I promessi sposi. - 29

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Fortunati quelli a cui vuol far del bene. Buon per voi, buon per voi.
Non abbiate paura, state allegra, chè m'ha comandato di farvi coraggio.
Glielo direte, eh? che v'ho fatto coraggio?»
«Chi è? perchè? che vuol da me? Io non son sua. Ditemi dove sono;
lasciatemi andare; dite a costoro che mi lascino andare, che mi portino
in qualche chiesa. Oh! voi che siete una donna, in nome di Maria
Vergine...!»
Quel nome santo e soave, già ripetuto con venerazione ne' primi anni,
e poi non più invocato per tanto tempo, nè forse sentito proferire,
faceva nella mente della sciagurata che lo sentiva in quel momento,
un'impressione confusa, strana, lenta, come la rimembranza della luce,
in un vecchione accecato da bambino.
Intanto l'innominato, ritto sulla porta del castello, guardava in
giù; e vedeva la bussola venir passo passo, come prima la carrozza,
e avanti, a una distanza che cresceva ogni momento, salir di corsa
il Nibbio. Quando questo fu in cima, il signore gli accennò che lo
seguisse; e andò con lui in una stanza del castello.
«Ebbene?» disse, fermandosi lì.
«Tutto a un puntino,» rispose, inchinandosi, il Nibbio: «l'avviso a
tempo, la donna a tempo, nessuno sul luogo, un urlo solo, nessuno
comparso, il cocchiere pronto, i cavalli bravi, nessun incontro: ma....»
«Ma che?»
«Ma.... dico il vero, che avrei avuto più piacere che l'ordine fosse
stato di darle una schioppettata nella schiena, senza sentirla parlare,
senza vederla in viso.»
«Cosa? cosa? che vuoi tu dire?»
«Voglio dire che tutto quel tempo, tutto quel tempo.... M'ha fatto
troppa compassione.»
«Compassione! Che sai tu di compassione? Cos'è la compassione?»
«Non l'ho mai capito così bene come questa volta: è una storia la
compassione un poco come la paura: se uno la lascia prender possesso,
non è più uomo.»
«Sentiamo un poco come ha fatto costei per moverti a compassione.»
«O signore illustrissimo! tanto tempo...! piangere, pregare, e far
cert'occhi, e diventar bianca bianca come morta, e poi singhiozzare, e
pregar di nuovo, e certe parole....»
--Non la voglio in casa costei,--pensava intanto l'innominato.--Sono
stato una bestia a impegnarmi; ma ho promesso, ho promesso. Quando
sarà lontana....--E alzando la testa, in atto di comando, verso il
Nibbio, «ora,» gli disse, «metti da parte la compassione: monta a
cavallo, prendi un compagno, due se vuoi; e va di corsa a casa di quel
don Rodrigo che tu sai. Digli che mandi.... ma subito subito, perchè
altrimenti....»
Ma un altro no interno più imperioso del primo gli proibì di finire.
«No,» disse con voce risoluta, quasi per esprimere a sè stesso il
comando di quella voce segreta, «no: va a riposarti; e domattina....
farai quello che ti dirò!»
--Un qualche demonio ha costei dalla sua,--pensava poi, rimasto solo,
ritto, con le braccia incrociate sul petto, e con lo sguardo immobile
sur una parte del pavimento, dove il raggio della luna, entrando da
una finestra alta, disegnava un quadrato di luce pallida, tagliata
a scacchi dalle grosse inferriate, e intagliata più minutamente dai
piccoli compartimenti delle vetriate.--Un qualche demonio, o.... un
qualche angelo che la protegge.... Compassione al Nibbio!... Domattina,
domattina di buon'ora, fuor di qui costei; al suo destino, e non se ne
parli più, e,--proseguiva tra sè, con quell'animo con cui si comanda
a un ragazzo indocile, sapendo che non ubbidirà,--e non ci si pensi
più. Quell'animale di don Rodrigo non mi venga a romper la testa con
ringraziamenti; che.... non voglio più sentir parlar di costei. L'ho
servito perchè.... perchè ho promesso: e ho promesso perchè.... è il
mio destino. Ma voglio che me lo paghi bene questo servizio, colui.
