I promessi sposi. - 46

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Arrivato alla cantonata della strada, ch'era una delle più larghe, vide
quattro carri fermi nel mezzo; e come, in un mercato di granaglie, si
vede un andare e venire di gente, un caricare e un rovesciar di sacchi,
tale era il movimento in quel luogo: monatti ch'entravan nelle case,
monatti che n'uscivano con un peso su le spalle, e lo mettevano su
l'uno o l'altro carro: alcuni con la divisa rossa, altri senza quel
distintivo, molti con uno ancor più odioso, pennacchi e fiocchi di vari
colori, che quegli sciagurati portavano come per segno d'allegria, in
tanto pubblico lutto. Ora da una, ora da un'altra finestra, veniva una
voce lugubre: «qua, monatti!» E con suono ancor più sinistro, da quel
tristo brulichío usciva qualche vociaccia che rispondeva: «ora, ora.»
Ovvero eran pigionali che brontolavano, e dicevano di far presto: ai
quali i monatti rispondevano con bestemmie.
Entrato nella strada, Renzo allungò il passo, cercando di non guardar
quegl'ingombri, se non quanto era necessario per iscansarli; quando il
suo sguardo s'incontrò in un oggetto singolare di pietà, d'una pietà
che invogliava l'animo a contemplarlo; di maniera che si fermò, quasi
senza volerlo.
Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il
convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza
avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e
offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor
mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel
sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli
occhi non davan lacrime, ma portavan segno d'averne sparse tante; c'era
in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava
un'anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo
suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente
alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e
ammortito ne' cuori. Portava essa in collo una bambina di forse
nov'anni morta; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla
fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero
adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Nè
la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur un braccio, col petto
appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina
bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata
gravezza, e il capo posava sull'omero della madre, con un abbandono più
forte del sonno: della madre, chè, se anche la somiglianza de' volti
non n'avesse fatto fede, l'avrebbe detto chiaramente quello de' due
ch'esprimeva ancora un sentimento.
Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una
specie però d'insolito rispetto, con un'esitazione involontaria. Ma
quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno nè disprezzo,
«no!» disse: «non me la toccate per ora; devo metterla io su quel
carro: prendete.» Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa,
e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò:
«promettetemi di non levarle un filo d'intorno, nè di lasciar che altri
ardisca di farlo, e di metterla sotto terra così.»
Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi
ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che
per l'inaspettata ricompensa, s'affaccendò a far un po' di posto sul
carro per la morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte,
la mise lì come sur un letto, ce l'accomodò, le stese sopra un panno
bianco, e disse l'ultime parole: «addio, Cecilia! riposa in pace!
Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per
noi; ch'io pregherò per te e per gli altri.» Poi voltatasi di nuovo al
monatto, «voi,» disse, «passando di qui verso sera, salirete a prendere
anche me, e non me sola.»
Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s'affacciò alla
finestra, tenendo in collo un'altra bambina più piccola, viva, ma coi
segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle così indegne
esequie della prima, finchè il carro non si mosse, finchè lo potè
vedere; poi disparve. E che altro potè fare, se non posar sul letto
l'unica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? come
il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora
in boccia, al passar della falce che pareggia tutte l'erbe del prato.
«O Signore!» esclamò Renzo: «esauditela! tiratela a voi, lei e la sua
creaturina: hanno patito abbastanza! hanno patito abbastanza!»
Riavuto da quella commozione straordinaria, e mentre cerca di tirarsi
in mente l'itinerario per trovare se alla prima strada deve voltare,
e se a diritta o a mancina, sente anche da questa venire un altro
e diverso strepito, un suono confuso di grida imperiose, di fiochi
lamenti, un pianger di donne, un mugolío di fanciulli.
Andò avanti, con in cuore quella solita trista e oscura aspettativa.
Arrivato al crocicchio, vide da una parte una moltitudine confusa che
s'avanzava, e si fermò lì, per lasciarla passare. Erano ammalati che
venivan condotti al lazzeretto; alcuni, spinti a forza, resistevano
in vano, in vano gridavano che volevan morire sul loro letto, e
rispondevano con inutili imprecazioni alle bestemmie e ai comandi de'
monatti che li guidavano; altri camminavano in silenzio, senza mostrar
dolore, nè alcun altro sentimento, come insensati; donne co' bambini in
collo; fanciulli spaventati dalle grida, da quegli ordini, da quella
compagnia, più che dal pensiero confuso della morte, i quali ad alte
strida imploravano la madre e le sue braccia fidate, e la casa loro.
