I promessi sposi. - 32

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subito, a braccia aperte, caro amico, amico caro; stare a tutto quel
che gli dice costui, come se l'avesse visto far miracoli; e prendere
addirittura una risoluzione, mettercisi dentro con le mani e co' piedi,
presto di qua, presto di là: a casa mia si chiama precipitazione.
E senza avere una minima caparra, dargli in mano un povero curato!
questo si chiama giocare un uomo a pari e caffo. Un vescovo santo,
com'è lui, de' curati dovrebbe esserne geloso, come della pupilla degli
occhi suoi. Un pochino di flemma, un pochino di prudenza, un pochino
di carità, mi pare che possa stare anche con la santità..... E se
fosse tutto un'apparenza? Chi può conoscer tutti i fini degli uomini?
e dico degli uomini come costui? A pensare che mi tocca a andar con
lui, a casa sua! Ci può esser sotto qualche diavolo: oh povero me! è
meglio non ci pensare. Che imbroglio è questo di Lucia? Che ci fosse
un'intesa con don Rodrigo? che gente! ma almeno la cosa sarebbe chiara.
Ma come l'ha avuta nell'unghie costui? Chi lo sa? È tutto un segreto
con monsignore: e a me che mi fanno trottare in questa maniera, non si
dice nulla. Io non mi curo di sapere i fatti degli altri; ma quando
uno ci ha a metter la pelle, ha anche ragione di sapere. Se fosse
proprio per andare a prendere quella povera creatura, pazienza! Benchè,
poteva ben condurla con sè addirittura. E poi, se è così convertito,
se è diventato un santo padre, che bisogno c'era di me? Oh che caos!
Basta; voglia il cielo che la sia così: sarà stato un incomodo grosso,
ma pazienza! Sarò contento anche per quella povera Lucia: anche lei
deve averla scampata grossa; sa il cielo cos'ha patito: la compatisco;
ma è nata per la mia rovina.... Almeno potessi vedergli proprio in
cuore a costui, come la pensa. Chi lo può conoscere? Ecco lì, ora pare
sant'Antonio nel deserto; ora pare Oloferne in persona. Oh povero me!
povero me! Basta: il cielo è in obbligo d'aiutarmi, perchè non mi ci
son messo io di mio capriccio.--
Infatti, sul volto dell'innominato si vedevano, per dir così, passare
i pensieri, come, in un'ora burrascosa, le nuvole trascorrono dinanzi
alla faccia del sole, alternando ogni momento una luce arrabbiata e
un freddo buio. L'animo, ancor tutto inebriato dalle soavi parole di
Federigo, e come rifatto e ringiovanito nella nuova vita, s'elevava a
quell'idee di misericordia, di perdono e d'amore; poi ricadeva sotto
il peso del terribile passato. Correva con ansietà a cercare quali
fossero le iniquità riparabili, cosa si potesse troncare a mezzo, quali
i rimedi più espedienti e più sicuri, come scioglier tanti nodi, che
fare di tanti complici: era uno sbalordimento a pensarci. A quella
stessa spedizione, ch'era la più facile e così vicina al termine,
andava con un'impazienza mista d'angoscia, pensando che intanto quella
creatura pativa, Dio sa quanto, e che lui, il quale pure si struggeva
di liberarla, era lui che la teneva intanto a patire. Dove c'eran due
strade, il lettighiero si voltava, per saper quale dovesse prendere:
l'innominato gliel'indicava con la mano, e insieme accennava di far
presto.
Entrano nella valle. Come stava allora il povero don Abbondio! Quella
valle famosa, della quale aveva sentito raccontar tante storie
orribili, esserci dentro: que' famosi uomini, il fiore della bravería
d'Italia, quegli uomini senza paura e senza misericordia, vederli in
carne e in ossa, incontrarne uno o due o tre a ogni voltata di strada.
