I promessi sposi. - 20

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stentato d'un desinare biascicato senza appetito, e senza pan fresco; e
attendeva, con gran sospensione, come avesse a finire quella burrasca,
lontano però dal sospettar che dovesse cader così spaventosamente
addosso a lui. Qualche galantuomo precorse di galoppo la folla, per
avvertirlo di quel che gli sovrastava. I servitori, attirati già dal
rumore sulla porta, guardavano sgomentati lungo la strada, dalla parte
donde il rumore veniva avvicinandosi. Mentre ascoltan l'avviso, vedon
comparire la vanguardia: in fretta e in furia, si porta l'avviso al
padrone: mentre questo pensa a fuggire, e come fuggire, un altro viene
a dirgli che non è più a tempo. I servitori ne hanno appena tanto che
basti per chiuder la porta. Metton la stanga, metton puntelli, corrono
a chiuder le finestre, come quando si vede venire avanti un tempo nero,
e s'aspetta la grandine, da un momento all'altro. L'urlío crescente,
scendendo dall'alto come un tuono, rimbomba nel vôto cortile; ogni buco
della casa ne rintrona: e di mezzo al vasto e confuso strepito, si
senton forti e fitti colpi di pietre alla porta.
«Il vicario! Il tiranno! L'affamatore! Lo vogliamo! vivo o morto!»
Il meschino girava di stanza in stanza, pallido, senza fiato,
battendo palma a palma, raccomandandosi a Dio, e a' suoi servitori,
che tenessero fermo, che trovassero la maniera di farlo scappare. Ma
come, e di dove? Salì in soffitta; da un pertugio, guardò ansiosamente
nella strada, e la vide piena zeppa di furibondi; sentì le voci che
chiedevan la sua morte; e più smarrito che mai, si ritirò, e andò a
cercare il più sicuro e riposto nascondiglio. Lì rannicchiato, stava
attento, attento, se mai il funesto rumore s'affievolisse, se il
tumulto s'acquietasse un poco; ma sentendo in vece il muggito alzarsi
più feroce e più rumoroso, e raddoppiare i picchi, preso da un nuovo
soprassalto al cuore, si turava gli orecchi in fretta. Poi, come
fuori di sè, stringendo i denti, e raggrinzando il viso, stendeva le
braccia, e puntava i pugni, come se volesse tener ferma la porta....
Del resto, quel che facesse precisamente non si può sapere, giacchè era
solo; e la storia è costretta a indovinare. Fortuna che c'è avvezza.
Renzo, questa volta, si trovava nel forte del tumulto, non già
portatovi dalla piena, ma cacciatovisi deliberatamente. A quella prima
proposta di sangue, aveva sentito il suo rimescolarsi tutto: in quanto
al saccheggio, non avrebbe saputo dire se fosse bene o male in quel
caso; ma l'idea dell'omicidio gli cagionò un orrore pretto e immediato.
E quantunque, per quella funesta docilità degli animi appassionati
all'affermare appassionato di molti, fosse persuasissimo che il vicario
era la cagion principale della fame, il nemico de' poveri, pure,
avendo, al primo moversi della turba, sentita a caso qualche parola
che indicava la volontà di fare ogni sforzo per salvarlo, s'era subito
proposto d'aiutare anche lui un'opera tale; e, con quest'intenzione,
s'era cacciato, quasi fino a quella porta, che veniva travagliata in
cento modi. Chi con ciottoli picchiava su' chiodi della serratura, per
isconficcarla; altri, con pali e scarpelli e martelli, cercavano di
lavorar più in regola: altri poi, con pietre, con coltelli spuntati,
con chiodi, con bastoni, con l'unghie, non avendo altro, scalcinavano
e sgretolavano il muro, e s'ingegnavano di levare i mattoni, e fare
una breccia. Quelli che non potevano aiutare, facevan coraggio con gli
urli; ma nello stesso tempo, con lo star lì a pigiare, impicciavan di
più il lavoro già impicciato dalla gara disordinata de' lavoranti:
giacchè, per grazia del cielo, accade talvolta anche nel male quella
cosa troppo frequente nel bene, che i fautori più ardenti divengano un
impedimento.
