I promessi sposi. - 49

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«La ringrazio anch'io,» disse la vedova, «della consolazione che ha
data a queste povere creature; sebbene io avessi fatto conto di tenerla
sempre con me, questa cara Lucia. Ma la terrò intanto; l'accompagnerò
io al suo paese, la consegnerò a sua madre; e,» soggiunse poi
sottovoce, «voglio farle io il corredo. N'ho troppa della roba; e di
quelli che dovevan goderla con me, non ho più nessuno!»
«Così,» rispose il frate, «lei può fare un gran sacrifizio al Signore,
e del bene al prossimo. Non le raccomando questa giovine: già vedo che
è come sua: non c'è che da lodare il Signore, il quale sa mostrarsi
padre anche ne' flagelli, e che, col farle trovare insieme, ha dato
un così chiaro segno d'amore all'una e all'altra. Orsù,» riprese poi,
voltandosi a Renzo, e prendendolo per una mano: «noi due non abbiam più
nulla da far qui: e ci siamo stati anche troppo. Andiamo.»
«Oh padre!» disse Lucia: «la vedrò ancora? Io sono guarita, io che non
fo nulla di bene a questo mondo; e lei...!»
«È già molto tempo,» rispose con tono serio e dolce il vecchio, «che
chiedo al Signore una grazia, e ben grande: di finire i miei giorni in
servizio del prossimo. Se me la volesse ora concedere, ho bisogno che
tutti quelli che hanno carità per me, m'aiutino a ringraziarlo. Via;
date a Renzo le vostre commissioni per vostra madre.»
«Raccontatele quel che avete veduto,» disse Lucia al promesso sposo:
«che ho trovata qui un'altra madre, che verrò con questa più presto che
potrò, e che spero, spero di trovarla sana.»
«Se avete bisogno di danari,» disse Renzo, «ho qui tutti quelli che
m'avete mandati, e...»
«No, no,» interruppe la vedova: «ne ho io anche troppi.»
«Andiamo,» replicò il frate.
«A rivederci, Lucia...! e anche lei, dunque, quella buona signora,»
disse Renzo, non trovando parole che significassero quello che sentiva.
«Chi sa che il Signore ci faccia la grazia di rivederci ancora tutti!»
esclamò Lucia.
«Sia Egli sempre con voi, e vi benedica,» disse alle due compagne fra
Cristoforo; e uscì con Renzo dalla capanna.
Mancava poco alla sera, e il tempo pareva sempre più vicino a
risolversi. Il cappuccino esibì di nuovo al giovine di ricoverarlo per
quella notte nella sua baracca. «Compagnia, non te ne potrò fare,»
soggiunse: «ma avrai da stare al coperto.»
Renzo però si sentiva una smania d'andare; e non si curava di rimaner
più a lungo in un luogo simile, quando non poteva profittarne per veder
Lucia, e non avrebbe neppur potuto starsene un po' col buon frate.
In quanto all'ora e al tempo, si può dire che notte e giorno, sole e
pioggia, zeffiro e tramontano, eran tutt'uno per lui in quel momento.
Ringraziò dunque il frate, dicendo che voleva andar più presto che
fosse possibile in cerca d'Agnese.
Quando furono nella strada di mezzo, il frate gli strinse la mano, e
disse: «se la trovi, che Dio voglia! quella buona Agnese, salutala
anche in mio nome; e a lei, e a tutti quelli che rimangono, e si
ricordano di fra Cristoforo, dì che preghin per lui. Dio t'accompagni,
e ti benedica per sempre.»
«Oh caro padre...! ci rivedremo? ci rivedremo?»
«Lassù, spero.» E con queste parole, si staccò da Renzo; il quale,
stato lì a guardarlo fin che non l'ebbe perso di vista, prese in fretta
verso la porta, dando a destra e a sinistra l'ultime occhiate di
compassione a quel luogo di dolori. C'era un movimento straordinario,
un correr di monatti, un trasportar di roba, un accomodar le tende
delle baracche, uno strascicarsi di convalescenti a queste e ai
portici, per ripararsi dalla burrasca imminente.


