I promessi sposi. - 16

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è più chiaramente indicato; ch'essa doveva vedere, in questo tristo
accidente, come un avviso che la vita del secolo era troppo piena di
pericoli per lei....
«Ah sì!» esclamò Gertrude, scossa dal timore, preparata dalla vergogna,
e mossa in quel punto da una tenerezza istantanea.
«Ah! lo capite anche voi,» riprese incontanente il principe. «Ebbene,
non si parli più del passato: tutto è cancellato. Avete preso il solo
partito onorevole, conveniente, che vi rimanesse; ma perchè l'avete
preso di buona voglia, e con buona maniera, tocca a me a farvelo
riuscir gradito in tutto e per tutto: tocca a me a farne tornare
tutto il vantaggio e tutto il merito sopra di voi. Ne prendo io la
cura.» Così dicendo, scosse un campanello che stava sul tavolino, e al
servitore che entrò, disse: «la principessa e il principino subito.»
E seguitò poi con Gertrude: «voglio metterli subito a parte della
mia consolazione; voglio che tutti comincin subito a trattarvi come
si conviene. Avete sperimentato in parte il padre severo; ma da qui
innanzi proverete tutto il padre amoroso.»
A queste parole, Gertrude rimaneva come sbalordita. Ora ripensava come
mai quel sì che le era scappato, avesse potuto significar tanto, ora
cercava se ci fosse maniera di riprenderlo, di ristringerne il senso;
ma la persuasione del principe pareva così intera, la sua gioia così
gelosa, la benignità così condizionata, che Gertrude non osò proferire
una parola che potesse turbarle menomamente.
Dopo pochi momenti, vennero i due chiamati, e vedendo lì Gertrude, la
guardarono in viso, incerti e maravigliati. Ma il principe, con un
contegno lieto e amorevole, che ne prescriveva loro un somigliante,
«ecco,» disse, «la pecora smarrita: e sia questa l'ultima parola che
richiami triste memorie. Ecco la consolazione della famiglia. Gertrude
non ha più bisogno di consigli; ciò che noi desideravamo per suo bene,
l'ha voluto lei spontaneamente. È risoluta, m'ha fatto intendere che è
risoluta....» A questo passo, alzò essa verso il padre uno sguardo tra
atterrito e supplichevole, come per chiedergli che sospendesse, ma egli
proseguì francamente: «che è risoluta di prendere il velo.»
«Brava! bene!» esclamarono, a una voce, la madre e il figlio, e
l'uno dopo l'altra abbracciaron Gertrude; la quale ricevette queste
accoglienze con lacrime, che furono interpretate per lacrime di
consolazione. Allora il principe si diffuse a spiegar ciò che farebbe
per render lieta e splendida la sorte della figlia. Parlò delle
distinzioni di cui goderebbe nel monastero e nel paese; che, là
sarebbe come una principessa, come la rappresentante della famiglia;
che, appena l'età l'avrebbe permesso, sarebbe innalzata alla prima
dignità; e, intanto, non sarebbe soggetta che di nome. La principessa
e il principino rinnovavano, ogni momento, le congratulazioni e gli
applausi: Gertrude era come dominata da un sogno.
«Converrà poi fissare il giorno, per andare a Monza, a far la richiesta
alla badessa,» disse il principe. «Come sarà contenta! Vi so dire che
tutto il monastero saprà valutar l'onore che Gertrude gli fa. Anzi....
perchè non ci andiamo oggi? Gertrude prenderà volentieri un po' d'aria.»
«Andiamo pure,» disse la principessa.
«Vo a dar gli ordini,» disse il principino.
«Ma....» proferì sommessamente Gertrude.
«Piano, piano,» riprese il principe: «lasciam decidere a lei: forse
oggi non si sente abbastanza disposta, e le piacerebbe più aspettar
fino a domani. Dite: volete che andiamo oggi o domani?»
«Domani,» rispose, con voce fiacca, Gertrude, alla quale pareva ancora
di far qualche cosa, prendendo un po' di tempo.
«Domani,» disse solennemente il principe: «ha stabilito che si vada
domani. Intanto io vo dal vicario delle monache, a fissare un giorno
per l'esame.» Detto fatto, il principe uscì, e andò veramente (che non
fu piccola degnazione) dal detto vicario; e concertarono che verrebbe
di lì a due giorni.
