I promessi sposi. - 13

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occhiali, l'aprì, cavò le berlinghe, le contò, le voltò, le rivoltò, le
trovò senza difetto.
«Ora, signor curato, mi darà la collana della mia Tecla.»
«È giusto,» rispose don Abbondio; poi andò a un armadio, si levò una
chiave di tasca, e, guardandosi intorno, come per tener lontani gli
spettatori, aprì una parte di sportello, riempì l'apertura con la
persona, mise dentro la testa, per guardare, e un braccio, per prender
la collana; la prese, e, chiuso l'armadio, la consegnò a Tonio,
dicendo: «va bene?»
«Ora,» disse Tonio, «si contenti di mettere un po' di nero sul bianco.»
«Anche questa!» disse don Abbondio: «le sanno tutte. Ih! com'è divenuto
sospettoso il mondo! Non vi fidate di me?»
«Come, signor curato! s'io mi fido? Lei mi fa torto. Ma siccome il mio
nome è sul suo libraccio, dalla parte del debito.... dunque, giacchè ha
già avuto l'incomodo di scrivere una volta, così.... dalla vita alla
morte....»
«Bene bene,» interruppe don Abbondio, e brontolando, tirò a sè una
cassetta del tavolino, levò fuori carta, penna e calamaio, e si mise
a scrivere, ripetendo a viva voce le parole, di mano in mano che
gli uscivan dalla penna. Frattanto Tonio e, a un suo cenno, Gervaso,
si piantaron ritti davanti al tavolino, in maniera d'impedire
allo scrivente la vista dell'uscio; e, come per ozio, andavano
stropicciando, co' piedi, il pavimento, per dar segno a quei ch'erano
fuori, d'entrare, e per confondere nello stesso tempo il rumore delle
loro pedate. Don Abbondio, immerso nella sua scrittura, non badava ad
altro. Allo stropiccío de' quattro piedi, Renzo prese un braccio di
Lucia, lo strinse, per darle coraggio, e si mosse, tirandosela dietro
tutta tremante, che da sè non vi sarebbe potuta venire. Entraron
pian piano, in punta di piedi, rattenendo il respiro; e si nascosero
dietro i due fratelli. Intanto don Abbondio, finito di scrivere,
rilesse attentamente, senza alzar gli occhi dalla carta; la piegò in
quattro, dicendo: «ora, sarete contento?» e, levatosi con una mano
gli occhiali dal naso, la porse con l'altra a Tonio, alzando il viso.
Tonio, allungando la mano per prender la carta, si ritirò da una parte;
Gervaso, a un suo cenno, dall'altra; e, nel mezzo, come al dividersi
d'una scena, apparvero Renzo e Lucia. Don Abbondio, vide confusamente,
poi vide chiaro, si spaventò, si stupì, s'infuriò, pensò, prese una
risoluzione: tutto questo nel tempo che Renzo mise a proferire le
parole: «signor curato, in presenza di questi testimoni, quest'è mia
moglie.» Le sue labbra non erano ancora tornate al posto, che don
Abbondio, lasciando cader la carta, aveva già afferrata e alzata,
con la mancina, la lucerna, ghermito, con la diritta, il tappeto del
tavolino, e tiratolo a sè, con furia, buttando in terra libro, carta,
calamaio e polverino, e, balzando tra la seggiola e il tavolino, s'era
avvicinato a Lucia. La poveretta, con quella sua voce soave, e allora
tutta tremante, aveva appena potuto proferire «e questo....» che don
Abbondio le aveva buttato sgarbatamente il tappeto sulla testa e
sul viso, per impedirle di pronunziare intera la formola. E subito,
lasciata cader la lucerna che teneva nell'altra mano, s'aiutò anche con
quella a imbacuccarla col tappeto, che quasi la soffogava; e intanto
gridava quanto n'aveva in canna: «Perpetua! Perpetua! tradimento!