CAPITOLO XXXVII.

Appena infatti ebbe Renzo passata la soglia del lazzeretto, e preso a
diritta, per ritrovar la viottola di dov'era sboccato la mattina sotto
le mura, principiò come una grandine di goccioloni radi e impetuosi,
che, battendo e risaltando sulla strada bianca e arida, sollevavano un
minuto polverío; in un momento, diventaron fitti; e prima che arrivasse
alla viottola, la veniva giù a secchie. Renzo, in vece d'inquietarsene,
ci sguazzava dentro, se la godeva in quella rinfrescata, in quel
susurrío, in quel brulichío dell'erbe e delle foglie, tremolanti,
gocciolanti, rinverdite, lustre; metteva certi respironi larghi e
pieni; e in quel risolvimento della natura sentiva come più liberamente
e più vivamente quello che s'era fatto nel suo destino.
Ma quanto più schietto e intero sarebbe stato questo sentimento, se
Renzo avesse potuto indovinare quel che si vide pochi giorni dopo: che
quell'acqua portava via il contagio; che, dopo quella, il lazzeretto,
se non era per restituire ai viventi tutti i viventi che conteneva,
almeno non n'avrebbe più ingoiati altri; che, tra una settimana, si
vedrebbero riaperti usci e botteghe, non si parlerebbe quasi più che di
quarantina; e della peste non rimarrebbe se non qualche resticciolo qua
e là; quello strascico che un tal flagello lasciava sempre dietro a sè
per qualche tempo!
Andava dunque il nostro viaggiatore allegramente, senza aver disegnato
nè dove, nè come, nè quando, nè se avesse da fermarsi la notte,
premuroso soltanto di portarsi avanti, d'arrivar presto al suo paese,
di trovar con chi parlare, a chi raccontare, soprattutto di poter
presto rimettersi in cammino per Pasturo, in cerca d'Agnese. Andava,
con la mente tutta sottosopra dalle cose di quel giorno; ma di sotto le
miserie, gli orrori, i pericoli, veniva sempre a galla un pensierino:
l'ho trovata; è guarita; è mia! E allora faceva uno sgambetto, e
con ciò dava un'annaffiata all'intorno, come un can barbone uscito
dall'acqua; qualche volta si contentava d'una fregatina di mani; e
avanti, con più ardore di prima. Guardando per la strada, raccattava,
per dir così, i pensieri, che ci aveva lasciati la mattina e il giorno
avanti, nel venire; e con più piacere quelli appunto che allora aveva
più cercato di scacciare, i dubbi, le difficoltà, trovarla, trovarla
viva, tra tanti morti e moribondi!--E l'ho trovata viva!--concludeva.
Si rimetteva col pensiero nelle circostanze più terribili di quella
giornata; si figurava con quel martello in mano: ci sarà o non ci
sarà? e una risposta così poco allegra; e non aver nemmeno il tempo
di masticarla, che addosso quella furia di matti birboni; e quel
lazzeretto, quel mare! lì ti volevo a trovarla! E averla trovata!
Ritornava su quel momento quando fu finita di passare la processione
de' convalescenti: che momento! che crepacore non trovarcela! e ora non
gliene importava più nulla. E quel quartiere delle donne! E là dietro
a quella capanna, quando meno se l'aspettava, quella voce, quella voce
proprio! E vederla, vederla levata! Ma che? c'era ancora quel nodo
del voto, e più stretto che mai. Sciolto anche questo. E quell'odio
contro don Rodrigo, quel rodío continuo che esacerbava tutti i guai, e
avvelenava tutte le consolazioni, scomparso anche quello. Talmentechè
non saprei immaginare una contentezza più viva, se non fosse stata
l'incertezza intorno ad Agnese, il tristo presentimento intorno al
padre Cristoforo, e quel trovarsi ancora in mezzo a una peste.