In tutto il resto di quella giornata, Gertrude non ebbe un minuto di
bene. Avrebbe desiderato riposar l'animo da tante commozioni, lasciar,
per dir così, chiarire i suoi pensieri, render conto a sè stessa di
ciò che aveva fatto, di ciò che le rimaneva da fare, sapere ciò che
volesse, rallentare un momento quella macchina che, appena avviata,
andava così precipitosamente; ma non ci fu verso. L'occupazioni si
succedevano senza interruzione; s'incastravano l'una con l'altra.
Subito dopo partito il principe, fu condotta nel gabinetto della
principessa, per essere, sotto la sua direzione, pettinata e rivestita
dalla sua propria cameriera. Non era ancor terminato di dar l'ultima
mano, che furon avvertite ch'era in tavola. Gertrude passò in mezzo
agl'inchini della servitù, che accennava di congratularsi per la
guarigione, e trovò alcuni parenti più prossimi, ch'erano stati
invitati in fretta, per farle onore, e per rallegrarsi con lei de' due
felici avvenimenti, la ricuperata salute, e la spiegata vocazione.
La sposina (così si chiamavan le giovani monacande, e Gertrude, al
suo apparire, fu da tutti salutata con quel nome), la sposina ebbe
da dire e da fare a rispondere a' complimenti che le fioccavan da
tutte le parti. Sentiva bene che ognuna delle sue risposte era come
un'accettazione e una conferma; ma come rispondere diversamente? Poco
dopo alzati da tavola, venne l'ora della trottata. Gertrude entrò in
carrozza con la madre, e con due zii ch'erano stati al pranzo. Dopo
un solito giro, si riuscì alla strada Marina, che allora attraversava
lo spazio occupato ora dal giardin pubblico, ed era il luogo dove i
signori venivano in carrozza a ricrearsi delle fatiche della giornata.
Gli zii parlarono anche a Gertrude, come portava la convenienza in quel
giorno: e uno di loro, il qual pareva che, più del l'altro, conoscesse
ogni persona, ogni carrozza, ogni livrea, e aveva ogni momento qualcosa
da dire del signor tale e della signora tal altra, si voltò a lei
tutt'a un tratto, e le disse: «ah furbetta! voi date un calcio a tutte
queste corbellerie; siete una dirittona voi; piantate negl'impicci noi
poveri mondani, vi ritirate a fare una vita beata, e andate in paradiso
in carrozza.»
Sul tardi, si tornò a casa; e i servitori, scendendo in fretta con le
torce, avvertirono che molte visite stavano aspettando. La voce era
corsa; e i parenti e gli amici venivano a fare il loro dovere. S'entrò
nella sala della conversazione. La sposina ne fu l'idolo, il trastullo,
la vittima. Ognuno la voleva per sè: chi si faceva prometter dolci,
chi prometteva visite, chi parlava della madre tale sua parente, chi
della madre tal altra sua conoscente, chi lodava il cielo di Monza, chi
discorreva, con gran sapore, della gran figura ch'essa avrebbe fatta
là. Altri, che non avevan potuto ancora avvicinarsi a Gertrude così
assediata, stavano spiando l'occasione di farsi innanzi, e sentivano
un certo rimorso, fin che non avessero fatto il loro dovere. A poco
a poco, la compagnia s'andò dileguando; tutti se n'andarono senza
rimorso, e Gertrude rimase sola co' genitori e il fratello.
«Finalmente,» disse il principe, «ho avuto la consolazione di veder
mia figlia trattata da par sua. Bisogna però confessare che anche lei
s'è portata benone, e ha fatto vedere che non sarà impicciata a far la
prima figura, e a sostenere il decoro della famiglia.»
Si cenò in fretta, per ritirarsi subito, ed esser pronti presto la
mattina seguente.
Gertrude contristata, indispettita e, nello stesso tempo, un po'
gonfiata da tutti que' complimenti, si rammentò in quel punto ciò che
aveva patito dalla sua carceriera; e, vedendo il padre così disposto
a compiacerla in tutto, fuor che in una cosa, volle approfittare
dell'auge in cui si trovava, per acquietare almeno una delle passioni
che la tormentavano. Mostrò quindi una gran ripugnanza a trovarsi con
colei, lagnandosi fortemente delle sue maniere.