aiuto!» Il lucignolo, che moriva sul pavimento, mandava una luce
languida e saltellante sopra Lucia, la quale, affatto smarrita, non
tentava neppure di svolgersi, e poteva parere una statua abbozzata in
creta, sulla quale l'artefice ha gettato un umido panno. Cessata ogni
luce, don Abbondio lasciò la poveretta, e andò cercando a tastoni
l'uscio che metteva a una stanza più interna; lo trovò, entrò in
quella, si chiuse dentro, gridando tuttavia: «Perpetua! tradimento!
aiuto! fuori di questa casa! fuori di questa casa!» Nell'altra stanza,
tutto era confusione: Renzo, cercando di fermare il curato, e remando
con le mani, come se facesse a mosca cieca, era arrivato all'uscio,
e picchiava, gridando: «apra, apra; non faccia schiamazzo.» Lucia
chiamava Renzo, con voce fioca, e diceva, pregando: «andiamo, andiamo,
per l'amor di Dio.» Tonio, carpone, andava spazzando con le mani
il pavimento, per veder di raccapezzare la sua ricevuta. Gervaso,
spiritato, gridava e saltellava, cercando l'uscio di scala, per uscire
a salvamento.
In mezzo a questo serra serra, non possiam lasciar di fermarci un
momento a fare una riflessione. Renzo, che strepitava di notte in casa
altrui, che vi s'era introdotto di soppiatto, e teneva il padrone
stesso assediato in una stanza, ha tutta l'apparenza d'un oppressore;
eppure, alla fin de' fatti, era l'oppresso. Don Abbondio, sorpreso,
messo in fuga, spaventato, mentre attendeva tranquillamente a' fatti
suoi, parrebbe la vittima; eppure, in realtà, era lui che faceva un
sopruso. Così va spesso il mondo.... voglio dire, così andava nel
secolo decimo settimo.
L'assediato, vedendo che il nemico non dava segno di ritirarsi, aprì
una finestra che guardava sulla piazza della chiesa, e si diede a
gridare: «aiuto! aiuto!» Era il più bel chiaro di luna; l'ombra della
chiesa, e più in fuori l'ombra lunga ed acuta del campanile, si
stendeva bruna e spiccata sul piano erboso e lucente della piazza:
ogni oggetto si poteva distinguere, quasi come di giorno. Ma, fin dove
arrivava lo sguardo, non appariva indizio di persona vivente. Contiguo
però al muro laterale della chiesa, e appunto dal lato che rispondeva
verso la casa parrocchiale, era un piccolo abituro, un bugigattolo,
dove dormiva il sagrestano. Fu questo riscosso da quel disordinato
grido, fece un salto, scese il letto in furia, aprì l'impannata d'una
sua finestrina, mise fuori la testa, con gli occhi tra' peli, e disse:
«cosa c'è?»
«Correte, Ambrogio! aiuto! gente in casa,» gridò verso lui don
Abbondio. «Vengo subito,» rispose quello; tirò indietro la testa,
richiuse la sua impannata, e, quantunque mezzo tra 'l sonno, e più che
mezzo sbigottito, trovò su due piedi un espediente per dar più aiuto
di quello che gli si chiedeva, senza mettersi lui nel tafferuglio,
quale si fosse. Dà di piglio alle brache, che teneva sul letto; se le
caccia sotto il braccio, come un cappello di gala, e giù balzelloni per
una scaletta di legno; corre al campanile, afferra la corda della più
grossa di due campanette che c'erano, e suona a martello.
Ton, ton, ton, ton: i contadini balzano a sedere sul letto; i
giovinetti sdraiati sul fenile, tendon l'orecchio, si rizzano. «Cos'è?
Cos'è? Campana a martello! fuoco? ladri? banditi?» Molte donne
consigliano, pregano i mariti, di non moversi, di lasciar correre gli
altri: alcuni s'alzano, e vanno alla finestra: i poltroni, come se si
arrendessero alle preghiere, ritornan sotto: i più curiosi e più bravi
scendono a prender le forche e gli schioppi, per correre al rumore:
altri stanno a vedere.