Arrivò a Sesto, sulla sera; nè pareva che l'acqua volesse cessare. Ma,
sentendosi più in gambe che mai, e con tante difficoltà di trovar dove
alloggiare, e così inzuppato, non ci pensò neppure. La sola cosa che
l'incomodasse, era un grand'appetito; chè una consolazione come quella
gli avrebbe fatto smaltire altro che la poca minestra del cappuccino.
Guardò se trovasse anche qui una bottega di fornaio; ne vide una; ebbe
due pani con le molle, e con quell'altre cerimonie. Uno in tasca e
l'altro alla bocca, e avanti.
Quando passò per Monza, era notte fatta: nonostante, gli riuscì di
trovar la porta che metteva sulla strada giusta. Ma meno questo,
che, per dir la verità, era un gran merito, potete immaginarvi come
fosse quella strada, e come andasse facendosi di momento in momento.
Affondata (com'eran tutte; e dobbiamo averlo detto altrove) tra due
rive, quasi un letto di fiume, si sarebbe a quell'ora potuta dire,
se non un fiume, una gora davvero; e ogni tanto pozze, da volerci
del buono e del bello a levarne i piedi, non che le scarpe. Ma Renzo
n'usciva come poteva, senz'atti d'impazienza, senza parolacce, senza
pentimenti; pensando che ogni passo, per quanto costasse, lo conduceva
avanti, e che l'acqua cesserebbe quando a Dio piacesse, e che, a suo
tempo, spunterebbe il giorno, e che la strada che faceva intanto,
allora sarebbe fatta.
E dirò anche che non ci pensava se non proprio quando non poteva far
di meno. Eran distrazioni queste; il gran lavoro della sua mente era
di riandare la storia di que' tristi anni passati: tant'imbrogli,
tante traversíe, tanti momenti in cui era stato per perdere anche la
speranza, e fare andata ogni cosa; e di contrapporci l'immaginazioni
d'un avvenire così diverso: e l'arrivar di Lucia, e le nozze, e il
metter su casa e il raccontarsi le vicende passate, e tutta la vita.
Come la facesse quando trovava due strade; se quella poca pratica, con
quel poco barlume, fossero quelli che l'aiutassero a trovar sempre la
buona, o se l'indovinasse sempre alla ventura, non ve lo saprei dire;
chè lui medesimo, il quale soleva raccontar la sua storia molto per
minuto, lunghettamente anzi che no (e tutto conduce a credere che il
nostro anonimo l'avesse sentita da lui più d'una volta), lui medesimo,
a questo punto, diceva che, di quella notte, non se ne rammentava che
come se l'avesse passata in letto a sognare. Il fatto sta che, sul
finir di essa, si trovò alla riva dell'Adda.
Non era mai spiovuto; ma, a un certo tempo, da diluvio era diventata
pioggia, e poi un'acquerugiola fine fine, cheta cheta, ugual uguale:
i nuvoli alti e radi stendevano un velo non interrotto, ma leggiero
e diafano; e il lume del crepuscolo fece vedere a Renzo il paese
d'intorno. C'era dentro il suo; e quel che sentì, a quella vista,
non si saprebbe spiegare. Altro non vi so dire, se non che que'
monti, quel _Resegone_ vicino, il territorio di Lecco, era diventato
tutto come roba sua. Diede un'occhiata anche a sè, e si trovò un po'
strano, quale, per dir la verità, da quel che si sentiva, s'immaginava
già di dover parere: sciupata e attaccata addosso ogni cosa: dalla
testa alla vita, tutto un fradiciume, una grondaia; dalla vita alla
punta de' piedi, melletta e mota: le parti dove non ce ne fosse si
sarebbero potute chiamare esse zacchere e schizzi. E se si fosse
visto tutt'intero in uno specchio, con la tesa del cappello floscia
e cascante, e i capelli stesi e incollati sul viso, si sarebbe fatto
ancor più specie. In quanto a stanco, lo poteva essere, ma non ne
sapeva nulla: e il frescolino dell'alba aggiunto a quello della notte e
di quel poco bagno, non gli dava altro che una fierezza, una voglia di
camminar più presto.
