I promessi sposi. - 25

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perdono a Domeneddio di non averle dette la sera avanti; anzi, per dir
le sue parole, d'essere andato a dormire come un cane, e peggio.--E
per questo,--soggiunse poi tra sè; appoggiando le mani sulla paglia,
e d'inginocchioni mettendosi a giacere:--per questo, m'è toccata,
la mattina, quella bella svegliata.--Raccolse poi tutta la paglia
che rimaneva all'intorno, e se l'accomodò addosso, facendosene, alla
meglio, una specie di coperta, per temperare il freddo, che anche là
dentro si faceva sentir molto bene; e vi si rannicchiò sotto, con
l'intenzione di dormire un bel sonno, parendogli d'averlo comprato
anche più caro del dovere.
Ma appena ebbe chiusi gli occhi, cominciò nella sua memoria o nella sua
fantasia (il luogo preciso non ve lo saprei dire), cominciò, dico, un
andare e venire di gente, così affollato, così incessante, che addio
sonno. Il mercante, il notaio, i birri, lo spadaio, l'oste, Ferrer, il
vicario, la brigata dell'osteria, tutta quella turba delle strade, poi
don Abbondio, poi don Rodrigo: tutta gente con cui Renzo aveva che dire.
Tre sole immagini gli si presentavano non accompagnate da alcuna
memoria amara, nette d'ogni sospetto, amabili in tutto; e due
principalmente, molto differenti al certo, ma strettamente legate
nel cuore del giovine: una treccia nera e una barba bianca. Ma anche
la consolazione che provava nel fermare sopra di esse il pensiero,
era tutt'altro che pretta e tranquilla. Pensando al buon frate,
sentiva più vivamente la vergogna delle proprie scappate, della turpe
intemperanza, del bel caso che aveva fatto de' paterni consigli di lui;
e contemplando l'immagine di Lucia! non ci proveremo a dire ciò che
sentisse: il lettore conosce le circostanze; se lo figuri. E quella
povera Agnese, come l'avrebbe potuta dimenticare? Quell'Agnese che
l'aveva scelto, che l'aveva già considerato come una cosa sola con la
sua unica figlia, e prima di ricever da lui il titolo di madre, n'aveva
preso il linguaggio e il cuore, e dimostrata co' fatti la premura. Ma
era un dolore di più, e non il meno pungente, quel pensiero, che, in
grazia appunto di così amorevoli intenzioni, di tanto bene che voleva
a lui, la povera donna si trovava ora snidata, quasi raminga, incerta
dell'avvenire, e raccoglieva guai e travagli da quelle cose appunto da
cui aveva sperato il riposo e la giocondità degli ultimi suoi anni.
Che notte, povero Renzo! Quella che doveva esser la quinta delle
sue nozze! Che stanza! Che letto matrimoniale! E dopo qual giornata!
E per arrivare a qual domani, a qual serie di giorni!--Quel che Dio
vuole,--rispondeva ai pensieri che gli davan più noia:--quel che Dio
vuole. Lui sa quel che fa: c'è anche per noi. Vada tutto in isconto de'
miei peccati. Lucia è tanto buona! non vorrà poi farla patire un pezzo,
un pezzo, un pezzo!--
Tra questi pensieri, o disperando ormai d'attaccar sonno, e
facendosegli il freddo sentir sempre più, a segno ch'era costretto
ogni tanto a tremare e a battere i denti, sospirava la venuta del
giorno, e misurava con impazienza il lento scorrer dell'ore. Dico
misurava, perchè, ogni mezz'ora, sentiva in quel vasto silenzio,
rimbombare i tocchi d'un orologio: m'immagino che dovesse esser quello
di Trezzo. E la prima volta che gli ferì gli orecchi quello scocco,
così inaspettato, senza che potesse avere alcuna idea del luogo donde
venisse, gli fece un senso misterioso e solenne, come d'un avvertimento
che venisse da persona non vista, con una voce sconosciuta.