Ahi! e forse la madre, che credevano d'aver lasciata addormentata
sul suo letto, ci s'era buttata, sorpresa tutt'a un tratto dalla
peste; e stava lì senza sentimento, per esser portata sur un carro
al lazzeretto, o alla fossa, se il carro veniva più tardi. Forse, o
sciagura degna di lacrime ancor più amare! la madre, tutta occupata
de' suoi patimenti, aveva dimenticato ogni cosa, anche i figli, e
non aveva più che un pensiero: di morire in pace. Pure, in tanta
confusione, si vedeva ancora qualche esempio di fermezza e di pietà:
padri, madri, fratelli, figli, consorti, che sostenevano i cari loro,
e gli accompagnavano con parole di conforto: nè adulti soltanto, ma
ragazzetti, ma fanciulline che guidavano i fratellini più teneri, e,
con giudizio e con compassione da grandi, raccomandavano loro d'essere
ubbidienti, gli assicuravano che s'andava in un luogo dove c'era chi
avrebbe cura di loro per farli guarire.
In mezzo alla malinconia e alla tenerezza di tali viste, una cosa
toccava più sul vivo, e teneva in agitazione il nostro viaggiatore.
La casa doveva esser lì vicina, e chi sa se tra quella gente....
Ma passata tutta la comitiva, e cessato quel dubbio, si voltò a un
monatto che veniva dietro, e gli domandò della strada e della casa di
don Ferrante. «In malora, tanghero,» fu la risposta che n'ebbe. Nè si
curò di dare a colui quella che si meritava; ma, visto, a due passi,
un commissario che veniva in coda al convoglio, e aveva un viso un po'
più di cristiano, fece a lui la stessa domanda. Questo, accennando con
un bastone la parte donde veniva, disse: «la prima strada a diritta,
l'ultima casa grande a sinistra.»
Con una nuova e più forte ansietà in cuore, il giovine prende da quella
parte. È nella strada; distingue subito la casa tra l'altre, più basse
e meschine; s'accosta al portone che è chiuso, mette la mano sul
martello, e ce la tien sospesa, come in un'urna, prima di tirar su la
polizza dove fosse scritta la sua vita, o la sua morte. Finalmente alza
il martello, e dà un picchio risoluto.
Dopo qualche momento, s'apre un poco una finestra; una donna fa
capolino, guardando chi era, con un viso ombroso che par che dica:
monatti? vagabondi? commissari? untori? diavoli?
«Quella signora,» disse Renzo guardando in su, e con voce non troppo
sicura: «ci sta qui a servire una giovine di campagna, che ha nome
Lucia?»
«La non c'è più; andate,» rispose quella donna, facendo atto di
chiudere.
«Un momento, per carità! La non c'è più? Dov'è?»
«Al lazzeretto;» e di nuovo voleva chiudere.
«Ma un momento, per l'amor del cielo! Con la peste?»
«Già. Cosa nuova, eh? Andate.»
«Oh povero me! Aspetti: era ammalata molto? Quanto tempo è....?»
Ma intanto la finestra fu chiusa davvero.
«Quella signora! quella signora! una parola, per carità! per i suoi
poveri morti! Non le chiedo niente del suo: ohe!» Ma era come dire al
muro.
Afflitto della nuova, e arrabbiato della maniera, Renzo afferrò ancora
il martello, e, così appoggiato alla porta, andava stringendolo e
storcendolo, l'alzava per picchiar di nuovo alla disperata, poi lo
teneva sospeso. In quest'agitazione, si voltò per vedere se mai ci
fosse d'intorno qualche vicino, da cui potesse forse aver qualche
informazione più precisa, qualche indizio, qualche lume. Ma la prima,
l'unica persona che vide, fu un'altra donna, distante forse un venti
passi; la quale, con un viso ch'esprimeva terrore, odio, impazienza e
malizia, con cert'occhi stravolti che volevano insieme guardar lui,
e guardar lontano, spalancando la bocca come in atto di gridare a
più non posso, ma rattenendo anche il respiro, alzando due braccia
scarne, allungando e ritirando due mani grinzose e piegate a guisa
d'artigli, come se cercasse d'acchiappar qualcosa, si vedeva che
voleva chiamar gente, in modo che qualcheduno non se n'accorgesse.