Si chinavano sommessamente al signore; ma certi visi abbronzati!
certi baffi irti! certi occhiacci, che a don Abbondio pareva che
volessero dire: fargli la festa a quel prete? A segno che, in un
punto di somma costernazione, gli venne detto tra sè:--gli avessi
maritati! non mi poteva accader di peggio.--Intanto s'andava avanti
per un sentiero sassoso, lungo il torrente: al di là quel prospetto di
balze aspre, scure, disabitate; al di qua quella popolazione da far
parer desiderabile ogni deserto: Dante non istava peggio nel mezzo di
Malebolge.
Passan davanti la Malanotte; bravacci sull'uscio, inchini al signore,
occhiate al suo compagno e alla lettiga. Coloro non sapevan cosa si
pensare: già la partenza dell'innominato solo, la mattina, aveva
dello straordinario; il ritorno non lo era meno. Era una preda che
conduceva? E come l'aveva fatta da sè? E come una lettiga forestiera? E
di chi poteva esser quella livrea? Guardavano, guardavano, ma nessuno
si moveva, perchè questo era l'ordine che il padrone dava loro con
dell'occhiate.
Fanno la salita, sono in cima. I bravi che si trovan sulla spianata
e sulla porta, si ritirano di qua e di là, per lasciare il passo
libero: l'innominato fa segno che non si movan di più; sprona, e passa
davanti alla lettiga; accenna al lettighiero e a don Abbondio che lo
seguano; entra in un primo cortile, da quello in un secondo; va verso
un usciolino, fa stare indietro con un gesto un bravo che accorreva per
tenergli la staffa, e gli dice: «tu sta costì, e non venga nessuno.»
Smonta, lega in fretta la mula a un'inferriata, va alla lettiga,
s'accosta alla donna, che aveva tirata la tendina, e le dice sottovoce:
«consolatela subito; fatele subito capire che è libera, in mano
d'amici. Dio ve ne renderà merito.» Poi fa cenno al lettighiero, che
apra; poi s'avvicina a don Abbondio, e, con un sembiante così sereno
come questo non gliel aveva ancor visto, nè credeva che lo potesse
avere, con dipintavi la gioia dell'opera buona che finalmente stava
per compire, gli dice, ancora sottovoce: «signor curato, non le chiedo
scusa dell'incomodo che ha per cagion mia: lei lo fa per Uno che paga
bene, e per questa sua poverina.» Ciò detto, prende con una mano il
morso, con l'altra la staffa, per aiutar don Abbondio a scendere.
Quel volto, quelle parole, quell'atto, gli avevan dato la vita. Mise
un sospiro, che da un'ora gli s'aggirava dentro, senza mai trovar
l'uscita; si chinò verso l'innominato, rispose a voce bassa bassa:
«le pare? Ma, ma, ma, ma,...!» e sdrucciolò alla meglio dalla sua
cavalcatura. L'innominato legò anche quella, e detto al lettighiero
che stesse lì a aspettare, si levò una chiave di tasca, aprì l'uscio,
entrò, fece entrare il curato e la donna, s'avviò davanti a loro alla
scaletta; e tutt'e tre salirono in silenzio.


CAPITOLO XXIV.

Lucia s'era risentita da poco tempo; e di quel tempo una parte aveva
penato a svegliarsi affatto, a separar le torbide visioni del sonno
dalle memorie e dall'immagini di quella realtà troppo somigliante a
una funesta visione d'infermo inferno. La vecchia le si era subito
avvicinata, e, con quella voce forzatamente umile, le aveva detto: «ah!
avete dormito? Avreste potuto dormire in letto: ve l'ho pur detto tante
volte ier sera.» E non ricevendo risposta, aveva continuato, sempre
con un tono di supplicazione stizzosa: «mangiate una volta: abbiate
giudizio. Uh come siete brutta! Avete bisogno di mangiare. E poi se,
quando torna, la piglia con me?»
«No, no; voglio andar via, voglio andar da mia madre. Il padrone me
l'ha promesso, ha detto: domattina. Dov'è il padrone?»
