I promessi sposi. - 28

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Al rumore d'una cavalcatura che s'avvicinava, comparve sulla soglia
un ragazzaccio, armato come un saracino; e data un'occhiata, entrò ad
informare tre sgherri, che stavan giocando, con certe carte sudice
e piegate in forma di tegoli. Colui che pareva il capo s'alzò,
s'affacciò all'uscio, e, riconosciuto un amico del suo padrone, lo
salutò rispettosamente. Don Rodrigo, resogli con molto garbo il
saluto, domandò se il signore si trovasse al castello; e rispostogli
da quel caporalaccio, che credeva di sì, smontò da cavallo, e buttò
la briglia al Tiradritto, uno del suo seguito. Si levò lo schioppo, e
lo consegnò al Montanarolo, come per isgravarsi d'un peso inutile, e
salir più lesto; ma, in realtà, perchè sapeva bene, che su quell'erta
non era permesso d'andar con lo schioppo. Si cavò poi di tasca alcune
berlinghe, e le diede al Tanabuso, dicendogli: «voi altri state ad
aspettarmi; e intanto starete un po' allegri con questa brava gente.»
Cavò finalmente alcuni scudi d'oro, e li mise in mano al caporalaccio,
assegnandone metà a lui, e metà da dividersi tra i suoi uomini.
Finalmente, col Griso, che aveva anche lui posato lo schioppo, cominciò
a piedi la salita. Intanto i tre bravi sopraddetti, e lo Squinternotto
ch'era il quarto (oh! vedete che bei nomi, da serbarceli con tanta
cura), rimasero coi tre dell'innominato, e con quel ragazzo allevato
alle forche, a giocare, a trincare, e a raccontarsi a vicenda le loro
prodezze.
Un altro bravaccio dell'innominato, che saliva, raggiunse poco dopo
don Rodrigo; lo guardò, lo riconobbe, e s'accompagnò con lui; e gli
risparmiò così la noia di dire il suo nome, e di rendere altro conto di
sè a quant'altri avrebbe incontrati, che non lo conoscessero. Arrivato
al castello, e introdotto (lasciando però il Griso alla porta), fu
fatto passare per un andirivieni di corridoi bui, e per varie sale
tappezzate di moschetti, di sciabole e di partigiane, e in ognuna delle
quali c'era di guardia qualche bravo; e, dopo avere alquanto aspettato,
fu ammesso in quella dove si trovava l'innominato.
Questo gli andò incontro, rendendogli il saluto, e insieme guardandogli
le mani e il viso, come faceva per abitudine, e ormai quasi
involontariamente, a chiunque venisse da lui, per quanto fosse de'
più vecchi e provati amici. Era grande, bruno, calvo; bianchi i pochi
capelli che gli rimanevano; rugosa la faccia: a prima vista, gli si
sarebbe dato più de' sessant'anni che aveva; ma il contegno, le mosse,
la durezza risentita de' lineamenti, il lampeggiar sinistro, ma vivo
degli occhi, indicavano una forza di corpo e d'animo, che sarebbe stata
straordinaria in un giovine.
Don Rodrigo disse che veniva per consiglio e per aiuto; che,
trovandosi in un impegno difficile, dal quale il suo onore non gli
permetteva di ritirarsi, s'era ricordato delle promesse di quell'uomo
che non prometteva mai troppo, nè invano; e si fece ad esporre il
suo scellerato imbroglio. L'innominato che ne sapeva già qualcosa,
ma in confuso, stette a sentire con attenzione, e come curioso di
simili storie, e per essere in questa mischiato un nome a lui noto e
odiosissimo, quello di fra Cristoforo, nemico aperto de' tiranni, e in
parole e, dove poteva, in opere. Don Rodrigo, sapendo con chi parlava,
si mise poi a esagerare le difficoltà dell'impresa; la distanza del
luogo, un monastero, la signora!... A questo, l'innominato, come se
un demonio nascosto nel suo cuore gliel avesse comandato, interruppe
subitamente, dicendo che prendeva l'impresa sopra di sè. Preso
l'appunto del nome della nostra povera Lucia, e licenziò don Rodrigo,
dicendo: «tra poco avrete da me l'avviso di quel che dovrete fare.»