Ma, prima che quelli fossero all'ordine, prima anzi che fosser
ben desti, il rumore era giunto agli orecchi d'altre persone che
vegliavano, non lontano, ritte e vestite: i bravi in un luogo, Agnese
e Perpetua in un altro. Diremo prima brevemente ciò che facesser
coloro, dal momento in cui gli abbiamo lasciati, parte nel casolare
e parte all'osteria. Questi tre, quando videro tutti gli usci chiusi
e la strada deserta, uscirono in fretta, come se si fossero avvisti
d'aver fatto tardi, e dicendo di voler andar subito a casa; diedero una
giravolta per il paese, per venire in chiaro se tutti eran ritirati;
e in fatti, non incontrarono anima vivente, nè sentirono il più
piccolo strepito. Passarono anche, pian piano, davanti alla nostra
povera casetta: la più quieta di tutte, giacchè non c'era più nessuno.
Andarono allora diviato al casolare, e fecero la loro relazione al
signor Griso. Subito, questo si mise in testa un cappellaccio, sulle
spalle un sanrocchino di tela incerata, sparso di conchiglie; prese
un bordone da pellegrino, disse: «andiamo da bravi: zitti, e attenti
agli ordini,» s'incamminò il primo, gli altri dietro; e, in un momento,
arrivarono alla casetta, per una strada opposta a quella per cui se
n'era allontanata la nostra brigatella, andando anch'essa alla sua
spedizione. Il Griso trattenne la truppa, alcuni passi lontano, andò
innanzi solo ad esplorare, e, visto tutto deserto e tranquillo di
fuori, fece venire avanti due di quei tristi, diede loro ordine di
scalar adagino il muro che chiudeva il cortiletto, e, calati dentro,
nascondersi in un angolo, dietro un folto fico, sul quale aveva messo
l'occhio, la mattina. Ciò fatto, picchiò pian piano, con intenzione di
dirsi un pellegrino smarrito, che chiedeva ricovero, fino a giorno.
Nessun risponde: ripicchia un po' più forte; nemmeno uno zitto. Allora,
va a chiamare un terzo malandrino, lo fa scendere nel cortiletto, come
gli altri due, con l'ordine di sconficcare adagio il paletto, per aver
libero l'ingresso e la ritirata. Tutto s'eseguisce con gran cautela,
e con prospero successo. Va a chiamar gli altri, li fa entrar con
sè, li manda a nascondersi accanto ai primi; accosta adagio adagio
l'uscio di strada, vi posta due sentinelle di dentro; e va diritto
all'uscio del terreno. Picchia anche lì, e aspetta: e' poteva ben
aspettare. Sconficca pian pianissimo anche quell'uscio: nessuno di
dentro dice: chi va là?; nessuno si fa sentire: meglio non può andare.
Avanti dunque: «st,» chiama quei del fico, entra con loro nella stanza
terrena, dove, la mattina, aveva scelleratamente accattato quel pezzo
di pane. Cava fuori esca, pietra, acciarino e zolfanelli, accende un
suo lanternino, entra nell'altra stanza più interna, per accertarsi che
nessun ci sia: non c'è nessuno. Torna indietro, va all'uscio di scala,
guarda, porge l'orecchio: solitudine e silenzio. Lascia due altre
sentinelle a terreno, si fa venir dietro il Grignapoco, ch'era un bravo
del contado di Bergamo, il quale solo doveva minacciare, acchetare,
comandare, essere in somma il dicitore, affinchè il suo linguaggio
potesse far credere ad Agnese che la spedizione veniva da quella
parte. Con costui al fianco, e gli altri dietro, il Griso sale adagio
adagio, bestemmiando in cuor suo ogni scalino che scricchiolasse, ogni
passo di que' mascalzoni che facesse rumore. Finalmente è in cima.
