I promessi sposi. - 35

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anch'esso, un vangelo di superbia e d'odio; e non vuol che si dica che
l'amore della vita sia una ragione per trasgredirne i comandamenti.
Non lo vuole; ed è ubbidito. E noi! noi figli e annunziatori della
promessa! Che sarebbe la Chiesa, se codesto vostro linguaggio fosse
quello di tutti i vostri confratelli? Dove sarebbe, se fosse comparsa
nel mondo con codeste dottrine?»
Don Abbondio stava a capo basso: il suo spirito si trovava tra quegli
argomenti, come un pulcino negli artigli del falco, che lo tengono
sollevato in una regione sconosciuta, in un'aria che non ha mai
respirata. Vedendo che qualcosa bisognava rispondere, disse, con una
certa sommissione forzata: «monsignore illustrissimo, avrò torto.
Quando la vita non si deve contare, non so cosa mi dire. Ma quando s'ha
che fare con certa gente, con gente che ha la forza, e che non vuol
sentir ragioni, anche a voler fare il bravo, non saprei cosa ci si
potesse guadagnare. È un signore quello, con cui non si può nè vincerla
nè impattarla.»
«E non sapete voi che il soffrire per la giustizia è il nostro vincere?
E se non sapete questo, che cosa predicate? di che siete maestro? qual
è la _buona nuova_ che annunziate a' poveri? Chi pretende da voi che
vinciate la forza con la forza? Certo non vi sarà domandato, un giorno,
se abbiate saputo fare stare a dovere i potenti; che a questo non vi fu
dato nè missione, nè modo. Ma vi sarà ben domandato se avrete adoprati
i mezzi ch'erano in vostra mano per far ciò che v'era prescritto, anche
quando avessero la temerità di proibirvelo.»
--Anche questi santi son curiosi,--pensava intanto don Abbondio:--in
sostanza, a spremerne il sugo, gli stanno più a cuore gli amori di due
giovani, che la vita d'un povero sacerdote.--E, in quant'a lui, si
sarebbe volentieri contentato che il discorso finisse lì; ma vedeva il
cardinale, a ogni pausa, restare in atto di chi aspetti una risposta:
una confessione, o un'apologia, qualcosa insomma.
«Torno a dire, monsignore,» rispose dunque, «che avrò torto io.... Il
coraggio, uno non se lo può dare.»
«E perchè dunque, potrei dirvi, vi siete voi impegnato in un ministero
che v'impone di stare in guerra con le passioni del secolo? Ma come,
vi dirò piuttosto, come non pensate che, se in codesto ministero,
comunque vi ci siate messo, v'è necessario il coraggio, per adempir
le vostre obbligazioni, c'è Chi ve lo darà infallibilmente, quando
glielo chiediate? Credete voi che tutti que' milioni di martiri
avessero naturalmente coraggio? che non facessero naturalmente nessun
conto della vita? tanti giovinetti che cominciavano a gustarla, tanti
vecchi avvezzi a rammaricarsi che fosse già vicina a finire, tante
donzelle, tante spose, tante madri? Tutti hanno avuto coraggio; perchè
il coraggio era necessario, ed essi confidavano. Conoscendo la vostra
debolezza e i vostri doveri, avete voi pensato a prepararvi ai passi
difficili a cui potevate trovarvi, a cui vi siete trovato in effetto?
Ah! se per tant'anni d'ufizio pastorale, avete (e come non avreste?)
amato il vostro gregge, se avete riposto in esso il vostro cuore, le
vostre cure, le vostre delizie, il coraggio non doveva mancarvi al
bisogno: l'amore è intrepido. Ebbene, se voi gli amavate, quelli che
sono affidati alle vostre cure spirituali, quelli che voi chiamate
figliuoli; quando vedeste due di loro minacciati insieme con voi, ah
certo! come la debolezza della carne v'ha fatto tremar per voi, così la
carità v'avrà fatto tremar per loro. Vi sarete umiliato di quel primo
timore, perchè era un effetto della vostra miseria; avrete implorato
la forza per vincerlo, per discacciarlo, perchè era una tentazione:
ma il timor santo e nobile per gli altri, per i vostri figliuoli,
quello l'avrete ascoltato, quello non v'avrà dato pace, quello v'avrà
eccitato, costretto, a pensare, a fare ciò che si potesse, per riparare
al pericolo che lor sovrastava.... Cosa v'ha ispirato il timore,
l'amore? Cosa avete fatto per loro? Cosa avete pensato?»
E tacque in atto di chi aspetta.


CAPITOLO XXVI.