Se il lettore si ricorda di quello sciagurato Egidio che abitava
accanto al monastero dove la povera Lucia stava ricoverata, sappia ora
che costui era uno de' più stretti ed intimi colleghi di scelleratezze
che avesse l'innominato: perciò questo aveva lasciata correre così
prontamente e risolutamente la sua parola. Ma appena rimase solo, si
trovò, non dirò pentito, ma indispettito d'averla data. Già da qualche
tempo cominciava a provare, se non un rimorso, una cert'uggia delle
sue scelleratezze. Quelle tante ch'erano ammontate, se non sulla sua
coscienza, almeno nella sua memoria, si risvegliavano ogni volta che
ne commettesse una di nuovo, e si presentavano all'animo brutte e
troppe: era come il crescere e crescere d'un peso già incomodo. Una
certa ripugnanza provata ne' primi delitti, e vinta poi, e scomparsa
quasi affatto, tornava ora a farsi sentire. Ma in que' primi tempi,
l'immagine d'un avvenire lungo, indeterminato, il sentimento d'una
vitalità vigorosa, riempivano l'animo d'una fiducia spensierata: ora
all'opposto, i pensieri dell'avvenire eran quelli che rendevano più
noioso il passato.--Invecchiare! morire! e poi?--E, cosa notabile!
l'immagine della morte, che, in un pericolo vicino, a fronte d'un
nemico, soleva raddoppiar gli spiriti di quell'uomo, e infondergli
un'ira piena di coraggio, quella stessa immagine, apparendogli nel
silenzio della notte, nella sicurezza del suo castello, gli metteva
addosso una costernazione repentina. Non era la morte minacciata da
un avversario mortale anche lui; non si poteva rispingerla con armi
migliori, e con un braccio più pronto; veniva sola, nasceva di dentro;
era forse ancor lontana, ma faceva un passo ogni momento; e, intanto
che la mente combatteva dolorosamente per allontanarne il pensiero,
quella s'avvicinava. Ne' primi tempi, gli esempi così frequenti, lo
spettacolo, per dir così, continuo della violenza, della vendetta,
dell'omicidio, ispirandogli un'emulazione feroce, gli avevano anche
servito come d'una specie d'autorità contro la coscienza: ora, gli
rinasceva ogni tanto nell'animo l'idea confusa, ma terribile, d'un
giudizio individuale, d'una ragione indipendente dall'esempio; ora,
l'essere uscito dalla turba volgare de' malvagi, l'essere innanzi a
tutti, gli dava talvolta il sentimento d'una solitudine tremenda. Quel
Dio di cui aveva sentito parlare, ma che, da gran tempo, non si curava
di negare nè di riconoscere, occupato soltanto a vivere come se non ci
fosse, ora, in certi momenti d'abbattimento senza motivo, di terrore
senza pericolo, gli pareva sentirlo gridar dentro di sè: Io sono però.
Nel primo bollor delle passioni, la legge che aveva, se non altro,
sentita annunziare in nome di Lui, non gli era parsa che odiosa: ora,
quando gli tornava d'improvviso alla mente, la mente, suo malgrado,
la concepiva come una cosa che ha il suo adempimento. Ma, non che
aprirsi con nessuno su questa sua nuova inquietudine, la copriva anzi
profondamente, e la mascherava con l'apparenze d'una più cupa ferocia;
e con questo mezzo, cercava anche di nasconderla a sè stesso, o di
soffogarla. Invidiando (giacchè non poteva annientarli nè dimenticarli)
que' tempi in cui era solito commettere l'iniquità senza rimorso,
senz'altro pensiero che della riuscita, faceva ogni sforzo per farli
tornare, per ritenere o per riafferrare quell'antica volontà, pronta,
superba, imperturbata, per convincer sè stesso ch'era ancor quello.
