I promessi sposi. - 07

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Mentre ella partiva, Renzo susurrò: «non m'avete mai detto niente.»
«Ah, Renzo!» rispose Lucia, rivolgendosi un momento, senza fermarsi.
Renzo intese benissimo che il suo nome pronunziato in quel momento,
con quel tono, da Lucia, voleva dire: potete voi dubitare ch'io abbia
taciuto se non per motivi giusti e puri?
Intanto la buona Agnese (così si chiamava la madre di Lucia), messa in
sospetto e in curiosità dalla parolina all'orecchio, e dallo sparir
della figlia, era discesa a veder cosa c'era di nuovo. La figlia la
lasciò con Renzo, tornò alle donne radunate, e, accomodando l'aspetto
e la voce, come potè meglio, disse: «il signor curato è ammalato; e
oggi non si fa nulla.» Ciò detto, le salutò tutte in fretta, e scese di
nuovo.
Le donne sfilarono, e si sparsero a raccontar l'accaduto. Due o tre
andaron fin all'uscio del curato, per verificar se era ammalato davvero.
«Un febbrone,» rispose Perpetua dalla finestra; e la trista parola,
riportata all'altre, troncò le congetture che già cominciavano a
brulicar ne' loro cervelli, e ad annunziarsi tronche e misteriose ne'
loro discorsi.


CAPITOLO III.

Lucia entrò nella stanza terrena, mentre Renzo stava angosciosamente
informando Agnese, la quale angosciosamente lo ascoltava. Tutt'e due
si volsero a chi ne sapeva più di loro, e da cui aspettavano uno
schiarimento, il quale non poteva essere che doloroso: tutt'e due,
lasciando travedere, in mezzo al dolore, e con l'amore diverso che
ognun d'essi portava a Lucia, un cruccio pur diverso perchè avesse
taciuto loro qualche cosa, e una tal cosa. Agnese, benchè ansiosa di
sentir parlare la figlia, non potè tenersi di non farle un rimprovero.
«A tua madre non dir niente d'una cosa simile!»
«Ora vi dirò tutto,» rispose Lucia, asciugandosi gli occhi col
grembiule.
«Parla, parla!--Parlate, parlate!» gridarono a un tratto la madre e lo
sposo.
«Santissima Vergine!» esclamò Lucia: «chi avrebbe creduto che le cose
potessero arrivare a questo segno!» E, con voce rotta dal pianto,
raccontò come, pochi giorni prima, mentre tornava dalla filanda, ed
era rimasta indietro dalle sue compagne, le era passato innanzi don
Rodrigo, in compagnia d'un altro signore; che il primo aveva cercato di
trattenerla con chiacchiere, com'ella diceva, non punto belle; ma essa,
senza dargli retta, aveva affrettato il passo, e raggiunte le compagne;
e intanto aveva sentito quell'altro signore rider forte, e don Rodrigo
dire: scommettiamo. Il giorno dopo, coloro s'eran trovati ancora sulla
strada; ma Lucia era nel mezzo delle compagne, con gli occhi bassi; e
l'altro signore sghignazzava, e don Rodrigo diceva: vedremo, vedremo.
«Per grazia del cielo,» continuò Lucia, «quel giorno era l'ultimo della
filanda. Io raccontai subito....»
«A chi hai raccontato?» domandò Agnese, andando incontro, non senza un
po' di sdegno, al nome del confidente preferito.
«Al padre Cristoforo, in confessione, mamma,» rispose Lucia, con un
accento soave di scusa. «Gli raccontai tutto, l'ultima volta che siamo
andate insieme alla chiesa del convento: e, se vi ricordate, quella
mattina, io andava mettendo mano ora a una cosa, ora a un'altra,
per indugiare, tanto che passasse altra gente del paese avviata a
quella volta, e far la strada in compagnia con loro; perchè, dopo
quell'incontro, le strade mi facevan tanta paura....»
Al nome riverito del padre Cristoforo, lo sdegno d'Agnese si raddolcì.