«È uscito; m'ha detto che tornerà presto, e che farà tutto quel che
volete.»
«Ha detto così? ha detto così? Ebbene; io voglio andar da mia madre;
subito, subito.»
Ed ecco si sente un calpestío nella stanza vicina; poi un picchio
all'uscio. La vecchia accorre, domanda: «chi è?»
«Apri,» risponde sommessamente la nota voce. La vecchia tira il
paletto; l'innominato, spingendo leggermente i battenti, fa un po'
di spiraglio: ordina alla vecchia di venir fuori, fa entrar subito
don Abbondio con la buona donna. Socchiude poi di nuovo l'uscio, si
ferma dietro a quello, e manda la vecchia in una parte lontana del
castellaccio; come aveva già mandata via anche l'altra donna che stava
fuori, di guardia.
Tutto questo movimento, quel punto d'aspetto, il primo apparire di
persone nuove, cagionarono un soprassalto d'agitazione a Lucia, alla
quale, se lo stato presente era intollerabile, ogni cambiamento però
era motivo di sospetto e di nuovo spavento. Guardò, vide un prete, una
donna; si rincorò alquanto: guarda più attenta: è lui, o non è lui?
Riconosce don Abbondio, e rimane con gli occhi fissi, come incantata.
La donna, andatale vicino, si chinò sopra di lei, e, guardandola
pietosamente, prendendole le mani, come per accarezzarla e alzarla a un
tempo, le disse: «oh poverina! venite, venite con noi.»
«Chi siete?» le domandò Lucia; ma, senza aspettar la risposta, si voltò
ancora a don Abbondio, che s'era trattenuto discosto due passi, con un
viso, anche lui, tutto compassionevole; lo fissò di nuovo, e esclamò:
«lei! è lei? il signor curato? Dove siamo?... Oh povera me! son fuori
di sentimento!»
«No, no,» rispose don Abbondio: «son io davvero: fatevi coraggio.
Vedete? siam qui per condurvi via. Son proprio il vostro curato, venuto
qui apposta, a cavallo....»
Lucia, come riacquistate in un tratto tutte le sue forze, si rizzò
precipitosamente; poi fissò ancora lo sguardo su que' due visi, e
disse: «è dunque la Madonna che vi ha mandati.»
«Io credo di sì,» disse la buona donna.
«Ma possiamo andar via, possiamo andar via davvero?» riprese Lucia,
abbassando la voce, e con uno sguardo timido e sospettoso. «E tutta
quella gente...?» continuò, con le labbra contratte e tremanti di
spavento e d'orrore: «e quel signore...! quell'uomo...! Già, me l'aveva
promesso....»
«È qui anche lui in persona, venuto apposta con noi,» disse don
Abbondio: «è qui fuori che aspetta. Andiamo presto; non lo facciamo
aspettare, un par suo.»
Allora, quello di cui si parlava, spinse l'uscio, e si fece vedere;
Lucia, che poco prima lo desiderava, anzi, non avendo speranza in
altra cosa del mondo, non desiderava che lui, ora, dopo aver veduti
visi, e sentite voci amiche, non potè reprimere un subitaneo ribrezzo;
si riscosse, ritenne il respiro, si strinse alla buona donna, e le
nascose il viso in seno. L'innominato, alla vista di quell'aspetto sul
quale già la sera avanti non aveva potuto tener fermo lo sguardo, di
quell'aspetto reso ora più squallido, sbattuto, affannato dal patire
prolungato e dal digiuno, era rimasto lì fermo, quasi sull'uscio; nel
veder poi quell'atto di terrore, abbassò gli occhi, stette ancora un
momento immobile e muto; indi rispondendo a ciò che la poverina non
aveva detto, «è vero,» esclamò: «perdonatemi!»
«Viene a liberarvi; non è più quello; è diventato buono: sentite che vi
chiede perdono?» diceva la buona donna all'orecchio di Lucia.