Così in quest'occasione, aveva subito impegnata la sua parola a don
Rodrigo, per chiudersi l'adito a ogni esitazione. Ma appena partito
costui, sentendo scemare quella fermezza che s'era comandata per
promettere, sentendo a poco a poco venirsi innanzi nella mente pensieri
che lo tentavano di mancare a quella parola, e l'avrebbero condotto
a scomparire in faccia a un amico, a un complice secondario; per
troncare a un tratto quel contrasto penoso, chiamò il Nibbio, uno de'
più destri e arditi ministri delle sue enormità, e quello di cui era
solito servirsi per la corrispondenza con Egidio. E, con aria risoluta,
gli comandò che montasse subito a cavallo, andasse diritto a Monza,
informasse Egidio dell'impegno contratto, e richiedesse il suo aiuto
per adempirlo.
Il messo ribaldo tornò più presto che il suo padrone non se
l'aspettasse, con la risposta d'Egidio: che l'impresa era facile e
sicura; gli si mandasse subito una carrozza, con due o tre bravi ben
travisati; e lui prendeva la cura di tutto il resto, e guiderebbe la
cosa. A quest'annunzio, l'innominato, comunque stesse di dentro, diede
ordine in fretta al Nibbio stesso, che disponesse tutto secondo aveva
detto Egidio, e andasse con due altri che gli nominò, alla spedizione.
Se per rendere l'orribile servizio che gli era stato chiesto,
Egidio avesse dovuto far conto de' soli suoi mezzi ordinari, non
avrebbe certamente data così subito una promessa così decisa. Ma, in
quell'asilo stesso dove pareva che tutto dovesse essere ostacolo,
l'atroce giovine aveva un mezzo noto a lui solo; e ciò che per gli
altri sarebbe stata la maggior difficoltà, era strumento per lui. Noi
abbiamo riferito come la sciagurata signora desse una volta retta alle
sue parole; e il lettore può avere inteso che quella volta non fu
l'ultima, non fu che un primo passo in una strada d'abbominazione e di
sangue. Quella stessa voce, che aveva acquistato forza, e direi quasi,
autorità dal delitto, le impose ora il sagrifizio dell'innocente che
aveva in custodia.
La proposta riuscì spaventosa a Gertrude. Perder Lucia per un caso
impreveduto, senza colpa, le sarebbe parsa una sventura, una punizione
amara: e le veniva comandato di privarsene con una scellerata perfidia,
di cambiare in un nuovo rimorso un mezzo d'espiazione. La sventurata
tentò tutte le strade per esimersi dall'orribile comando; tutte,
fuorchè la sola ch'era sicura, e che le stava pur sempre aperta
davanti. Il delitto è un padrone rigido e inflessibile, contro cui non
divien forte se non chi se ne ribella interamente. A questo Gertrude
non voleva risolversi; e ubbidì.
Era il giorno stabilito; l'ora convenuta s'avvicinava; Gertrude,
ritirata con Lucia nel suo parlatorio privato, le faceva più carezze
dell'ordinario, e Lucia le riceveva e le contraccambiava con tenerezza
crescente: come la pecora, tremolando senza timore sotto la mano del
pastore che la palpa e la strascina mollemente, si volta a leccar
quella mano; e non sa che, fuori della stalla, l'aspetta il macellaio,
a cui il pastore l'ha venduta un momento prima.
«Ho bisogno d'un gran servizio; e voi sola potete farmelo. Ho tanta
gente a' miei comandi; ma di cui mi fidi, nessuno. Per un affare
di grand'importanza, che vi dirò poi, ho bisogno di parlar subito
subito con quel padre guardiano de' cappuccini che v'ha condotta qui
da me, la mia povera Lucia; ma è anche necessario che nessuno sappia
che l'ho mandato a chiamare io. Non ho che voi per far segretamente
quest'imbasciata.»
