I promessi sposi. - 40

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la sua casa sarebbe aperta a chiunque ci si volesse rifugiare, e pensò
subito a mettere, non solo questa, ma anche la valle, in istato di
difesa, se mai lanzichenecchi o cappelletti volessero provarsi di
venirci a far delle loro. Radunò i servitori che gli eran rimasti,
pochi e valenti, come i versi di Torti; fece loro una parlata sulla
buona occasione che Dio dava a loro e a lui, d'impiegarsi una volta in
aiuto del prossimo, che avevan tanto oppresso e spaventato; e, con quel
tono naturale di comando, ch'esprimeva la certezza dell'ubbidienza,
annunzio loro in generale ciò che intendeva che facessero, e
soprattutto prescrisse come dovessero contenersi, perchè la gente che
veniva a ricoverarsi lassù, non vedesse in loro che amici e difensori.
Fece poi portar giù da una stanza a tetto l'armi da fuoco, da taglio,
in asta, che da un pezzo stavan lì ammucchiate, e gliele distribuì;
fece dire a' suoi contadini e affittuari della valle, che chiunque si
sentiva, venisse con armi al castello; a chi non n'aveva, ne diede;
scelse alcuni, che fossero come ufiziali, e avessero altri sotto il
loro comando; assegnò i posti all'entrature e in altri luoghi della
valle, sulla salita, alle porte del castello; stabilì l'ore e i modi
di dar la muta, come in un campo, o come già s'era costumato in quel
castello medesimo, ne' tempi della sua vita disperata.
In un canto di quella stanza a tetto, c'erano in disparte l'armi che
lui solo aveva portate; quella sua famosa carabina, moschetti, spade,
spadoni, pistole, coltellacci, pugnali, per terra, o appoggiati al
muro. Nessuno de' servitori le toccò; ma concertarono di domandare al
padrone quali voleva che gli fossero portate. «Nessuna,» rispose; e,
fosse voto, fosse proposito, restò sempre disarmato, alla testa di
quella specie di guarnigione.
Nello stesso tempo, aveva messo in moto altr'uomini e donne di
servizio, o suoi dipendenti, a preparar nel castello alloggio a quante
più persone fosse possibile, a rizzar letti, a disporre sacconi e
strapunti nelle stanze, nelle sale, che diventavan dormitôri. E aveva
dato ordine di far venire provvisioni abbondanti, per ispesare gli
ospiti che Dio gli manderebbe, e i quali infatti andavan crescendo di
giorno in giorno. Lui intanto non istava mai fermo; dentro e fuori del
castello, su e giù per la salita, in giro per la valle, a stabilire,
a rinforzare, a visitar posti, a vedere, a farsi vedere, a mettere e
a tenere in regola, con le parole, con gli occhi, con la presenza.
In casa, per la strada, faceva accoglienza a quelli che arrivavano;
e tutti, o lo avessero già visto, o lo vedessero per la prima volta,
lo guardavano estatici, dimenticando un momento i guai e i timori che
gli avevano spinti lassù; e si voltavano ancora a guardarlo, quando,
staccatosi da loro, seguitava la sua strada.


CAPITOLO XXX.

Quantunque il concorso maggiore non fosse dalla parte per cui i
nostri tre fuggitivi s'avvicinavano alla valle, ma all'imboccatura
opposta, con tutto ciò, cominciarono a trovar compagni di viaggio e
di sventura, che da traverse e viottole erano sboccati o sboccavano
nella strada. In circostanze simili, tutti quelli che s'incontrano, è
come se si conoscessero. Ogni volta che il baroccio aveva raggiunto
qualche pedone, si barattavan domande e risposte. Chi era scappato,
come i nostri, senza aspettar l'arrivo de' soldati; chi aveva sentiti
i tamburi o le trombe; chi gli aveva visti coloro, e li dipingeva come
gli spaventati soglion dipingere.