Quando s'incontrarono a guardarsi, colei, fattasi ancor più brutta, si
riscosse come persona sorpresa.
«Che diamine....?» cominciava Renzo, alzando anche lui le mani verso
la donna; ma questa, perduta la speranza di poterlo far cogliere
all'improvviso, lasciò scappare il grido che aveva rattenuto fin
allora: «l'untore! dagli! dagli! dagli all'untore!»
«Chi? io! ah strega bugiarda! sta zitta,» gridò Renzo; e fece un salto
verso lei, per impaurirla e farla chetare. Ma s'avvide subito, che
aveva bisogno piuttosto di pensare ai casi suoi. Allo strillar della
vecchia, accorreva gente di qua e di là; non la folla che, in un caso
simile, sarebbe stata, tre mesi prima; ma più che abbastanza per poter
fare d'un uomo solo quel che volessero. Nello stesso tempo, s'aprì di
nuovo la finestra, e quella medesima sgarbata di prima ci s'affacciò
questa volta, e gridava anche lei: «pigliatelo, pigliatelo; che
dev'essere uno di que' birboni che vanno in giro a unger le porte de'
galantuomini.»
Renzo non istette lì a pensare: gli parve subito miglior partito
sbrigarsi da coloro, che rimanere a dir le sue ragioni: diede
un'occhiata a destra e a sinistra, da che parte ci fosse men gente, e
svignò di là. Rispinse con un urtone uno che gli parava la strada; con
un gran punzone nel petto, fece dare indietro otto o dieci passi un
altro che gli correva incontro; e via di galoppo, col pugno in aria,
stretto, nocchiuto, pronto per qualunque altro gli fosse venuto tra'
piedi. La strada davanti era sempre libera; ma dietro le spalle sentiva
il calpestío e, più forti del calpestío, quelle grida amare: «dagli!
dagli! all'untore!» Non sapeva quando fossero per fermarsi; non vedeva
dove si potrebbe mettere in salvo. L'ira divenne rabbia, l'angoscia
si cangiò in disperazione; e, perso il lume degli occhi, mise mano al
suo coltellaccio, lo sfoderò, si fermò su due piedi, voltò indietro
il viso più torvo e più cagnesco che avesse fatto a' suoi giorni; e,
col braccio teso, brandendo in aria la lama luccicante, gridò: «chi ha
cuore, venga avanti, canaglia! che l'ungerò io davvero con questo.»
[Illustrazione: Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci...... (pag.
508)]
Ma, con maraviglia, e con un sentimento confuso di consolazione, vide
che i suoi persecutori s'eran già fermati, e stavan lì come titubanti,
e che, seguitando a urlare, facevan, con le mani per aria, certi cenni
da spiritati, come a gente che venisse di lontano dietro a lui. Si
voltò di nuovo, e vide (chè il gran turbamento non gliel aveva lasciato
vedere un momento prima) un carro che s'avanzava, anzi una fila di
que' soliti carri funebri, col solito accompagnamento; e dietro, a
qualche distanza, un altro mucchietto di gente che avrebbero voluto
anche loro dare addosso all'untore, e prenderlo in mezzo; ma eran
trattenuti dall'impedimento medesimo. Vistosi così tra due fuochi, gli
venne in mente che ciò che era di terrore a coloro, poteva essere a lui
di salvezza; pensò che non era tempo di far lo schizzinoso; rimise il
coltellaccio nel fodero, si tirò da una parte; prese la rincorsa verso
i carri, passò il primo, e adocchiò nel secondo un buono spazio vôto.
Prende la mira, spicca un salto; è su, piantato sul piede destro, col
sinistro in aria, e con le braccia alzate.
«Bravo! bravo!» esclamarono, a una voce, i monatti, alcuni de' quali
seguivano il convoglio a piedi, altri eran seduti sui carri, altri, per
dire l'orribil cosa com'era, sui cadaveri, trincando da un gran fiasco
che andava in giro. «Bravo! bel colpo!»