«Si può dir di più? Via, su quella testa; non fate la bambina; che
possiamo andar presto,» le diceva don Abbondio. Lucia alzò la testa,
guardò l'innominato, e, vedendo bassa quella fronte, atterrato e
confuso quello sguardo, presa da un misto sentimento di conforto, di
riconoscenza e di pietà, disse: «oh, il mio signore! Dio le renda
merito della sua misericordia!»
«E a voi, cento volte, il bene che mi fanno codeste vostre parole.»
Così detto, si voltò, andò verso l'uscio, e uscì il primo. Lucia, tutta
rianimata, con la donna che le dava braccio, gli andò dietro; don
Abbondio in coda. Scesero la scala, arrivarono all'uscio che metteva
nel cortile. L'innominato lo spalancò, andò alla lettiga, aprì lo
sportello, e, con una certa gentilezza quasi timida (due cose nuove
in lui) sorreggendo il braccio di Lucia, l'aiutò ad entrarvi, poi la
buona donna. Slegò quindi la mula di don Abbondio, e l'aiutò anche lui
a montare.
«Oh che degnazione!» disse questo; e montò molto più lesto che non
avesse fatto la prima volta. La comitiva si mosse quando l'innominato
fu anche lui a cavallo. La sua fronte s'era rialzata; lo sguardo aveva
ripreso la solita espressione d'impero. I bravi che incontrava, vedevan
bene sul suo viso i segni d'un forte pensiero, d'una preoccupazione
straordinaria; ma non capivano, nè potevan capire più in là. Al
castello, non si sapeva ancor nulla della gran mutazione di quell'uomo;
e per congettura, certo, nessun di coloro vi sarebbe arrivato.
La buona donna aveva subito tirate le tendine della lettiga: prese
poi affettuosamente le mani di Lucia, s'era messa a confortarla, con
parole di pietà, di congratulazione e di tenerezza. E vedendo come,
oltre la fatica di tanto travaglio sofferto, la confusione e l'oscurità
degli avvenimenti impedivano alla poverina di sentir pienamente la
contentezza della sua liberazione, le disse quanto poteva trovar di più
atto a distrigare, a ravviare, per dir così, i suoi poveri pensieri. Le
nominò il paese dove andavano.
«Sì?» disse Lucia, la qual sapeva ch'era poco discosto da suo. «Ah
Madonna santissima, vi ringrazio! Mia madre! mia madre!»
«La manderemo a cercar subito,» disse la buona donna, la quale non
sapeva che la cosa era già fatta.
«Sì, sì; che Dio ve ne renda merito.... E voi, chi siete? Come siete
venuta....»
«M'ha mandata il nostro curato,» disse la buona donna: «perchè questo
signore, Dio gli ha toccato il cuore (sia benedetto!), ed è venuto
al nostro paese, per parlare al signor cardinale arcivescovo (che
l'abbiamo là in visita, quel sant'uomo), e s'è pentito de' suoi
peccatacci, e vuoi mutar vita; e ha detto al cardinale che aveva fatta
rubare una povera innocente, che siete voi, d'intesa con un altro senza
timor di Dio, che il curato non m'ha detto chi possa essere.»
Lucia alzò gli occhi al cielo.
«Lo saprete forse voi,» continuò la buona donna: «basta; dunque il
signor cardinale ha pensato che, trattandosi d'una giovine, ci voleva
una donna per venire in compagnia, e ha detto al curato che ne cercasse
una; e il curato, per sua bontà, è venuto da me....»
«Oh! il Signore vi ricompensi della vostra carità!»
«Che dite mai, la mia povera giovine? E m'ha detto il signor curato,
che vi facessi coraggio, e cercassi di sollevarvi subito, e farvi
intendere come il Signore v'ha salvata miracolosamente....»
«Ah sì! proprio miracolosamente; per intercession della Madonna.»