Qui giace la lepre. Spinge mollemente l'uscio che mette alla prima
stanza; l'uscio cede, si fa spiraglio: vi mette l'occhio; è buio: vi
mette l'orecchio, per sentire se qualcheduno russa, fiata, brulica là
dentro; niente. Dunque avanti: si mette la lanterna davanti al viso,
per vedere, senza esser veduto, spalanca l'uscio, vede un letto;
addosso: il letto è fatto e spianato, con la rimboccatura arrovesciata,
e composta sul capezzale. Si stringe nelle spalle, si volta alla
compagnia, accenna loro che va a vedere nell'altra stanza, e che gli
vengan dietro pian piano; entra, fa le stesse cerimonie, trova la
stessa cosa. «Che diavolo è questo?» dice allora: «che qualche cane
traditore abbia fatto la spia?» Si metton tutti, con men cautela, a
guardare, a tastare per ogni canto, buttan sottosopra la casa. Mentre
costoro sono in tali faccende, i due che fan la guardia all'uscio di
strada, sentono un calpestío di passini frettolosi, che s'avvicinano
in fretta; s'immaginano che, chiunque sia, passerà diritto; stan
quieti, e, a buon conto, si mettono all'erta. In fatti, il calpestío si
ferma appunto all'uscio. Era Menico che veniva di corsa, mandato dal
padre Cristoforo ad avvisar le due donne che, per l'amor del cielo,
scappassero subito di casa, e si rifugiassero al convento, perchè....
il perchè lo sapete. Prende la maniglia del paletto, per picchiare,
e se lo sente tentennare in mano, schiodato e sconficcato.--Che è
questo?--pensa; e spinge l'uscio con paura: quello s'apre. Menico mette
il piede dentro, in gran sospetto, e si sente a un punto acchiappar per
le braccia, e due voci sommesse, a destra e a sinistra, che dicono,
in tono minaccioso: «zitto! o sei morto.» Lui in vece caccia un urlo:
uno di que' malandrini gli mette una mano alla bocca; l'altro tira
fuori un coltellaccio, per fargli paura. Il garzoncello trema come
una foglia, e non tenta neppur di gridare; ma, tutt'a un tratto, in
vece di lui, e con ben altro tono, si fa sentir quel primo tocco di
campana così fatto, e dietro una tempesta di rintocchi in fila. Chi
è in difetto è in sospetto, dice il proverbio milanese: all'uno e
all'altro furfante parve di sentire in que' tocchi il suo nome, cognome
e soprannome: lasciano andar le braccia di Menico, ritirano le loro in
furia, spalancan la mano e la bocca, si guardano in viso, e corrono
alla casa, dov'era il grosso della compagnia. Menico, via a gambe per
la strada, alla volta del campanile, dove a buon conto qualcheduno ci
doveva essere. Agli altri furfanti che frugavan la casa, dall'alto al
basso, il terribile tocco fece la stessa impressione: si confondono, si
scompigliano, s'urtano a vicenda: ognuno cerca la strada più corta, per
arrivare all'uscio. Eppure era tutta gente provata e avvezza a mostrare
il viso: ma non poterono star saldi contro un pericolo indeterminato,
e che non s'era fatto vedere un po' da lontano, prima di venir loro
addosso. Ci volle tutta la superiorità del Griso a tenerli insieme,
tanto che fosse ritirata e non fuga. Come il cane che scorta una mandra
di porci, corre or qua or là a quei che si sbandano; ne addenta uno
per un orecchio, e lo tira in ischiera; ne spinge un altro col muso;
abbaia a un altro che esce di fila in quel momento; così il pellegrino
acciuffa un di coloro, che già toccava la soglia, e lo strappa
indietro; caccia indietro col bordone uno e un altro che s'avviavan da
quella parte: grida agli altri che corron qua e là, senza saper dove;
tanto che li raccozzò tutti nel mezzo del cortiletto. «Presto, presto!
pistole in mano, coltelli in pronto, tutti insieme; e poi anderemo:
così si va. Chi volete che ci tocchi, se stiam ben insieme, sciocconi?
Ma, se ci lasciamo acchiappare a uno a uno, anche i villani ce ne
daranno. Vergogna! Dietro a me, e uniti.» Dopo questa breve aringa, si
mise alla fronte, e uscì il primo. La casa, come abbiam detto, era in
fondo al villaggio; il Griso prese la strada che metteva fuori, e tutti
gli andaron dietro in buon ordine.
