.)
[61] LIONARDO ARETINO, lib. IX.
[62] Così appellato, secondo narra Giovanni di Iacopo Morelli nei
_Ricordi_ (_Deliz. Erud._, tomo XIX, 2) per aver egli, sebbene fosse
grande ghibellino, combattuto corpo a corpo con un tedesco ed uccisolo.
[63] «Poi fece percuotere le mura con molte grosse bombarde, le quali
mura perocchè erano non molto grosse, non poterono sostenere i colpi
delle pietre, perocchè erano di più di trecento libbre l’una; anzi
forarono in molte parti le mura, e in alcune parti le feciono cadere.»
(MINERBETTI, _Cronaca_, cap. XXII, an. 1390.)
[64] MALAVOLTI, _Storia di Siena_, lib. IX, parte 2ª.
[65] LIONARDO ARETINO, lib. IX.
[66] LIONARDO ARETINO, lib. X.
[67] SISMONDI, _Histoire des Français_. Cinquième partie, chap. XX.
[68] «Chevauchons liement (lietamente) sur ces Lombards; nous avons
bonne querelle et juste et bon capitaine, si en vaudra notre guerre
grandement mieux et en sera plus belle. Et aussi nous allons au
meilleur pays du monde, car Lombardie reçoit de tous côtés toute
largesse de ce monde. Si sont Lombards de leur nature riches et
couards; nous y ferons notre profit. Chacun de nous qui sommes
capitaines retournerons si riches, que nous n’aurons que faire jamais
de guerroyer.» (_Chroniques_ de T. FROISSART, lib. IV, chap. 20.)
[69] FROISSART, loc. cit. — LIONARDO ARETINO, lib. X.
[70] Noi qui seguitiamo Lionardo Aretino, grave istorico di questa
guerra, la cui narrazione parve a noi che procedesse chiara e netta. Il
Boninsegni ed il Minerbetti pongono l’impedimento delle acque sul fiume
dell’Oglio e prima della rotta dell’Armagnac. Il Poggio s’attiene al
racconto di Lionardo. (_Storia_, lib. III.)
[71] LIONARDO ARETINO, lib. X. — Ser NADDO DA MONTECATINI. (_Deliz.
Erud_., tomo XVIII, pag. 125 e seg.)
[72] MINERBETTI, cap. XII, an. 1392. — BONINSEGNI, _Storie_, lib. IV.
[73] Provvisione del 19, 20 e 21 ottobre 1393. (Archivio di Stato.) —
Vedi _Appendice_, Nº III.
[74] MORELLI, _Cronica_, pag. 293.
[75] LIONARDO ARETINO scrive la cagione delle novità, e dell’esilio
degli Alberti, fosse non tanto mancamento alcuno commesso di nuovo,
quanto l’antica contesa delle parti ec.; e Ser NADDO: «Seguì detto
rumore non per mancamento di nessuno degli Alberti, ma per opera
di messer Maso degli Albizi Gonfaloniere, e per l’antica nimicizia
che avea con gli Alberti, cominciata quando messer Benedetto, capo
di quella famiglia, stette armato in piazza, mentre che Piero degli
Albizzi e gli altri notabili cittadini furono indegnamente morti.»
(_Deliz. Erud._, tomo XVIII, pag. 140.) — Vedi poi le lunghe calamità
degli Alberti nella Istoria sopraccitata di quella famiglia.
[76] Scrive il MORELLI (loc. cit.) «che da principio doveano essere
sei mila, e che gli chiamarono giornee: _fessene assai, ma non andarono
innanzi_;» e veramente erano troppi, da non fidarsene.
[77] Provvisione surriferita. — Ser Naddo da Montecatini appella l’Arte
della Lana «_cagione d’ogni bene_, che si facesse in quelli anni nella
Repubblica.»
[78] MINERBETTI, _Cronaca_, cap. XXII, an. 1393.
[79] _Ricordi_ di FILIPPO RINUCCINI.
[80] MINERBETTI, an. 1396, cap. XIV. — P. BONINSEGNI, an. 1396.