«Dunque, che stiate di buon animo, e perdonare a chi v'ha fatto del
male, e esser contenta che Dio gli abbia usata misericordia, anzi
pregare per lui; chè, oltre all'acquistarne merito, vi sentirete anche
allargare il cuore.»
Lucia rispose con uno sguardo che diceva di sì, tanto chiaro come
avrebbero potuto far le parole, e con una dolcezza che le parole non
avrebbero saputa esprimere.
«Brava giovine!» riprese la donna: «e trovandosi al nostro paese anche
il vostro curato (che ce n'è tanti tanti, di tutto il contorno, da
mettere insieme quattro ufizi generali), ha pensato il signor cardinale
di mandarlo anche lui in compagnia; ma è stato di poco aiuto. Già
l'avevo sentito dire ch'era un uomo da poco; ma in quest'occasione, ho
dovuto proprio vedere che è più impicciato che un pulcin nella stoppa.»
«E questo....» domandò Lucia, «questo che è diventato buono.... chi è?»
«Come! non lo sapete?» disse la buona donna, e lo nominò.
«Oh misericordia!» esclamò Lucia. Quel nome, quante volte l'aveva
sentito ripetere con orrore in più d'una storia, in cui figurava sempre
come in altre storie quello dell'orco! E ora, al pensiero d'essere
stata nel suo terribil potere, e d'essere sotto la sua guardia pietosa;
al pensiero d'una così orrenda sciagura, e d'una così improvvisa
redenzione; a considerare di chi era quel viso che aveva veduto
burbero, poi commosso, poi umiliato, rimaneva come estatica, dicendo
solo, ogni poco: «oh misericordia!»
«È una gran misericordia davvero!» diceva la buona donna: «dev'essere
un gran sollievo per mezzo mondo. A pensare quanta gente teneva
sottosopra; e ora, come m'ha detto il nostro curato.... e poi, solo
a guardarlo in viso, è diventato un santo! E poi si vedon subito le
opere.»
Dire che questa buona donna non provasse molta curiosità di conoscere
un po' più distintamente la grand'avventura nella quale si trovava a
fare una parte, non sarebbe la verità. Ma bisogna dire a sua gloria
che, compresa d'una pietà rispettosa per Lucia, sentendo in certo modo
la gravità e la dignità dell'incarico che le era stato affidato, non
pensò neppure a farle una domanda indiscreta, nè oziosa: tutte le sue
parole, in quel tragitto, furono di conforto e di premura per la povera
giovine.
«Dio sa quant'è che non avete mangiato!»
«Non me ne ricordo più.... Da un pezzo.»
«Poverina! Avrete bisogno di ristorarvi.»
«Sì,» rispose Lucia con voce fioca.
«A casa mia, grazie a Dio, troveremo subito qualcosa. Fatevi coraggio,
che ormai c'è poco.»
Lucia si lasciava poi cader languida sul fondo della lettiga, come
assopita; e allora la buona donna la lasciava in riposo.
Per don Abbondio questo ritorno non era certo così angoscioso come
l'andata di poco prima; ma non fu neppur esso un viaggio di piacere.
Al cessar di quella pauraccia, s'era da principio sentito tutto
scarico, ma ben presto cominciarono a spuntargli in cuore cent'altri
dispiaceri; come, quand'è stato sbarbato un grand'albero, il terreno
rimane sgombro per qualche tempo, ma poi si copre tutto d'erbacce.