Lasciamoli andare, e torniamo un passo indietro a prendere Agnese e
Perpetua, che abbiam lasciate in una certa stradetta. Agnese aveva
procurato d'allontanar l'altra dalla casa di don Abbondio, il più che
fosse possibile; e, fino a un certo punto, la cosa era andata bene. Ma
tutt'a un tratto, la serva s'era ricordata dell'uscio rimasto aperto,
e aveva voluto tornare indietro. Non c'era che ridire: Agnese, per
non farle nascere qualche sospetto, aveva dovuto voltar con lei, e
andarle dietro, cercando però di trattenerla, ogni volta che la vedesse
riscaldata ben bene nel racconto di que' tali matrimoni andati a
monte. Mostrava di darle molta udienza, e, ogni tanto, per far vedere
che stava attenta, o per ravviare il cicalío, diceva: «sicuro: adesso
capisco: va benissimo: è chiara: e poi? e lui? e voi?» Ma intanto,
faceva un altro discorso con sè stessa.--Saranno usciti a quest'ora?
o saranno ancor dentro? Che sciocchi che siamo stati tutt'e tre, a
non concertar qualche segnale, per avvisarmi, quando la cosa fosse
riuscita! È stata proprio grossa! Ma è fatta: ora non c'è altro che
tener costei a bada, più che posso: alla peggio, sarà un po' di tempo
perduto.--Così, a corserelle e a fermatine, eran tornate poco distante
dalla casa di don Abbondio, la quale però non vedevano, per ragione
di quella cantonata: e Perpetua, trovandosi a un punto importante del
racconto, s'era lasciata fermare senza far resistenza, anzi senza
avvedersene; quando, tutt'a un tratto, si sentì venir rimbombando
dall'alto, nel vano immoto dell'aria, per l'ampio silenzio della notte,
quel primo sgangherato grido di don Abbondio: «aiuto! aiuto!»
«Misericordia! cos'è stato?» gridò Perpetua, e volle correre.
«Cosa c'è? cosa c'è?» disse Agnese, tenendola per la sottana.
«Misericordia! non avete sentito?» replicò quella, svincolandosi.
«Cosa c'è? cosa c'è?» ripetè Agnese, afferrandola per un braccio.
«Diavolo d'una donna!» esclamò Perpetua, respingendola, per mettersi
in libertà; e prese la rincorsa. Quando, più lontano, più acuto, più
istantaneo, si sente l'urlo di Menico.
«Misericordia!» grida anche Agnese; e di galoppo dietro l'altra. Avevan
quasi appena alzati i calcagni, quando scoccò la campana: un tocco, e
due, e tre, e seguita: sarebbero stati sproni, se quelle ne avessero
avuto bisogno. Perpetua arriva, un momento prima dell'altra; mentre
vuole spinger l'uscio, l'uscio si spalanca di dentro, e sulla soglia
compariscono Tonio, Gervaso, Renzo, Lucia, che, trovata la scala,
eran venuti giù saltelloni; e, sentendo poi quel terribile scampanío,
correvano in furia, a mettersi in salvo.
«Cosa c'è? cosa c'è?» domandò Perpetua ansante ai fratelli, che le
risposero con un urtone, e scantonarono. «E voi! come! che fate qui
voi?» domandò poscia all'altra coppia, quando l'ebbe raffigurata. Ma
quelli pure usciron senza rispondere. Perpetua, per accorrere dove il
bisogno era maggiore, non domandò altro, entrò in fretta nell'andito, e
corse, come poteva al buio, verso la scala.
I due sposi rimasti promessi si trovarono in faccia Agnese, che
arrivava tutt'affannata. «Ah siete qui!» disse questa, cavando fuori
la parola a stento: «com'è andata? cos'è la campana? mi par d'aver
sentito....»
«A casa, a casa,» diceva Renzo, «prima che venga gente.» E s'avviavano;
ma arriva Menico di corsa, li riconosce, li ferma, e, ancor tutto
tremante, con voce mezza fioca, dice: «dove andate? indietro, indietro!
per di qua, al convento!»