È a Pescate; costeggia quell'ultimo tratto dell'Adda, dando però
un'occhiata malinconica a Pescarenico; passa il ponte; per istrade e
campi, arriva in un momento alla casa dell'ospite amico. Questo, che
s'era levato allora, e stava sull'uscio, a guardare il tempo, alzò gli
occhi a quella figura così inzuppata, così infangata, diciam pure così
lercia, e insieme così viva e disinvolta: a' suoi giorni non aveva
visto un uomo peggio conciato e più contento.
«Ohe!» disse: «già qui? e con questo tempo? Com'è andata?»
«La c'è,» disse Renzo: «la c'è: la c'è.»
«Sana?»
«Guarita, che è meglio. Devo ringraziare il Signore e la Madonna fin
che campo. Ma cose grandi, cose di fuoco: ti racconterò poi tutto.»
«Ma come sei conciato!»
«Son bello eh?»
«A dir la verità, potresti adoprare il da tanto in su, per lavare il da
tanto in giù. Ma, aspetta, aspetta; che ti faccia un buon fuoco.»
«Non dico di no. Sai dove la m'ha preso? proprio alla porta del
lazzeretto. Ma niente! il tempo il suo mestiere, e io il mio.»
L'amico andò e tornò con due bracciate di stipa: ne mise una in terra,
l'altra sul focolare, e, con un po' di brace rimasta della sera
avanti, fece presto una bella fiammata. Renzo intanto s'era levato il
cappello, e, dopo averlo scosso due o tre volte, l'aveva buttato in
terra; e, non così facilmente, s'era tirato via anche il farsetto. Levò
poi dal taschino de' calzoni il coltello, col fodero tutto fradicio,
che pareva stato in molle; lo mise su un panchetto, e disse: «anche
costui è accomodato a dovere; ma l'è acqua! l'è acqua! sia ringraziato
il Signore.... Sono stato lì lì....! Ti dirò poi.» E si fregava le
mani. «Ora fammi un altro piacere,» soggiunse: «quel fagottino che ho
lasciato su in camera, va a prendermelo, chè prima che s'asciughi
questa roba che ho addosso....!»
Tornato col fagotto, l'amico disse: «penso che avrai anche appetito:
capisco che da bere, per la strada, non te ne sarà mancato; ma da
mangiare....»
«Ho trovato da comprar due pani, ieri sul tardi; ma, per dir la verità,
non m'hanno toccato un dente.»
«Lascia fare,» disse l'amico; mise l'acqua in un paiolo, che attaccò
poi alla catena; e soggiunse: «vado a mungere: quando tornerò col
latte, l'acqua sarà all'ordine; e si fa una buona polenta. Tu intanto
fa il tuo comodo.»
Renzo, rimasto solo, si levò, non senza fatica, il resto de' panni,
che gli s'eran come appiccicati addosso; s'asciugò, si rivestì da capo
a piedi. L'amico tornò, e andò al suo paiolo: Renzo intanto si mise a
sedere, aspettando.
«Ora sento che sono stanco,» disse: «ma è una bella tirata! Però questo
è nulla. Ne ho da raccontartene per tutta la giornata. Com'è conciato
Milano! Le cose che bisogna vedere! Le cose che bisogna toccare! Cose
da farsi poi schifo a sè medesimo. Sto per dire che non ci voleva meno
di quel bucatino che ho avuto. E quel che m'hanno voluto fare que'
signori di laggiù! Sentirai. Ma se tu vedessi il lazzeretto! C'è da
perdersi nelle miserie. Basta; ti racconterò tutto.... E la c'è, e la
verrà qui, e sarà mia moglie; e tu devi far da testimonio, e, peste o
non peste, almeno qualche ora, voglio che stiamo allegri.»