«Sei venuto a metterti sotto la protezione de' monatti; fa conto
d'essere in chiesa,» gli disse uno de' due che stavano sul carro
dov'era montato.
I nemici, all'avvicinarsi del treno, avevano, i più, voltate le
spalle, e se n'andavano, non lasciando di gridare: «dagli! dagli!
all'untore!» Qualcheduno si ritirava più adagio, fermandosi ogni tanto,
e voltandosi, con versacci e con gesti di minaccia, a Renzo; il quale,
dal carro, rispondeva loro dibattendo i pugni in aria.
«Lascia fare a me,» gli disse un monatto; e strappato d'addosso a un
cadavere un laido cencio, l'annodò in fretta, e, presolo per una delle
cocche, l'alzò come una fionda verso quegli ostinati, e fece le viste
di buttarglielo, gridando: «aspetta, canaglia!» A quell'atto, fuggiron
tutti, inorriditi; e Renzo non vide più che schiene di nemici, e
calcagni che ballavano rapidamente per aria, a guisa di gualchiere.
Tra i monatti s'alzò un urlo di trionfo, uno scroscio procelloso di
risa, un «uh!» prolungato, come per accompagnar quella fuga.
«Ah ah! vedi se noi sappiamo proteggere i galantuomini?» disse a Renzo
quel monatto: «vai più uno di noi che cento di que' poltroni.»
«Certo, posso dire che vi devo la vita,» rispose Renzo: «e vi ringrazio
con tutto il cuore.»
«Di che cosa?» disse il monatto: «tu lo meriti: si vede che sei un
bravo giovine. Fai bene a ungere questa canaglia: ungili, estirpali
costoro, che non vaglion qualcosa, se non quando son morti; che, per
ricompensa della vita che facciamo, ci maledicono, e vanno dicendo che,
finita la moría, ci voglion fare impiccar tutti. Hanno a finir prima
loro che la moría; e i monatti hanno a restar soli, a cantar vittoria,
e a sguazzar per Milano.»
«Viva la moría, e moia la marmaglia!» esclamò l'altro; e, con questo
bel brindisi, si mise il fiasco alla bocca, e, tenendolo con tutt'e due
le mani, tra le scosse del carro, diede una buona bevuta, poi lo porse
a Renzo, dicendo: «bevi alla nostra salute.»
«Ve l'auguro a tutti, con tutto il cuore,» disse Renzo: «ma non ho
sete; non ho proprio voglia di bere in questo momento.»
«Tu hai avuto una bella paura, a quel che mi pare,» disse il monatto:
«m'hai aria d'un pover'uomo; ci vuoi altri visi a far l'untore.»
«Ognuno s'ingegna come può,» disse l'altro.
«Dammelo qui a me,» disse uno di quelli che venivano a piedi accanto
al carro, «chè ne voglio bere anch'io un altro sorso, alla salute del
suo padrone, che si trova qui in questa bella compagnia.... lì, lì,
appunto, mi pare, in quella bella carrozzata.»
E, con un suo atroce e maledetto ghigno, accennava il carro davanti a
quello su cui stava il povero Renzo. Poi, composto il viso a un atto
di serietà ancor più bieco e fellonesco, fece una riverenza da quella
parte, e riprese: «si contenta, padron mio, che un povero monattuccio
assaggi di quello della sua cantina? Vede bene: si fa certe vite: siam
quelli che l'abbiam messo in carrozza, per condurlo in villeggiatura. E
poi, già a loro signori il vino fa subito male: i poveri monatti han lo
stomaco buono.»
E tra le risate de' compagni, prese il fiasco, e l'alzò; ma, prima di
bere, si voltò a Renzo, gli fissò gli occhi in viso, e gli disse, con
una cert'aria di compassione sprezzante: «bisogna che il diavolo col
quale hai fatto il patto, sia ben giovine; chè se non eravamo lì noi a
salvarti, lui ti dava un bell'aiuto.» E tra un nuovo scroscio di risa,
s'attaccò il fiasco alle labbra.