«Hai fatto bene,» disse, «ma perchè non raccontar tutto anche a tua
madre?»
Lucia aveva avute due buone ragioni: l'una, di non contristare nè
spaventare la buona donna, per cosa alla quale essa non avrebbe potuto
trovar rimedio; l'altra, di non metter a rischio di viaggiar per molte
bocche una storia che voleva essere gelosamente sepolta: tanto più che
Lucia sperava che le sue nozze avrebber troncata, sul principiare,
quell'abbominata persecuzione. Di queste due ragioni però, non allegò
che la prima.
«E a voi,» disse poi, rivolgendosi a Renzo, con quella voce che vuol
far riconoscere a un amico che ha avuto torto: «e a voi doveva io
parlar di questo? Pur troppo lo sapete ora!»
«E che t'ha detto il padre?» domandò Agnese.
«M'ha detto che cercassi d'affrettar le nozze il più che potessi, e
intanto stessi rinchiusa; che pregassi bene il Signore; e che sperava
che colui, non vedendomi, non si curerebbe più di me. E fu allora che
mi sforzai,» proseguì, rivolgendosi di nuovo a Renzo, senza alzargli
però gli occhi in viso, e arrossendo tutta, «fu allora che feci la
sfacciata, e che vi pregai io che procuraste di far presto, e di
concludere prima del tempo che s'era stabilito. Chi sa cosa avrete
pensato di me! Ma io facevo per bene, ed ero stata consigliata,
e tenevo per certo.... e questa mattina, ero tanto lontana da
pensare....» Qui le parole furon troncate da un violento scoppio di
pianto.
«Ah birbone! ah dannato! ah assassino!» gridava Renzo, correndo innanzi
e indietro per la stanza, e stringendo di tanto in tanto il manico del
suo coltello.
«Oh che imbroglio, per amor di Dio!» esclamava Agnese. Il giovine si
fermò d'improvviso davanti a Lucia che piangeva; la guardò con un atto
di tenerezza mesta e rabbiosa, e disse: «questa è l'ultima che fa
quell'assassino.»
«Ah! no, Renzo, per amor del cielo!» gridò Lucia. «No, no, per amor del
cielo! Il Signore c'è anche per i poveri; e come volete che ci aiuti,
se facciam del male?»
«No, no, per amor del cielo!» ripeteva Agnese.
«Renzo,» disse Lucia, con un'aria di speranza e di risoluzione più
tranquilla: «voi avete un mestiere, e io so lavorare: andiamo tanto
lontano, che colui non senta più parlar di noi.»
«Ah Lucia! e poi? Non siamo ancora marito e moglie! Il curato vorrà
farci la fede di stato libero? Un uomo come quello? Se fossimo
maritati, oh allora...!»
Lucia si rimise a piangere: e tutt'e tre rimasero in silenzio, e in un
abbattimento che faceva un tristo contrapposto alla pompa festiva de'
loro abiti.
«Sentite, figliuoli; date retta a me,» disse, dopo qualche momento,
Agnese. «Io son venuta al mondo prima di voi; e il mondo lo conosco un
poco. Non bisogna poi spaventarsi tanto: il diavolo non è brutto quanto
si dipinge. A noi poverelli le matasse paion più imbrogliate, perchè
non sappiam trovarne il bandolo; ma alle volte un parere, una parolina
d'un uomo che abbia studiato.... so ben io quel che voglio dire. Fate a
mio modo, Renzo; andate a Lecco; cercate del dottor Azzecca-garbugli,
raccontategli.... Ma non lo chiamate così, per amor del cielo: è un
soprannome. Bisogna dire il signor dottor.... Come si chiama, ora?
Oh to'! non lo so il nome vero: lo chiaman tutti a quel modo. Basta,
cercate di quel dottore alto, asciutto, pelato, col naso rosso, e una
voglia di lampone sulla guancia.»
«Lo conosco di vista,» disse Renzo.