Lucia fu atterrita d'una tale richiesta; e con quella sua suggezione,
ma senza nascondere una gran maraviglia, addusse subito, per
disimpegnarsene, le ragioni che la signora doveva intendere, che
avrebbe dovute prevedere: senza la madre, senza nessuno, per una strada
solitaria, in un paese sconosciuto.... Ma Gertrude, ammaestrata a una
scola infernale, mostrò tanta maraviglia anche lei, e tanto dispiacere
di trovare una tal ritrosia nella persona di cui credeva poter far
più conto, figurò di trovar così vane quelle scuse! di giorno chiaro,
quattro passi, una strada che Lucia aveva fatta pochi giorni prima,
e che, quand'anche non l'avesse mai veduta, a insegnargliela, non la
poteva sbagliare!... Tanto disse, che la poverina, commossa e punta a
un tempo, si lasciò sfuggir di bocca: «e bene; cosa devo fare?»
«Andate al convento de' cappuccini:» e le descrisse la strada di nuovo:
«fate chiamare il padre guardiano, ditegli, da solo a solo, che venga
da me subito subito; ma che non dica a nessuno che son io che lo mando
a chiamare.»
«Ma cosa dirò alla fattoressa, che non m'ha mai vista uscire, e mi
domanderà dove vo?»
«Cercate di passare senz'esser vista; e se non vi riesce, ditele che
andate alla chiesa tale, dove avete promesso di fare orazione.»
Nuova difficoltà per la povera giovine: dire una bugia; ma la signora
si mostrò di nuovo così afflitta delle ripulse, le fece parer così
brutta cosa l'anteporre un vano scrupolo alla riconoscenza, che Lucia,
sbalordita più che convinta, e soprattutto commossa più che mai,
rispose: «e bene; anderò. Dio m'aiuti!» E si mosse.
Quando Gertrude, che dalla grata la seguiva con l'occhio fisso e
torbido, la vide metter piede sulla soglia, come sopraffatta da un
sentimento irresistibile, aprì la bocca, e disse: «sentite, Lucia!»
Questa si voltò, e tornò verso la grata. Ma già un altro pensiero,
un pensiero avvezzo a predominare, aveva vinto di nuovo nella mente
sciagurata di Gertrude. Facendo le viste di non esser contenta
dell'istruzioni già date, spiegò di nuovo a Lucia la strada che doveva
tenere, e la licenziò dicendo: «fate ogni cosa come v'ho detto, e
tornate presto.» Lucia partì.
Passò inosservata la porta del chiostro, prese la strada, con gli
occhi bassi, rasente al muro; trovò, con l'indicazioni avute e con le
proprie rimembranze, la porta del borgo, n'uscì, andò tutta raccolta
e un po' tremante, per la strada maestra, arrivò in pochi momenti a
quella che conduceva al convento; e la riconobbe. Quella strada era,
ed è tutt'ora, affondata, a guisa d'un letto di fiume, tra due alte
rive orlate di macchie, che vi forman sopra una specie di volta. Lucia,
entrandovi, e vedendola affatto solitaria, sentì crescere la paura, e
allungava il passo; ma poco dopo si rincorò alquanto, nel vedere una
carrozza da viaggio ferma, e accanto a quella, davanti allo sportello
aperto, due viaggiatori che guardavano in qua e in là, come incerti
della strada. Andando avanti, sentì uno di que' due, che diceva:
«ecco una buona giovine che c'insegnerà la strada.» Infatti, quando
fu arrivata alla carrozza, quel medesimo, con un fare più gentile che
non fosse l'aspetto, si voltò, e disse, «quella giovine, ci sapreste
insegnar la strada di Monza?»