Del resto mantenne ciò che aveva detto all'amico, di voler
raccontargliene per tutta la giornata; tanto più, che, avendo sempre
continuato a piovigginare, questo la passò tutta in casa, parte seduto
accanto all'amico, parte in faccende intorno a un suo piccolo tino, e a
una botticina, e ad altri lavori, in preparazione della vendemmia; ne'
quali Renzo non lasciò di dargli una mano; chè, come soleva dire, era
di quelli che si stancano più a star senza far nulla, che a lavorare.
Non potè però tenersi di non fare una scappatina alla casa d'Agnese,
per rivedere una certa finestra, e per dare anche lì una fregatina di
mani. Tornò senza essere stato visto da nessuno; e andò subito a letto.
S'alzò prima che facesse giorno; e, vedendo cessata l'acqua, se non
ritornato il sereno, si mise in cammino per Pasturo.
Era ancor presto quando ci arrivò: chè non aveva meno fretta e voglia
di finire, di quel che possa averne il lettore. Cercò d'Agnese; sentì
che stava bene, e gli fu insegnata una casuccia isolata dove abitava.
Ci andò; la chiamò dalla strada: a una tal voce, essa s'affacciò di
corsa alla finestra; e, mentre stava a bocca aperta per mandar fuori
non so che parola, non so che suono, Renzo la prevenne dicendo: «Lucia
è guarita: l'ho veduta ierlaltro; vi saluta; verrà presto. E poi ne ho,
ne ho delle cose da dirvi.»
Tra la sorpresa dell'apparizione, e la contentezza della notizia, e la
smania di saperne di più, Agnese cominciava ora un'esclamazione, ora
una domanda, senza finir nulla: poi, dimenticando le precauzioni ch'era
solita a prendere da molto tempo, disse: «vengo ad aprirvi.»
«Aspettate: e la peste?» disse Renzo: «voi non l'avete avuta, credo.»
«Io no: e voi?»
«Io sì; ma voi dunque dovete aver giudizio. Vengo da Milano; e,
sentirete, sono proprio stato nel contagio fino agli occhi. È vero
che mi son mutato tutto da capo a piedi; ma l'è una porcheria che
s'attacca alle volte come un malefizio. E giacchè il Signore v'ha
preservata finora, voglio che stiate riguardata fin che non è finito
quest'influsso; perchè siete la nostra mamma: e voglio che campiamo
insieme un bel pezzo allegramente, a conto del gran patire che abbiam
fatto, almeno io.»
«Ma....» cominciava Agnese.
«Eh!» interruppe Renzo: «non c'è ma che tenga. So quel che volete dire;
ma sentirete, sentirete, che de' ma non ce n'è più. Andiamo in qualche
luogo all'aperto, dove si possa parlar con comodo, senza pericolo; e
sentirete.»
Agnese gl'indicò un orto ch'era dietro alla casa; e soggiunse: «entrate
lì, e vedrete che c'è due panche, l'una in faccia all'altra, che paion
messe apposta. Io vengo subito.»
[Illustrazione: ....passa il ponte.... (pag. 550)]
Renzo andò a mettersi a sedere sur una: un momento dopo, Agnese
si trovò lì sull'altra: e son certo che se il lettore, informato
come è delle cose antecedenti, avesse potuto trovarsi lì in terzo,
a veder con gli occhi quella conversazione così animata, a sentir
con gli orecchi que' racconti, quelle domande, quelle spiegazioni,
quell'esclamare, quel condolersi, quel rallegrarsi, e don Rodrigo, e il
padre Cristoforo, e tutto il resto, e quelle descrizioni dell'avvenire,
chiare e positive come quelle del passato, son certo, dico, che ci
avrebbe preso gusto, e sarebbe stato l'ultimo a venir via. Ma d'averla
sulla carta tutta quella conversazione, con parole mute, fatte
d'inchiostro, e senza trovarci un solo fatto nuovo, son di parere che
non se ne curi molto, e che gli piaccia più d'indovinarla da sè. La
conclusione fu che s'anderebbe a metter su casa tutti insieme in quel
paese del bergamasco dove Renzo aveva già un buon avviamento: in quanto
al tempo, non si poteva decider nulla, perchè dipendeva dalla peste,
e da altre circostanze: appena cessato il pericolo, Agnese tornerebbe
a casa, ad aspettarvi Lucia, o Lucia ve l'aspetterebbe: intanto Renzo
farebbe spesso qualche altra corsa a Pasturo, a veder la sua mamma, e a
tenerla informata di quel che potesse accadere.