«E noi? eh! e noi?» gridaron più voci dal carro ch'era avanti. Il
birbone, tracannato quanto ne volle, porse, con tutt'e due le mani, il
gran fiasco a quegli altri suoi simili, i quali se lo passaron dall'uno
all'altro, fino a uno che, votatolo, lo prese per il collo, gli fece
fare il mulinello, e lo scagliò a fracassarsi sulle lastre, gridando:
«viva la moría!» Dietro a queste parole, intonò una loro canzonaccia; e
subito alla sua voce s'accompagnaron tutte l'altre di quel turpe coro.
La cantilena infernale, mista al tintinnío de' campanelli, al cigolío
de' carri, al calpestío de' cavalli, risonava nel vôto silenzioso delle
strade, e, rimbombando nelle case, stringeva amaramente il cuore de'
pochi che ancor le abitavano.
Ma cosa non può alle volte venire in acconcio? cosa non può far piacere
in qualche caso? Il pericolo d'un momento prima aveva resa più che
tollerabile a Renzo la compagnia di que' morti e di que' vivi; e ora fu
a' suoi orecchi una musica, sto per dire, gradita, quella che lo levava
dall'impiccio d'una tale conversazione. Ancor mezzo affannato, e tutto
sottosopra, ringraziava intanto alla meglio in cuor suo la Provvidenza,
d'essere uscito d'un tal frangente, senza ricever male nè farne; la
pregava che l'aiutasse ora a liberarsi anche da' suoi liberatori; e
dal canto suo, stava all'erta, guardava quelli, guardava la strada,
per cogliere il tempo di sdrucciolar giù quatto quatto, senza dar loro
occasione di far qualche rumore, qualche scenata, che mettesse in
malizia i passeggieri.
Tutt'a un tratto, a una cantonata, gli parve di riconoscere il luogo:
guardò più attentamente, e ne fu sicuro. Sapete dov'era? Sul corso
di porta orientale, in quella strada per cui era venuto adagio, e
tornato via in fretta, circa venti mesi prima. Gli venne subito in
mente che di lì s'andava diritto al lazzeretto; e questo trovarsi sulla
strada giusta, senza studiare, senza domandare, l'ebbe per un tratto
speciale della Provvidenza, e per buon augurio del rimanente. In quel
punto, veniva incontro ai carri un commissario, gridando a' monatti di
fermare, e non so che altro: il fatto è che il convoglio si fermò, e la
musica si cambiò in un diverbio rumoroso. Uno de' monatti ch'eran sul
carro di Renzo, saltò giù: Renzo disse all'altro: «vi ringrazio della
vostra carità: Dio ve ne renda merito;» e giù anche lui, dall'altra
parte.
«Va, va, povero untorello,» rispose colui: «non sarai tu quello che
spianti Milano.»
Per fortuna, non c'era chi potesse sentire. Il convoglio era fermato
sulla sinistra del corso: Renzo prende in fretta dall'altra parte, e,
rasentando il muro, trotta innanzi verso il ponte; lo passa, continua
per la strada del borgo, riconosce il convento de' cappuccini, è vicino
alla porta, vede spuntar l'angolo del lazzeretto, passa il cancello, e
gli si spiega davanti la scena esteriore di quel recinto: un indizio
appena e un saggio, e già una vasta, diversa, indescrivibile scena.
Lungo i due lati che si presentano a chi guardi da quel punto, era
tutto un brulichío; erano ammalati che andavano, in compagnie, al
lazzeretto; altri che sedevano o giacevano sulle sponde del fossato che
lo costeggia; sia che le forze non fosser loro bastate per condursi
fin dentro al ricovero, sia che, usciti di là per disperazione, le
forze fosser loro ugualmente mancate per andar più avanti. Altri
meschini erravano sbandati, come stupidi, e non pochi fuor di sè
affatto; uno stava tutto infervorato a raccontar le sue immaginazioni
a un disgraziato che giaceva oppresso dal male; un altro dava nelle
smanie; un altro guardava in qua e in là con un visino ridente, come
se assistesse a un lieto spettacolo. Ma la specie più strana e più
rumorosa d'una tal trista allegrezza, era un cantare alto e continuo,
il quale pareva che non venisse fuori da quella miserabile folla,
e pure si faceva sentire più che tutte l'altre voci: una canzone
contadinesca d'amore gaio e scherzevole, di quelle che chiamavan
villanelle; e andando con lo sguardo dietro al suono, per iscoprire chi
mai potesse esser contento, in quel tempo, in quel luogo, si vedeva un
meschino che, seduto tranquillamente in fondo al fossato, cantava a più
non posso, con la testa per aria.