I magistrati ch'ebbero i primi l'avviso di quel che accadeva, spediron
subito a chieder soccorso al comandante del castello, che allora
si diceva di porta Giovia; il quale mandò alcuni soldati. Ma, tra
l'avviso, e l'ordine, e il radunarsi, e il mettersi in cammino, e il
cammino, essi arrivarono che la casa era già cinta di vasto assedio; e
fecero alto lontano da quella, all'estremità della folla. L'ufiziale
che li comandava, non sapeva che partito prendere. Lì non era altro che
una, lasciatemi dire, accozzaglia di gente varia d'età e di sesso, che
stava a vedere. All'intimazioni che gli venivan fatte, di sbandarsi,
e di dar luogo, rispondevano con un cupo e lungo mormorío; nessuno
si moveva. Far fuoco sopra quella ciurma, pareva all'ufiziale cosa
non solo crudele, ma piena di pericolo; cosa che, offendendo i meno
terribili, avrebbe irritato i molti violenti: e del resto, non aveva
una tale istruzione. Aprire quella prima folla, rovesciarla a destra e
a sinistra, e andare avanti a portar la guerra a chi la faceva, sarebbe
stata la meglio; ma riuscirvi, lì stava il punto. Chi sapeva se i
soldati avrebber potuto avanzarsi uniti e ordinati? Che se, in vece di
romper la folla, si fossero sparpagliati loro tra quella, si sarebber
trovati a sua discrezione, dopo averla aizzata. L'irresolutezza del
comandante e l'immobilità de' soldati parve, a diritto o a torto,
paura. La gente che si trovavan vicino a loro, si contentavano di
guardargli in viso, con un'aria, come si dice, di me n'impipo; quelli
ch'erano un po' più lontani, non se ne stavano di provocarli, con
visacci e con grida di scherno; più in là, pochi sapevano o si curavano
che ci fossero; i guastatori seguitavano a smurare, senz'altro pensiero
che di riuscir presto nell'impresa; gli spettatori non cessavano
d'animarla con gli urli.
[Illustrazione: «Ferrer! Ferrer!»... (pag. 194)]
Spiccava tra questi, ed era lui stesso spettacolo, un vecchio mal
vissuto, che, spalancando due occhi affossati e infocati, contraendo
le grinze a un sogghigno di compiacenza diabolica, con le mani alzate
sopra una canizie vituperosa, agitava in aria un martello, una corda,
quattro gran chiodi, con che diceva di volere attaccare il vicario a un
battente della sua porta, ammazzato che fosse.
«Oibò! vergogna!» scappò fuori Renzo, inorridito a quelle parole, alla
vista di tant'altri visi che davan segno d'approvarle, e incoraggito
dal vederne degli altri, sui quali, benchè muti, traspariva lo stesso
orrore del quale era compreso lui. «Vergogna! Vogliam noi rubare il
mestiere al boia? assassinare un cristiano? Come volete che Dio ci dia
del pane, se facciamo di queste atrocità? Ci manderà de' fulmini, e non
del pane!»
«Ah cane! ah traditor della patria!» gridò, voltandosi a Renzo, con
un viso da indemoniato, un di coloro che avevan potuto sentire tra il
frastono quelle sante parole. «Aspetta, aspetta! È un servitore del
vicario, travestito da contadino: è una spia: dalli, dalli!» Cento
voci si spargono all'intorno. «Cos'è? dov'è? chi è? Un servitore del
vicario. Una spia. Il vicario travestito da contadino, che scappa.
Dov'è? dov'è? dalli, dalli!»
Renzo ammutolisce, diventa piccino piccino, vorrebbe sparire; alcuni
suoi vicini lo prendono in mezzo; e con alte e diverse grida cercano di
confondere quelle voci nemiche e omicide. Ma ciò che più di tutto lo
servì fu un «largo, largo,» che si sentì gridar lì vicino: «largo! è
qui l'aiuto: largo, ohe!»