Vediamo un poco....--
E voleva almanaccare cosa avrebbe potuto richiedergli di scabroso,
per compenso, e quasi per pena; ma gli si attraversaron di nuovo alla
mente quelle parole: compassione al Nibbio!--Come può aver fatto
costei?--continuava, strascinato da quel pensiero.--Voglio vederla....
Eh! no.... Sì, voglio vederla.
E d'una stanza in un'altra, trovò una scaletta, e su a tastone, andò
alla camera della vecchia, e picchiò all'uscio con un calcio.
«Chi è?»
«Apri.»
A quella voce, la vecchia fece tre salti; e subito si sentì scorrere
il paletto negli anelli, e l'uscio si spalancò. L'innominato, dalla
soglia, diede un'occhiata in giro; e, al lume d'una lucerna che ardeva
sur un tavolino, vide Lucia rannicchiata in terra, nel canto il più
lontano dall'uscio.
«Chi t'ha detto che tu la buttassi là come un sacco di cenci,
sciagurata?» disse alla vecchia, con un cipiglio iracondo.
«S'è messa dove le è piaciuto,» rispose umilmente colei: «io ho fatto
di tutto per farle coraggio: lo può dire anche lei; ma non c'è stato
verso.»
«Alzatevi,» disse l'innominato a Lucia, andandole vicino. Ma Lucia, a
cui il picchiare, l'aprire, il comparir di quell'uomo, le sue parole,
avevan messo un nuovo spavento nell'animo spaventato, stava più che
mai raggomitolata nel cantuccio, col viso nascosto tra le mani, e non
movendosi, se non che tremava tutta.
«Alzatevi, chè non voglio farvi del male.... e posso farvi del bene,»
ripetè il signore.... «Alzatevi!» tonò poi quella voce, sdegnata d'aver
due volte comandato invano.
Come rinvigorita dallo spavento, l'infelicissima si rizzò subito
inginocchioni; e giungendo le mani, come avrebbe fatto davanti a
un'immagine, alzò gli occhi in viso all'innominato, e riabbassandoli
subito, disse: «son qui: m'ammazzi.»
«V'ho detto che non voglio farvi del male,» rispose, con voce mitigata,
l'innominato, fissando quel viso turbato dall'accoramento e dal terrore.
«Coraggio, coraggio,» diceva la vecchia: «se ve lo dice lui, che non
vuoi farvi del male....»
«E perchè,» riprese Lucia con una voce, in cui, col tremito della
paura, si sentiva una certa sicurezza dell'indegnazione disperata,
«perchè mi fa patire le pene dell'inferno? Cosa le ho fatto io?...»
«V'hanno forse maltrattata? Parlate.»
«Oh maltrattata! M'hanno presa a tradimento, per forza! perchè? perchè
m'hanno presa? perchè son qui? dove sono? Sono una povera creatura:
cosa le ho fatto? In nome di Dio....»
«Dio, Dio,» interruppe l'innominato: «sempre Dio: coloro che non
possono difendersi da sè, che non hanno la forza, sempre han questo Dio
da mettere in campo, come se gli avessero parlato. Cosa pretendete con
codesta vostra parola. Di farmi...?» e lasciò la frase a mezzo.
[Illustrazione: «O Vergine santissima! Voi, a cui mi sono raccomandata
tante volte».... (pag. 309)]
«Oh Signore! pretendere! Cosa posso pretendere io meschina, se non
che lei mi usi misericordia? Dio perdona tante cose, per un'opera di
misericordia! Mi lasci andare; per carità mi lasci andare! Non torna
conto a uno che un giorno deve morire di far patir tanto una povera
creatura. Oh! lei che può comandare, dica che mi lascino andare!