Era diventato più sensibile a tutto il resto; e tanto nel presente,
quanto ne' pensieri dell'avvenire, non gli mancava pur troppo materia
di tormentarsi. Sentiva ora, molto più che nell'andare, l'incomodo di
quel modo di viaggiare, al quale non era molto avvezzo; e specialmente
sul principio, nella scesa dal castello al fondo della valle. Il
lettighiero, stimolato da' cenni dell'innominato, faceva andar di
buon passo le sue bestie; le due cavalcature andavan dietro dietro,
con lo stesso passo; onde seguiva che, a certi luoghi più ripidi,
il povero don Abbondio, come se fosse messo a leva per di dietro,
tracollava sul davanti, e, per reggersi, doveva appuntellarsi con la
mano all'arcione; e non osava però pregare che s'andasse più adagio, e
dall'altra parte avrebbe voluto esser fuori di quel paese più presto
che fosse possibile. Oltre di ciò, dove la strada era sur un rialto,
sur un ciglione, la mula, secondo l'uso de' pari suoi, pareva che
facesse per dispetto a tener sempre dalla parte di fuori, e a metter
proprio le zampe sull'orlo; e don Abbondio vedeva sotto di sè, quasi
a perpendicolo, un salto, o come pensava lui, un precipizio.--Anche
tu,--diceva tra sè alla bestia,--hai quel maledetto gusto d'andare a
cercare i pericoli, quando c'è tanto sentiero!--E tirava la briglia
dall'altra parte; ma inutilmente. Sicchè, al solito, rodendosi di
stizza e di paura, si lasciava condurre a piacere altrui. I bravi non
gli facevan più tanto spavento, ora che sapeva più di certo come la
pensava il padrone.--Ma,--rifletteva però,--se la notizia di questa
gran conversione si sparge qua dentro, intanto che ci siamo ancora,
chi sa come l'intenderanno costoro! Chi sa cosa nasce! Che s'andassero
a immaginare che sia venuto io a fare il missionario! Povero me! mi
martirizzano!--Il cipiglio dell'innominato non gli dava fastidio.--Per
tenere a segno quelle facce lì,--pensava,--non ci vuol meno di questa
qui; lo capisco anch'io; ma perchè deve toccare a me a trovarmi tra
tutti costoro!--
Basta; s'arrivò in fondo alla scesa, e s'uscì finalmente anche dalla
valle. La fronte dell'innominato s'andò spianando. Anche don Abbondio
prese una faccia più naturale, sprigionò alquanto la testa di tra
le spalle, sgranchì le braccia e le gambo, si mise a stare un po'
più sulla vita, che faceva un tutt'altro vedere, mandò più larghi
respiri, e, con animo più riposato, si mise a considerare altri lontani
pericoli.--Cosa dirà quel bestione di don Rodrigo? Rimaner con tanto
di naso a questo modo, col danno e con le beffe, figuriamoci se la gli
deve parere amara. Ora è quando fa il diavolo davvero. Sta a vedere
che se la piglia anche con me, perchè mi son trovato dentro in questa
cerimonia. Se ha avuto cuore fin d'allora di mandare que' due demòni
a farmi una figura di quella sorte sulla strada, ora poi, chi sa cosa
farà! Con sua signoria illustrissima non la può prendere, che è un
pezzo molto più grosso di lui; lì bisognerà rodere il freno. Intanto
il veleno l'avrà in corpo, e sopra qualcheduno lo vorrà sfogare. Come
finiscono queste faccende? I colpi cascano sempre all'ingiù; i cenci
vanno all'aria. Lucia, di ragione, sua signoria illustrissima penserà a
metterla in salvo: quell'altro poveraccio mal capitato è fuor del tiro,
e ha già avuto la sua: ecco che il cencio son diventato io. La sarebbe
barbara, dopo tant'incomodi, dopo tante agitazioni, e senza acquistarne
merito, che ne dovessi portar la pena io. Cosa farà ora sua signoria
illustrissima per difendermi, dopo avermi messo in ballo? Mi può
star mallevadore lui che quel dannato non mi faccia un'azione peggio
della prima? E poi, ha tanti affari per la testa! mette mano a tante
cose! Come si può badare a tutto? Lascian poi alle volte le cose più
imbrogliate di prima. Quelli che fanno il bene, lo fanno all'ingrosso:
quand'hanno provata quella soddisfazione, n'hanno abbastanza, e non
si voglion seccare a star dietro a tutte le conseguenze; ma coloro
che hanno quel gusto di fare il male, ci mettono più diligenza, ci
stanno dietro fino alla fine, non prendon mai requie, perchè hanno
quel canchero che li rode. Devo andar io a dire che son venuto qui per
comando espresso di sua signoria illustrissima, e non di mia volontà?