A una siffatta domanda, don Abbondio, che pur s'era ingegnato di
risponder qualcosa a delle meno precise, restò lì senza articolar
parola. E, per dir la verità, anche noi, con questo manoscritto
davanti, con una penna in mano, non avendo da contrastare che con le
frasi, nè altro da temere che le critiche de' nostri lettori; anche
noi, dico, sentiamo una certa ripugnanza a proseguire: troviamo un non
so che di strano in questo mettere in campo, con così poca fatica,
tanti bei precetti di fortezza e di carità, di premura operosa per gli
altri, di sacrifizio illimitato di sè. Ma pensando che quelle cose
erano dette da uno che poi le faceva, tiriamo avanti con coraggio.
«Voi non rispondete?» riprese il cardinale. «Ah, se aveste fatto, dalla
parte vostra, ciò che la carità, ciò che il dovere richiedeva; in
qualunque maniera poi le cose fossero andate, non vi mancherebbe ora
una risposta. Vedete dunque voi stesso cosa avete fatto. Avete ubbidito
all'iniquità, non curando ciò che il dovere vi prescriveva. L'avete
ubbidita puntualmente: s'era fatta vedere a voi, per intimarvi il suo
desiderio; ma voleva rimanere occulta a chi avrebbe potuto ripararsi da
essa, e mettersi in guardia; non voleva che si facesse rumore, voleva
il segreto, per maturare a suo bell'agio i suoi disegni d'insidie
o di forza; vi comandò la trasgressione e il silenzio: voi avete
trasgredito, e non parlavate. Domando ora a voi se non avete fatto di
più; voi mi direte se è vero che abbiate mendicati de' pretesti al
vostro rifiuto, per non rivelarne il motivo.» E stette lì alquanto,
aspettando di nuovo una risposta.
--Anche questa gli hanno rapportata le chiacchierone,--pensava don
Abbondio; ma non dava segno d'aver nulla da dire; onde il cardinale
riprese: «se è vero, che abbiate detto a que' poverini ciò che non
era, per tenerli nell'ignoranza, nell'oscurità, in cui l'iniquità li
voleva.... Dunque lo devo credere; dunque non mi resta che d'arrossirne
con voi, e di sperare che voi ne piangerete con me. Vedete a che v'ha
condotto (Dio buono! e pur ora voi la adducevate per iscusa) quella
premura per la vita che deve finire. V'ha condotto.... ribattete
liberamente queste parole, se vi paiono ingiuste, prendetele in
umiliazione salutare, se non lo sono.... v'ha condotto a ingannare i
deboli, a mentire ai vostri figliuoli.»
--Ecco come vanno le cose,--diceva ancora tra sè don Abbondio:--a quel
satanasso,--e pensava all'innominato,--le braccia al collo; e con
me, per una mezza bugia, detta a solo fine di salvar la pelle, tanto
chiasso. Ma sono superiori; hanno sempre ragione. È il mio pianeta,
che tutti m'abbiano a dare addosso; anche i santi.--E ad alta voce,
disse: «ho mancato; capisco che ho mancato; ma cosa dovevo fare in un
frangente di quella sorte?»
«E ancor lo domandate? E non ve l'ho detto? E dovevo dirvelo? Amare,
figliuolo; amare e pregare. Allora avreste sentito che l'iniquità
può aver bensì delle minacce da fare, de' colpi da dare, ma non de'
comandi; avreste unito, secondo la legge di Dio, ciò che l'uomo voleva
separare; avreste prestato a quegl'innocenti infelici il ministero che
avevan ragione di richieder da voi: delle conseguenze sarebbe restato
mallevadore Iddio, perchè si sarebbe andati per la sua strada: avendone
presa un'altra, ne restate mallevadore voi; e di quali conseguenze!
Ma forse che tutti i ripari umani vi mancavano? forse che non era
aperta alcuna via di scampo, quand'aveste voluto guardarvi d'intorno,
pensarci, cercare? Ora voi potete sapere che que' vostri poverini,
quando fossero stati maritati, avrebbero pensato da sè al loro
scampo, eran disposti a fuggire dalla faccia del potente, s'eran già
disegnato il luogo di rifugio. Ma anche senza questo, non vi venne in
mente che alla fine avevate un superiore? Il quale, come mai avrebbe
quest'autorità di riprendervi d'aver mancato al vostro ufizio, se
non avesse anche l'obbligo d'aiutarvi ad adempirlo? Perchè non avete
pensato a informare il vostro vescovo dell'impedimento che un'infame
violenza metteva all'esercizio del vostro ministero?»