Quando finalmente quel martello ebbe battuto undici tocchi, ch'era
l'ora disegnata da Renzo per levarsi, s'alzò mezzo intirizzito, si mise
inginocchioni, disse, e con più fervore del solito, le divozioni della
mattina, si rizzò, si stirò in lungo e in largo, scosse la vita e le
spalle, come per mettere insieme tutte le membra, che ognuno pareva che
facesse da sè, soffiò in una mano, poi nell'altra, se le stropicciò,
aprì l'uscio della capanna; e, per la prima cosa, diede un'occhiata in
qua e in là, per veder se c'era nessuno. E non vedendo nessuno, cercò
con l'occhio il sentiero della sera avanti; lo riconobbe subito, e
prese per quello.
Il cielo prometteva una bella giornata: la luna, in un canto, pallida e
senza raggio, pure spiccava nel campo immenso d'un bigio ceruleo, che,
giù giù verso l'oriente, s'andava sfumando leggermente in un giallo
roseo. Più giù, all'orizzonte, si stendevano, a lunghe falde ineguali,
poche nuvole, tra l'azzurro e il bruno, le più basse orlate al di
sotto d'una striscia quasi di fuoco, che di mano in mano si faceva
più viva e tagliente: da mezzogiorno, altre nuvole ravvolte insieme,
leggieri e soffici, per dir così, s'andavan lumeggiando di mille
colori senza nome: quel cielo di Lombardia, così bello quand'è bello,
così splendido, così in pace. Se Renzo si fosse trovato lì andando a
spasso, certo avrebbe guardato in su, e ammirato quell'albeggiare così
diverso da quello ch'era solito vedere ne' suoi monti; ma badava alla
sua strada, e camminava a passi lunghi, per riscaldarsi e per arrivar
presto. Passa i campi, passa la sodaglia, passa le macchie, attraversa
il bosco, guardando in qua e in là, e ridendo e vergognandosi nello
stesso tempo, del ribrezzo che vi aveva provato poche ore prima; è sul
ciglio della riva, guarda giù; e, di tra i rami, vede una barchetta
di pescatore, che veniva adagio, contr'acqua, radendo quella sponda.
Scende subito per la più corta, tra i pruni; è sulla riva; dà una voce
leggiera leggiera al pescatore; e, con l'intenzione di far come se
chiedesse un servizio di poca importanza, ma, senza avvedersene, in una
maniera mezzo supplichevole, gli accenna che approdi. Il pescatore gira
uno sguardo lungo la riva, guarda attentamente lungo l'acqua che viene,
si volta a guardare indietro, lungo l'acqua che va, e poi dirizza la
prora verso Renzo, e approda. Renzo che stava sull'orlo della riva,
quasi con un piede nell'acqua, afferra la punta del battello, ci salta
dentro, e dice: «mi fareste il servizio, col pagare, di tragittarmi
di là?» Il pescatore l'aveva indovinato, e già voltava da quella
parte. Renzo, vedendo sul fondo della barca un altro remo, si china, e
l'afferra.
«Adagio, adagio,» disse il padrone; ma nel veder poi con che garbo il
giovine aveva preso lo strumento, e si disponeva a maneggiarlo, «ah,
ah,» riprese: «siete del mestiere.»
«Un pochino,» rispose Renzo, e ci si mise con un vigore e con una
maestria, più che da dilettante. E senza mai rallentare, dava ogni
tanto un'occhiata ombrosa alla riva da cui s'allontanavano, e poi
una impaziente a quella dov'eran rivolti, e si coceva di non poterci
andar per la più corta; che la corrente era, in quel luogo, troppo
rapida, per tagliarla direttamente; e la barca, parte rompendo, parte
secondando il filo dell'acqua, doveva fare un tragitto diagonale. Come
accade in tutti gli affari un po' imbrogliati, che le difficoltà alla
prima si presentino all'ingrosso, e nell'eseguire poi, vengan fuori
per minuto, Renzo, ora che l'Adda era, si può dir, passata, gli dava
fastidio il non saper di certo se lì essa fosse confine, o se, superato
quell'ostacolo, gliene rimanesse un altro da superare. Onde, chiamato
il pescatore, e accennando col capo quella macchia biancastra che aveva
veduta la notte avanti, e che allora gli appariva ben più distinta,
disse: «è Bergamo, quel paese?»