«Siamo ancora fortunati,» dicevan le due donne: «ringraziamo il cielo.
Vada la roba; ma almeno siamo in salvo.»
Ma don Abbondio non trovava che ci fosse tanto da rallegrarsi; anzi
quel concorso, e più ancora il maggiore che sentiva esserci dall'altra
parte, cominciava a dargli ombra. «Oh che storia!» borbottava alle
donne, in un momento che non c'era nessuno d'intorno: «oh che storia!
Non capite, che radunarsi tanta gente in un luogo è lo stesso che
volerci tirare i soldati per forza? Tutti nascondono, tutti portan via;
nelle case non resta nulla; crederanno che lassù ci siano tesori. Ci
vengono sicuro. Oh povero me! dove mi sono imbarcato!»
«Oh! voglion far altro che venir lassù,» diceva Perpetua: «anche loro
devono andar per la loro strada. E poi, io ho sempre sentito dire che,
ne' pericoli, è meglio essere in molti.»
«In molti? in molti?» replicava don Abbondio: «povera donna! Non sapete
che ogni lanzichenecco ne mangia cento di costoro? E poi, se volessero
far delle pazzie, sarebbe un bel gusto, eh? di trovarsi in una
battaglia. Oh povero me! Era meno male andar su per i monti. Che abbian
tutti a voler cacciarsi in un luogo!... Seccatori!» borbottava poi, a
voce più bassa: «tutti qui: e via, e via, e via; l'uno dietro l'altro,
come pecore senza ragione.»
«A questo modo,» disse Agnese, «anche loro potrebbero dir lo stesso di
noi.»
«Chetatevi un po',» disse don Abbondio: «che già le chiacchiere non
servono a nulla. Quel ch'è fatto è fatto: ci siamo, bisogna starci.
Sarà quel che vorrà la Provvidenza: il cielo ce la mandi buona.»
Ma fu ben peggio, quando, all'entrata della valle, vide un buon posto
d'armati, parte sull'uscio d'una casa, e parte nelle stanze terrene:
pareva una caserma. Li guardò con la coda dell'occhio: non eran quelle
facce che gli era toccato a vedere nell'altra dolorosa sua gita, o se
ce n'era di quelle, erano ben cambiate; ma con tutto ciò, non si può
dire che noia gli desse quella vista.--Oh povero me!--pensava:--ecco
se le fanno le pazzie. Già non poteva essere altrimenti: me lo sarei
dovuto aspettare da un uomo di quella qualità. Ma cosa vuol fare? vuol
far la guerra? vuol fare il re, lui? Oh povero me! In circostanze che
si vorrebbe potersi nasconder sotto terra, e costui cerca ogni maniera
di farsi scorgere, di dar nell'occhio; par che li voglia invitare!--
«Vede ora, signor padrone,» gli disse Perpetua, «se c'è della brava
gente qui, che ci saprà difendere. Vengano ora i soldati: qui non sono
come que' nostri spauriti, che non son buoni che a menar le gambe.»
«Zitta!» rispose, con voce bassa ma iraconda, don Abbondio: «zitta!
che non sapete quel che vi dite. Pregate il cielo che abbian fretta i
soldati, o che non vengano a sapere le cose che si fanno qui, e che
si mette all'ordine questo luogo come una fortezza. Non sapete che i
soldati è il loro mestiere di prender le fortezze? Non cercan altro;
per loro, dare un assalto è come andare a nozze; perchè tutto quel che
trovano è per loro, e passano la gente a fil di spada. Oh povero me!
Basta, vedrò se ci sarà maniera di mettersi in salvo su per queste
balze. In una battaglia non mi ci colgono: oh! in una battaglia non mi
ci colgono.»
«Se ha poi paura anche d'esser difeso e aiutato....» ricominciava
Perpetua; ma don Abbondio l'interruppe aspramente, sempre però a
voce bassa: «zitta! E badate bene di non riportare questi discorsi.