Parrebbe che volessi tenere dalla parte dell'iniquità. Oh santo cielo!
Dalla parte dell'iniquità io! Per gli spassi che la mi dà! Basta; il
meglio sarà raccontare a Perpetua la cosa com'è; e lascia poi fare a
Perpetua a mandarla in giro. Purchè a monsignore non venga il grillo
di far qualche pubblicità, qualche scena inutile, e mettermici dentro
anche me. A buon conto, appena siamo arrivati, se è uscito di chiesa,
vado a riverirlo in fretta in fretta; se no, lascio le mie scuse, e
me ne vo diritto diritto a casa mia. Lucia è bene appoggiata; di me
non ce n'è più bisogno; e dopo tant'incomodi, posso pretendere anch'io
d'andarmi a riposare. E poi.... che non venisse anche curiosità a
monsignore di saper tutta la storia, e mi toccasse a render conto
dell'affare del matrimonio! Non ci mancherebbe altro. E se viene in
visita anche alla mia parrocchia!.... Oh! sarà quel che sarà; non vo'
confondermi prima del tempo: n'ho abbastanza de' guai. Per ora vo a
chiudermi in casa. Fin che monsignore si trova da queste parti, don
Rodrigo non avrà faccia di far pazzie. E poi.... E poi? Ah! vedo che i
miei ultimi anni ho da passarli male!--
La comitiva arrivò che le funzioni di chiesa non erano ancor terminate;
passò per mezzo alla folla medesima non meno commossa della prima
volta; e poi si divise. I due a cavallo voltarono sur una piazzetta di
fianco, in fondo a cui era la casa del parroco; la lettiga andò avanti
verso quella della buona donna.
Don Abbondio fece quello che aveva pensato: appena smontato, fece i più
sviscerati complimenti all'innominato, e lo pregò di volerlo scusar
con monsignore; che lui doveva tornare alla parrocchia addirittura,
per affari urgenti. Andò a cercare quel che chiamava il suo cavallo,
cioè il bastone che aveva lasciato in un cantuccio del salotto, e
s'incamminò. L'innominato stette a aspettare che il cardinale tornasse
di chiesa.
La buona donna, fatta seder Lucia nel miglior luogo della sua cucina,
s'affaccendava a preparar qualcosa da ristorarla, ricusando, con una
certa rustichezza cordiale, i ringraziamenti e le scuse che questa
rinnovava ogni tanto.
Presto presto, rimettendo stipa sotto un calderotto, dove notava
un buon cappone, fece alzare il bollore al brodo, e riempitane una
scodella già guarnita di fette di pane, potè finalmente presentarla
a Lucia. E nel vedere la poverina a riaversi a ogni cucchiaiata, si
congratulava ad alta voce con sè stessa che la cosa fosse accaduta in
un giorno in cui, com'essa diceva, non c'era il gatto nel fuoco. «Tutti
s'ingegnano oggi a far qualcosina,» aggiungeva: «meno que' poveri
poveri che stentano a aver pane di vecce e polenta di saggina; però
oggi da un signore così caritatevole sperano di buscar tutti qualcosa.
Noi, grazie al cielo, non siamo in questo caso: tra il mestiere di
mio marito, e qualcosa che abbiamo al sole, si campa. Sicchè mangiate
senza pensieri intanto; chè presto il cappone sarà a tiro, e potrete
ristorarvi un po' meglio.» Così detto, ritornò ad accudire al desinare,
e ad apparecchiare.
Lucia, tornatele alquanto le forze, e acquietandosele sempre più
l'animo, andava intanto assettandosi, per un'abitudine, per un istinto
di pulizia e di verecondia: rimetteva e fermava le trecce allentate
e arruffate, raccomodava il fazzoletto sul seno, e intorno al collo.