«La città di Bergamo,» rispose il pescatore.
«E quella riva lì, è bergamasca?»
«Terra di san Marco.»
«Viva san Marco!» esclamò Renzo. Il pescatore non disse nulla.
Toccano finalmente quella riva; Renzo vi si slancia; ringrazia Dio tra
sè, e poi con la bocca il barcaiolo; mette le mani in tasca, tira fuori
una berlinga, che, attese le circostanze, non fu un piccolo sproprio,
e la porge al galantuomo, il quale, data ancora un'occhiata alla riva
milanese, e al fiume di sopra e di sotto, stese la mano, prese la
mancia, la ripose, poi strinse le labbra, e per di più ci mise il dito
in croce, accompagnando quel gesto con un' occhiata espressiva; e disse
poi: «buon viaggio,» e tornò indietro.
Perchè la così pronta e discreta cortesia di costui verso uno
sconosciuto non faccia troppo maravigliare il lettore, dobbiamo
informarlo che quell'uomo, pregato spesso d'un simile servizio da
contrabbandieri e da banditi, era avvezzo a farlo; non tanto per amore
del poco e incerto guadagno che gliene poteva venire, quanto per non
farsi de' nemici in quelle classi. Lo faceva, dico, ogni volta che
potesse esser sicuro che non lo vedessero nè gabellieri, nè birri,
nè esploratori. Così, senza voler più bene ai primi che ai secondi,
cercava di soddisfarli tutti, con quell'imparzialità, che è la dote
ordinaria di chi è obbligato a trattar con cert'uni, e soggetto a
render conto a cert'altri.
Renzo si fermò un momentino sulla riva a contemplar la riva opposta,
quella terra che poco prima scottava tanto sotto i suoi piedi.--Ah!
ne son proprio fuori!--fu il suo primo pensiero.--Sta lì, maledetto
paese,--fu il secondo, l'addio alla patria. Ma il terzo corse a chi
lasciava in quel paese. Allora incrociò le braccia sul petto, mise un
sospiro, abbassò gli occhi sull'acqua che gli scorreva a' piedi, e
pensò--è passata sotto il ponte!--Così, all'uso del suo paese, chiamava
per antonomasia, quello di Lecco.--Ah mondo birbone! Basta; quel che
Dio vuole.--
[Illustrazione: «Eh la mia donna! lo sa il padre provinciale; se lo sa
anche lui».... (pag. 270)]
Voltò le spalle a que' tristi oggetti, e s'incamminò, prendendo per
punto di mira la macchia biancastra sul pendio del monte, finchè
trovasse qualcheduno da farsi insegnar la strada giusta. E bisognava
vedere con che disinvoltura s'accostava a' viandanti, e, senza tanti
rigiri, nominava il paese dove abitava quel suo cugino. Dal primo a cui
si rivolse, seppe che gli rimanevano ancor nove miglia da fare.
Quel viaggio non fu lieto. Senza parlare de' guai che Renzo portava
con sè, il suo occhio veniva ogni momento rattristato da oggetti
dolorosi, da' quali dovette accorgersi che troverebbe nel paese in
cui s'inoltrava, la penuria che aveva lasciata nel suo. Per tutta la
strada, e più ancora nelle terre e ne' borghi, incontrava a ogni passo
poveri, che non eran poveri di mestiere, e mostravan la miseria più
nel viso che nel vestiario: contadini, montanari, artigiani, famiglie
intere; e un misto ronzío di preghiere, di lamenti e di vagiti. Quella
vista, oltre la compassione e la malinconia, lo metteva anche in
pensiero dei casi suoi.