Prima di partire, offrì anche a lei danari, dicendo: «gli ho qui tutti,
vedete, que' tali: avevo fatto voto anch'io di non toccarli, fin che la
cosa non fosse venuta in chiaro. Ora, se n'avete bisogno, portate qui
una scodella d'acqua e aceto; vi butto dentro i cinquanta scudi belli e
lampanti.»
«No, no,» disse Agnese: «ne ho ancora più del bisogno per me: i vostri,
serbateli, che saran buoni per metter su casa.»
Renzo tornò al paese con questa consolazione di più d'aver trovata sana
e salva una persona tanto cara. Stette il rimanente di quella giornata,
e la notte, in casa dell'amico; il giorno dopo, in viaggio di nuovo, ma
da un'altra parte, cioè verso il paese adottivo.
Trovò Bortolo, in buona salute anche lui, e in minor timore di
perderla; chè, in que' pochi giorni, le cose, anche là, avevan preso
rapidamente una bonissima piega. Pochi eran quelli che s'ammalavano;
e il male non era più quello; non più que' lividi mortali, nè quella
violenza di sintomi; ma febbriciattole, intermittenti la maggior
parte, con al più qualche piccol bubbone scolorito, che si curava come
un fignolo ordinario. Già l'aspetto del paese compariva mutato; i
rimasti vivi cominciavano a uscir fuori, a contarsi tra loro, a farsi
a vicenda condoglianze e congratulazioni. Si parlava già di ravviare i
lavori: i padroni pensavano già a cercare e a caparrare operai, e in
quell'arti principalmente dove il numero n'era stato scarso anche prima
del contagio, com'era quella della seta. Renzo, senza fare il lezioso,
promise (salve però le debite approvazioni) al cugino di rimettersi al
lavoro, quando verrebbe accompagnato, a stabilirsi in paese. S'occupò
intanto de' preparativi più necessari: trovò una casa più grande; cosa
divenuta pur troppo facile e poco costosa; e la fornì di mobili e
d'attrezzi, intaccando questa volta il tesoro, ma senza farci un gran
buco, chè tutto era a buon mercato, essendoci molta più roba che gente
che la comprassero.
Dopo non so quanti giorni, ritornò al paese nativo, che trovò ancor più
notabilmente cambiato in bene. Trottò subito a Pasturo; trovò Agnese
rincoraggita affatto, e disposta a ritornare a casa quando si fosse;
di maniera che ce la condusse lui: nè diremo quali fossero i loro
sentimenti, quali le parole, al rivedere insieme que' luoghi.
Agnese trovò ogni cosa come l'aveva lasciata. Sicchè non potè far a
meno di non dire che, questa volta, trattandosi d'una povera vedova e
d'una povera fanciulla, avevan fatto la guardia gli angioli. «E l'altra
volta,» soggiungeva, «che si sarebbe creduto che il Signore guardasse
altrove, e non pensasse a noi, giacchè lasciava portar via il povero
fatto nostro; ecco che ha fatto vedere il contrario, perchè m'ha
mandato da un'altra parte di bei danari, con cui ho potuto rimettere
ogni cosa. Dico ogni cosa, e non dico bene; perchè il corredo di
Lucia che coloro avevan portato via bell'e nuovo, insieme col resto,
quello mancava ancora; ma ecco che ora ci viene da un'altra parte. Chi
m'avesse detto, quando io m'arrapinavo tanto a allestir quell'altro: tu
credi di lavorar per Lucia: eh povera donna! lavori per chi non sai: sa
il cielo, questa tela, questi panni, a che sorte di creature anderanno
indosso: quelli per Lucia, il corredo davvero che ha da servire per
lei, ci penserà un'anima buona, la quale tu non sai nè anche che la sia
in questo mondo.»