«Come!» disse il principe: «v'ha mancato di rispetto colei! Domani,
domani, le laverò il capo come va. Lasciate fare a me, che le farò
conoscere chi è lei, e chi siete voi. E a ogni modo, una figlia della
quale io son contento, non deve vedersi intorno una persona che le
dispiaccia.» Così detto, fece chiamare un'altra donna, e le ordinò
di servir Gertrude; la quale intanto, masticando e assaporando la
soddisfazione che aveva ricevuta, si stupiva di trovarci così poco
sugo, in paragone del desiderio che n'aveva avuto. Ciò che, anche suo
malgrado, s'impossessava di tutto il suo animo, era il sentimento de'
gran progressi che aveva fatti, in quella giornata, sulla strada del
chiostro, il pensiero che a ritirarsene ora ci vorrebbe molta più forza
e risolutezza di quella che sarebbe bastata pochi giorni prima, e che
pure non s'era sentita d'avere.
La donna che andò ad accompagnarla in camera, era una vecchia di casa,
stata già governante del principino, che aveva ricevuto appena uscito
dalle fasce, e tirato su fino all'adolescenza, e nel quale aveva
riposte tutte le sue compiacenze, le sue speranze, la sua gloria. Era
essa contenta della decisione fatta in quel giorno, come d'una sua
propria fortuna; e Gertrude, per ultimo divertimento, dovette succiarsi
le congratulazioni, le lodi, i consigli della vecchia, e sentir parlare
di certe sue zie e prozie, le quali s'eran trovate ben contente d'esser
monache, perchè, essendo di quella casa, avevan sempre goduto i primi
onori, avevan sempre saputo tenere uno zampino di fuori, e, dal loro
parlatorio, avevano ottenuto cose che le più gran dame, nelle loro
sale, non c'eran potute arrivare. Le parlò delle visite che avrebbe
ricevute: un giorno poi, verrebbe il signor principino con la sua
sposa, la quale doveva esser certamente una gran signorona; e allora,
non solo il monastero, ma tutto il paese sarebbe in moto. La vecchia
aveva parlato mentre spogliava Gertrude, quando Gertrude era a letto;
parlava ancora, che Gertrude dormiva. La giovinezza e la fatica erano
state più forti de' pensieri. Il sonno fu affannoso, torbido, pieno di
sogni penosi, ma non fu rotto che dalla voce strillante della vecchia,
che venne a svegliarla, perchè si preparasse per la gita di Monza.
«Andiamo, andiamo, signora sposina: è giorno fatto; e prima che sia
vestita e pettinata, ci vorrà un'ora almeno. La signora principessa
si sta vestendo; e l'hanno svegliata quattr'ore prima del solito.
Il signor principino è già sceso alle scuderie, poi è tornato su,
ed è all'ordine per partire quando si sia. Vispo come una lepre,
quel diavoletto: ma! è stato così fin da bambino; e io posso dirlo,
che l'ho portato in collo. Ma quand'è pronto, non bisogna farlo
aspettare, perchè, sebbene sia della miglior pasta del mondo, allora
s'impazientisce e strepita. Poveretto! bisogna compatirlo: è il suo
naturale; e poi questa volta avrebbe anche un po' di ragione, perchè
s'incomoda per lei. Guai chi lo tocca in que' momenti! non ha riguardo
per nessuno, fuorchè per il signor principe. Ma, un giorno, il signor
principe sarà lui; più tardi che sia possibile, però. Lesta, lesta,
signorina! Perchè mi guarda così incantata? A quest'ora dovrebbe esser
fuor della cuccia.»
All'immagine del principino impaziente, tutti gli altri pensieri che
s'erano affollati alla mente risvegliata di Gertrude, si levaron
subito, come uno stormo di passere all'apparire del nibbio. Ubbidì, si
vesti in fretta, si lasciò pettinare, e comparve nella sala, dove i
genitori e il fratello eran radunati. Fu fatta sedere sur una sedia a
braccioli, e le fu portata una chicchera di cioccolata: il che, a que'
tempi, era quel che già presso i Romani il dare la veste virile.
Quando vennero a avvertir ch'era attaccato, il principe tirò la figlia
in disparte, e le disse: «orsù, Gertrude, ieri vi siete fatta onore:
oggi dovete superar voi medesima. Si tratta di fare una comparsa
solenne nel monastero e nel paese dove siete destinata a far la prima
figura. V'aspettano....» È inutile dire che il principe aveva spedito
un avviso alla badessa, il giorno avanti. «V'aspettano, e tutti gli
occhi saranno sopra di voi. Dignità e disinvoltura. La badessa vi
domanderà cosa volete: è una formalità. Potete rispondere che chiedete
d'essere ammessa a vestir l'abito in quel monastero, dove siete stata
educata così amorevolmente, dove avete ricevute tante finezze: che è
la pura verità. Dite quelle poche parole, con un fare sciolto: che non
s'avesse a dire che v'hanno imboccata, e che non sapete parlare da voi.