«Andando di lì, vanno a rovescio,» rispondeva la poverina, «Monza
è di qua....» e si voltava, per accennar col dito; quando l'altro
compagno (era il Nibbio), afferrandola d'improvviso per la vita,
l'alzò da terra. Lucia girò la testa indietro atterrita, e cacciò un
urlo; il malandrino la mise per forza nella carrozza: uno che stava a
sedere davanti, la prese e la cacciò, per quanto lei si divincolasse e
stridesse, a sedere dirimpetto a sè: un altro, mettendole un fazzoletto
alla bocca, le chiuse il grido in gola. Intanto il Nibbio entrò presto
presto anche lui nella carrozza: lo sportello si chiuse, e la carrozza
partì di carriera. L'altro che le aveva fatta quella domanda traditora,
rimasto nella strada, diede un'occhiata in qua e in là, per veder se
fosse accorso qualcheduno agli urli di Lucia: non c'era nessuno; saltò
sur una riva, attaccandosi a un albero della macchia, e disparve.
Era costui uno sgherro d'Egidio; era stato, facendo l'indiano, sulla
porta del suo padrone, per veder quando Lucia usciva dal monastero;
l'aveva osservata bene, per poterla riconoscere; ed era corso, per una
scorciatoia, ad aspettarla a posto convenuto.
Chi potrà ora descrivere il terrore, l'angoscia di costei, esprimere
ciò che passava nel suo animo? Spalancava gli occhi spaventati, per
ansietà di conoscere la sua orribile situazione, e li richiudeva
subito, per il ribrezzo e per il terrore di que' visacci: si storceva,
ma era tenuta da tutte le parti: raccoglieva tutte le sue forze, e
dava delle stratte, per buttarsi verso lo sportello; ma due braccia
nerborute la tenevano come conficcata nel fondo della carrozza; quattro
altre manacce ve l'appuntellavano. Ogni volta che aprisse la bocca
per cacciare un urlo, il fazzoletto veniva a soffogarglielo in gola.
Intanto tre bocche d'inferno, con la voce più umana che sapessero
formare, andavan ripetendo: «zitta, zitta, non abbiate paura, non
vogliamo farvi male.» Dopo qualche momento d'una lotta così angosciosa,
parve che s'acquietasse; allentò le braccia, lasciò cader la testa
all'indietro, alzò a stento le palpebre, tenendo l'occhio immobile; e
quegli orridi visacci che le stavan davanti le parvero confondersi e
ondeggiare insieme in un miscuglio mostruoso: le fuggì il colore dal
viso; un sudor freddo glielo coprì; s'abbandonò, e svenne.
«Su, su, coraggio,» diceva il Nibbio. «Coraggio, coraggio,» ripetevan
gli altri due birboni; ma lo smarrimento d'ogni senso preservava in
quel momento Lucia dal sentire i conforti di quelle orribili voci.
«Diavolo! par morta,» disse uno di coloro: «se fosse morta davvero?»
«Oh! morta!» disse l'altro: «è uno di quegli svenimenti che vengono
alle donne. Io so che, quando ho voluto mandare all'altro mondo
qualcheduno, uomo o donna che fosse, c'è voluto altro.»
«Via!» disse il Nibbio: «attenti al vostro dovere, e non andate a
cercar altro. Tirate fuori dalla cassetta i tromboni, e teneteli
pronti; chè in questo bosco dove s'entra ora, c'è sempre de' birboni
annidati. Non così in mano, diavolo! riponeteli dietro le spalle, lì
stesi: non vedete che costei è un pulcin bagnato che basisce per nulla?
Se vede armi, è capace di morir davvero. E quando sarà rinvenuta,
badate bene di non farle paura; non la toccate, se non vi fo segno; a
tenerla basto io. E zitti: lasciate parlare a me.»
[Illustrazione: ....Lucia girò la testa indietro atterrita; e cacciò un
urlo... (pag. 295)]
Intanto la carrozza, andando sempre di corsa, s'era inoltrata nel bosco.
Dopo qualche tempo, la povera Lucia cominciò a risentirsi, come da
un sonno profondo e affannoso, e aprì gli occhi. Penò alquanto a
distinguere gli spaventosi oggetti che la circondavano, a raccogliere
i suoi pensieri: alfine comprese di nuovo la sua terribile situazione.