--Chi sa,--andava meditando,--se trovo da far bene? se c'è lavoro, come
negli anni passati? Basta; Bortolo mi voleva bene, è un buon figliuolo,
ha fatto danari, m'ha invitato tante volte; non m'abbandonerà. E poi,
la Provvidenza m'ha aiutato finora; m'aiuterà anche per l'avvenire.--
Intanto l'appetito, risvegliato già da qualche tempo, andava crescendo
di miglio in miglio; e quantunque Renzo, quando cominciò a dargli
retta, sentisse di poter reggere, senza grand'incomodo, per quelle
due o tre che gli potevan rimanere; pensò, da un'altra parte, che non
sarebbe una bella cosa di presentarsi al cugino, come un pitocco, e
dirgli, per primo complimento: dammi da mangiare. Si levò di tasca
tutte le sue ricchezze, le fece scorrere sur una mano, tirò la somma.
Non era un conto che richiedesse una grande aritmetica; ma però
c'era abbondantemente da fare una mangiatina. Entrò in un'osteria a
ristorarsi lo stomaco; e in fatti, pagato che ebbe, gli rimase ancor
qualche soldo.
Nell'uscire, vide, accanto alla porta, che quasi v'inciampava,
sdraiate in terra, più che sedute, due donne, una attempata, un'altra
più giovine, con un bambino, che, dopo aver succhiata invano l'una e
l'altra mammella, piangeva, piangeva; tutti del color della morte: e
ritto, vicino a loro, un uomo, nel viso del quale e nelle membra, si
potevano ancora vedere i segni d'un'antica robustezza, domata e quasi
spenta dal lungo disagio. Tutt'e tre stesero la mano verso colui che
usciva con passo franco, e con l'aspetto rianimato: nessuno parlò; che
poteva dir di più una preghiera?
«La c'è la Provvidenza!» disse Renzo; e, cacciata subito la mano in
tasca, la votò di que' pochi soldi; li mise nella mano che si trovò più
vicina, e riprese la sua strada.
La refezione e l'opera buona (giacchè siam composti d'anima e di
corpo) avevano riconfortati e rallegrati tutti i suoi pensieri. Certo,
dall'essersi così spogliato degli ultimi danari, gli era venuto più
di confidenza per l'avvenire, che non gliene avrebbe dato il trovarne
dieci volte tanti. Perchè, se a sostenere in quel giorno que' poverini
che mancavano sulla strada, la Provvidenza aveva tenuti in serbo
proprio gli ultimi quattrini d'un estraneo, fuggitivo, incerto anche
lui del come vivrebbe; chi poteva credere che volesse poi lasciare
in secco colui del quale s'era servita a ciò, e a cui aveva dato un
sentimento così vivo di sè stessa, così efficace, così risoluto? Questo
era, a un di presso, il pensiero del giovine; però men chiaro ancora
di quello ch'io l'abbia saputo esprimere. Nel rimanente della strada,
ripensando a' casi suoi, tutto gli si spianava. La carestia doveva
poi finire: tutti gli anni si miete: intanto aveva il cugino Bortolo
e la propria abilità: aveva, per di più, a casa un po' di danaro, che
si farebbe mandar subito. Con quello, alla peggio, camperebbe, giorno
per giorno, finchè tornasse l'abbondanza.--Ecco poi tornata finalmente
l'abbondanza,--proseguiva Renzo nella sua fantasia:--rinasce la furia
de' lavori: i padroni fanno a gara per aver degli operai milanesi,
che son quelli che sanno bene il mestiere; gli operai milanesi alzan
la cresta; chi vuol gente abile, bisogna che la paghi; si guadagna
da vivere per più d'uno, e da metter qualcosa da parte; e si fa
scrivere alle donne che vengano.... E poi, perchè aspettar tanto? Non
è vero che, con quel poco che abbiamo in serbo, si sarebbe campati
là, anche quest'inverno? Così camperemo qui. De' curati ce n'è per
tutto. Vengono quelle due care donne: si mette su casa. Che piacere,
andar passeggiando su questa stessa strada tutti insieme! andar fino
all'Adda in baroccio, e far merenda sulla riva, proprio sulla riva,
e far vedere alle donne il luogo dove mi sono imbarcato, il prunaio
da cui sono sceso, quel posto dove sono stato a guardare se c'era un
battello.--
Arriva al paese del cugino; nell'entrare, anzi prima di mettervi piede,
distingue una casa alta alta, a più ordini di finestre lunghe lunghe;
riconosce un filatoio, entra, domanda ad alta voce, tra il rumore
dell'acqua cadente e delle rote, se stia lì un certo Bortolo Castagneri.