Quelle buone madri non sanno nulla dell'accaduto: è un segreto che deve
restar sepolto nella famiglia; e perciò non fate una faccia contrita e
dubbiosa, che potesse dar qualche sospetto. Fate vedere di che sangue
uscite: manierosa, modesta; ma ricordatevi che, in quel luogo, fuor
della famiglia, non ci sarà nessuno sopra di voi.»
Senza aspettar risposta, il principe si mosse; Gertrude, la principessa
e il principino lo seguirono; scesero tutti le scale, e montarono in
carrozza. Gl'impicci e le noie del mondo, e la vita beata del chiostro,
principalmente per le giovani di sangue nobilissimo, furono il tema
della conversazione, durante il tragitto. Sul finir della strada,
il principe rinnovò l'istruzioni alla figlia, e le ripetè più volte
la formola della risposta. All'entrare in Monza, Gertrude si sentì
stringere il cuore; ma la sua attenzione fu attirata per un istante
da non so quali signori che, fatta fermar la carrozza, recitarono non
so qual complimento. Ripreso il cammino, s'andò quasi di passo al
monastero, tra gli sguardi de' curiosi che accorrevano da tutte le
parti sulla strada. Al fermarsi della carrozza, davanti a quelle mura,
davanti a quella porta, il cuore si strinse ancor più a Gertrude. Si
smontò tra due ale di popolo, che i servitori facevano stare indietro.
Tutti quegli occhi addosso alla poveretta l'obbligavano a studiar
continuamente il suo contegno: ma più di tutti quelli insieme, la
tenevano in suggezione i due del padre, a' quali essa, quantunque ne
avesse così gran paura, non poteva lasciar di rivolgere i suoi, ogni
momento. E quegli occhi governavano le sue mosse e il suo volto, come
per mezzo di redini invisibili. Attraversato il primo cortile, s'entrò
in un altro, e li si vide la porta del chiostro interno, spalancata e
tutta occupata da monache. Nella prima fila, la badessa circondata da
anziane; dietro, altre monache alla rinfusa, alcune in punta di piedi;
in ultimo le converse ritte sopra panchetti. Si vedevan pure qua e là
luccicare a mezz'aria alcuni occhietti, spuntar qualche visino tra le
tonache: eran le più destre, e le più coraggiose tra l'educande, che,
ficcandosi e penetrando tra monaca e monaca, eran riuscite a farsi un
po' di pertugio, per vedere anch'esse qualche cosa. Da quella calca
uscivano acclamazioni; si vedevan molte braccia dimenarsi, in segno
d'accoglienza e di gioia. Giunsero alla porta; Gertrude si trovò a viso
a viso con la madre badessa. Dopo i primi complimenti, questa, con una
maniera tra il giulivo e il solenne, le domandò cosa desiderasse in
quel luogo, dove non c'era chi le potesse negar nulla.
«Son qui...,» cominciò Gertrude; ma, al punto di proferir le parole
che dovevano decider quasi irrevocabilmente del suo destino, esitò
un momento, e rimase con gli occhi fissi sulla folla che le stava
davanti. Vide, in quel momento, una di quelle sue note compagne, che
la guardava con un'aria di compassione e di malizia insieme, e pareva
che dicesse: ah! la c'è cascata la brava. Quella vista, risvegliando
più vivi nell'animo suo tutti gli antichi sentimenti, le restituì
anche un po' di quel poco antico coraggio: e già stava cercando una
risposta qualunque, diversa da quella che le era stata dettata; quando,
alzato lo sguardo alla faccia del padre, quasi per esperimentar le
sue forze, scorse su quella un'inquietudine così cupa, un'impazienza
così minaccevole, che, risoluta per paura, con la stessa prontezza che
avrebbe preso la fuga dinanzi un oggetto terribile, proseguì: «son
qui a chiedere d'esser ammessa a vestir l'abito religioso, in questo
monastero, dove sono stata allevata così amorevolmente.» La badessa
rispose subito, che le dispiaceva molto, in una tale occasione, che le
regole non le permettessero di dare immediatamente una risposta, la
quale doveva venire dai voti comuni delle suore, e alla quale doveva
precedere la licenza de' superiori. Che però Gertrude, conoscendo i
sentimenti che s'avevan per lei in quel luogo, poteva preveder con
certezza qual sarebbe questa risposta; e che intanto nessuna regola
proibiva alla badessa e alle suore di manifestare la consolazione che
sentivano di quella richiesta. S'alzò allora un frastono confuso di
congratulazioni e d'acclamazioni. Vennero subito gran guantiere colme
di dolci, che furon presentati, prima alla sposina, e dopo ai parenti.