M'hanno portata qui per forza. Mi mandi con questa donna a ***, dov'è
mia madre. Oh Vergine santissima! mia madre! mia madre, per carità, mia
madre! Forse non è lontana di qui.... ho veduto i miei monti! Perchè
lei mi fa patire? Mi faccia condurre in una chiesa. Pregherò per lei,
tutta la mia vita. Cosa le costa dire una parola? Oh ecco! vedo che si
move a compassione: dica una parola, la dica. Dio perdona tante cose,
per un'opera di misericordia!»
--Oh perchè non è figlia d'uno di que' cani che m'hanno
bandito!--pensava l'innominato:--d'uno di que' vili che mi vorrebbero
morto! che ora godrei di questo suo strillare; e in vece....--
«Non iscacci una buona ispirazione!» proseguiva fervidamente Lucia,
rianimata dal vedere una cert'aria d'esitazione nel viso e nel contegno
del suo tiranno. «Se lei non mi fa questa carità, me la farà il
Signore: mi farà morire, e per me sarà finita; ma lei!... Forse un
giorno anche lei.... Ma no, no; pregherò sempre io il Signore che la
preservi da ogni male. Cosa le costa dire una parola? Se provasse lei a
patir queste pene...!»
«Via, fatevi coraggio,» interruppe l'innominato, con una dolcezza che
fece strasecolar la vecchia. «V'ho fatto nessun male? V'ho minacciata?»
«Oh no! Vedo che lei ha buon cuore, e che sente pietà di questa povera
creatura. Se lei volesse, potrebbe farmi paura più di tutti gli altri,
potrebbe farmi morire; e in vece mi ha.... un po' allargato il cuore.
Dio gliene renderà merito. Compisca l'opera di misericordia: mi liberi,
mi liberi.»
«Domattina....»
«Oh mi liberi ora, subito....»
«Domattina ci rivedremo, vi dico. Via, intanto fatevi coraggio.
Riposate. Dovete aver bisogno di mangiare. Ora ve ne porteranno.»
«No, no; io moio se alcuno entra qui: io moio. Mi conduca lei in
chiesa.... que' passi Dio glieli conterà.»
«Verrà una donna a portarvi da mangiare,» disse l'innominato; e
dettolo, rimase stupito anche lui che gli fosse venuto in mente un
tal ripiego, e che gli fosse nato il bisogno di cercarne uno, per
rassicurare una donnicciola.
«E tu,» riprese poi subito, voltandosi alla vecchia, «falle coraggio
che mangi; mettila a dormire in questo letto: e se ti vuole in
compagnia, bene; altrimenti, tu puoi ben dormire una notte in terra.
Falle coraggio, ti dico; tienla allegra. E che non abbia a lamentarsi
di te!»
Così detto, si mosse rapidamente verso l'uscio. Lucia s'alzò e corse
per trattenerlo, e rinnovare la sua preghiera; ma era sparito.
«Oh povera me! Chiudete, chiudete subito.» E sentito ch'ebbe accostare
i battenti e scorrere il paletto, tornò a rannicchiarsi nel suo
cantuccio. «Oh povera me!» esclamò di nuovo singhiozzando: «chi
pregherò ora? Dove sono? Ditemi voi, ditemi per carità, chi è quel
signore.... quello che m'ha parlato?»
«Chi è, eh? chi è? Volete ch'io ve lo dica. Aspetta ch'io te lo dica.
Perchè vi protegge, avete messo su superbia; e volete esser soddisfatta
voi, e farne andar di mezzo me. Domandatene a lui. S'io vi contentassi
anche in questo, non mi toccherebbe di quelle buone parole che avete
sentite voi.»--Io son vecchia, son vecchia,--continuò, mormorando tra
i denti.--Maledette le giovani, che fanno bel vedere a piangere e a
ridere, e hanno sempre ragione.--Ma sentendo Lucia singhiozzare, e
tornandole minaccioso alla mente il comando del padrone, si chinò verso
la povera rincantucciata, e, con voce raddolcita, riprese: «via, non
v'ho detto niente di male: state allegra. Non mi domandate di quelle
cose che non vi posso dire; e del resto, state di buon animo. Oh se
sapeste quanta gente sarebbe contenta di sentirlo parlare come ha
parlato a voi! State allegra, chè or ora verrà da mangiare; e io che
capisco.... nella maniera che v'ha parlato, ci sarà della roba buona.