--I pareri di Perpetua!--pensava stizzosamente don Abbondio, a cui,
in mezzo a que' discorsi, ciò che stava più vivamente davanti, era
l'immagine di que' bravi, e il pensiero che don Rodrigo era vivo e
sano, e, un giorno o l'altro, tornerebbe glorioso e trionfante, e
arrabbiato. E benchè quella dignità presente, quell'aspetto e quel
linguaggio, lo facessero star confuso, e gl'incutessero un certo
timore, era però un timore che non lo soggiogava affatto, nè impediva
al pensiero di ricalcitrare: perchè c'era in quel pensiero, che, alla
fin delle fini, il cardinale non adoprava nè schioppo, nè spada, nè
bravi.
«Come non avete pensato,» proseguiva questo, «che, se a quegl'innocenti
insidiati non fosse stato aperto altro rifugio, c'ero io, per
accoglierli, per metterli in salvo quando voi me gli aveste
indirizzati, indirizzati dei derelitti a un vescovo, come cosa sua,
come parte preziosa, non dico del suo carico, ma delle sue ricchezze? E
in quanto a voi, io, sarei divenuto inquieto per voi; io, avrei dovuto
non dormire, fin che non fossi sicuro che non vi sarebbe torto un
capello. Ch'io non avessi come, dove, mettere in sicuro la vostra vita?
Ma quell'uomo che fu tanto ardito, credete voi che non gli si sarebbe
scemato punto l'ardire, quando avesse saputo che le sue trame eran
note fuor di qui, note a me, ch'io vegliavo, ed ero risoluto d'usare
in vostra difesa tutti i mezzi che fossero in mia mano? Non sapevate
che, se l'uomo promette troppo spesso più che non sia per mantenere,
minaccia anche non di rado, più che non s'attenti poi di commettere?
Non sapevate che l'iniquità non si fonda soltanto sulle sue forze, ma
anche sulla credulità e sullo spavento altrui?»
--Proprio le ragioni di Perpetua,--pensò anche qui don Abbondio, senza
riflettere che quel trovarsi d'accordo la sua serva e Federigo Borromeo
su ciò che si sarebbe potuto e dovuto fare, voleva dir molto contro di
lui.
«Ma voi,» proseguì e concluse il cardinale, «non avete visto, non avete
voluto veder altro che il vostro pericolo temporale; qual maraviglia
che vi sia parso tale, da trascurar per esso ogni altra cosa?»
«Gli è perchè le ho viste io quelle facce,» scappò detto a don
Abbondio; «le ho sentite io quelle parole. Vossignoria illustrissima
parla bene; ma bisognerebbe esser ne' panni d'un povero prete, e
essersi trovato al punto.»
Appena ebbe proferite queste parole, si morse la lingua; s'accorse
d'essersi lasciato troppo vincere dalla stizza, e disse tra sè:--ora
vien la grandine.--Ma alzando dubbiosamente lo sguardo, fu tutto
maravigliato, nel veder l'aspetto di quell'uomo, che non gli riusciva
mai d'indovinare nè di capire, nel vederlo, dico, passare, da quella
gravità autorevole e correttrice, a una gravità compunta e pensierosa.
«Pur troppo!» disse Federigo, «tale è la misera e terribile nostra
condizione. Dobbiamo esigere rigorosamente dagli altri quello che
Dio sa se noi saremmo pronti a dare: dobbiamo giudicare, correggere,
riprendere; e Dio sa quel che faremmo noi nel caso stesso, quel
che abbiam fatto in casi somiglianti! Ma guai s'io dovessi prender
la mia debolezza per misura del dovere altrui, per norma del mio
insegnamento! Eppure è certo che, insieme con le dottrine, io devo
dare agli altri l'esempio, non rendermi simile al dottor della legge,
che carica gli altri di pesi che non posson portare, e che lui non
toccherebbe con un dito. Ebbene, figliuolo e fratello; poichè gli
errori di quelli che presiedono, sono spesso più noti agli altri che
a loro; se voi sapete ch'io abbia, per pusillanimità, per qualunque
rispetto, trascurato qualche mio obbligo, ditemelo francamente, fatemi
ravvedere; affinchè, dov'è mancato l'esempio, supplisca almeno la
confessione. Rimproveratemi liberamente le mie debolezze; e allora le
parole acquisteranno più valore nella mia bocca, perchè sentirete più
vivamente, che non son mie, ma di Chi può dare a voi e a me la forza
necessaria per far ciò che prescrivono.»
--Oh che sant'uomo! ma che tormento!--pensava don Abbondio:--anche
sopra di sè: purchè frughi, rimesti, critichi, inquisisca; anche sopra
di sè.--Disse poi ad alta voce: «oh monsignore! che mi fa celia?