Ricordatevi che qui bisogna far sempre viso ridente, e approvare tutto
quello che si vede.»
Alla Malanotte, trovarono un altro picchetto d'armati, ai quali don
Abbondio fece una scappellata, dicendo intanto tra sè:--ohimè, ohimè:
son proprio venuto in un accampamento!--Qui il baroccio si fermò;
ne scesero; don Abbondio pagò in fretta, e licenziò il condottiere;
e s'incamminò con le due compagne per la salita, senza far parola.
La vista di que' luoghi gli andava risvegliando nella fantasia, e
mescolando all'angosce presenti, la rimembranza di quelle che vi aveva
sofferte l'altra volta. E Agnese, la quale non gli aveva mai visti que'
luoghi, e se n'era fatta in mente una pittura fantastica che le si
rappresentava ogni volta che pensava al viaggio spaventoso di Lucia,
vedendoli ora quali eran davvero, provava come un nuovo e più vivo
sentimento di quelle crudeli memorie. «Oh signor curato!» esclamò: «a
pensare che la mia povera Lucia è passata per questa strada!»
«Volete stare zitta? donna senza giudizio!» le gridò in un orecchio
don Abbondio: «son discorsi codesti da farsi qui? Non sapete che siamo
in casa sua? Fortuna che ora nessun vi sente; ma se parlate in questa
maniera....»
«Oh!» disse Agnese: «ora che è santo...!»
«State zitta,» le replicò don Abbondio: «credete voi che ai santi si
possa dire, senza riguardo, tutto ciò che passa per la mente? Pensate
piuttosto a ringraziarlo del bene che v'ha fatto.»
«Oh! per questo, ci avevo già pensato: che crede che non le sappia un
pochino le creanze?»
«La creanza è di non dir le cose che posson dispiacere, specialmente
a chi non è avvezzo a sentirne. E intendetela bene tutt'e due, che
qui non è luogo da far pettegolezzi, e da dir tutto quello che vi può
venire in testa. È casa d'un gran signore, già lo sapete: vedete che
compagnia c'è d'intorno: ci vien gente di tutte le sorte; sicchè,
giudizio, se potete: pesar le parole, e soprattutto dirne poche, e solo
quando c'è necessità: chè a stare zitti non si sbaglia mai.»
«Fa peggio lei con tutte cedeste sue....» riprendeva Perpetua.
Ma: «zitta!» gridò sottovoce don Abbondio, e insieme si levò il
cappello in fretta, e fece un profondo inchino: chè, guardando in su,
aveva visto l'innominato scender verso di loro. Anche questo aveva
visto e riconosciuto don Abbondio; e affrettava il passo per andargli
incontro.
«Signor curato,» disse, quando gli fu vicino, «avrei voluto offrirle
la mia casa in miglior occasione; ma, a ogni modo, son ben contento di
poterle esser utile in qualche cosa.»
«Confidato nella gran bontà di vossignoria illustrissima,» rispose
don Abbondio, «mi son preso l'ardire di venire, in queste triste
circostanze, a incomodarla: e, come vede vossignoria illustrissima,
mi son preso anche la libertà di menar compagnia. Questa è la mia
governante....»
«Benvenuta,» disse l'innominato.
«E questa,» continuò don Abbondio, «è una donna a cui vossignoria ha
già fatto del bene: la madre di quella... di quella....»
«Di Lucia,» disse Agnese.
«Di Lucia!» esclamò l'innominato, voltandosi, con la testa bassa, ad
Agnese. «Del bene, io! Dio immortale! Voi, mi fate del bene, a venir
qui.... da me.... in questa casa. Siate la benvenuta. Voi ci portate la
benedizione.»
«Oh giusto!» disse Agnese: «vengo a incomodarla. Anzi,» continuò,
avvicinandosegli all'orecchio, «ho anche a ringraziarla....»