Renzo aveva appena fatti alcuni passi lungo il lato meridionale
dell'edifizio, che si sentì in quella moltitudine un rumore
straordinario, e di lontano voci che gridavano: guarda! piglia! S'alza
in punta di piedi, e vede un cavallaccio che andava di carriera, spinto
da un più strano cavaliere: era un frenetico che, vista quella bestia
sciolta e non guardata, accanto a un carro, c'era montato in fretta a
bisdosso, e, martellandole il collo co' pugni, e facendo sproni de'
calcagni, la cacciava in furia; e monatti dietro, urlando; e tutto si
ravvolse in un nuvolo di polvere, che volava lontano.
Così, già sbalordito e stanco di veder miserie, il giovine arrivò
alla porta di quel luogo dove ce n'erano adunate forse più che non
ce ne fosse di sparse in tutto lo spazio che gli era già toccato di
percorrere. S'affaccia a quella porta, entra sotto la vôlta, e rimane
un momento immobile a mezzo del portico.


CAPITOLO XXXV.

S'immagini il lettore il recinto del lazzeretto, popolato di sedici
mila appestati; quello spazio tutt'ingombro, dove di capanne e di
baracche, dove di carri, dove di gente; quelle due interminate fughe
di portici, a destra e a sinistra, piene, gremite di languenti o di
cadaveri confusi, sopra sacconi, o sulla paglia; e su tutto quel quasi
immenso covile, un brulichío, come un ondeggiamento; e qua e là, un
andare e venire, un fermarsi, un correre, un chinarsi, un alzarsi, di
convalescenti, di frenetici, di serventi. Tale fu lo spettacolo che
riempì a un tratto la vista di Renzo, e lo tenne lì, sopraffatto e
compreso. Questo spettacolo, noi non ci proponiam certo di descriverlo
a parte a parte, nè il lettore lo desidera; solo, seguendo il nostro
giovine nel suo penoso giro, ci fermeremo alle sue fermate, e di ciò
che gli toccò di vedere diremo quanto sia necessario a raccontar ciò
che fece, e ciò che gli seguì.
Dalla porta dove s'era fermato, fino alla cappella del mezzo, e di là
all'altra porta in faccia, c'era come un viale sgombro di capanne e
d'ogni altro impedimento stabile; e alla seconda occhiata, Renzo vide
in quello un tramenío di carri, un portar via roba, per far luogo;
vide cappuccini e secolari che dirigevano quell'operazione, e insieme
mandavan via chi non ci avesse che fare. E temendo d'essere anche lui
messo fuori in quella maniera, si cacciò addirittura tra le capanne,
dalla parte a cui si trovava casualmente voltato, alla diritta.
Andava avanti, secondo che vedeva posto da poter mettere il piede, da
capanna a capanna, facendo capolino in ognuna, e osservando i letti
ch'eran fuori allo scoperto, esaminando volti abbattuti dal patimento,
o contratti dallo spasimo, o immobili nella morte, se mai gli venisse
fatto di trovar quello che pur temeva di trovare. Ma aveva già fatto
un bel pezzetto di cammino, e ripetuto più e più volte quel doloroso
esame, senza veder mai nessuna donna: onde s'immaginò che dovessero
essere in un luogo separato. E indovinava; ma dove fosse, non n'aveva
indizio, nè poteva argomentarlo. Incontrava ogni tanto ministri, tanto
diversi d'aspetto e di maniere e d'abito, quanto diverso e opposto
era il principio che dava agli uni e agli altri una forza uguale di
vivere in tali servizi: negli uni l'estinzione d'ogni senso di pietà,
negli altri una pietà sovrumana. Ma nè agli uni nè agli altri si
sentiva di far domande, per non procacciarsi alle volte un inciampo; e
deliberò d'andare, andare, fin che arrivasse a trovar donne. E andando
non lasciava di spiare intorno; ma di tempo in tempo era costretto a
ritirare lo sguardo contristato, e come abbagliato da tante piaghe. Ma
dove rivolgerlo, dove riposarlo, che sopra altre piaghe?