«Bene,» continuò Agnese: «quello è una cima d'uomo! Ho visto io più
d'uno ch'era più impicciato che un pulcin nella stoppa, e non sapeva
dove batter la testa, e, dopo essere stato un'ora a quattr'occhi col
dottor Azzecca-garbugli, (badate bene di non chiamarlo così!) l'ho
visto, dico, ridersene. Pigliate quei quattro capponi, poveretti! a cui
dovevo tirare il collo, per il banchetto di domenica, e portateglieli;
perchè non bisogna mai andar con le mani vôte da que' signori.
Raccontategli tutto l'accaduto; e vedrete che vi dirà, su due piedi, di
quelle cose che a noi non verrebbero in testa, a pensarci un anno.»
Renzo abbracciò molto volentieri questo parere; Lucia l'approvò; e
Agnese, superba d'averlo dato, levò, a una a una, le povere bestie
dalla stia, riunì le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di
fiori, le avvolse e le strinse con uno spago, e le consegnò in mano
a Renzo; il quale, date e ricevute parole di speranza, uscì dalla
parte dell'orto, per non esser veduto da' ragazzi, che gli correrebber
dietro, gridando: lo sposo! lo sposo! Così, attraversando i campi o,
come dicon colà, i luoghi, se n'andò per viottole, fremendo, ripensando
alla sua disgrazia, e ruminando il discorso da fare al dottor
Azzecca-garbugli. Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare
in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe,
a capo all'in giù, nella mano d'un uomo il quale, agitato da tante
passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto
per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l'alzava per
disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti
i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro
teste spenzolate; le quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con
l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.
Giunto al borgo, domandò dell'abitazione del dottore; gli fu indicata,
e v'andò. All'entrare, si sentì preso da quella suggezione che i
poverelli illetterati provano in vicinanza d'un signore e d'un dotto,
e dimenticò tutti i discorsi che aveva preparati; ma diede un'occhiata
ai capponi, e si rincorò. Entrato in cucina, domandò alla serva, se
si poteva parlare al signor dottore. Adocchiò essa le bestie, e, come
avvezza a somiglianti doni, mise loro le mani addosso, quantunque
Renzo andasse tirando indietro, perchè voleva che il dottore vedesse e
sapesse ch'egli portava qualche cosa. Capitò appunto mentre la donna
diceva: «date qui, e andate innanzi.» Renzo fece un grande inchino: il
dottore l'accolse umanamente, con un «venite, figliuolo,» e lo fece
entrar con sè nello studio. Era questo uno stanzone, su tre pareti
del quale eran distribuiti i ritratti de' dodici Cesari; la quarta,
coperta da un grande scaffale di libri vecchi e polverosi: nel mezzo,
una tavola gremita d'allegazioni, di suppliche, di libelli, di gride,
con tre o quattro seggiole all'intorno, e da una parte un seggiolone
a braccioli, con una spalliera alta e quadrata, terminata agli angoli
da due ornamenti di legno, che s'alzavano a foggia di corna, coperta
di vacchetta, con grosse borchie, alcune delle quali, cadute da
gran tempo, lasciavano in libertà gli angoli della copertura, che
s'accartocciava qua e là. Il dottore era in veste da camera, cioè
coperto d'una toga ormai consunta, che gli aveva servito, molt'anni
addietro, per perorare, ne' giorni d'apparato, quando andava a Milano,
per qualche causa d'importanza. Chiuse l'uscio, e fece animo al
giovine, con queste parole: «figliuolo, ditemi il vostro caso.»
«Vorrei dirle una parola in confidenza.»
«Son qui,» rispose il dottore: «parlate.» E s'accomodò sul seggiolone.
Renzo, ritto davanti alla tavola, con una mano nel cocuzzolo del
cappello, che faceva girar con l'altra, ricominciò: «vorrei sapere da
lei che ha studiato....»
«Ditemi il fatto come sta,» interruppe il dottore.