Il primo uso che fece delle poche forze ritornatele, fu di buttarsi
ancora verso lo sportello, per slanciarsi fuori; ma fu ritenuta, e non
potè che vedere un momento la solitudine selvaggia del luogo per cui
passava. Cacciò di nuovo un urlo; ma il Nibbio, alzando la manaccia col
fazzoletto, «via,» le disse, più dolcemente che potè; «state zitta, che
sarà meglio per voi: non vogliamo farvi male; ma se non istate zitta,
vi faremo star noi.»
«Lasciatemi andare! Chi siete voi? Dove mi conducete? Perchè m'avete
presa? Lasciatemi andare, lasciatemi andare!»
«Vi dico che non abbiate paura: non siete una bambina, e dovete
capire che noi non vogliamo farvi male. Non vedete che avremmo potuto
ammazzarvi cento volte, se avessimo cattive intenzioni? Dunque state
quieta.»
«No, no, lasciatemi andare per la mia strada: io non vi conosco.»
«Vi conosciamo noi.»
«Oh santissima Vergine! come mi conoscete? Lasciatemi andare, per
carità. Chi siete voi? Perchè m'avete presa?»
«Perchè c'è stato comandato.»
«Chi? chi? chi ve lo può aver comandato?»
«Zitta!» disse con un visaccio severo il Nibbio: «a noi non si fa di
codeste domande.»
Lucia tentò un'altra volta di buttarsi d'improvviso allo sportello;
ma vedendo ch'era inutile, ricorse di nuovo alle preghiere; e con la
testa bassa, con le gote irrigate di lacrime, con la voce interrotta
dal pianto, con le mani giunte dinanzi alle labbra, «oh!» diceva: «per
l'amor di Dio, e della Vergine santissima, lasciatemi andare! Cosa v'ho
fatto di male io? Sono una povera creatura che non v'ha fatto niente.
Quello che m'avete fatto voi, ve lo perdono di cuore; e pregherò Dio
per voi. Se avete anche voi una figlia, una moglie, una madre, pensate
quello che patirebbero, se fossero in questo stato. Ricordatevi che
dobbiamo morir tutti, e che un giorno desidererete che Dio vi usi
misericordia. Lasciatemi andare, lasciatemi qui: il Signore mi farà
trovar la mia strada.»
«Non possiamo.»
«Non potete? Oh Signore! perchè non potete? Dove volete condurmi?
Perchè...?»
«Non possiamo: è inutile: non abbiate paura, che non vogliamo farvi
male: state quieta, e nessuno vi toccherà.»
Accorata, affannata, atterrita sempre più nel vedere che le sue parole
non facevano nessun colpo, Lucia si rivolse a Colui che tiene in mano
il cuore degli uomini, e può, quando voglia, intenerire i più duri. Si
strinse, il più che potè, nel canto della carrozza, mise le braccia
in croce sul petto, e pregò qualche tempo con la mente; poi, tirata
fuori la corona, cominciò a dire il rosario, con più fede e con più
affetto che non avesse ancor fatto in vita sua. Ogni tanto, sperando
d'avere impetrata la misericordia che implorava, si voltava a ripregar
coloro; ma sempre inutilmente. Poi ricadeva ancora senza sentimenti,
poi si riaveva di nuovo, per rivivere a nuove angosce. Ma ormai non ci
regge il cuore a descriverle più a lungo: una pietà troppo dolorosa
ci affretta al termine di quel viaggio, che durò più di quattr'ore; e
dopo il quale avremo altre ore angosciose da passare. Trasportiamoci al
castello dove l'infelice era aspettata.