«Sei tu che...?» cominciava Agnese.
«Cosa c'è d'altro?» domandava Renzo. Lucia, tutta smarrita, taceva e
tremava.
«C'è il diavolo in casa,» riprese Menico ansante. «Gli ho visti io:
m'hanno voluto ammazzare: l'ha detto il padre Cristoforo: e anche voi,
Renzo, ha detto che veniate subito: e poi gli ho visti io: provvidenza
che vi trovo qui tutti! vi dirò poi, quando saremo fuori.»
Renzo, ch'era il più in sè di tutti, pensò che, di qua o di là,
conveniva andar subito, prima che la gente accorresse; e che la più
sicura era di far ciò che Menico consigliava, anzi comandava, con
la forza d'uno spaventato. Per istrada poi, e fuor del pericolo, si
potrebbe domandare al ragazzo una spiegazione più chiara. «Cammina
avanti,» gli disse. «Andiam con lui,» disse alle donne. Voltarono,
s'incamminarono in fretta verso la chiesa, attraversaron la piazza,
dove per grazia del cielo, non c'era ancora anima vivente; entrarono in
una stradetta che era tra la chiesa e la casa di don Abbondio; al primo
buco che videro in una siepe, dentro, e via per i campi.
Non s'eran forse allontanati un cinquanta passi, quando la gente
cominciò ad accorrere sulla piazza, e ingrossava ogni momento. Si
guardavano in viso gli uni con gli altri: ognuno aveva una domanda
da fare, nessuno una risposta da dare. I primi arrivati corsero alla
porta della chiesa: era serrata. Corsero al campanile di fuori; e uno
di quelli, messa la bocca a un finestrino, una specie di feritoia,
cacciò dentro un: «che diavolo c'è?» Quando Ambrogio sentì una voce
conosciuta, lasciò andar la corda; e assicurato dal ronzío, ch'era
accorso molto popolo, rispose: «vengo ad aprire.» Si mise in fretta
l'arnese che aveva portato sotto il braccio, venne, dalla parte di
dentro, alla porta della chiesa, e l'aprì.
«Cos'è tutto questo fracasso?--Cos'è?--Dov'è?--Chi è?»
«Come, chi è?» disse Ambrogio, tenendo con una mano un battente
della porta, e, con l'altra, il lembo di quel tale arnese, che s'era
messo così in fretta: «come! non lo sapete? gente in casa del signor
curato. Animo, figliuoli: aiuto.» Si voltan tutti a quella casa, vi
s'avvicinano in folla, guardano in su, stanno in orecchi: tutto quieto.
Altri corrono dalla parte dove c'era l'uscio: è chiuso, e non par che
sia stato toccato. Guardano in su anche loro: non c'è una finestra
aperta: non si sente uno zitto.
«Chi è là dentro?--Ohe, ohe!--Signor curato!--Signor curato!»
Don Abbondio, il quale, appena accortosi della fuga degl'invasori,
s'era ritirato dalla finestra, e l'aveva richiusa, e che in questo
momento stava a bisticciar sottovoce con Perpetua, che l'aveva lasciato
solo in quell'imbroglio, dovette, quando si sentì chiamare a voce di
popolo, venir di nuovo alla finestra; e visto quel gran soccorso, si
pentì d'averlo chiesto.
«Cos'è stato?--Che le hanno fatto?--Chi sono costoro?--Dove sono?» gli
veniva gridato da cinquanta voci a un tratto.
«Non c'è più nessuno: vi ringrazio: tornate pure a casa.»
«Ma chi è stato?--Dove sono andati?--Che è accaduto?»
«Cattiva gente, gente che gira di notte; ma sono fuggiti: tornate a
casa; non c'è più niente: un'altra volta, figliuoli: vi ringrazio del
vostro buon cuore.» E, detto questo, si ritirò, e chiuse la finestra.