Mentre alcune monache facevano a rubarsela, e altre complimentavan
la madre, altre il principino, la badessa fece pregare il principe
che volesse venire alla grata del parlatorio, dove l'attendeva. Era
accompagnata da due anziane; e quando lo vide comparire, «signor
principe,» disse: «per ubbidire alle regole.... per adempire una
formalità indispensabile, sebbene in questo caso.... pure devo
dirle.... che, ogni volta che una figlia chiede d'essere ammessa a
vestir l'abito,... la superiora, quale io sono indegnamente,... è
obbligata d'avvertire i genitori.... che se, per caso.... forzassero la
volontà della figlia, incorrerebbero nella scomunica. Mi scuserà....»
«Benissimo, benissimo, reverenda madre. Lodo la sua esattezza: è troppo
giusto.... Ma lei non può dubitare....»
«Oh! pensi, signor principe,... ho parlato per obbligo preciso,... del
resto....»
«Certo, certo, madre badessa.»
Barattate queste poche parole, i due interlocutori s'inchinarono
vicendevolmente, e si separarono, come se a tutt'e due pesasse di
rimaner lì testa testa; e andarono a riunirsi ciascuno alla sua
compagnia, l'uno fuori, l'altra dentro la soglia claustrale.
«Oh via,» disse il principe: «Gertrude potrà presto godersi a suo
bell'agio la compagnia di queste madri. Per ora le abbiamo incomodate
abbastanza.» Così detto, fece un inchino; la famiglia si mosse con lui;
si rinnovarono i complimenti, e si partì.
Gertrude, nel tornare, non aveva troppa voglia di discorrere.
Spaventata del passo che aveva fatto, vergognosa della sua
dappocaggine, indispettita contro gli altri e contro sè stessa, faceva
tristamente il conto dell'occasioni, che le rimanevano ancora di dir
di no; e prometteva debolmente e confusamente a sè stessa che, in
questa, o in quella, o in quell'altra, sarebbe più destra e più forte.
Con tutti questi pensieri, non le era però cessato affatto il terrore
di quel cipiglio del padre; talchè, quando, con un'occhiata datagli
alla sfuggita, potè chiarirsi che sul volto di lui non c'era più alcun
vestigio di collera, quando anzi vide che si mostrava soddisfattissimo
di lei, le parve una bella cosa, e fu, per un istante, tutta contenta.
Appena arrivati, bisognò rivestirsi e rilisciarsi; poi il desinare,
poi alcune visite, poi la trottata, poi la conversazione, poi la cena.
Sulla fine di questa, il principe mise in campo un altro affare, la
scelta della madrina. Così si chiamava una dama, la quale, pregata
da' genitori, diventava custode e scorta della giovane monacanda, nel
tempo tra la richiesta e l'entratura nel monastero; tempo che veniva
speso in visitar le chiese, i palazzi pubblici, le conversazioni, le
ville, i santuari: tutte le cose insomma più notabili della città e de'
contorni; affinchè le giovani, prima di proferire un voto irrevocabile,
vedessero bene a cosa davano un calcio. «Bisognerà pensare a una
madrina,» disse il principe: «perchè domani verrà il vicario delle
monache, per la formalità dell'esame, e subito dopo, Gertrude verrà
proposta in capitolo, per esser accettata dalle madri.» Nel dir questo,
s'era voltato verso la principessa; e questa, credendo che fosse
un invito a proporre, cominciava: «ci sarebbe....» Ma il principe
interruppe: «No, no, signora principessa: la madrina deve prima di
tutto piacere alla sposina; e benchè l'uso universale dia la scelta
ai parenti, pure Gertrude ha tanto giudizio, tanta assennatezza, che
merita bene che si faccia un'eccezione per lei.» E qui, voltandosi
a Gertrude, in atto di chi annunzia una grazia singolare, continuò:
«ognuna delle dame che si son trovate questa sera alla conversazione,
ha quel che si richiede per esser madrina d'una figlia della nostra
casa; non ce n'è nessuna, crederei, che non sia per tenersi onorata
della preferenza: scegliete voi.»