L'innominato troncò quelle parole, domandando premurosamente le nuove
di Lucia; e sapute che l'ebbe, si voltò per accompagnare al castello
i nuovi ospiti, come fece, malgrado la loro resistenza cerimoniosa.
Agnese diede al curato un'occhiata che voleva dire: veda un poco se c'è
bisogno che lei entri di mezzo tra noi due a dar pareri.
«Sono arrivati alla sua parrocchia?» gli domandò l'innominato.
«No, signore, che non gli ho voluti aspettare que' diavoli,» rispose
don Abbondio. «Sa il cielo se avrei potuto uscir vivo dalle loro mani,
e venire a incomodare vossignoria illustrissima.»
«Bene, si faccia coraggio,» riprese l'innominato: «chè ora è in
sicuro. Quassù non verranno; e se si volessero provare, siam pronti a
riceverli.»
«Speriamo che non vengano,» disse don Abbondio. «E sento,» soggiunse,
accennando col dito i monti che chiudevano la valle di rimpetto, «sento
che, anche da quella parte, giri un'altra masnada di gente, ma....
ma....»
«È vero,» rispose l'innominato: «ma non dubiti, che siam pronti anche
per loro.»
--Tra due fuochi,--diceva tra sè don Abbondio:--proprio tra due fuochi.
Dove mi son lasciato tirare! e da due pettegole! E costui par proprio
che ci sguazzi dentro! Oh che gente c'è a questo mondo!--
Entrati nel castello, il signore fece condurre Agnese e Perpetua in
una stanza del quartiere assegnato alle donne, che occupava tre lati
del secondo cortile, nella parte posteriore dell'edifizio situata sur
un masso sporgente e isolato, a cavaliere a un precipizio. Gli uomini
alloggiavano ne' lati dell'altro cortile a destra e a sinistra, e in
quello che rispondeva sulla spianata. Il corpo di mezzo, che separava
i due cortili, e dava passaggio dall'uno all'altro, per un vasto
andito di rimpetto alla porta principale, era in parte occupato dalle
provvisioni, e in parte doveva servir di deposito per la roba che i
rifugiati volessero mettere in salvo lassù. Nel quartiere degli uomini,
c'erano alcune camere destinate agli ecclesiastici, che potessero
capitare. L'innominato v'accompagnò in persona don Abbondio, che fu il
primo a prenderne il possesso.
Ventitrè o ventiquattro giorni stettero i nostri fuggitivi nel
castello, in mezzo a un movimento continuo, in una gran compagnia, e
che, ne' primi tempi, andò sempre crescendo; ma senza che accadesse
nulla di straordinario. Non passò forse giorno, che non si desse
all'armi. Vengon lanzichenecchi di qua; si son veduti cappelletti di
là. A ogni avviso, l'innominato mandava uomini a esplorare; e, se
faceva bisogno, prendeva con sè della gente che teneva sempre pronta a
ciò, e andava con essa fuor della valle, dalla parte dov'era indicato
il pericolo. Ed era cosa singolare, vedere una schiera d'uomini armati
da capo a piedi, e schierati come una truppa, condotti da un uomo
senz'armi. Le più volte non erano che foraggieri e saccheggiatori
sbandati, che se n'andavano prima d'esser sorpresi. Ma una volta,
cacciando alcuni di costoro, per insegnar loro a non venir più da
quelle parti, l'innominato ricevette avviso che un paesetto vicino
era invaso e messo a sacco. Erano lanzichenecchi di vari corpi che,
rimasti indietro per rubare, s'eran riuniti, e andavano a gettarsi
all'improvviso sulle terre vicine a quelle dove alloggiava l'esercito;
spogliavano gli abitanti, e gliene facevan di tutte le sorte.
L'innominato fece un breve discorso a' suoi uomini, e li condusse al
paesetto.