Qui alcuni cominciarono a brontolare, altri a canzonare, altri a
sagrare; altri si stringevan nelle spalle, e se n'andavano: quando
arriva uno tutto trafelato, che stentava a formar le parole. Stava
costui di casa quasi dirimpetto alle nostre donne, ed essendosi, al
rumore, affacciato alla finestra, aveva veduto nel cortiletto quello
scompiglio de' bravi, quando il Griso s'affannava a raccoglierli.
Quand'ebbe ripreso fiato, gridò: «che fate qui, figliuoli? non è qui il
diavolo; è giù in fondo alla strada, alla casa d'Agnese Mondella: gente
armata; son dentro; par che vogliano ammazzare un pellegrino; chi sa
che diavolo c'è!»
«Che?--Che?--Che?» E comincia una consulta tumultuosa. «Bisogna
andare.--Bisogna vedere.--Quanti sono?--Quanti siamo?--Chi sono?--Il
console! il console!»
«Son qui,» risponde il console, di mezzo alla folla: «son qui; ma
bisogna aiutarmi, bisogna ubbidire. Presto: dov'è il sagrestano? Alla
campana, alla campana. Presto: uno che corra a Lecco a cercar soccorso:
venite qui tutti....»
Chi accorre, chi sguizza tra uomo e uomo, e se la batte; il tumulto era
grande, quando arriva un altro, che gli aveva veduti partire in fretta,
e grida: «correte, figliuoli: ladri, o banditi che scappano con un
pellegrino: son già fuori del paese: addosso! addosso!» A quest'avviso,
senza aspettar gli ordini del capitano, si movono in massa, e giù
alla rinfusa per la strada; di mano in mano che l'esercito s'avanza,
qualcheduno di quei della vanguardia rallenta il passo, si lascia
sopravanzare, e si ficca nel corpo della battaglia: gli ultimi spingono
innanzi: lo sciame confuso giunge finalmente al luogo indicato. Le
tracce dell'invasione eran fresche e manifeste: l'uscio spalancato,
la serratura sconficcata; ma gl'invasori erano spariti. S'entra nel
cortile; si va all'uscio del terreno: aperto e sconficcato anche
quello: si chiama: «Agnese! Lucia! Il pellegrino! Dov'è il pellegrino?
L'avrà sognato Stefano, il pellegrino.--No, no: l'ha visto anche
Carlandrea. Ohe, pellegrino!--Agnese! Lucia!» Nessuno risponde. «Le
hanno portate via! Le hanno portate via!» Ci fu allora di quelli che,
alzando la voce, proposero d'inseguire i rapitori: che era un'infamità;
e sarebbe una vergogna per il paese, se ogni birbone potesse a man
salva venire a portar via le donne, come il nibbio i pulcini da un'aia
deserta. Nuova consulta e più tumultuosa; ma uno (e non si seppe mai
bene chi fosse stato) gettò nella brigata una voce, che Agnese e
Lucia s'eran messe in salvo in una casa. La voce corse rapidamente,
ottenne credenza; non si parlò più di dar la caccia ai fuggitivi; e la
brigata si sparpagliò, andando ognuno a casa sua. Era un bisbiglio, uno
strepito, un picchiare e un aprir d'usci, un apparire e uno sparir di
lucerne, un interrogare di donne dalle finestre, un rispondere dalla
strada. Tornata questa deserta e silenziosa, i discorsi continuaron
nelle case, e moriron negli sbadigli, per ricominciar poi la mattina.
Fatti però, non ce ne fu altri; se non che, quella medesima mattina,
il console, stando nel suo campo, col mento in una mano, e il gomito
appoggiato sul manico della vanga mezza ficcata nel terreno, e con un
piede sul vangile; stando, dico, a speculare tra sè sui misteri della
notte passata, e sulla ragion composta di ciò che gli toccasse a fare,
e di ciò che gli convenisse fare, vide venirsi incontro due uomini
d'assai gagliarda presenza, chiomati come due re de' Franchi della
prima razza, e somigliantissimi nel resto a que' due che cinque giorni
prima avevano affrontato don Abbondio, se pur non eran que' medesimi.