Era aspettata dall'innominato, con un'inquietudine, con una sospension
d'animo insolita. Cosa strana! quell'uomo, che aveva disposto a sangue
freddo di tante vite, che in tanti suoi fatti non aveva contato per
nulla i dolori da lui cagionati, se non qualche volta per assaporare
in essi una selvaggia voluttà di vendetta, ora, nel metter le mani
addosso a questa sconosciuta, a questa povera contadina, sentiva come
un ribrezzo, direi quasi un terrore. Da un'alta finestra del suo
castellaccio, guardava da qualche tempo verso uno sbocco della valle;
ed ecco spuntar la carrozza, e venire innanzi lentamente: perchè quel
primo andar di carriera aveva consumata la foga, e domate le forze de'
cavalli. E benchè, dal punto dove stava a guardare, la non paresse più
che una di quelle carrozzine che si danno per balocco ai fanciulli, la
riconobbe subito, e si sentì il cuore batter più forte.
--Ci sarà?--pensò subito; e continuava tra sè:--che noia mi dà costei!
Liberiamocene.--
E voleva chiamare uno de' suoi sgherri, e spedirlo subito incontro alla
carrozza, a ordinare al Nibbio che voltasse, e conducesse colei al
palazzo di don Rodrigo. Ma un no imperioso che risonò nella sua mente,
fece svanire quel disegno. Tormentato però dal bisogno di dar qualche
ordine, riuscendogli intollerabile lo stare aspettando oziosamente
quella carrozza che veniva avanti passo passo, come un tradimento, che
so io? come un gastigo, fece chiamare una sua vecchia donna.
Era costei nata in quello stesso castello, da un antico custode di
esso, e aveva passata lì tutta la sua vita. Ciò che aveva veduto e
sentito fin dalle fasce, le aveva impresso nella mente un concetto
magnifico e terribile del potere de' suoi padroni; e la massima
principale che aveva attinta dall'istruzioni e dagli esempi, era che
bisognava ubbidirli in ogni cosa, perchè potevano far del gran male
e del gran bene. L'idea del dovere, deposta come un germe nel cuore
di tutti gli uomini, svolgendosi nel suo, insieme co' sentimenti d'un
rispetto, d'un terrore, d'una cupidigia servile, s'era associata e
adattata a quelli. Quando l'innominato, divenuto padrone, cominciò
a far quell'uso spaventevole della sua forza, costei ne provò da
principio un certo ribrezzo insieme, e un sentimento più profondo di
sommissione. Col tempo, s'era avvezzata a ciò che aveva tutto il giorno
davanti agli occhi e negli orecchi: la volontà potente e sfrenata d'un
così gran signore, era per lei come una specie di giustizia fatale.
Ragazza già fatta, aveva sposato un servitor di casa, il quale, poco
dopo, essendo andato a una spedizione rischiosa, lasciò l'ossa sur una
strada, e lei vedova nel castello. La vendetta che il signore ne fece
subito, le diede una consolazione feroce, e le accrebbe l'orgoglio di
trovarsi sotto una tal protezione. D'allora in poi, non mise piede
fuor del castello, che molto di rado; e a poco a poco non le rimase
del vivere umano quasi altre idee, salvo quelle che ne riceveva in
quel luogo. Non era addetta ad alcun servizio particolare, ma, in
quella masnada di sgherri, ora l'uno ora l'altro, le davan da fare
ogni poco; ch'era il suo rodimento. Ora aveva cenci da rattoppare, ora
da preparare in fretta da mangiare a chi tornasse da una spedizione,
ora feriti da medicare. I comandi poi di coloro, i rimproveri, i
ringraziamenti, eran conditi di beffe e d'improperi: vecchia, era il
suo appellativo usuale; gli aggiunti, che qualcheduno sempre ci se
n'attaccava, variavano secondo le circostanze e l'umore dell'amico. E
colei, disturbata nella pigrizia, e provocata nella stizza, ch'erano
due delle sue passioni predominanti, contraccambiava alle volte que'
complimenti con parole, in cui Satana avrebbe riconosciuto più del suo
ingegno, che in quelle de' provocatori.
«Tu vedi laggiù quella carrozza!» le disse il signore.
«La vedo,» rispose la vecchia, cacciando avanti il mento appuntato, e
aguzzando gli occhi infossati, come se cercasse di spingerli su gli
orli dell'occhiaie.