Cos'era? Era una lunga scala a mano, che alcuni portavano, per
appoggiarla alla casa, e entrarci da una finestra. Ma per buona sorte,
quel mezzo, che avrebbe resa la cosa facile, non era facile esso a
mettere in opera. I portatori, all'una e all'altra cima, e di qua e di
là della macchina, urtati, scompigliati, divisi dalla calca, andavano
a onde: uno, con la testa tra due scalini, e gli staggi sulle spalle,
oppresso come sotto un giogo scosso, mugghiava; un altro veniva
staccato dal carico con una spinta; la scala abbandonata picchiava
spalle, braccia, costole: pensate cosa dovevan dire coloro de' quali
erano. Altri sollevano con le mani il peso morto, vi si caccian sotto,
se lo mettono addosso, gridando: «animo! andiamo!» La macchina fatale
s'avanza balzelloni, e serpeggiando. Arrivò a tempo a distrarre e a
disordinare i nemici di Renzo, il quale profittò della confusione
nata nella confusione; e, quatto quatto sul principio, poi giocando
di gomita a più non posso, s'allontanò da quel luogo, dove non c'era
buon'aria per lui, con l'intenzione anche d'uscire, più presto che
potesse, dal tumulto, e d'andar davvero a trovare o a aspettare il
padre Bonaventura.
Tutt'a un tratto, un movimento straordinario cominciato a un'estremità,
si propaga per la folla, una voce si sparge, viene avanti di bocca
in bocca: «Ferrer! Ferrer!» Una maraviglia, una gioia, una rabbia,
un'inclinazione, una ripugnanza, scoppiano per tutto dove arriva quel
nome; chi lo grida, chi vuol soffogarlo; chi afferma, chi nega; chi
benedice, chi bestemmia.
«È qui Ferrer!--Non è vero, non è vero!--Sì, sì; viva Ferrer!
quello che ha messo il pane a buon mercato.--No, no!--È qui, è
qui in carrozza.--Cosa importa? che c'entra lui? non vogliamo
nessuno!--Ferrer! viva Ferrer! l'amico della povera gente! viene per
condurre in prigione il vicario.--No, no: vogliamo far giustizia noi:
indietro, indietro!--Sì, sì: Ferrer! venga Ferrer! in prigione il
vicario!»
E tutti, alzandosi in punta di piedi, si voltano a guardare da quella
parte donde s'annunziava l'inaspettato arrivo. Alzandosi tutti,
vedevano nè più nè meno che se fossero stati tutti con le piante in
terra; ma tant'è, tutti s'alzavano.
In fatti, all'estremità della folla, dalla parte opposta a quella
dove stavano i soldati, era arrivato in carrozza Antonio Ferrer, il
gran cancelliere, il quale, rimordendogli probabilmente la coscienza
d'essere co' suoi spropositi e con la sua ostinazione, stato causa, o
almeno occasione di quella sommossa, veniva ora a cercar d'acquietarla,
e d'impedirne almeno il più terribile e irreparabile effetto: veniva a
spender bene una popolarità mal acquistata.