«Il signor Bortolo! Eccolo là.»
--Signore? buon segno,--pensa Renzo; vede il cugino, gli corre
incontro. Quello si volta, riconosce il giovine, che gli dice: «son
qui.» Un oh! di sorpresa, un alzar di braccia, un gettarsele al collo
scambievolmente. Dopo quelle prime accoglienze, Bortolo tira il nostro
giovine lontano dallo strepito degli ordigni, e dagli occhi de'
curiosi, in un'altra stanza, e gli dice: «ti vedo volentieri; ma sei un
benedetto figliuolo. T'avevo invitato tante volte; non sei mai voluto
venire; ora arrivi in un momento un po' critico.»
«Se te lo devo dire, non sono venuto via di mia volontà,» disse Renzo;
e, con la più gran brevità, non però senza molta commozione, gli
raccontò la dolorosa storia.
«È un altro par di maniche,» disse Bortolo. «Oh povero Renzo! Ma tu
hai fatto capitale di me; e io non t'abbandonerò. Veramente, ora non
c'è ricerca d'operai; anzi appena appena ognuno tiene i suoi, per non
perderli e disviare il negozio; ma il padrone mi vuoi bene, e ha della
roba. E, a dirtela, in gran parte la deve a me, senza vantarmi: lui
il capitale, e io quella poca abilità. Sono il primo lavorante, sai?
e poi, a dirtela, sono il _factotum._ Povera Lucia Mondella! Me ne
ricordo, come se fosse ieri: una buona ragazza! sempre la più composta
in chiesa; e quando si passava da quella sua casuccia.... Mi par di
vederla, quella casuccia, appena fuor del paese, con un bel fico che
passava il muro....»
«No, no; non ne parliamo.»
«Volevo dire che, quando si passava da quella casuccia, sempre si
sentiva quell'aspo, che girava, girava, girava. E quel don Rodrigo!
già, anche al mio tempo, era per quella strada; ma ora fa il diavolo
affatto, a quel che vedo: fin che Dio gli lascia la briglia sul collo.
Dunque, come ti dicevo, anche qui si patisce un po' la fame.... A
proposito, come stai d'appetito?»
«Ho mangiato poco fa, per viaggio.»
«E a danari, come stiamo?»
Renzo stese una mano, l'avvicinò alla bocca, e vi fece scorrer sopra un
piccol soffio.
«Non importa,» disse Bortolo: «n'ho io: e non ci pensare, che, presto
presto, cambiandosi le cose, se Dio vorrà, me li renderai, e te
n'avanzerà anche per te.»
«Ho qualcosina a casa; e me li farò mandare.»
«Va bene; e intanto fa conto di me. Dio m'ha dato del bene, perchè
faccia del bene; e se non ne fo a' parenti e agli amici, a chi ne farò?»
«L'ho detto io della Provvidenza!» esclamò Renzo, stringendo
affettuosamente la mano al buon cugino.
«Dunque,» riprese questo, «in Milano hanno fatto tutto quel chiasso.