E poi anderete a letto, e.... mi lascerete un cantuccino anche a me,
spero,» soggiunse, con una voce, suo malgrado, stizzosa.
«Non voglio mangiare, non voglio dormire. Lasciatemi stare; non
v'accostate; non partite di qui!»
«No, no, via,» disse la vecchia, ritirandosi, e mettendosi a sedere sur
una seggiolaccia, donde dava alla poverina certe occhiate di terrore
e d'astio insieme; e poi guardava il suo covo, rodendosi d'esserne
forse esclusa per tutta la notte, e brontolando contro il freddo. Ma
si rallegrava col pensiero della cena, e con la speranza che ce ne
sarebbe anche per lei. Lucia non s'avvedeva del freddo, non sentiva la
fame, e come sbalordita, non aveva de' suoi dolori, de' suoi terrori
stessi, che un sentimento confuso, simile all'immagini sognate da un
febbricitante.
Si riscosse quando senti picchiare; e, alzando la faccia atterrita,
gridò: «chi è? chi è? Non venga nessuno!»
«Nulla, nulla; buone nuove,» disse la vecchia: «è Marta che porta da
mangiare.»
«Chiudete, chiudete!» gridava Lucia.
«Ih! subito, subito,» rispondeva la vecchia; e presa una paniera dalle
mani di quella Marta, la mandò via, richiuse, e venne a posar la
paniera sur una tavola nel mezzo della camera. Invitò poi più volte
Lucia che venisse a goder di quella buona roba. Adoprava le parole più
efficaci, secondo lei, a mettere appetito alla poverina, prorompeva in
esclamazioni sulla squisitezza de' cibi: «di que' bocconi che, quando
le persone come noi possono arrivare a assaggiarne, se ne ricordan
per un pezzo! Del vino che beve il padrone co' suoi amici.... quando
capita qualcheduno di quelli...! e vogliono stare allegri! Ehm!» Ma
vedendo che tutti gl'incanti riuscivano inutili, «siete voi che non
volete,» disse. «Non istate poi a dirgli domani ch'io non v'ho fatto
coraggio. Mangerò io; e ne resterà più che abbastanza per voi, per
quando metterete giudizio, e vorrete ubbidire.» Così detto, si mise a
mangiare avidamente. Saziata che fu, s'alzò, andò verso il cantuccio,
e, chinandosi sopra Lucia, l'invitò di nuovo a mangiare, per andar poi
a letto.
«No, no, non voglio nulla,» rispose questa, con voce fiacca e come
sonnolenta. Poi, con più risolutezza, riprese: «è serrato l'uscio? è
serrato bene?» E dopo aver guardato in giro per la camera, s'alzò, e,
con le mani avanti, con passo sospettoso, andava verso quella parte.
La vecchia ci corse prima di lei, stese la mano al paletto, lo scosse,
e disse: «sentite? vedete? è serrato bene? siete contenta ora?»
«Oh contenta! contenta io qui!» disse Lucia, rimettendosi di nuovo nel
suo cantuccio. «Ma il Signore lo sa che ci sono!»
«Venite a letto: cosa volete far lì, accucciata come un cane? S'è mai
visto rifiutare i comodi, quando si possono avere?»
«No, no; lasciatemi stare.»
«Siete voi che lo volete. Ecco, io vi lascio il posto buono: mi metto
sulla sponda; starò incomoda per voi. Se volete venire a letto, sapete
come avete a fare. Ricordatevi che v'ho pregata più volte.» Così
dicendo, si cacciò sotto, vestita; e tutto tacque.