Gertrude vedeva bene che far questa scelta era dare un nuovo consenso;
ma la proposta veniva fatta con tanto apparato, che il rifiuto, per
quanto fosse umile, poteva parer disprezzo, o almeno capriccio e
leziosaggine. Fece dunque anche quel passo; e nominò la dama che,
in quella sera, le era andata più a genio; quella cioè che le aveva
fatto più carezze, che l'aveva più lodata, che l'aveva trattata con
quelle maniere famigliari, affettuose e premurose, che, ne' primi
momenti d'una conoscenza, contraffanno un'antica amicizia. «Ottima
scelta,» disse il principe, che desiderava e aspettava appunto quella.
Fosse arte o caso, era avvenuto come quando il giocator di bussolotti
facendovi scorrere davanti agli occhi le carte d'un mazzo, vi dice che
ne pensiate una, e lui poi ve la indovinerà; ma le ha fatte scorrere in
maniera che ne vediate una sola. Quella dama era stata tanto intorno
a Gertrude tutta la sera, l'aveva tanto occupata di sè, che a questa
sarebbe bisognato uno sforzo di fantasia per pensarne un'altra. Tante
premure poi non eran senza motivo: la dama aveva, da molto tempo,
messo gli occhi addosso al principino, per farlo suo genero: quindi
riguardava le cose di quella casa come sue proprie; ed era ben naturale
che s'interessasse per quella cara Gertrude, niente meno de' suoi
parenti più prossimi.
Il giorno dopo, Gertrude si svegliò col pensiero dell'esaminatore
che doveva venire; e mentre stava ruminando se potesse cogliere
quell'occasione così decisiva, per tornare indietro, e in qual maniera,
il principe la fece chiamare. «Orsù, figliuola,» le disse: «finora vi
siete portata egregiamente: oggi si tratta di coronar l'opera. Tutto
quel che s'è fatto finora, s'è fatto di vostro consenso. Se in questo
tempo vi fosse nato qualche dubbio, qualche pentimentuccio, grilli
di gioventù, avreste dovuto spiegarvi; ma al punto a cui sono ora le
cose, non è più tempo di far ragazzate. Quell'uomo dabbene che deve
venire stamattina, vi farà cento domande sulla vostra vocazione: e se
vi fate monaca di vostra volontà, e il perchè e il per come, e che
so io? Se voi titubate nel rispondere, vi terrà sulla corda chi sa
quanto. Sarebbe un'uggia, un tormento per voi; ma ne potrebbe anche
venire un altro guaio più serio. Dopo tutte le dimostrazioni pubbliche
che si son fatte, ogni più piccola esitazione che si vedesse in voi,
metterebbe a repentaglio il mio onore, potrebbe far credere ch'io
avessi presa una vostra leggerezza per una ferma risoluzione, che
avessi precipitato la cosa, che avessi.... che so io? In questo caso,
mi troverei nella necessità di scegliere tra due partiti dolorosi:
o lasciar che il mondo formi un tristo concetto della mia condotta:
partito che non può stare assolutamente con ciò che devo a me stesso. O
svelare il vero motivo della vostra risoluzione e....» Ma qui, vedendo
che Gertrude era diventata scarlatta, che le si gonfiavan gli occhi, e
il viso si contraeva, come le foglie d'un fiore, nell'afa che precede
la burrasca, troncò quel discorso, e, con aria serena, riprese: «via,
via, tutto dipende da voi, dal vostro giudizio. So che n'avete molto,
e non siete ragazza da guastar sulla fine una cosa fatta bene; ma io
doveva preveder tutti i casi. Non se ne parli più; e restiam d'accordo
che voi risponderete con franchezza, in maniera di non far nascer dubbi
nella testa di quell'uomo dabbene. Così anche voi ne sarete fuori più
presto.» E qui, dopo aver suggerita qualche risposta all'interrogazioni
più probabili, entrò nel solito discorso delle dolcezze e de' godimenti
ch'eran preparati a Gertrude nel monastero; e la trattenne in quello,
fin che venne un servitore ad annunziare il vicario. Il principe
rinnovò in fretta gli avvertimenti più importanti, e lasciò la figlia
sola con lui, com'era prescritto.