Ne' tumulti popolari c'è sempre un certo numero d'uomini che, o per
un riscaldamento di passione, o per una persuasione fanatica, o per
un disegno scellerato, o per un maledetto gusto del soqquadro, fanno
di tutto per ispinger le cose al peggio: propongono o promovono i
più spietati consigli, soffian nel fuoco ogni volta che principia a
illanguidire: non è mai troppo per costoro: non vorrebbero che il
tumulto avesse nè fine nè misura. Ma per contrappeso, c'è sempre
anche un certo numero d'altri uomini che, con pari ardore e con
insistenza pari, s'adoprano per produr l'effetto contrario: taluni
mossi da amicizia o da parzialità per le persone minacciate; altri
senz'altro impulso che d'un pio e spontaneo orrore del sangue e de'
fatti atroci. Il cielo li benedica. In ciascuna di queste due parti
opposte, anche quando non ci siano concerti antecedenti, l'uniformità
de' voleri crea un concerto istantaneo nell'operazioni. Chi forma
poi la massa, e quasi il materiale del tumulto, è un miscuglio
accidentale d'uomini, che, più o meno, per gradazioni indefinite,
tengono dell'uno e dell'altro estremo: un po' riscaldati, un po'
furbi, un po' inclinati a una certa giustizia, come l'intendon loro,
un po' vogliosi di vederne qualcheduna grossa, pronti alla ferocia e
alla misericordia, a detestare e ad adorare, secondo che si presenti
l'occasione di provar con pienezza l'uno o l'altro sentimento; avidi
ogni momento di sapere, di credere qualche cosa grossa, bisognosi di
gridare, d'applaudire a qualcheduno, o d'urlargli dietro. Viva e moia,
son le parole che mandan fuori più volentieri; e chi è riuscito a
persuaderli che un tale non meriti d'essere squartato, non ha bisogno
di spender più parole per convincerli che sia degno d'esser portato in
trionfo: attori, spettatori, strumenti, ostacoli, secondo il vento;
pronti anche a stare zitti, quando non sentan più grida da ripetere,
a finirla, quando manchino gl'istigatori, a sbandarsi, quando molte
voci concordi e non contraddette abbiano detto: andiamo; e a tornarsene
a casa, domandandosi l'uno con l'altro: cos'è stato? Siccome però
questa massa, avendo la maggior forza, la può dare a chi vuole, così
ognuna delle due parti attive usa ogni arte per tirarla dalla sua,
per impadronirsene: sono quasi due anime nemiche, che combattono per
entrare in quel corpaccio, e farlo movere. Fanno a chi saprà sparger le
voci più atte a eccitar le passioni, a dirigere i movimenti a favore
dell'uno o dell'altro intento; a chi saprà più a proposito trovare le
nuove che riaccendano gli sdegni, o gli affievoliscano, risveglino
le speranze o i terrori; a chi saprà trovare il grido, che ripetuto
dai più e più forte, esprima, attesti e crei nello stesso tempo il
voto della pluralità, per l'una o per l'altra parte. Tutta questa
chiacchierata s'è fatta per venire a dire che, nella lotta tra le due
parti che si contendevano il voto della gente affollata alla casa del
vicario, l'apparizione d'Antonio Ferrer diede, quasi in un momento, un
gran vantaggio alla parte degli umani, la quale era manifestamente al
di sotto, e, un po' più che quel soccorso fosse tardato, non avrebbe
avuto più nè forza, nè motivo di combattere. L'uomo era gradito alla
moltitudine, per quella tariffa di sua invenzione così favorevole a'
compratori, e per quel suo eroico star duro contro ogni ragionamento in
contrario. Gli animi già propensi erano ora ancor più innamorati dalla
fiducia animosa del vecchio che, senza guardie, senza apparato, veniva
così a trovare, ad affrontare una moltitudine irritata e procellosa.
Faceva poi un effetto mirabile il sentire che veniva a condurre in
prigione il vicario: così il furore contro costui, che si sarebbe
scatenato peggio, chi l'avesse preso con le brusche, e non gli avesse
voluto conceder nulla, ora, con quella promessa di soddisfazione, con
quell'osso in bocca, s'acquietava un poco, e dava luogo agli altri
opposti sentimenti, che sorgevano in una gran parte degli animi.
I partigiani della pace, ripreso fiato, secondavano Ferrer in cento
maniere: quelli che si trovavan vicini a lui, eccitando e rieccitando
col loro il pubblico applauso, e cercando insieme di far ritirare la
gente, per aprire il passo alla carrozza; gli altri, applaudendo,
ripetendo e facendo passare le sue parole, o quelle che a loro
parevano le migliori che potesse dire, dando sulla voce ai furiosi
ostinati, e rivolgendo contro di loro la nuova passione della mobile
adunanza. «Chi è che non vuole che si dica: viva Ferrer? Tu non
vorresti eh, che il pane fosse a buon mercato? Son birboni che non
vogliono una giustizia da cristiani: e c'è di quelli che schiamazzano
più degli altri, per fare scappare il vicario. In prigione il vicario!