Il primo pensiero d'Agnese fu quello di preparare nella sua povera
casuccia l'alloggio il più decente che potesse, a quell'anima buona:
poi andò in cerca di seta da annaspare; e lavorando ingannava il tempo.
Renzo, dal canto suo, non passò in ozio que' giorni già tanto lunghi
per sè: sapeva far due mestieri per buona sorte; si rimise a quello
del contadino. Parte aiutava il suo ospite, per il quale era una
gran fortuna l'avere in tal tempo spesso al suo comando un'opera, e
un'opera di quell'abilità; parte coltivava, anzi dissodava l'orticello
d'Agnese, trasandato affatto nell'assenza di lei. In quanto al suo
proprio podere, non se n'occupava punto, dicendo ch'era una parrucca
troppo arruffata, e che ci voleva altro che due braccia a ravviarla. E
non ci metteva neppure i piedi; come nè anche in casa: chè gli avrebbe
fatto male a vedere quella desolazione; e aveva già preso il partito
di disfarsi d'ogni cosa, a qualunque prezzo, e d'impiegar nella nuova
patria quel tanto che ne potrebbe ricavare.
Se i rimasti vivi erano, l'uno per l'altro, come morti resuscitati,
Renzo, per quelli del suo paese, lo era, come a dire, due volte:
ognuno gli faceva accoglienze e congratulazioni, ognuno voleva sentir
da lui la sua storia. Direte forse: come andava col bando? L'andava
benone: lui non ci pensava quasi più, supponendo che quelli i quali
avrebbero potuto eseguirlo, non ci pensassero più nè anche loro: e non
s'ingannava. E questo non nasceva solo dalla peste che aveva fatto
monte di tante cose; ma era, come s'è potuto vedere anche in vari
luoghi di questa storia, cosa comune a que' tempi, che i decreti, tanto
generali quanto speciali, contro le persone, se non c'era qualche
animosità privata e potente che li tenesse vivi, e li facesse valere,
rimanevano spesso senza effetto, quando non l'avessero avuto sul primo
momento; come palle di schioppo, che, se non fanno colpo, restano in
terra, dove non danno fastidio a nessuno. Conseguenza necessaria della
gran facilità con cui li seminavano que' decreti. L'attività dell'uomo
è limitata; e tutto il di più che c'era nel comandare, doveva tornare
in tanto meno nell'eseguire. Quel che va nelle maniche, non può andar
ne' gheroni.
Chi volesse anche sapere come Renzo se la passasse con don Abbondio, in
quel tempo d'aspetto, dirò che stavano alla larga l'uno dall'altro: don
Abbondio, per timore di sentire intonar qualcosa di matrimonio: e, al
solo pensarci, si vedeva davanti agli occhi don Rodrigo da una parte,
co' suoi bravi, il cardinale dall'altra, co' suoi argomenti: Renzo,
perchè aveva fissato di non parlargliene che al momento di concludere,
non volendo risicare di farlo inalberar prima del tempo, di suscitar,
chi sa mai? qualche difficoltà, e d'imbrogliar le cose con chiacchiere
inutili. Le sue chiacchiere, le faceva con Agnese. «Credete voi che
verrà presto?» domandava l'uno. «Io spero di sì,» rispondeva l'altro: e
spesso quello che aveva data la risposta, faceva poco dopo la domanda
medesima. E con queste e con simili furberie, s'ingegnavano a far
passare il tempo, che pareva loro più lungo, di mano in mano che n'era
più passato.