Mi paiono un po' matti coloro. Già, n'era corsa la voce anche qui; ma
voglio che tu mi racconti poi la cosa più minutamente. Eh! n'abbiamo
delle cose da discorrere. Qui però, vedi, la va più quietamente, e si
fanno le cose con un po' più di giudizio. La città ha comprate duemila
some di grano da un mercante che sta a Venezia: grano che vien di
Turchia; ma, quando si tratta di mangiare, la non si guarda tanto per
il sottile. Ora senti un po' cosa nasce: nasce che i rettori di Verona
e di Brescia chiudono i passi, e dicono: di qui non passa grano. Che ti
fanno i bergamaschi? Spediscono a Venezia Lorenzo Torre, un dottore,
ma di quelli! È partito in fretta, s'è presentato al doge, e ha detto:
che idea è venuta a que' signori rettori? Ma un discorso! un discorso,
dicono, da dare alle stampe. Cosa vuol dire avere un uomo che sappia
parlare! Subito un ordine che si lasci passare il grano; e i rettori,
non solo lasciarlo passare, ma bisogna che lo facciano scortare; ed
è in viaggio. E s'è pensato anche al contado. Giovanbatista Biava,
nunzio di Bergamo in Venezia (un uomo anche quello!) ha fatto intendere
al senato che, anche in campagna, si pativa la fame; e il senato ha
concesso quattro mila staia di miglio. Anche questo aiuta a far pane.
E poi, lo vuoi sapere? se non ci sarà pane, mangeremo del companatico.
Il Signore m'ha dato del bene, come ti dico. Ora ti condurrò dal mio
padrone: gli ho parlato di te tante volte, e ti farà buona accoglienza.
Un buon bergamascone all'antica, un uomo di cuor largo. Veramente, ora
non t'aspettava; ma quando sentirà la storia.... E poi gli operai sa
tenerli di conto, perchè la carestia passa, e il negozio dura. Ma prima
di tutto, bisogna che t'avverta d'una cosa. Sai come ci chiamano in
questo paese, noi altri dello stato di Milano?»
«Come ci chiamano?»
«Ci chiaman baggiani.»
«Non è un bel nome.»
«Tant'è: chi è nato nel milanese, e vuol vivere nel bergamasco, bisogna
prenderselo in santa pace. Per questa gente, dar del baggiano a un
milanese, è come dar dell'illustrissimo a un cavaliere.»
«Lo diranno, m'immagino, a chi se lo vorrà lasciar dire.»
«Figliuolo mio, se tu non sei disposto a succiarti del baggiano a tutto
pasto, non far conto di poter viver qui. Bisognerebbe esser sempre col
coltello in mano: e quando, supponiamo, tu n'avessi ammazzati due,
tre, quattro, verrebbe poi quello che ammazzerebbe te: e allora, che
bel gusto di comparire al tribunal di Dio, con tre o quattro omicidi
sull'anima!»
«E un milanese che abbia un po' di....» e qui picchiò la fronte col
dito, come aveva fatto nell'osteria della luna piena. «Voglio dire, uno
che sappia bene il suo mestiere?»
«Tutt'uno: qui è un baggiano anche lui. Sai come dice il mio padrone,
quando parla di me co' suoi amici?--Quel baggiano è stato la man
di Dio, per il mio negozio; se non avessi quel baggiano, sarei ben
impicciato.--L'è usanza così.»
«L'è un'usanza sciocca. E vedendo quello che sappiam fare (chè
finalmente chi ha portata qui quest'arte, e chi la fa andare, siamo
noi), possibile che non si sian corretti?»
«Finora no: col tempo può essere; i ragazzi che vengon su; ma gli
uomini fatti, non c'è rimedio: hanno preso quel vizio, non lo smetton
più. Cos'è poi finalmente? Era ben un'altra cosa quelle galanterie
che t'hanno fatte, e il di più che ti volevan fare i nostri cari
compatriotti.»
«Già, è vero: se non c'è altro di male....»
«Ora che sei persuaso di questo, tutto anderà bene. Vieni dal padrone,
e coraggio.»
Tutto infatti andò bene, e tanto a seconda delle promesse di Bortolo,
che crediamo inutile di farne particolar relazione. E fu veramente
provvidenza; perchè la roba e i quattrini che Renzo aveva lasciati in
casa, vedremo or ora quanto fosse da farci assegnamento.