Lucia stava immobile in quel cantuccio, tutta in un gomitolo, con
le ginocchia alzate, con le mani appoggiate sulle ginocchia, e col
viso nascosto nelle mani. Non era il suo nè sonno nè veglia, ma una
rapida successione, una torbida vicenda di pensieri, d'immaginazioni,
di spaventi. Ora, più presente a sè stessa, e rammentandosi più
distintamente gli orrori veduti e sofferti in quella giornata,
s'applicava dolorosamente alle circostanze dell'oscura e formidabile
realtà in cui si trovava avviluppata; ora la mente, trasportata in
una regione ancor più oscura, si dibatteva contro i fantasmi nati
dall'incertezza e dal terrore. Stette un pezzo in quest'angoscia;
alfine, più che mai stanca e abbattuta, stese le membra intormentite,
si sdraiò, o cadde sdraiata, e rimase alquanto in uno stato più
somigliante a un sonno vero. Ma tutt'a un tratto si risentì, come a
una chiamata interna, e provò il bisogno di risentirsi interamente,
di riaver tutto il suo pensiero, di conoscere dove fosse, come,
perchè. Tese l'orecchio a un suono: era il russare lento, arrantolato
della vecchia; spalancò gli occhi, e vide un chiarore fioco apparire
e sparire a vicenda: era il lucignolo della lucerna, che, vicino a
spegnersi, scoccava una luce tremola, e subito la ritirava, per dir
così, indietro, come è il venire e l'andare dell'onda sulla riva: e
quella luce, fuggendo dagli oggetti, prima che prendessero da essa
rilievo e colore distinto, non rappresentava allo sguardo che una
successione di guazzabugli. Ma ben presto le recenti impressioni,
ricomparendo nella mente, l'aiutarono a distinguere ciò che appariva
confuso al senso. L'infelice risvegliata riconobbe la sua prigione:
tutte le memorie dell'orribil giornata trascorsa, tutti i terrori
dell'avvenire, l'assalirono in una volta: quella nuova quiete stessa
dopo tante agitazioni, quella specie di riposo, quell'abbandono in cui
era lasciata, le facevano un nuovo terrore: e fu vinta da un tale
affanno, che desiderò di morire. Ma in quel momento, si rammentò che
poteva almen pregare, e insieme con quel pensiero, le spuntò in cuore
come un'improvvisa speranza. Prese di nuovo la sua corona, e ricominciò
a dire il rosario; e, di mano in mano che la preghiera usciva dal suo
labbro tremante, il cuore sentiva crescere una fiducia indeterminata.
Tutt'a un tratto, le passò per la mente un altro pensiero: che la sua
orazione sarebbe stata più accetta e più certamente esaudita, quando,
nella sua desolazione, facesse anche qualche offerta. Si ricordò di
quello che aveva di più caro, o che di più caro aveva avuto; giacchè,
in quel momento, l'animo suo non poteva sentire altra affezione che di
spavento, nè concepire altro desiderio che della liberazione; se ne
ricordò, e risolvette subito di farne un sacrifizio. S'alzò, e si mise
in ginocchio, e tenendo giunte al petto le mani, dalle quali pendeva
la corona, alzò il viso e le pupille al cielo, e disse: «o Vergine
santissima! Voi, a cui mi sono raccomandata tante volte, e che tante
volte m'avete consolata! Voi che avete patito tanti dolori, e siete ora
tanto gloriosa, e avete fatti tanti miracoli per i poveri tribolati;
aiutatemi! fatemi uscire da questo pericolo, fatemi tornar salva con
mia madre, o Madre del Signore; e fo voto a voi di rimaner vergine;
rinunzio per sempre a quel mio poveretto, per non esser mai d'altri che
vostra.»
Proferite queste parole, abbassò la testa, e si mise la corona intorno
al collo, quasi come un segno di consacrazione, e una salvaguardia a
un tempo, come un'armatura della nuova milizia a cui s'era ascritta.