In far questo, le sue dita s'intralciarono nella corona che ci aveva
messa, la notte avanti; lo sguardo vi corse; si fece nella mente
un tumulto istantaneo; la memoria del voto, oppressa fino allora e
soffogata da tante sensazioni presenti, vi si suscitò d'improvviso,
e vi comparve chiara e distinta. Allora tutte le potenze del suo
animo, appena riavute, furon sopraffatte di nuovo, a un tratto: e se
quell'animo non fosse stato così preparato da una vita d'innocenza, di
rassegnazione e di fiducia, la costernazione che provò in quel momento,
sarebbe stata disperazione. Dopo un ribollimento di que' pensieri che
non vengono con parole, le prime che si formarono nella sua mente
furono:--oh povera me, cos'ho fatto!--
Ma non appena l'ebbe pensate, ne risentì come uno spavento. Le
tornarono in mente tutte le circostanze del voto, l'angoscia
intollerabile, il non avere una speranza di soccorso, il fervore della
preghiera, la pienezza del sentimento con cui la promessa era stata
fatta. E dopo avere ottenuta la grazia, pentirsi della promessa, le
parve un'ingratitudine sacrilega, una perfidia verso Dio e la Madonna;
le parve che una tale infedeltà le attirerebbe nuove e più terribili
sventure, in mezzo alle quali non potrebbe più sperare neppur nella
preghiera; e s'affrettò di rinnegare quel pentimento momentaneo.
Si levò con divozione la corona dal collo, e tenendola nella mano
tremante, confermò, rinnovò il voto, chiedendo nello stesso tempo, con
una supplicazione accorata, che le fosse concessa la forza d'adempirlo,
che le fossero risparmiati i pensieri e l'occasioni le quali avrebbero
potuto, se non ismovere il suo animo, agitarlo troppo. La lontananza
di Renzo, senza nessuna probabilità di ritorno, quella lontananza che
fin allora le era stata così amara, le parve ora una disposizione della
Provvidenza, che avesse fatti andare insieme i due avvenimenti per un
fine solo; e si studiava di trovar nell'uno la ragione d'esser contenta
dell'altro. E dietro a quel pensiero, s'andava figurando ugualmente che
quella Provvidenza medesima, per compir l'opera, saprebbe trovar la
maniera di far che Renzo si rassegnasse anche lui, non pensasse più....
Ma una tale idea, appena trovata, mise sottosopra la mente ch'era
andata a cercarla. La povera Lucia, sentendo che il cuore era lì lì
per pentirsi, ritornò alla preghiera, alle conferme, al combattimento,
dal quale s'alzò, se ci si passa quest'espressione, come il vincitore
stanco e ferito, di sopra il nemico abbattuto: non dico ucciso.
Tutt'a un tratto, si sente uno scalpiccio, e un chiasso di voci
allegre. Era la famigliola che tornava di chiesa. Due bambinette e un
fanciullo entran saltando; si fermano un momento a dare un'occhiata
curiosa a Lucia, poi corrono alla mamma, e le s'aggrappano intorno:
chi domanda il nome dell'ospite sconosciuta, e il come e il perchè;
chi vuol raccontare le maraviglie vedute: la buona donna risponde a
tutto e a tutti con un «zitti, zitti.» Entra poi, con un passo più
quieto, ma con una premura cordiale dipinta in viso, il padrone di
casa. Era, se non l'abbiamo ancor detto, il sarto del villaggio, e de'
contorni; un uomo che sapeva leggere, che aveva letto in fatti più
d'una volta il Leggendario de' Santi, il Guerrin meschino e i Reali
di Francia, e passava, in quelle parti, per un uomo di talento e di
scienza: lode però che rifiutava modestamente, dicendo soltanto che
aveva sbagliato la vocazione; e che se fosse andato agli studi, in vece
di tant'altri....! Con questo, la miglior pasta del mondo. Essendosi
trovato presente quando sua moglie era stata pregata dal curato
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