«Lei m'ha da scusare: noi altri poveri non sappiamo parlar bene. Vorrei
dunque sapere....»
«Benedetta gente! siete tutti così: in vece di raccontar il fatto,
volete interrogare, perchè avete già i vostri disegni in testa.»
«Mi scusi, signor dottore. Vorrei sapere se, a minacciare un curato,
perchè non faccia un matrimonio, c'è penale.»
--Ho capito,--disse tra sè il dottore, che in verità non aveva
capito.--Ho capito.--E subito si fece serio, ma d'una serietà mista
di compassione e di premura; strinse fortemente le labbra, facendone
uscire un suono inarticolato che accennava un sentimento, espresso
poi più chiaramente nelle sue prime parole. «Caso serio, figliuolo;
caso contemplato. Avete fatto bene a venir da me. È un caso chiaro,
contemplato in cento gride, e.... appunto, in una dell'anno scorso,
dell'attuale signor governatore. Ora vi fo vedere, e toccar con mano.»
Così dicendo, s'alzò dal suo seggiolone, e cacciò le mani in quel caos
di carte, rimescolandole dal sotto in su, come se mettesse grano in uno
staio.
«Dov'è ora? Vien fuori, vien fuori. Bisogna aver tante cose alle mani!
Ma la dev'esser qui sicuro, perchè è una grida d'importanza. Ah!
ecco, ecco.» La prese, la spiegò, guardò alla data, e, fatto un viso
ancor più serio, esclamò: «il 15 d'ottobre 1627! Sicuro; è dell'anno
passato: grida fresca; son quelle che fanno più paura. Sapete leggere,
figliuolo?»
«Un pochino, signor dottore.»
«Bene, venitemi dietro con l'occhio, e vedrete.»
E, tenendo la grida sciorinata in aria, cominciò a leggere, borbottando
a precipizio in alcuni passi, e fermandosi distintamente, con
grand'espressione, sopra alcuni altri, secondo il bisogno:
«_Se bene, per la grida pubblicata d'ordine del signor Duca di Feria ai
14 di dicembre 1620, et confirmata dall'Illustriss. et Eccellentiss.
Signore il Signor Gonzalo Fernandez de Cordova_, eccetera, _fu
con rimedii straordinarii e rigorosi provvisto alle oppressioni,
concussioni et atti tirannici che alcuni ardiscono di commettere contra
questi Vassalli tanto divoti di S. M., ad ogni modo la frequenza degli
eccessi, e la malitia_, eccetera, _è cresciuta a segno, che ha posto
in necessità l'Eccell. Sua_, eccetera. _Onde, col parere del Senato et
di una Giunta_, eccetera, _ha risoluto che si pubblichi la presente_.
«_E cominciando dagli atti tirannici, mostrando l'esperienza che molti,
così nelle Città, come nelle Ville_.... sentite? _di questo Stato, con
tirannide esercitano concussioni et opprimono i più deboli in varii
modi, come in operare che si facciano contratti violenti di compre,
d'affitti_.... eccetera: dove sei? ah! ecco; sentite: _che seguano o
non seguano matrimonii_. Eh?»
«E il mio caso,» disse Renzo.
«Sentite, sentite, c'è ben altro; e poi vedremo la pena. _Si
testifichi, o non si testifichi; che uno si parta dal luogo dove
abita_, eccetera; _che quello paghi un debito; quell'altro non lo
molesti, quello vada al suo molino_: tutto questo non ha che far con
noi. Ah ci siamo: _quel prete non faccia quello che è obbligato per
l'uficio suo, o faccia cose che non gli toccano_. Eh?»
«Pare che abbian fatta la grida apposta per me.»
«Eh? non è vero? sentite, sentite: _et altre simili violenze, quali
seguono da feudatarii, nobili, mediocri, vili, e plebei_. Non se ne
scappa: ci son tutti: è come la valle di Giosafat. Sentite ora la pena.