Rimessasi a sedere in terra, sentì entrar nell'animo una certa
tranquillità, una più larga fiducia. Le venne in mente quel _domattina_
ripetuto dallo sconosciuto potente, e le parve di sentire in quella
parola una promessa di salvazione. I sensi affaticati da tanta guerra
s'assopirono a poco a poco in quell'acquietamento di pensieri; e
finalmente, già vicino a giorno, col nome della sua protettrice tronco
tra le labbra, Lucia s'addormentò d'un sonno perfetto e continuo.
Ma c'era qualchedun altro in quello stesso castello, che avrebbe voluto
fare altrettanto, e non potè mai. Partito, o quasi scappato da Lucia,
dato l'ordine per la cena di lei, fatta una consueta visita a certi
posti del castello, sempre con quell'immagine viva nella mente, e
con quelle parole risonanti all'orecchio, il signore s'era andato a
cacciare in camera, s'era chiuso dentro in fretta e in furia, come se
avesse avuto a trincerarsi contro una squadra di nemici; e spogliatosi,
pure in furia, era andato a letto. Ma quell'immagine, più che mai
presente, parve che in quel momento gli dicesse: tu non dormirai.--Che
sciocca curiosità da donnicciola,--pensava,--m'è venuta di vederla? Ha
ragione quel bestione del Nibbio; uno non è più uomo; è vero, non è più
uomo!... Io?... io non son più uomo, io? Cos'è stato? che diavolo m'è
venuto addosso? che c'è di nuovo? Non lo sapevo io prima d'ora, che le
donne strillano? Strillano anche gli uomini alle volte, quando non si
possono rivoltare. Che diavolo! non ho mai sentito belar donne?--
E qui, senza che s'affaticasse molto a rintracciare nella memoria,
la memoria da sè gli rappresentò più d'un caso in cui nè preghi nè
lamenti non l'avevano punto smosso dal compire le sue risoluzioni. Ma
la rimembranza di tali imprese, non che gli ridonasse la fermezza,
che già gli mancava, di compir questa; non che spegnesse nell'animo
quella molesta pietà; vi destava invece una specie di terrore, una non
so qual rabbia di pentimento. Di maniera che gli parve un sollievo il
tornare a quella prima immagine di Lucia, contro la quale aveva cercato
di rinfrancare il suo coraggio.--È viva costei,--pensava,--è qui;
sono a tempo; le posso dire: andate, rallegratevi; posso veder quel
viso cambiarsi, le posso anche dire: perdonatemi.... Perdonatemi? io
domandar perdono? a una donna? io...! Ah, eppure! se una parola, una
parola tale mi potesse far bene, levarmi d'addosso un po' di questa
diavoleria, la direi; eh! sento che la direi. A che cosa son ridotto!
Non son più uomo, non son più uomo!... Via!--disse poi, rivoltandosi
arrabbiatamente nel letto divenuto duro duro, sotto le coperte divenute
pesanti pesanti:--via! sono sciocchezze che mi son passate per la testa
altre volte. Passerà anche questa.--
E per farla passare, andò cercando col pensiero qualche cosa
importante, qualcheduna di quelle che solevano occuparlo fortemente,
onde applicarvelo tutto; ma non ne trovò nessuna. Tutto gli appariva
cambiato: ciò che altre volte stimolava più fortemente i suoi desidèri,
ora non aveva più nulla di desiderabile: la passione, come un cavallo
divenuto tutt'a un tratto restìo per un'ombra, non voleva più andare
avanti. Pensando all'imprese avviate e non finite, in vece d'animarsi
al compimento, in vece d'irritarsi degli ostacoli (chè l'ira in quel
momento gli sarebbe parsa soave), sentiva una tristezza, quasi uno
spavento de' passi già fatti. Il tempo gli s'affacciò davanti vôto
d'ogni intento, d'ogni occupazione, d'ogni volere, pieno soltanto di
memorie intollerabili; tutte l'ore somiglianti a quella che gli passava
così lenta, così pesante sul capo. Si schierava nella fantasia tutti
i suoi malandrini, e non trovava da comandare a nessuno di loro una
cosa che gl'importasse; anzi l'idea di rivederli, di trovarsi tra loro,
era un nuovo peso, un'idea di schifo e d'impiccio. E se volle trovare
un'occupazione per l'indomani, un'opera fattibile, dovette pensare che
all'indomani poteva lasciare in libertà quella poverina.