«Fa allestir subito una bussola, entraci, e fatti portare alla
Malanotte. Subito subito; che tu ci arrivi prima di quella carrozza:
già la viene avanti col passo della morte. In quella carrozza c'è....
ci dev'essere.... una giovine. Se c'è, dì al Nibbio, in mio nome, che
la metta nella bussola, e lui venga su subito da me. Tu starai nella
bussola, con quella.... giovine; e quando sarete quassù, la condurrai
nella tua camera. Se ti domanda dove la meni, di chi è il castello,
guarda di non....»
«Oh!» disse la vecchia.
«Ma,» continuò l'innominato, «falle coraggio.»
«Cosa le devo dire?»
«Cosa le devi dire? Falle coraggio, ti dico. Tu sei venuta a codesta
età, senza sapere come si fa coraggio a una creatura, quando si vuole!
Hai tu mai sentito affanno di cuore? Hai tu mai avuto paura? Non sai
le parole che fanno piacere in que' momenti? Dille di quelle parole:
trovale, alla malora. Va.»
E partita che fu, si fermò alquanto alla finestra, con gli occhi fissi
a quella carrozza, che già appariva più grande di molto; poi gli alzò
al sole, che in quel momento si nascondeva dietro la montagna; poi
guardò le nuvole sparse al di sopra, che di brune si fecero, quasi
a un tratto, di fuoco. Si ritirò, chiuse la finestra, e si mise a
camminare innanzi e indietro per la stanza, con un passo di viaggiatore
frettoloso.


CAPITOLO XXI.

La vecchia era corsa a ubbidire e a comandare, con l'autorità di quel
nome che, da chiunque fosse pronunziato in quel luogo, li faceva
spicciar tutti; perchè a nessuno veniva in testa che ci fosse uno tanto
ardito da servirsene falsamente. Si trovò infatti alla Malanotte un po'
prima che la carrozza ci arrivasse; e vistala venire, uscì di bussola,
fece segno al cocchiere che fermasse, s'avvicinò allo sportello; e al
Nibbio, che mise il capo fuori, riferì sottovoce gli ordini del padrone.
Lucia, al fermarsi della carrozza, si scosse, e rinvenne da una specie
di letargo. Si sentì da capo rimescolare il sangue, spalancò la bocca
e gli occhi, e guardò. Il Nibbio s'era tirato indietro; e la vecchia,
col mento sullo sportello, guardando Lucia, diceva: «venite, la mia
giovine; venite, poverina; venite con me, che ho ordine di trattarvi
bene e di farvi coraggio.»
Al suono d'una voce di donna, la poverina provò un conforto, un
coraggio momentaneo; ma ricadde subito in uno spavento più cupo. «Chi
siete?» disse con voce tremante, fissando lo sguardo attonito in viso
alla vecchia.
«Venite, venite, poverina,» andava questa ripetendo. Il Nibbio
e gli altri due, argomentando dalle parole e dalla voce così
straordinariamente raddolcita di colei, quali fossero l'intenzioni del
signore, cercavano di persuader con le buone l'oppressa a ubbidire.
Ma lei seguitava a guardar fuori; e benchè il luogo selvaggio e
sconosciuto, e la sicurezza de' suoi guardiani non le lasciassero
concepire speranza di soccorso, apriva non ostante la bocca per
gridare; ma vedendo il Nibbio far gli occhiacci del fazzoletto,
ritenne il grido, tremò, si storse, fu presa e messa nella bussola.
Dopo, c'entrò la vecchia; il Nibbio disse ai due altri manigoldi che
andassero dietro, e prese speditamente la salita, per accorrere ai
comandi del padrone.
«Chi siete?» domandava con ansietà Lucia al ceffo sconosciuto e
deforme: «perchè son con voi? dove sono? dove mi conducete?»
«Da chi vuol farvi del bene,» rispondeva la vecchia, «da un gran....
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