Costoro, con un fare ancor men cerimonioso, intimarono al console che
guardasse bene di non far deposizione al podestà dell'accaduto, di non
rispondere il vero, caso che ne venisse interrogato, di non ciarlare,
di non fomentar le ciarle de' villani, per quanto aveva cara la
speranza di morir di malattia.
I nostri fuggiaschi camminarono un pezzo di buon trotto, in silenzio,
voltandosi, ora l'uno ora l'altro, a guardare se nessuno gl'inseguiva,
tutti in affanno per la fatica della fuga, per il batticuore e per la
sospensione in cui erano stati, per il dolore della cattiva riuscita,
per l'apprensione confusa del nuovo oscuro pericolo. E ancor più in
affanno li teneva l'incalzare continuo di que' rintocchi, i quali,
quanto per l'allontanarsi, venivan più fiochi e ottusi, tanto pareva
che prendessero un non so che di più lugubre e sinistro. Finalmente
cessarono. I fuggiaschi allora, trovandosi in un campo disabitato,
e non sentendo un alito all'intorno, rallentarono il passo; e fu la
prima Agnese che, ripreso fiato, ruppe il silenzio, domandando a
Renzo com'era andata, domandando a Menico cosa fosse quel diavolo in
casa. Renzo raccontò brevemente la sua trista storia; e tutt'e tre si
voltarono al fanciullo, il quale riferì più espressamente l'avviso
del padre, e raccontò quello ch'egli stesso aveva veduto e rischiato,
e che pur troppo confermava l'avviso. Gli ascoltatori compresero più
di quel che Menico avesse saputo dire: a quella scoperta, si sentiron
rabbrividire; si fermaron tutt'e tre a un tratto, si guardarono in
viso l'un con l'altro, spaventati; e subito, con un movimento unanime,
tutt'e tre posero una mano, chi sul capo, chi sulle spalle del ragazzo,
come per accarezzarlo, per ringraziarlo tacitamente che fosse stato
per loro un angelo tutelare, per dimostrargli la compassione che
sentivano dell'angoscia da lui sofferta, e del pericolo corso per la
loro salvezza; e quasi per chiedergliene scusa. «Ora torna a casa,
perchè i tuoi non abbiano a star più in pena per te,» gli disse Agnese;
e rammentandosi delle due parpagliole promesse, se ne levò quattro di
tasca, e gliele diede, aggiungendo: «basta; prega il Signore che ci
rivediamo presto: e allora....» Renzo gli diede una berlinga nuova,
e gli raccomandò molto di non dir nulla della commissione avuta dal
frate; Lucia l'accarezzò di nuovo, lo salutò con voce accorata; il
ragazzo li salutò tutti, intenerito; e tornò indietro. Quelli ripresero
la loro strada, tutti pensierosi; le donne innanzi, e Renzo dietro,
come per guardia. Lucia stava stretta al braccio della madre, e
scansava dolcemente, e con destrezza, l'aiuto che il giovine le offriva
ne' passi malagevoli di quel viaggio fuor di strada; vergognosa in sè,
anche in un tale turbamento, d'esser già stata tanto sola con lui, e
tanto famigliarmente, quando s'aspettava di divenir sua moglie, tra
pochi momenti. Ora, svanito così dolorosamente quel sogno, si pentiva
d'essere andata troppo avanti, e, tra tante cagioni di tremare,
tremava anche per quel pudore che non nasce dalla trista scienza del
male, per quel pudore che ignora sè stesso, somigliante alla paura del
fanciullo, che trema nelle tenebre, senza saper di che.
«E la casa?» disse a un tratto Agnese. Ma, per quanto la domanda fosse
importante, nessuno rispose, perchè nessuno poteva darle una risposta
soddisfacente. Continuarono in silenzio la loro strada, e poco dopo,
sboccarono finalmente sulla piazzetta davanti alla chiesa del convento.
Renzo s'affacciò alla porta, e la sospinse bel bello. La porta di
fatto s'aprì; e la luna, entrando per lo spiraglio, illuminò la faccia
pallida, e la barba d'argento del padre Cristoforo, che stava quivi
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