Al lettore noi lo faremo passare in un momento tutto quel tempo,
dicendo in compendio che, qualche giorno dopo la visita di Renzo al
lazzeretto, Lucia n'uscì con la buona vedova; che, essendo stata
ordinata una quarantina generale, la fecero insieme, rinchiuse nella
casa di quest'ultima; che una parte del tempo fu spesa in allestire
il corredo di Lucia, al quale, dopo aver fatto un po' di cerimonie,
dovette lavorare anche lei; e che, terminata che fu la quarantina, la
vedova lasciò in consegna il fondaco e la casa a quel suo fratello
commissario; e si fecero i preparativi per il viaggio. Potremmo anche
soggiunger subito: partirono, arrivarono, e quel che segue; ma, con
tutta la volontà che abbiamo di secondar la fretta del lettore, ci son
tre cose appartenenti a quell'intervallo di tempo, che non vorremmo
passar sotto silenzio; e, per due almeno, crediamo che il lettore
stesso dirà che avremmo fatto male.
La prima, che, quando Lucia tornò a parlare alla vedova delle sue
avventure, più in particolare, e più ordinatamente di quel che avesse
potuto in quell'agitazione della prima confidenza, e fece menzione più
espressa della signora che l'aveva ricoverata nel monastero di Monza,
venne a sapere di costei cose che, dandole la chiave di molti misteri,
le riempiron l'animo d'una dolorosa e paurosa maraviglia. Seppe dalla
vedova che la sciagurata, caduta in sospetto d'atrocissimi fatti, era
stata, per ordine del cardinale, trasportata in un monastero di Milano;
che lì, dopo molto infuriare e dibattersi, s'era ravveduta, s'era
accusata; e che la sua vita attuale era supplizio volontario tale, che
nessuno, a meno di non togliergliela, ne avrebbe potuto trovare un più
severo. Chi volesse conoscere un po' più in particolare questa trista
storia, la troverà nel libro e al luogo che abbiam citato altrove, a
proposito della stessa persona[44].
[44] Ripam. Hist. Pat., Dec. V, Lib. VI, Cap. III.
L'altra cosa è che Lucia, domandando del padre Cristoforo a tutti i
cappuccini che potè vedere nel lazzeretto, sentì, con più dolore che
maraviglia, ch'era morto di peste.
Finalmente, prima di partire, avrebbe anche desiderato di saper
qualcosa de' suoi antichi padroni, e di fare, come diceva, un atto del
suo dovere, se alcuno ne rimaneva. La vedova l'accompagnò alla casa,
dove seppero che l'uno e l'altra erano andati tra que' più. Di donna
Prassede, quando si dice ch'era morta, è detto tutto; ma intorno a
don Ferrante, trattandosi ch'era stato dotto, l'anonimo ha creduto
d'estendersi un po' più; e noi, a nostro rischio, trascriveremo a un di
presso quello che ne lasciò scritto.
Dice adunque che, al primo parlar che si fece di peste, don Ferrante
fu uno de' più risoluti a negarla, e che sostenne costantemente fino
all'ultimo, quell'opinione; non già con ischiamazzi, come il popolo; ma
con ragionamenti, ai quali nessuno potrà dire almeno che mancasse la
concatenazione.
«_In rerum natura_,» diceva, «non ci son che due generi di cose:
sostanze e accidenti; e se io provo che il contagio non può esser nè
l'uno nè l'altro, avrò provato che non esiste, che è una chimera. E son
qui. Le sostanze sono, o spirituali, o materiali. Che il contagio sia
sostanza spirituale, è uno sproposito che nessuno vorrebbe sostenere;
sicchè è inutile parlarne. Le sostanze materiali sono, o semplici, o
composte. Ora, sostanza semplice il contagio non è; e si dimostra in
quattro parole. Non è sostanza aerea; perchè, se fosse tale, in vece
di passar da un corpo all'altro, volerebbe subito alla sua sfera.
Non è acquea; perchè bagnerebbe, e verrebbe asciugata da' venti. Non
è ignea; perchè brucerebbe. Non è terrea; perchè sarebbe visibile.
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