--La libererò, sì; appena spunta il giorno, correrò da lei, e le dirò:
andate, andate. La farò accompagnare.... E la promessa? e l'impegno? e
don Rodrigo?... Chi è don Rodrigo?--
A guisa di chi è colto da una interrogazione inaspettata e imbarazzante
d'un superiore, l'innominato pensò subito a rispondere a questa che
s'era fatta lui stesso, o piuttosto quel nuovo lui, che cresciuto
terribilmente a un tratto, sorgeva come a giudicare l'antico. Andava
dunque cercando le ragioni per cui, prima quasi d'esser pregato, s'era
potuto risolvere a prender l'impegno di far tanto patire, senz'odio,
senza timore, un'infelice sconosciuta, per servire colui; ma, non che
riuscisse a trovar ragioni che in quel momento gli paressero buone a
scusare il fatto, non sapeva quasi spiegare a sè stesso come ci si
fosse indotto. Quel volere, piuttosto che una deliberazione, era stato
un movimento istantaneo dell'animo ubbidiente a sentimenti antichi,
abituali, una conseguenza di mille fatti antecedenti; e il tormentato
esaminator di sè stesso, per rendersi ragione d'un sol fatto, si trovò
ingolfato nell'esame di tutta la sua vita. Indietro, indietro, d'anno
in anno, d'impegno in impegno, di sangue in sangue, di scelleratezza
in scelleratezza: ognuna ricompariva all'animo consapevole e nuovo,
separata da' sentimenti che l'avevan fatta volere e commettere;
ricompariva con una mostruosità che que' sentimenti non avevano allora
lasciato scorgere in essa. Eran tutte sue, eran lui: l'orrore di questo
pensiero, rinascente a ognuna di quell'immagini, attaccato a tutte,
crebbe fino alla disperazione. S'alzò in furia a sedere, gettò in
furia le mani alla parete accanto al letto, afferrò una pistola, la
staccò, e.... al momento di finire una vita divenuta insopportabile, il
suo pensiero sorpreso da un terrore, da un'inquietudine, per dir così,
superstite, si slanciò nel tempo che pure continuerebbe a scorrere
dopo la sua fine. S'immaginava con raccapriccio il suo cadavere
sformato, immobile, in balía del più vile sopravvissuto; la sorpresa,
la confusione nel castello, il giorno dopo: ogni cosa sottosopra; lui,
senza forza, senza voce, buttato chi sa dove. Immaginava i discorsi che
se ne sarebber fatti lì, d'intorno, lontano; la gioia de' suoi nemici.
Anche le tenebre, anche il silenzio, gli facevan veder nella morte
qualcosa di più tristo, di spaventevole; gli pareva che non avrebbe
esitato, se fosse stato di giorno, all'aperto, in faccia alla gente:
buttarsi in un fiume e sparire. E assorto in queste contemplazioni
tormentose, andava alzando e riabbassando, con una forza convulsiva
del pollice, il cane della pistola; quando gli balenò in mente un
altro pensiero.--Se quell'altra vita di cui m'hanno parlato quand'ero
ragazzo, di cui parlano sempre, come se fosse cosa sicura; se quella
vita non c'è; se è un'invenzione de' preti; che fo io? perchè morire?