CAPITOLO XVIII.

Quello stesso giorno, 13 di novembre, arriva un espresso al signor
podestà di Lecco, e gli presenta un dispaccio del signor capitano
di giustizia, contenente un ordine di fare ogni possibile e più
opportuna inquisizione, per iscoprire se un certo giovine nominato
Lorenzo Tramaglino, filatore di seta, scappato dalle forze _praedicti
egregii domini capitanei,_ sia tornato, _palam vel clam,_ al suo
paese, _ignotum_ quale per l'appunto, _verum in territorio Leuci:
quod si compertum fuerit sic esse,_ cerchi il detto signor podestà,
_quanta maxima diligentia fieri poterit,_ d'averlo nelle mani; e,
legato a dovere, _videlizet_ con buone manette, attesa l'esperimentata
insufficienza de' manichini per il nominato soggetto, lo faccia
condurre nelle carceri, e lo ritenga lì, sotto buona custodia, per
farne consegna a chi sarà spedito a prenderlo; e tanto nel caso del
sì, come nel caso del no, _accedatis ad domum praedicti Laurentii
Tramaliini; et, facta debita diligentia, quidquid ad rem repertum
fuerit auferatis; et informationes de illius prava qualitate, vita, et
complicibus sumatis;_ e di tutto il detto e il fatto, il trovato e il
non trovato, il preso e il lasciato, _diligenter referatis._ Il signor
podestà, dopo essersi umanamente cerziorato che il soggetto non era
tornato in paese, fa chiamare il console del villaggio, e si fa condur
da lui alla casa indicata, con gran treno di notaio e di birri. La
casa è chiusa; chi ha le chiavi non c'è, o non si lascia trovare. Si
sfonda l'uscio; si fa la debita diligenza, vale a dire che si fa come
in una città presa d'assalto. La voce di quella spedizione si sparge
immediatamente per tutto il contorno; viene agli orecchi del padre
Cristoforo; il quale, attonito non meno che afflitto, domanda al terzo
e al quarto, per aver qualche lume intorno alla cagione d'un fatto così
inaspettato; ma non raccoglie altro che congetture in aria, e scrive
subito al padre Bonaventura, dal quale spera di poter ricevere qualche
notizia più precisa. Intanto i parenti e gli amici di Renzo vengono
citati a deporre ciò che posson sapere della sua _prava qualità_: aver
nome Tramaglino è una disgrazia, una vergogna, un delitto: il paese
è sottosopra. A poco a poco, si viene a sapere che Renzo è scappato
dalla giustizia, nel bel mezzo di Milano, e poi scomparso; corre voce
che abbia fatto qualcosa di grosso; ma la cosa poi non si sa dire, o
si racconta in cento maniere. Quanto più è grossa, tanto meno vien
creduta nel paese, dove Renzo è conosciuto per un bravo giovine: i più
presumono, e vanno susurrandosi agli orecchi l'uno con l'altro, che è
una macchina mossa da quel prepotente di don Rodrigo, per rovinare il
suo povero rivale. Tant'è vero che, a giudicar per induzione, e senza
la necessaria cognizione de' fatti, si fa alle volte gran torto anche
ai birbanti.