Arrivarono inaspettati. I ribaldi che avevan creduto di non andar
che alla preda, vedendosi venire addosso gente schierata e pronta
a combattere, lasciarono il saccheggio a mezzo, e se n'andarono in
fretta, senz'aspettarsi l'uno con l'altro, dalla parte dond'eran
venuti. L'innominato gl'inseguì per un pezzo di strada; poi, fatto far
alto, stette qualche tempo aspettando, se vedesse qualche novità; e
finalmente se ne ritornò. E ripassando nel paesetto salvato, non si
potrebbe dire con quali applausi e benedizioni fosse accompagnato il
drappello liberatore e il condottiero.
Nel castello, tra quella moltitudine, formata a caso, di persone,
varie di condizione, di costumi, di sesso e d'età, non nacque mai
alcun disordine d'importanza. L'innominato aveva messe guardie in
diversi luoghi, le quali tutte invigilavano che non seguisse nessun
inconveniente, con quella premura che ognuno metteva nelle cose di cui
s'avesse a rendergli conto.
Aveva poi pregati gli ecclesiastici, e gli uomini più autorevoli che si
trovavan tra i ricoverati, d'andare in giro e d'invigilare anche loro.
E più spesso che poteva, girava anche lui, e si faceva veder per tutto;
ma, anche in sua assenza, il ricordarsi di chi s'era in casa, serviva
di freno a chi ne potesse aver bisogno. E, del resto, era tutta gente
scappata, e quindi inclinata in generale alla quiete: i pensieri della
casa e della roba, per alcuni anche di congiunti o d'amici rimasti
nel pericolo, le nuove che venivan di fuori, abbattendo gli animi,
mantenevano e accrescevano sempre più quella disposizione.
C'era però anche de' capi scarichi, degli uomini d'una tempra più
salda e d'un coraggio più verde, che cercavano di passar que' giorni
in allegria. Avevano abbandonate le loro case, per non esser forti
abbastanza da difenderle; ma non trovavan gusto a piangere e a
sospirare sur una cosa che non c'era rimedio, nè a figurarsi e a
contemplar con la fantasia il guasto che vedrebbero pur troppo co' loro
occhi. Famiglie amiche erano andate di conserva, o s'eran ritrovate
lassù, s'eran fatte amicizie nuove; e la folla s'era divisa in crocchi,
secondo gli umori e l'abitudini. Chi aveva danari e discrezione, andava
a desinare giù nella valle, dove in quella circostanza, s'eran rizzate
in fretta osterie: in alcune, i bocconi erano alternati co' sospiri,
e non era lecito parlar d'altro che di sciagure: in altre, non si
rammentavan le sciagure, se non per dire che non bisognava pensarci. A
chi non poteva o non voleva farsi le spese, si distribuiva nel castello
pane, minestra e vino: oltre alcune tavole ch'eran servite ogni giorno,
per quelli che il padrone vi aveva espressamente invitati; e i nostri
eran di questo numero.