Viva Ferrer! Largo a Ferrer!» E crescendo sempre più quelli che
parlavan così, s'andava a proporzione abbassando la baldanza della
parte contraria; di maniera che i primi dal predicare vennero anche a
dar sulle mani a quelli che diroccavano ancora, a cacciarli indietro,
a levar loro dall'unghie gli ordigni. Questi fremevano, minacciavano
anche, cercavan di rifarsi; ma la causa del sangue era perduta: il
grido che predominava era: prigione, giustizia, Ferrer! Dopo un po' di
dibattimento, coloro furon respinti: gli altri s'impadroniron della
porta, e per tenerla difesa da nuovi assalti, e per prepararvi l'adito
a Ferrer; e alcuno di essi, mandando dentro una voce a quelli di casa
(fessure non ne mancava), gli avvisò che arrivava soccorso, e che
facessero star pronto il vicario, «per andar subito.... in prigione:
ehm, avete inteso?»
«È quel Ferrer che aiuta a far le gride?» domandò a un nuovo vicino il
nostro Renzo, che si rammentò del _vidit Ferrer_ che il dottore gli
aveva gridato all'orecchio, facendoglielo vedere in fondo di quella
tale.
«Già: il gran cancelliere» gli fu risposto.
«È un galantuomo, n'è vero?»
«Eccome se è un galantuomo! è quello che aveva messo il pane a buon
mercato; e gli altri non hanno voluto; e ora viene a condurre in
prigione il vicario, che non ha fatto le cose giuste.»
Non fa bisogno di dire che Renzo fu subito per Ferrer. Volle andargli
incontro addirittura: la cosa non era facile; ma con certe sue spinte e
gomitate da alpigiano, riuscì a farsi far largo, e a arrivare in prima
fila, proprio di fianco alla carrozza.
Era questa già un po' inoltrata nella folla; e in quel momento
stava ferma, per uno di quegl'incagli inevitabili e frequenti, in
un'andata di quella sorte. Il vecchio Ferrer presentava ora all'uno,
ora all'altro sportello, un viso tutto umile, tutto ridente, tutto
amoroso, un viso che aveva tenuto sempre in serbo per quando si
trovasse alla presenza di don Filippo IV; ma fu costretto a spenderlo
anche in quest'occasione. Parlava anche; ma il chiasso e il ronzío di
tante voci, gli evviva stessi che si facevano a lui, lasciavano ben
poco e a ben pochi sentir le sue parole. S'aiutava dunque co' gesti,
ora mettendo la punta delle mani sulle labbra, a prendere un bacio che
le mani, separandosi subito, distribuivano a destra e a sinistra in
ringraziamento alla pubblica benevolenza; ora stendendole e movendole
lentamente fuori d'uno sportello, per chiedere un po' di luogo; ora
abbassandole garbatamente, per chiedere un po' di silenzio. Quando
n'aveva ottenuto un poco, i più vicini sentivano e ripetevano le sue
parole: «pane, abbondanza: vengo a far giustizia: un po' di luogo di
grazia.» Sopraffatto poi e come soffogato dal fracasso di tante voci,
dalla vista di tanti visi fitti, di tant'occhi addosso a lui, si tirava
indietro un momento, gonfiava le gote, mandava un gran soffio, e diceva
tra sè:--_por mi vida, que de gente_!--
«Viva Ferrer! Non abbia paura. Lei è un galantuomo. Pane, pane!»
«Sì; pane, pane,» rispondeva Ferrer: «abbondanza; lo prometto io,» e
metteva la mano al petto.