_Tutte queste et altre simili male attioni, benchè siano proibite,
nondimeno, convenendo metter mano a maggior rigore, S. E., per la
presente, non derogando_, eccetera, _ordina e comanda che contra li
contravventori in qualsivoglia dei suddetti capi, o altro simile,
si proceda da tutti li giudici ordinarii di questo Stato a pena
pecuniaria e corporale, ancora di relegatione o di galera, e fino alla
morte_.... una piccola bagattella! _all'arbitrio dell'Eccellenza Sua,
o del Senato, secondo la qualità dei casi, persone e circostanze. E
questo ir-re-mis-si-bil-men-te e con ogni rigore_, eccetera. Ce n'è
della roba, eh? E vedete qui le sottoscrizioni: _Gonzalo Fernandez de
Cordova_; e più in giù: _Platonus_; e qui ancora: _Vidit Ferrer_: non
ci manca niente.»
Mentre il dottore leggeva, Renzo gli andava dietro lentamente con
l'occhio, cercando di cavar il costrutto chiaro, e di mirar proprio
quelle sacrosante parole, che gli parevano dover essere il suo aiuto.
Il dottore, vedendo il nuovo cliente più attento che atterrito, si
maravigliava.--Che sia matricolato costui,--pensava tra sè. «Ah! ah!»
gli disse poi: «vi siete però fatto tagliare il ciuffo. Avete avuto
prudenza: però, volendo mettervi nelle mie mani, non faceva bisogno. Il
caso è serio; ma voi non sapete quel che mi basti l'animo di fare, in
un'occasione.»
Per intender quest'uscita del dottore, bisogna sapere, o rammentarsi
che, a quel tempo, i bravi di mestiere; i facinorosi d'ogni genere,
usavan portare un lungo ciuffo, che si tiravan poi sul volto, come una
visiera, all'atto d'affrontar qualcheduno, ne' casi in cui stimasser
necessario di travisarsi, e l'impresa fosse di quelle, che richiedevano
nello stesso tempo forza e prudenza. Le gride non erano state in
silenzio su questa moda. _Comanda Sua Eccellenza_ (il marchese de la
Hynojosa) _che chi porterà i capelli di tal lunghezza che coprano il
fronte fino alli cigli esclusivamente, ovvero porterà la trezza, o
avanti o dopo le orecchie, incorra la pena di trecento scudi; et in
caso d'inhabilità, di tre anni di galera, per la prima volta, e per la
seconda, oltre la suddetta, maggiore ancora, pecuniaria et corporale,
all'arbitrio di Sua Eccellenza._
_Permette però che, per occasione di trovarsi alcuno calvo, o per altra
ragionevole causa di segnale o ferita, possano quelli tali, per maggior
decoro e sanità loro, portare i capelli tanto lunghi, quanto sia
bisogno per coprire simili mancamenti e niente di più; avvertendo bene
a non eccedere il dovere epura necessità, per_ (non) _incorrere nella
pena agli altri contraffacienti imposta._
_E parimente comanda a' barbieri, sotto pena di cento scudi o di tre
tratti di corda da esser dati loro in pubblico, et maggiore anco
corporale, all'arbitrio come sopra, che non lascino a quelli che
toseranno, sorte alcuna di dette trezze, zuffi, rizzi, nè capelli più
lunghi dell'ordinario, così nella fronte come dalle bande, e dopo
le orecchie, ma che siano tutti uguali, come sopra, salvo nel caso
dei calvi, o altri difettosi, come si è detto._ Il ciuffo era dunque
quasi una parte dell'armatura, e un distintivo de' bravacci e degli
scapestrati; i quali poi da ciò vennero comunemente chiamati ciuffi.
Questo termine è rimasto e vive tuttavia, con significazione più
mitigata, nel dialetto: e non ci sarà forse nessuno de' nostri lettori
milanesi, che non si rammenti d'aver sentito, nella sua fanciullezza, o
i parenti, o il maestro, o qualche amico di casa, o qualche persona di
servizio, dir di lui: è un ciuffo, è un ciuffetto.