L'uomo dabbene veniva con un po' d'opinione già fatta che Gertrude
avesse una gran vocazione al chiostro: perchè così gli aveva detto
il principe, quando era stato a invitarlo. È vero che il buon prete,
il quale sapeva che la diffidenza era una delle virtù più necessarie
nel suo ufizio, aveva per massima d'andar adagio nel credere a simili
proteste, e di stare in guardia contro le preoccupazioni; ma ben
di rado avviene che le parole affermative e sicure d'una persona
autorevole, in qualsivoglia genere, non tingano del loro colore la
mente di chi le ascolta.
Dopo i primi complimenti, «signorina,» le disse, «io vengo a far
la parte del diavolo; vengo a mettere in dubbio ciò che, nella sua
supplica, lei ha dato per certo; vengo a metterle davanti agli occhi le
difficoltà, e ad accertarmi se le ha ben considerate. Si contenti ch'io
le faccia qualche interrogazione.»
«Dica pure,» rispose Gertrude.
Il buon prete cominciò allora a interrogarla, nella forma prescritta
dalle regole. «Sente lei in cuor suo una libera, spontanea risoluzione
di farsi monaca? Non sono state adoperate minacce, o lusinghe? Non
s'è fatto uso di nessuna autorità, per indurla a questo? Parli senza
riguardi, e con sincerità, a un uomo il cui dovere è di conoscere la
sua vera volontà, per impedire che non le venga usata violenza in
nessun modo.»
La vera risposta a una tale domanda s'affacciò subito alla mente
di Gertrude, con un'evidenza terribile. Per dare quella risposta,
bisognava venire a una spiegazione, dire di che era stata minacciata,
raccontare una storia.... L'infelice rifuggì spaventata da questa
idea; cercò in fretta un'altra risposta; ne trovò una sola che potesse
liberarla presto e sicuramente da quel supplizio, la più contraria
al vero. «Mi fo monaca,» disse, nascondendo il suo turbamento, «mi fo
monaca, di mio genio, liberamente.»
«Da quanto tempo le è nato codesto pensiero?» domandò ancora il buon
prete.
«L'ho sempre avuto,» rispose Gertrude, divenuta, dopo quel primo passo,
più franca a mentire contro sè stessa.
«Ma quale è il motivo principale che la induce a farsi monaca?»
Il buon prete non sapeva che terribile tasto toccasse; e Gertrude si
fece una gran forza per non lasciar trasparire sul viso l'effetto che
quelle parole le producevano nell'animo. «Il motivo,» disse, «è di
servire a Dio, e di fuggire i pericoli del mondo.»
«Non sarebbe mai qualche disgusto? qualche.... mi scusi.... capriccio?
Alle volte, una cagione momentanea può fare un'impressione che par che
deva durar sempre; e quando poi la cagione cessa, e l'animo si muta,
allora....»
«No, no,» rispose precipitosamente Gertrude: «la cagione è quella che
le ho detto.»
Il vicario, più per adempire interamente il suo obbligo, che per
la persuasione che ce ne fosse bisogno, insistette con le domande;
ma Gertrude era determinata d'ingannarlo. Oltre il ribrezzo che le
cagionava il pensiero di render consapevole della sua debolezza quel
grave e dabben prete, che pareva così lontano dal sospettar tal cosa
di lei; la poveretta pensava poi anche ch'egli poteva bene impedire
che si facesse monaca; ma lì finiva la sua autorità sopra di lei,
e la sua protezione. Partito che fosse, essa rimarrebbe sola col
principe. E qualunque cosa avesse poi a patire in quella casa, il buon
prete non n'avrebbe saputo nulla, o sapendolo, con tutta la sua buona
intenzione, non avrebbe potuto far altro che aver compassione di lei,
quella compassione tranquilla e misurata, che, in generale, s'accorda,
come per cortesia, a chi abbia dato cagione o pretesto al male che gli
fanno. L'esaminatore fu prima stanco d'interrogare, che la sventurata
di mentire: e, sentendo quelle risposte sempre conformi, e non avendo
alcun motivo di dubitare della loro schiettezza, mutò finalmente
linguaggio; si rallegrò con lei, le chiese, in certo modo, scusa d'aver
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