cos'importa quello che ho fatto? cos'importa? è una pazzia la mia.... E
se c'è quest'altra vita....!--
[Illustrazione: FEDERIGO BORROMEO (pag. 316)]
A un tal dubbio, a un tal rischio, gli venne addosso una disperazione
più nera, più grave, dalla quale non si poteva fuggire, neppur con la
morte. Lasciò cader l'arme, e stava con le mani ne' capelli, battendo
i denti, tremando. Tutt'a un tratto, gli tornarono in mente parole che
aveva sentite e risentite, poche ore prima:--Dio perdona tante cose,
per un'opera di misericordia!--E non gli tornavan già con quell'accento
d'umile preghiera, con cui erano state proferite; ma con un suono pieno
d'autorità, e che insieme induceva una lontana speranza. Fu quello un
momento di sollievo: levò le mani dalle tempie, e, in un'attitudine più
composta, fissò gli occhi della mente in colei da cui aveva sentite
quelle parole, e la vedeva, non come la sua prigioniera, non come
una supplichevole, ma in atto di chi dispensa grazie e consolazioni.
Aspettava ansiosamente il giorno, per correre a liberarla, a sentire
dalla bocca di lei altre parole di refrigerio e di vita; s'immaginava
di condurla lui stesso alla madre.--E poi? che farò domani, il resto
della giornata? che farò doman l'altro? che farò dopo doman l'altro? E
la notte? la notte, che tornerà tra dodici ore! Oh la notte! no, no,
la notte!--E ricaduto nel vôto penoso dell'avvenire, cercava indarno
un impiego del tempo, una maniera di passare i giorni, le notti.
Ora si proponeva d'abbandonare il castello, e d'andarsene in paesi
lontani, dove nessun lo conoscesse, neppur di nome; ma sentiva che
lui, lui sarebbe sempre con sè: ora gli rinasceva una fosca speranza
di ripigliar l'animo antico, le antiche voglie; e che quello fosse
come un delirio passeggiero; ora temeva il giorno, che doveva farlo
vedere a' suoi così miserabilmente mutato; ora lo sospirava, come
se dovesse portar la luce anche ne' suoi pensieri. Ed ecco, appunto
sull'albeggiare, pochi momenti dopo che Lucia s'era addormentata,
ecco che, stando così immoto a sedere, sentì arrivarsi all'orecchio
come un'onda di suono non bene espresso, ma che pure aveva non so che
d'allegro. Stette attento, e riconobbe uno scampanare a festa lontano;
e dopo qualche momento, sentì anche l'eco del monte, che ogni tanto
ripeteva languidamente il concerto, e si confondeva con esso. Di lì a
poco, sente un altro scampanío più vicino, anche quello a festa; poi
un altro.--Che allegria c'è? cos'hanno di bello tutti costoro?--Saltò
fuori da quel covile di pruni; e vestitosi a mezzo, corse a aprire
una finestra, e guardò. Le montagne eran mezze velate di nebbia; il
cielo, piuttosto che nuvoloso, era tutto una nuvola cenerognola; ma,
al chiarore che pure andava a poco a poco crescendo, si distingueva,
nella strada in fondo alla valle, gente che passava, altra che usciva
dalle case, e s'avviava, tutti dalla stessa parte, verso lo sbocco, a
destra del castello, tutti col vestito delle feste, e con un'alacrità
straordinaria.
--Che diavolo hanno costoro? che c'è d'allegro in questo maledetto
paese? dove va tutta quella canaglia?--E data una voce a un bravo
fidato che dormiva in una stanza accanto, gli domandò qual fosse la
cagione di quel movimento. Quello, che ne sapeva quanto lui, rispose
che anderebbe subito a informarsene. Il signore rimase appoggiato
alla finestra, tutto intento al mobile spettacolo. Erano uomini,
donne, fanciulli, a brigate, a coppie, soli; uno, raggiungendo chi
gli era avanti, s'accompagnava con lui; un altro, uscendo di casa,
s'univa col primo che rintoppasse; e andavano insieme, come amici a un
viaggio convenuto. Gli atti indicavano manifestamente una fretta e
una gioia comune; e quel rimbombo non accordato ma consentaneo delle
varie campane, quali più, quali meno vicine, pareva, per dir così, la
voce di que' gesti, e il supplimento delle parole che non potevano
arrivar lassù. Guardava, guardava; e gli cresceva in cuore una più che
curiosità di saper cosa mai potesse comunicare un trasporto uguale a
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