Agnese e Perpetua, per non mangiare il pane a ufo, avevan voluto essere
impiegate ne' servizi che richiedeva una così grande ospitalità; e
in questo spendevano una buona parte della giornata; il resto nel
chiacchierare con certe amiche che s'eran fatte, o col povero don
Abbondio. Questo non aveva nulla da fare, ma non s'annoiava però; la
paura gli teneva compagnia. La paura proprio d'un assalto, credo che la
gli fosse passata, o se pur gliene rimaneva, era quella che gli dava
meno fastidio; perchè, pensandoci appena appena, doveva capire quanto
poco fosse fondata. Ma l'immagine del paese circonvicino inondato, da
una parte e dall'altra, da soldatacci, le armi e gli armati che vedeva
sempre in giro, un castello, quel castello, il pensiero di tante cose
che potevan nascere ogni momento in tali circostanze, tutto gli teneva
addosso uno spavento indistinto, generale, continuo; lasciando stare
il rodío che gli dava il pensare alla sua povera casa. In tutto il
tempo che stette in quell'asilo, non se ne discostò mai quanto un tiro
di schioppo, nè mai mise piede sulla discesa: l'unica sua passeggiata
era d'uscire sulla spianata, e d'andare, quando da una parte e quando
dall'altra del castello, a guardar giù per le balze e per i burroni,
per istudiare se ci fosse qualche passo un po' praticabile, qualche po'
di sentiero, per dove andar cercando un nascondiglio in caso d'un serra
serra. A tutti i suoi compagni di rifugio faceva gran riverenze o gran
saluti, ma bazzicava con pochissimi: la sua conversazione più frequente
era con le due donne, come abbiam detto; con loro andava a fare i suoi
sfoghi, a rischio che talvolta gli fosse dato sulla voce da Perpetua,
e che lo svergognasse anche Agnese. A tavola poi, dove stava poco e
parlava pochissimo, sentiva le nuove del terribile passaggio, le quali
arrivavano ogni giorno, o di paese in paese e di bocca in bocca, o
portate lassù da qualcheduno, che da principio aveva voluto restarsene
a casa, e scappava in ultimo, senza aver potuto salvar nulla, e
a un bisogno anche malconcio: e ogni giorno c'era qualche nuova
storia di sciagura. Alcuni, novellisti di professione, raccoglievan
diligentemente tutte le voci, abburattavan tutte le relazioni, e ne
davan poi il fiore agli altri. Si disputava quali fossero i reggimenti
più indiavolati, se fosse peggio la fanteria o la cavalleria; si
ripetevano, il meglio che si poteva, certi nomi di condottieri;
d'alcuni si raccontavan l'imprese passate, si specificavano le stazioni
e le marce: quel giorno, il tale reggimento si spandeva ne' tali paesi,
domani anderebbe addosso ai tali altri, dove intanto il tal altro
faceva il diavolo e peggio. Sopra tutto si cercava d'aver informazione
e si teneva il conto de' reggimenti che passavan di mano in mano il
ponte di Lecco, perchè quelli si potevano considerar come andati, e
fuori veramente del paese. Passano i cavalli di Wallenstein, passano
i fanti di Merode, passano i cavalli di Anhalt, passano i fanti di
Brandeburgo, e poi i cavalli di Montecuccoli, e poi quelli di Ferrari;
passa Altringer, passa Furstenberg, passa Colloredo; passano i Croati,
passa Torquato Conti, passano altri e altri; quando piacque al cielo,
passò anche Galasso, che fu l'ultimo. Lo squadron volante de' veneziani
finì d'allontanarsi, e tutto il paese, a destra e a sinistra, si trovò
libero anch'esso. Già quelli delle terre invase e sgombrate le prime,
eran partiti dal castello; e ogni giorno ne partiva: come, dopo un
temporale d'autunno, si vede dai palchi fronzuti d'un grand'albero
uscire da ogni parte gli uccelli che ci s'erano riparati. Credo che i
nostri tre fossero gli ultimi ad andarsene; e ciò per volere di don
Abbondio, il quale temeva, se si tornasse subito a casa, di trovare
ancora in giro lanzichenecchi rimasti indietro sbrancati, in coda
all'esercito. Perpetua ebbe un bel dire che, quanto più s'indugiava,
tanto più si dava agio ai birboni del paese d'entrare in casa a portar
via il resto; quando si trattava d'assicurar la pelle, era sempre don
Abbondio che la vinceva; meno che l'imminenza del pericolo non gli
avesse fatto perdere affatto la testa.
Il giorno fissato per la partenza, l'innominato fece trovar pronta
alla Malanotte una carrozza, nella quale aveva già fatto mettere un
corredo di biancheria per Agnese. E tiratala in disparte, le fece anche
accettare un gruppetto di scudi, per riparare al guasto che troverebbe
in casa; quantunque, battendo la mano sul petto, essa andasse ripetendo
che ne aveva lì ancora de' vecchi.