«Un po' di luogo,» aggiungeva subito: «vengo per condurlo in prigione,
per dargli il giusto gastigo che si merita:» e soggiungeva sottovoce
«_si es culpable_.» Chinandosi poi innanzi verso il cocchiere, gli
diceva in fretta: «_adelante, Pedro, si puedes_.»
Il cocchiere sorrideva anche lui alla moltitudine, con una grazia
affettuosa, come se fosse stato un gran personaggio; e con un garbo
ineffabile, dimenava adagio adagio la frusta, a destra e a sinistra,
per chiedere agl'incomodi vicini che si ristringessero e si ritirassero
un poco. «Di grazia,» diceva anche lui, «signori miei, un po' di luogo,
un pochino; appena appena da poter passare.»
Intanto i benevoli più attivi s'adopravano a far fare il luogo chiesto
così gentilmente. Alcuni davanti ai cavalli facevan ritirar le persone,
con buone parole, con un metter le mani sui petti, con certe spinte
soavi: «in là, via, un po' di luogo, signori;» alcuni facevan lo stesso
dalle due parti della carrozza, perchè potesse passare senza arrotar
piedi, nè ammaccar mostacci; che, oltre il male delle persone, sarebbe
stato porre a un gran repentaglio l'auge d'Antonio Ferver.
Renzo, dopo essere stato qualche momento a vagheggiare quella decorosa
vecchiezza, conturbata un po' dall'angustia, aggravata dalla fatica, ma
animata dalla sollecitudine, abbellita, per dir così, dalla speranza
di togliere un uomo all'angosce mortali, Renzo, dico, mise da parte
ogni pensiero d'andarsene; e si risolvette d'aiutare Ferrer, e di
non abbandonarlo, fin che non fosse ottenuto l'intento. Detto fatto,
si mise con gli altri a far far largo; e non era certo de' meno
attivi. Il largo si fece; «venite pure avanti,» diceva più d'uno al
cocchiere, ritirandosi o andando a fargli un po' di strada più innanzi.
«_Adelante, presto, con juicio_,» gli disse anche il padrone; e la
carrozza si mosse. Ferrer, in mezzo ai saluti che scialacquava al
pubblico in massa, ne faceva certi particolari di ringraziamento, con
un sorriso d'intelligenza, a quelli che vedeva adoprarsi per lui: e
di questi sorrisi ne toccò più d'uno a Renzo, il quale per verità se
li meritava, e serviva in quel giorno il gran cancelliere meglio che
non avrebbe potuto fare il più bravo de' suoi segretari. Al giovane
montanaro invaghito di quella buona grazia, pareva quasi d'aver fatto
amicizia con Antonio Ferrer.
La carrozza, una volta incamminata, seguitò poi, più o meno adagio,
e non senza qualche altra fermatina. Il tragitto non era forse più
che un tiro di schioppo; ma riguardo al tempo impiegatovi, avrebbe
potuto parere un viaggetto, anche a chi non avesse avuto la santa
fretta di Ferrer. La gente si moveva, davanti e di dietro, a destra
e a sinistra della carrozza, a guisa di cavalloni intorno a una nave
che avanza nel forte della tempesta. Più acuto, più scordato, più
assordante di quello della tempesta era il frastono. Ferrer, guardando
ora da una parte, ora dall'altra; atteggiandosi e gestendo insieme,
cercava d'intender qualche cosa, per accomodar le risposte al bisogno;
voleva far alla meglio un po' di dialogo con quella brigata d'amici;
ma la cosa era difficile, la più difficile forse che gli fosse ancora
capitata, in tant'anni di gran-cancellierato. Ogni tanto però, qualche
parola, anche qualche frase, ripetuta da un crocchio nel suo passaggio,
gli si faceva sentire, come lo scoppio d'un razzo più forte si fa
sentire nell'immenso scoppiettío d'un fuoco artifiziale. E lui, ora
ingegnandosi di rispondere in modo soddisfacente a queste grida, ora
dicendo a buon conto le parole che sapeva dover essere più accette, o
che qualche necessità istantanea pareva richiedere, parlò anche lui
per tutta la strada. «Sì, signori; pane, abbondanza. Lo condurrò io in
prigione: sarà gastigato.... _si es culpable_. Sì, sì, comanderò io:
il pane a buon mercato. _Asi es_.... così è, voglio dire: il re nostro
signore non vuole che codesti fedelissimi vassalli patiscan la fame.