[Illustrazione: ...«Ce n'è della roba, eh? E vedete le sottoscrizioni»...
(pag. 39)]
«In verità, da povero figliuolo,» rispose Renzo, «io non ho mai portato
ciuffo in vita mia.»
«Non facciam niente,» rispose il dottore, scotendo il capo, con un
sorriso, tra malizioso e impaziente. «Se non avete fede in me, non
facciam niente. Chi dice le bugie al dottore, vedete figliuolo, è
uno sciocco che dirà la verità al giudice. All'avvocato bisogna
raccontar le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle. Se volete
ch'io v'aiuti, bisogna dirmi tutto, dall'a fino alla zeta, col cuore
in mano, come al confessore. Dovete nominarmi la persona da cui
avete avuto il mandato: sarà naturalmente persona di riguardo; e,
in questo caso, io anderò da lui, a fare un atto di dovere. Non gli
dirò, vedete, ch'io sappia da voi, che v'ha mandato lui: fidatevi. Gli
dirò che vengo ad implorar la sua protezione, per un povero giovine
calunniato. E con lui prenderò i concerti opportuni, per finir l'affare
lodevolmente. Capite bene che, salvando sè, salverà anche voi. Se poi
la scappata fosse tutta vostra, via, non mi ritiro: ho cavato altri
da peggio imbrogli.... Purchè non abbiate offeso persona di riguardo,
intendiamoci, m'impegno a togliervi d'impiccio: con un po' di spesa,
intendiamoci. Dovete dirmi chi sia l'offeso, come si dice: e, secondo
la condizione, la qualità e l'umore dell'amico, si vedrà se convenga
più di tenerlo a segno con le protezioni, o trovar qualche modo
d'attaccarlo noi in criminale, e mettergli una pulce nell'orecchio;
perchè, vedete, a saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo, e
nessuno è innocente. In quanto al curato, se è persona di giudizio, se
ne starà zitto; se fosse una testolina, c'è rimedio anche per quelle.
D'ogni intrigo si può uscire; ma ci vuole un uomo: e il vostro caso è
serio; serio, vi dico, serio: la grida canta chiaro; e se la cosa si
deve decider tra la giustizia e voi, così a quattr'occhi, state fresco.
Io vi parlo da amico: le scappate bisogna pagarle: se volete passarvela
liscia, danari e sincerità, fidarvi di chi vi vuoi bene, ubbidire, far
tutto quello che vi sarà suggerito.»
Mentre il dottore mandava fuori tutte queste parole, Renzo lo stava
guardando con un'attenzione estatica, come un materialone sta sulla
piazza guardando al giocator di bussolotti, che, dopo essersi cacciata
in bocca stoppa e stoppa e stoppa, ne cava nastro e nastro e nastro,
che non finisce mai. Quand'ebbe però capito bene cosa il dottore
volesse dire, e quale equivoco avesse preso, gli troncò il nastro in
bocca, dicendo: «oh! signor dottore, come l'ha intesa? l'è proprio
tutta al rovescio. Io non ho minacciato nessuno; io non fo di queste
cose, io; e domandi pure a tutto il mio comune, che sentirà che non ho
mai avuto che fare con la giustizia. La bricconeria l'hanno fatta a me;
e vengo da lei per sapere come ho da fare per ottener giustizia; e son
ben contento d'aver visto quella grida.»
«Diavolo!» esclamò il dottore, spalancando gli occhi. «Che pasticci mi
fate? Tant'è; siete tutti così: possibile che non sappiate dirle chiare
le cose?»
«Ma mi scusi; lei non m'ha dato tempo: ora le racconterò la cosa,
com'è. Sappia dunque ch'io dovevo sposare oggi,» e qui la voce di Renzo
si commosse, «dovevo sposare oggi una giovine, alla quale discorrevo,
fin da quest'estate; e oggi, come le dico, era il giorno stabilito col
signor curato, e s'era disposto ogni cosa. Ecco che il signor curato
comincia a cavar fuori certe scuse.... basta, per non tediarla, io l'ho
fatto parlar chiaro, com'era giusto; e lui m'ha confessato che gli era
stato proibito, pena la vita, di far questo matrimonio. Quel prepotente
di don Rodrigo....»