L'aria stessa e il cielo accrescevano, se qualche cosa poteva
accrescerlo, l'orrore di quelle viste. La nebbia s'era a poco a poco
addensata e accavallata in nuvoloni che, rabbuiandosi sempre più,
davano idea d'un annottar tempestoso; se non che, verso il mezzo di
quel cielo cupo e abbassato, traspariva, come da un fitto velo, la
spera del sole, pallida, che spargeva intorno a sè un barlume fioco e
sfumato, e pioveva un calore morto e pesante. Ogni tanto, tra mezzo al
ronzío continuo di quella confusa moltitudine, si sentiva un borbottar
di tuoni, profondo, come tronco, irresoluto; nè, tendendo l'orecchio,
avreste saputo distinguere da che parte venisse; o avreste potuto
crederlo un correr lontano di carri, che si fermassero improvvisamente.
Non si vedeva, nelle campagne d'intorno, moversi un ramo d'albero,
nè un uccello andarvisi a posare, o staccarsene: solo la rondine,
comparendo subitamente di sopra il tetto del recinto, sdrucciolava
in giù con l'ali tese, come per rasentare il terreno del campo; ma
sbigottita da quel brulichío, risaliva rapidamente, e fuggiva. Era
uno di que' tempi, in cui, tra una compagnia di viandanti non c'è
nessuno che rompa il silenzio; e il cacciatore cammina pensieroso,
con lo sguardo a terra; e la villana, zappando nel campo, smette di
cantare, senza avvedersene; di que' tempi forieri della burrasca, in
cui la natura, come immota al di fuori, e agitata da un travaglio
interno, par che opprima ogni vivente, e aggiunga non so quale gravezza
a ogni operazione, all'ozio, all'esistenza stessa. Ma in quel luogo
destinato per sè al patire e al morire, si vedeva l'uomo già alle prese
col male soccombere alla nuova oppressione; si vedevan centinaia e
centinaia peggiorar precipitosamente; e insieme, l'ultima lotta era più
affannosa, e nell'aumento de' dolori, i gemiti più soffogati: nè forse
su quel luogo di miserie era ancor passata un'ora crudele al par di
questa.
Già aveva il giovine girato un bel pezzo, e senza frutto, per
quell'andirivieni di capanne, quando, nella varietà de' lamenti e nella
confusione del mormorío, cominciò a distinguere un misto singolare di
vagiti e di belati; fin che arrivò a un assito scheggiato e sconnesso,
di dentro il quale veniva quel suono straordinario. Mise un occhio a
un largo spiraglio, tra due asse, e vide un recinto con dentro capanne
sparse, e, così in quelle, come nel piccol campo, non la solita
infermeria, ma bambinelli a giacere sopra materassine, o guanciali,
o lenzoli distesi, o topponi; e balie e altre donne in faccende; e,
ciò che più di tutto attraeva e fermava lo sguardo, capre mescolate
con quelle, e fatte loro aiutanti: uno spedale d'innocenti, quale
il luogo e il tempo potevan darlo. Era, dico, una cosa singolare a
vedere alcune di quelle bestie, ritte e quiete sopra questo e quel
bambino, dargli la poppa; e qualche altra accorrere a un vagito, come
con senso materno, e fermarsi presso il piccolo allievo, e procurar
d'accomodarcisi sopra, e belare, e dimenarsi, quasi chiamando chi
venisse in aiuto a tutt'e due.
Qua e là eran sedute balie con bambini al petto; alcune in tal atto
d'amore, da far nascer dubbio nel riguardante, se fossero state
attirate in quel luogo dalla paga, o da quella carità spontanea che
va in cerca de' bisogni e de' dolori. Una di esse, tutta accorata,
staccava dal suo petto esausto un meschinello piangente, e andava
tristamente cercando la bestia, che potesse far le sue veci. Un'altra
guardava con occhio di compiacenza quello che le si era addormentato
alla poppa, e baciatolo mollemente, andava in una capanna a posarlo
sur una materassina. Ma una terza, abbandonando il suo petto al
lattante straniero, con una cert'aria però non di trascuranza, ma
di preoccupazione, guardava fisso il cielo: a che pensava essa, in
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