_Ox! ox! guardaos_: non si facciano male, signori. _Pedro, adelante con
juicio._ Abbondanza, abbondanza. Un po' di luogo, per carità. Pane,
pane. In prigione, in prigione. Cosa?» domandava poi a uno che s'era
buttato mezzo dentro lo sportello, a urlargli qualche suo consiglio o
preghiera o applauso che fosse. Ma costui, senza poter neppure ricevere
il «cosa?», era stato tirato indietro da uno che lo vedeva lì lì per
essere schiacciato da una rota. Con queste botte e risposte, tra le
incessanti acclamazioni, tra qualche fremito anche d'opposizione, che
si faceva sentire qua e là, ma era subito soffogato, ecco alla fine
Ferrer arrivato alla casa, per opera principalmente di que' buoni
ausiliari.
Gli altri che, come abbiam detto, eran già lì con le medesime buone
intenzioni, avevano intanto lavorato a fare e a rifare un po' di
piazza. Prega, esorta, minaccia; pigia, ripigia, incalza di qua e di
là, con quel raddoppiare di voglia, e con quel rinnovamento di forze
che viene dal veder vicino il fine desiderato; gli era finalmente
riuscito di divider la calca in due, e poi di spingere indietro le
due calche; tanto che, tra la porta e la carrozza, che vi si fermò
davanti, v'era un piccolo spazio vôto. Renzo, che, facendo un po' da
battistrada, un po' da scorta, era arrivato con la carrozza, potè
collocarsi in una di quelle due frontiere di benevoli, che facevano,
nello stesso tempo, ala alla carrozza e argine alle due onde prementi
di popolo. E aiutando a rattenerne una con le poderose sue spalle, si
trovò anche in un bel posto per poter vedere.
Ferrer mise un gran respiro, quando vide quella piazzetta libera, e
la porta ancor chiusa. Chiusa qui vuoi dire non aperta; del resto
i gangheri eran quasi sconficcati fuor de' pilastri: i battenti
scheggiati, ammaccati, sforzati e scombaciati nel mezzo, lasciavano
veder fuori da un largo spiraglio un pezzo di catenaccio storto,
allentato, e quasi divelto, che, se vogliam dir così, li teneva
insieme. Un galantuomo s'era affacciato a quel fesso, a gridar che
aprissero; un altro spalancò in fretta lo sportello della carrozza:
il vecchio mise fuori la testa, s'alzò, e afferrando con la destra il
braccio di quel galantuomo, uscì, e scese sul predellino.
La folla, da una parte e dall'altra, stava tutta in punta di piedi per
vedere: mille visi, mille barbe in aria: la curiosità e l'attenzione
generale creò un momento di generale silenzio. Ferrer, fermatosi quel
momento sul predellino, diede un'occhiata in giro, salutò con un
inchino la moltitudine, come da un pulpito, e messa la mano sinistra al
petto, gridò: «pane e giustizia;» e franco, diritto, togato, scese in
terra, tra l'acclamazioni che andavano alle stelle.
Intanto quelli di dentro avevano aperto, ossia avevan finito d'aprire,
tirando via il catenaccio insieme con gli anelli già mezzi sconficcati,
e allargando lo spiraglio, appena quanto bastava per fare entrare il
desideratissimo ospite. «Presto, presto,» diceva lui: «aprite bene,
ch'io possa entrare: e voi, da bravi, tenete indietro la gente, non
mi lasciate venire addosso.... per l'amor del cielo! Serbate un po'
di largo per tra poco.... Ehi! ehi! signori, un momento,» diceva poi
ancora a quelli di dentro: «adagio con quel battente, lasciatemi
passare: eh! le mie costole; vi raccomando le mie costole. Chiudete
ora: no; eh! eh! la toga! la toga!» Sarebbe infatti rimasta presa tra
i battenti, se Ferrer non n'avesse ritirato con molta disinvoltura
lo strascico, che disparve come la coda d'una serpe, che si rimbuca
inseguita.