«Eh via!» interruppe subito il dottore, aggrottando le ciglia,
aggrinzando il naso rosso, e storcendo la bocca, «eh via! Che mi venite
a rompere il capo con queste fandonie? Fate di questi discorsi tra voi
altri, che non sapete misurar le parole; e non venite a farli con un
galantuomo che sa quanto valgono. Andate, andate; non sapete quel che
vi dite: io non m'impiccio con ragazzi; non voglio sentir discorsi di
questa sorte, discorsi in aria.»
«Le giuro....»
«Andate, vi dico: che volete ch'io faccia de' vostri giuramenti? Io non
c'entro: me ne lavo le mani.» E se le andava stropicciando, come se le
lavasse davvero. «Imparate a parlare: non si viene a sorprender così un
galantuomo.»
«Ma senta, ma senta,» ripeteva indarno Renzo: il dottore, sempre
gridando, lo spingeva con le mani verso l'uscio; e, quando ve l'ebbe
cacciato, aprì, chiamò la serva, e le disse: «restituite subito a
quest'uomo quello che ha portato: io non voglio niente, non voglio
niente.»
Quella donna non aveva mai, in tutto il tempo ch'era stata in quella
casa, eseguito un ordine simile: ma era stato proferito con una
tale risoluzione, che non esitò a ubbidire. Prese le quattro povere
bestie, e le diede a Renzo, con un'occhiata di compassione sprezzante,
che pareva volesse dire: bisogna che tu l'abbia fatta bella. Renzo
voleva far cerimonie; ma il dottore fu inespugnabile; e il giovine,
più attonito e più stizzito che mai, dovette riprendersi le vittime
rifiutate, e tornar al paese, a raccontar alle donne il bel costrutto
della sua spedizione.
Le donne, nella sua assenza, dopo essersi tristamente levate il vestito
delle feste e messo quello del giorno di lavoro, si misero a consultar
di nuovo, Lucia singhiozzando e Agnese sospirando. Quando questa ebbe
ben parlato de' grandi effetti che si dovevano sperare dai consigli
del dottore, Lucia disse che bisognava veder d'aiutarsi in tutte le
maniere; che il padre Cristoforo era uomo non solo da consigliare, ma
da metter l'opera sua, quando si trattasse di sollevar poverelli; e che
sarebbe una gran bella cosa potergli far sapere ciò ch'era accaduto.
«Sicuro,» disse Agnese: e si diedero a cercare insieme la maniera;
giacchè andar esse al convento, distante di là forse due miglia, non
se ne sentivano il coraggio, in quel giorno: e certo nessun uomo di
giudizio gliene avrebbe dato il parere. Ma, nel mentre che bilanciavano
i partiti, si senti un picchietto all'uscio, e, nello stesso momento,
un sommesso ma distinto: «_Deo gratias_.» Lucia, immaginandosi chi
poteva essere, corse ad aprire; e subito, fatto un piccolo inchino
famigliare, venne avanti un laico cercatore cappuccino, con la sua
bisaccia pendente alla spalla sinistra, e tenendone l'imboccatura
attortigliata e stretta nelle due mani sul petto.
«Oh fra Galdino!» dissero le due donne.
«Il Signore sia con voi,» disse il frate. «Vengo alla cerca delle noci.»
«Va a prender le noci per i padri,» disse Agnese. Lucia s'alzò, e
s'avviò all'altra stanza, ma, prima d'entrarvi, si trattenne dietro le
spalle di fra Galdino, che rimaneva diritto nella medesima positura; e,
mettendo il dito alla bocca, diede alla madre un'occhiata che chiedeva
il segreto, con tenerezza, con supplicazione, e anche con una certa
autorità.