Ma noi, co' fatti alla mano, come si suol dire, possiamo affermare
che, se colui non aveva avuto parte nella sciagura di Renzo, se ne
compiacque però, come se fosse opera sua, e ne trionfò co' suoi
fidati, e principalmente col conte Attilio. Questo, secondo i suoi
primi disegni, avrebbe dovuto a quell'ora trovarsi già in Milano;
ma, alle prime notizie del tumulto, e della canaglia che girava per
le strade, in tutt'altra attitudine che di ricever bastonate, aveva
creduto bene di trattenersi in campagna, fino a cose quiete. Tanto più
che, avendo offeso molti, aveva qualche ragion di temere che alcuno
de' tanti, che solo per impotenza stavano cheti, non prendesse animo
dalle circostanze, e giudicasse il momento buono da far le vendette di
tutti. Questa sospensione non fu di lunga durata: l'ordine venuto da
Milano dell'esecuzione da farsi contro Renzo era già un indizio che le
cose avevan ripreso il corso ordinario; e, quasi nello stesso tempo,
se n'ebbe la certezza positiva. Il conte Attilio partì immediatamente,
animando il cugino a persister nell'impresa, a spuntar l'impegno, e
promettendogli che, dal canto suo, metterebbe subito mano a sbrigarlo
dal frate; al qual affare, il fortunato accidente dell'abietto rivale
doveva fare un gioco mirabile. Appena partito Attilio, arrivò il Griso
da Monza sano e salvo, e riferì al suo padrone ciò che aveva potuto
raccogliere: che Lucia era ricoverata nel tal monastero, sotto la
protezione della tal signora; e stava sempre nascosta, come se fosse
una monaca anche lei, non mettendo mai piede fuor della porta, e
assistendo alle funzioni di chiesa da una finestrina con la grata: cosa
che dispiaceva a molti, i quali avendo sentito motivar non so che di
sue avventure, e dir gran cose del suo viso, avrebbero voluto un poco
vedere come fosse fatto.
Questa relazione mise il diavolo addosso a don Rodrigo, o, per dir
meglio, rendè più cattivo quello che già ci stava di casa. Tante
circostanze favorevoli al suo disegno infiammavano sempre più la sua
passione, cioè quel misto di puntiglio, di rabbia e d'infame capriccio,
di cui la sua passione era composta. Renzo assente, sfrattato,
bandito, di maniera che ogni cosa diventava lecita contro di lui,
e anche la sua sposa poteva esser considerata, in certo modo, come
roba di rubello: il solo uomo al mondo che volesse e potesse prender
le sue parti, e fare un rumore da esser sentito anche lontano e da
persone alte, l'arrabbiato frate, tra poco sarebbe probabilmente
anche lui fuor del caso di nuocere. Ed ecco che un nuovo impedimento,
non che contrappesare tutti que' vantaggi, li rendeva, si può dire,
inutili. Un monastero di Monza, quand'anche non ci fosse stata una
principessa, era un osso troppo duro per i denti di don Rodrigo; e
per quanto egli ronzasse con la fantasia intorno a quel ricovero, non
sapeva immaginar nè via nè verso d'espugnarlo, nè con la forza, nè per
insidie. Fu quasi quasi per abbandonar l'impresa; fu per risolversi
d'andare a Milano, allungando anche la strada, per non passar neppure
da Monza; e a Milano, gettarsi in mezzo agli amici e ai divertimenti,
per discacciar, con pensieri affatto allegri, quel pensiero divenuto
ormai tutto tormentoso. Ma, ma, ma, gli amici; piano un poco con
questi amici. In vece d'una distrazione, poteva aspettarsi di trovar
nella loro compagnia nuovi dispiaceri: perchè Attilio certamente,
avrebbe già preso la tromba, e messo tutti in aspettativa. Da ogni
parte gli verrebbero domandate notizie della montanara: bisognava
render ragione. S'era voluto, s'era tentato; cosa s'era ottenuto?
S'era preso un impegno: un impegno un po' ignobile, a dire il vero:
ma, via, uno non può alle volte regolare i suoi capricci; il punto è
di soddisfarli; e come s'usciva da quest'impegno? Dandola vinta a un
villano e a un frate! Uh! E quando una buona sorte inaspettata, senza
fatica del buon a nulla, aveva tolto di mezzo l'uno, e un abile amico
l'altro, il buon a nulla non aveva saputo valersi della congiuntura, e
si ritirava vilmente dall'impresa. Ce n'era più del bisogno, per non
alzar mai più il viso tra i galantuomini, o avere ogni momento la spada
alle mani. E poi, come tornare, o come rimanere in quella villa, in
quel paese, dove, lasciando da parte i ricordi incessanti e pungenti
della passione, si porterebbe lo sfregio d'un colpo fallito? dove,
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