«Quando vedrete quella vostra buona, povera Lucia....» le disse in
ultimo: «già son certo che prega per me, poichè le ho fatto tanto
male: ditele adunque ch'io la ringrazio, e confido in Dio, che la sua
preghiera tornerà anche in tanta benedizione per lei.»
Volle poi accompagnar tutti e tre gli ospiti, fino alla carrozza. I
ringraziamenti umili e sviscerati di don Abbondio e i complimenti di
Perpetua, se gl'immagini il lettore. Partirono; fecero, secondo il
fissato, una fermatina, ma senza neppur mettersi a sedere, nella casa
del sarto, dove sentirono raccontar cento cose del passaggio; la solita
storia di ruberie, di percosse, di sperpero, di sporchizie: ma lì, per
buona sorte, non s'eran visti lanzichenecchi.
«Ah signor curato!» disse il sarto, dandogli di braccio a rimontare
in carrozza: «s'ha da far de' libri in istampa, sopra un fracasso di
questa sorte.»
Dopo un'altra po' di strada, cominciarono i nostri viaggiatori a
veder co' loro occhi qualche cosa di quello che avevan tanto sentito
descrivere: vigne spogliate, non come dalla vendemmia, ma come dalla
grandine e dalla bufera che fossero venute in compagnia: tralci a
terra, sfrondati e scompigliati; strappati i pali, calpestato il
terreno, e sparso di schegge, di foglie, di sterpi; schiantati,
scapezzati gli alberi; sforacchiate le siepi; i cancelli portati via.
Ne' paesi poi, usci sfondati, impannate lacere, rottami d'ogni sorte,
cenci a mucchi, o seminati per le strade; un'aria pesante, zaffate di
puzzo più forte che uscivan dalle case; la gente, chi a buttar fuori
porcherie, chi a raccomodar le imposte alla meglio, chi in crocchio a
lamentarsi insieme; e, al passar della carrozza, mani di qua e di là
tese agli sportelli, per chieder l'elemosina.
Con queste immagini, ora davanti agli occhi, ora nella mente, e con
l'aspettativa di trovare altrettanto a casa loro, ci arrivarono; e
trovarono infatti quello che s'aspettavano.
Agnese fece posare i fagotti in un canto del cortiletto, ch'era rimasto
il luogo più pulito della casa; si mise poi a spazzarla, a raccogliere
e a rigovernare quella poca roba che le avevan lasciata; fece venire un
legnaiolo e un fabbro, per riparare i guasti più grossi, e guardando
poi, capo per capo, la biancheria regalata, e contando que' nuovi
ruspi, diceva tra sè:--son caduta in piedi; sia ringraziato Iddio e
la Madonna e quel buon signore: posso proprio dire d'esser caduta in
piedi.--
Don Abbondio e Perpetua entrano in casa, senza aiuto di chiavi; ogni
passo che fanno nell'andito, senton crescere un tanfo, un veleno, una
peste, che li respinge indietro; con la mano al naso, vanno all'uscio
di cucina; entrano in punta di piedi, studiando dove metterli, per
iscansar più che possono la porcheria che copre il pavimento; e danno
un'occhiata in giro. Non c'era nulla d'intero; ma avanzi e frammenti
di quel che c'era stato, lì e altrove, se ne vedeva in ogni canto:
piume e penne delle galline di Perpetua, pezzi di biancheria, fogli
de' calendari di don Abbondio, cocci di pentole e di piatti; tutto
insieme o sparpagliato. Solo nel focolare si potevan vedere i segni
d'un vasto saccheggio accozzati insieme, come molte idee sottintese,
in un periodo steso da un uomo di garbo. C'era, dico, un rimasuglio di
tizzi e tizzoni spenti, i quali mostravano d'essere stati, un bracciolo
di seggiola, un piede di tavola, uno sportello d'armadio, una panca di
letto, una doga della botticina, dove ci stava il vino che rimetteva
lo stomaco a don Abbondio. Il resto era cenere e carboni; e con que'
carboni stessi, i guastatori, per ristoro, avevano scarabocchiati i
muri di figuracce, ingegnandosi, con certe berrettine o con certe
cheriche, e con certe larghe facciole, di farne de' preti, e mettendo
studio a farli orribili e ridicoli: intento che, per verità, non poteva
andar fallito a tali artisti.