Il cercatore, sbirciando Agnese così da lontano, disse: «e questo
matrimonio? Si doveva pur fare oggi: ho veduto nel paese una certa
confusione, come se ci fosse una novità. Cos'è stato?»
«Il signor curato è ammalato, e bisogna differire,» rispose in
fretta la donna. Se Lucia non faceva quel segno, la risposta sarebbe
probabilmente stata diversa. «E come va la cerca?» soggiunse poi, per
mutar discorso.
«Poco bene, buona donna, poco bene. Le son tutte qui.» E, così dicendo,
si levò la bisaccia d'addosso, e la fece saltar tra le due mani. «Son
tutte qui; e, per mettere insieme questa bella abbondanza, ho dovuto
picchiare a dieci porte.»
«Ma! le annate vanno scarse, fra Galdino; e, quando s'ha a misurar il
pane, non si può allargar la mano nel resto.»
«E per far tornare il buon tempo, che rimedio c'è, la mia donna?
L'elemosina. Sapete di quel miracolo delle noci, che avvenne, molt'anni
sono, in quel nostro convento di Romagna?»
«No, in verità; raccontatemelo un poco.»
«Oh! dovete dunque sapere che, in quel convento, c'era un nostro
padre, il quale era un santo, e si chiamava il padre Macario. Un
giorno d'inverno, passando per una viottola, in un campo d'un nostro
benefattore, uomo dabbene anche lui, il padre Macario vide questo
benefattore vicino a un suo gran noce; e quattro contadini, con le
zappe in aria, che principiavano a scalzar la pianta, per metterle le
radici al sole.--Che fate voi a quella povera pianta? domandò il padre
Macario.--Eh! padre, son anni e anni che la non mi vuol far noci; e
io ne faccio legna.--Lasciatela stare, disse il padre: sappiate che,
quest'anno, la farà più noci che foglie. Il benefattore, che sapeva chi
era colui che aveva detta quella parola, ordinò subito ai lavoratori,
che gettasser di nuovo la terra sulle radici; e, chiamato il padre,
che continuava la sua strada,--padre Macario, gli disse, la metà della
raccolta sarà per il convento.--Si sparse la voce della predizione;
e tutti correvano a guardare il noce. In fatti, a primavera, fiori a
bizzeffe, e, a suo tempo, noci a bizzeffe. Il buon benefattore non
ebbe la consolazione di bacchiarle; perchè andò, prima della raccolta,
a ricevere il premio della sua carità. Ma il miracolo fu tanto più
grande, come sentirete. Quel brav'uomo aveva lasciato un figliuolo di
stampa ben diversa. Or dunque, alla raccolta, il cercatore andò per
riscotere la metà ch'era dovuta al convento; ma colui se ne fece nuovo
affatto, ed ebbe la temerità di rispondere che non aveva mai sentito
dire che i cappuccini sapessero far noci. Sapete ora cosa avvenne? Un
giorno, (sentite questa) lo scapestrato aveva invitato alcuni suoi
amici dello stesso pelo, e, gozzovigliando, raccontava la storia del
noce, e rideva de' frati. Que' giovinastri ebber voglia d'andar a
vedere quello sterminato mucchio di noci; e lui li mena su in granaio.
Ma sentite: apre l'uscio, va verso il cantuccio dov'era stato riposto
il gran mucchio, e mentre dice: guardate, guarda egli stesso e vede....
che cosa? Un bel mucchio di foglie secche di noce. Fu un esempio
questo? E il convento, in vece di scapitare, ci guadagnò; perchè, dopo
un così gran fatto, la cerca delle noci rendeva tanto, tanto, che un
benefattore, mosso a compassione del povero cercatore, fece al convento
la carità d'un asino, che aiutasse a portar le noci a casa. E si faceva
tant'olio, che ogni povero veniva a prenderne, secondo il suo bisogno;
perchè noi siam come il mare, che riceve acqua da tutte le parti, e la
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