Riaccostati i battenti, furono anche riappuntellati alla meglio. Di
fuori, quelli che s'eran costituiti guardia del corpo di Ferrer,
lavoravano di spalle, di braccia e di grida, a mantener la piazza vôta,
pregando in cuor loro il Signore che lo facesse far presto.
«Presto, presto,» diceva anche Ferrer di dentro, sotto il portico, ai
servitori, che gli si eran messi d'intorno ansanti, gridando: «sia
benedetto! ah eccellenza! oh eccellenza! uh eccellenza!»
«Presto, presto,» ripeteva Ferrer: «dov'è questo benedett'uomo?»
Il vicario scendeva le scale, mezzo strascicato e mezzo portato da
altri suoi servitori, bianco come un panno lavato. Quando vide il suo
aiuto, mise un gran respiro; gli tornò il polso, gli scorse un po' di
vita nelle gambe, un po' di colore sulle gote; e corse, come potè,
verso Ferrer, dicendo: «sono nelle mani di Dio e di vostra eccellenza.
Ma come uscir di qui? Per tutto c'è gente che mi vuoi morto.»
«_Venga usted con migo_, e si faccia coraggio: qui fuori c'è la mia
carrozza; presto, presto.» Lo prese per la mano, e lo condusse verso la
porta, facendogli coraggio tuttavia; ma diceva intanto tra sè:--_aqui
està el busilis; Dios nos valga!_--
La porta s'apre; Ferrer esce il primo; l'altro dietro, rannicchiato,
attaccato, incollato alla toga salvatrice, come un bambino alla sottana
della mamma. Quelli che avevan mantenuta la piazza vôta, fanno ora,
con un alzar di mani, di cappelli, come una rete, una nuvola, per
sottrarre alla vista pericolosa della moltitudine il vicario; il quale
entra il primo nella carrozza, e vi si rimpiatta in un angolo. Ferrer
sale dopo; lo sportello vien chiuso. La moltitudine vide in confuso,
riseppe, indovinò quel ch'era accaduto; e mandò un urlo d'applausi e
d'imprecazioni.
La parte della strada che rimaneva da farsi, poteva parer la più
difficile e la più pericolosa. Ma il voto pubblico era abbastanza
spiegato per lasciar andare in prigione il vicario; e nel tempo della
fermata, molti di quelli che avevano agevolato l'arrivo di Ferrer,
s'eran tanto ingegnati a preparare e a mantener come una corsia nel
mezzo della folla, che la carrozza potè, questa seconda volta, andare
un po' più lesta, e di seguito. Di mano in mano che s'avanzava, le due
folle rattenute dalle parti, si ricadevano addosso e si rimischiavano,
dietro a quella.
Ferrer, appena seduto, s'era chinato per avvertire il vicario, che
stesse ben rincantucciato nel fondo, e non si facesse vedere, per
l'amor del cielo; ma l'avvertimento era superfluo. Lui, in vece,
bisognava che si facesse vedere, per occupare e attirare a sè tutta
l'attenzione del pubblico. E per tutta questa gita, come nella prima,
fece al mutabile uditorio un discorso, il più continuo nel tempo,
e il più sconnesso nel senso, che fosse mai; interrompendolo però
ogni tanto con qualche parolina spagnola, che in fretta in fretta si
voltava a bisbigliar nell'orecchio del suo acquattato compagno. «Sì,
signori; pane e giustizia: in castello, in prigione, sotto la mia
guardia. Grazie, grazie, grazie tante. No, no: non iscapperà! _Por
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