— LIONARDO ARETINO, lib. XI. — MORELLI, _Cronaca_. — Ser NADDO DA
MONTECATINI (_Deliz. Erud_., tomo XVIII, pag. 153). — _Lettera Di
Donato Acciaioli alla Signoria_; Firenze, 1857; con le Opere del
Sacchetti.
[81] MINERBETTI, an. 1397, 1400. — MACHIAVELLI, _Stor. Fior._, in fine
del lib. III. — MORELLI, _Cronaca_, loc. cit., ed alla pag. 324 e seg.,
dove narra come la Balía degli Ottantuno, fatta nel 1393, continuasse
fino al 1404, e nelle borse fussero larghi a mettere nomi di _persone
da bene, e antiche a Firenze e specialmente delle Famiglie_, i quali
doveano avere trent’anni. Si vede pure come del tôrre quella Balía
fosse _il popolo molto lieto, ma gli uomini da guerra molto dolenti_,
perchè mutando anche l’imposta delle prestanze, credeano le paghe
fossero peggio assicurate. — Vedi anche MORELLI, _Ricordi_ (_Deliz.
Erud_., tomo XIX, pag. 10).
[82] Nella più sopra lodata _Storia della Famiglia degli Alberti_ è
ampia mèsse di documenti relativi alla persecuzione e quindi al ritorno
di quella Famiglia: sono da vedere le condanne fatte con le Balíe degli
anni 1401 e 1412; di poi cominciano le mitigazioni.
[83] L’effigie di Giovanni Aguto fu dipinta a buon fresco da Paolo
Uccello nel Duomo: un trent’anni fa venne portata sulla tela, e si vede
internamente sopra una delle minori porte della facciata.
[84] «I Fiorentini che sanno tutti i pertugi d’entrare e d’uscire che
sono al mondo, a un’otta spiavano ogni dì ciò che faceva il Duca e si
provvedevano a’ rimedi loro.» (GORO DATI, _Storia_, pag. 56, 57.) —
«Sapeano a Firenze appunto quello che il Duca aveva d’entrata da potere
spendere, e sapevasi tutta la spesa che egli portava tra in soldati
e donare a’ Signori, e in ambasciate e in provvigioni e doni che dava
per tener le terre a sua divozione; e sapevasi che a questa spesa gli
mancava tanto d’entrata, massimamente perchè in tempo di guerra non
gli rispondeva la metà, che a lui era forza gravare i suoi popoli di
gravissime imposte.» (Idem, pag. 66.) — «Egli colla sfrenata volontà
s’avea arrecato addosso peso e soma impossibile a poterla lungamente
portare e sostenere, e era veduto e conosciuto per li Fiorentini che
v’avea a scoppiare sotto.» (Idem, pag. 67.) — «E quasi aveano molti
fatta la ragione colla penna in mano, e diceano come di cosa certa:
tanto può durare.» (Ivi.)
[85] È in mano nostra l’originale del Copialettere della Repubblica
Fiorentina per tutto quell’anno 1396. Quivi, tra molte lettere, sono
le istruzioni per non meno di sessanta ambascerie fuori Stato, mandate
in quell’anno a’ vari Signori, alle città collegate, a’ Capitani delle
Compagnie: notabili quelle del 5 aprile agli ambasciatori Palmieri,
Altoviti e Onofrio Arnolfi, mandati al Papa e al re Ladislao; quelle
a Grazia dei Castellani e Andrea Buondelmonti i quali andarono a
Sigismondo in Ungheria, e quelle a Francesco Rucellai ed a Lorenzo
Ridolfi anch’essi mandati a Roma e a Gaeta il 4 giugno, e la lettera al
Comune di Roma, 8 gennaio 1397. — Aveva la Repubblica inviato anche in
Avignone un ambasciatore, il quale per mezzo del Cardinale di Firenze
Piero Corsini procurasse aiuti di Francia; e quello stesso ambasciatore
doveva andare pure in Guascogna a Bernardo conte d’Armagnac,
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