«Ah porci!» esclamò Perpetua. «Ah baroni!» esclamò don Abbondio; e,
come scappando, andaron fuori, per un altr'uscio che metteva nell'orto.
Respirarono; andaron diviato al fico; ma già prima d'arrivarci, videro
la terra smossa, e misero un grido tutt'e due insieme; arrivati,
trovarono effettivamente, in vece del morto, la buca aperta. Qui
nacquero de' guai: don Abbondio cominciò a prendersela con Perpetua,
che non avesse nascosto bene: pensate se questa rimase zitta: dopo
ch'ebbero ben gridato, tutt'e due col braccio teso, e con l'indice
appuntato verso la buca, se ne tornarono insieme, brontolando. E fate
conto che per tutto trovarono a un di presso la medesima cosa. Penarono
non so quanto, a far ripulire e smorbare la casa, tanto più che, in
que' giorni, era difficile trovar aiuto; e non so quanto dovettero
stare come accampati, accomodandosi alla meglio, o alla peggio, e
rifacendo a poco a poco usci, mobili, utensili, con danari prestati da
Agnese.
Per giunta poi, quel disastro fu una semenza d'altre questioni molto
noiose; perchè Perpetua, a forza di chiedere e domandare, di spiare e
fiutare, venne a saper di certo che alcune masserizie del suo padrone,
credute preda o strazio de' soldati, erano in vece sane e salve in casa
di gente del paese; e tempestava il padrone che si facesse sentire,
e richiedesse il suo. Tasto più odioso non si poteva toccare per don
Abbondio; giacchè la sua roba era in mano di birboni, cioè di quella
specie di persone con cui gli premeva più di stare in pace.
«Ma se non ne voglio saper nulla di queste cose,» diceva. «Quante volte
ve lo devo ripetere, che quel che è andato è andato? Ho da esser messo
anche in croce, perchè m'è stata spogliata la casa?»
«Se lo dico,» rispondeva Perpetua, «che lei si lascerebbe cavar gli
occhi di testa. Rubare agli altri è peccato, ma a lei, è peccato non
rubare.»
«Ma vedete se codesti sono spropositi da dirsi!» replicava don
Abbondio: «ma volete stare zitta?»
Perpetua si chetava, ma non subito subito; e prendeva pretesto da
tutto per riprincipiare. Tanto che il pover'uomo s'era ridotto a non
lamentarsi più, quando trovava mancante qualche cosa, nel momento che
ne avrebbe avuto bisogno; perchè, più d'una volta, gli era toccato a
sentirsi dire: «vada a chiederlo al tale che l'ha, e non l'avrebbe
tenuto fino a quest'ora, se non avesse che fare con un buon uomo.»
Un'altra e più viva inquietudine gli dava il sentire che giornalmente
continuavano a passar soldati alla spicciolata, come aveva troppo
bene congetturato; onde stava sempre in sospetto di vedersene capitar
qualcheduno o anche una compagnia sull'uscio, che aveva fatto
raccomodare in fretta per la prima cosa, e che teneva chiuso con gran
cura; ma, per grazia del cielo, ciò non avvenne mai. Nè però questi
terrori erano ancora cessati, che un nuovo ne sopraggiunse.
Ma qui lasceremo da parte il pover'uomo: si tratta ben d'altro che di
sue apprensioni private, che de' guai d'alcuni paesi, che d'un disastro
passeggiero.


CAPITOLO XXXI.

La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar
con le bande alemanne nel milanese, c'era entrata davvero, come è
noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò
una buona parte d'Italia. Condotti dal filo della nostra storia, noi
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