Chi non conosce il petto forte, lo zelo imperterrito di vossignoria
illustrissima?» E tra sè soggiunse:--anche troppo.--
«Io non vi chiedevo una lode, che mi fa tremare,» disse Federigo,
«perchè Dio conosce i miei mancamenti, e quello che ne conosco anch'io,
basta a confondermi. Ma avrei voluto, vorrei che ci confondessimo
insieme davanti a Lui, per confidare insieme. Vorrei, per amor vostro,
che intendeste quanto la vostra condotta sia stata opposta, quanto sia
opposto il vostro linguaggio alla legge che pur predicate, e secondo la
quale sarete giudicato.»
«Tutto casca addosso a me,» disse don Abbondio: «ma queste persone che
son venute a rapportare, non le hanno poi detto d'essersi introdotte
in casa mia, a tradimento, per sorprendermi, e per fare un matrimonio
contro le regole.»
«Me l'hanno detto, figliuolo: ma questo m'accora, questo m'atterra,
che voi desideriate ancora di scusarvi; che pensiate di scusarvi,
accusando; che prendiate materia d'accusa da ciò che dovrebb'esser
parte della vostra confessione. Chi gli ha messi, non dico nella
necessità, ma nella tentazione di far ciò che hanno fatto? Avrebbero
essi cercata quella via irregolare, se la legittima non fosse loro
stata chiusa? pensato a insidiare il pastore, se fossero stati accolti
nelle sue braccia, aiutati, consigliati da lui? a sorprenderlo, se non
si fosse nascosto? E a questi voi date carico? e vi sdegnate perchè,
dopo tante sventure, che dico? nel mezzo della sventura, abbian
detto una parola di sfogo al loro, al vostro pastore? Che il ricorso
dell'oppresso, la querela dell'afflitto siano odiosi al mondo, il
mondo è tale; ma noi! E che pro sarebbe stato per voi, se avessero
taciuto? Vi tornava conto che la loro causa andasse intera al giudizio
di Dio? Non è per voi una nuova ragione d'amar queste persone (e già
tante ragioni n'avete), che v'abbian dato occasione di sentir la voce
sincera del vostro vescovo, che v'abbian dato un mezzo di conoscer
meglio, e di scontare in parte il gran debito che avete con loro? Ah!
se v'avessero provocato, offeso, tormentato, vi direi (e dovrei io
dirvelo?) d'amarli, appunto per questo. Amateli perchè hanno patito,
perchè patiscono, perchè son vostri, perchè son deboli, perchè avete
bisogno d'un perdono, a ottenervi il quale, pensate di qual forza possa
essere la loro preghiera.»
Don Abbondio stava zitto; ma non era più quel silenzio forzato e
impaziente: stava zitto come chi ha più cose da pensare che da dire. Le
parole che sentiva, eran conseguenze inaspettate, applicazioni nuove,
ma d'una dottrina antica però nella sua mente, e non contrastata.
Il male degli altri, dalla considerazion del quale l'aveva sempre
distratto la paura del proprio, gli faceva ora un'impressione nuova.
E se non sentiva tutto il rimorso che la predica voleva produrre (chè
quella stessa paura era sempre lì a far l'ufizio di difensore), ne
sentiva però; sentiva un certo dispiacere di sè, una compassione per
gli altri, un misto di tenerezza e di confusione. Era, se ci si lascia
passare questo paragone, come lo stoppino umido e ammaccato d'una
candela, che presentato alla fiamma d'una gran torcia, da principio
fuma, schizza, scoppietta, non ne vuol saper nulla; ma alla fine
s'accende e, bene o male, brucia. Si sarebbe apertamente accusato,
avrebbe pianto, se non fosse stato il pensiero di don Rodrigo; ma
tuttavia si mostrava abbastanza commosso, perchè il cardinale dovesse
accorgersi che le sue parole non erano state senza effetto.
«Ora,» prosegui questo, «uno fuggitivo da casa sua, l'altra in procinto
d'abbandonarla, tutt'e due con troppo forti motivi di starne lontani,
senza probabilità di riunirsi mai qui, e contenti di sperare che Dio
li riunisca altrove; ora, pur troppo, non hanno bisogno di voi; pur
troppo, voi non avete occasione di far loro del bene; nè il corto
nostro prevedere può scoprirne alcuna nell'avvenire. Ma chi sa se
Dio misericordioso non ve ne prepara? Ah non le lasciate sfuggire!
cercatele, state alle velette, pregatelo che le faccia nascere.»
«Non mancherò, monsignore, non mancherò, davvero,» rispose don
Abbondio, con una voce che, in quel momento, veniva proprio dal cuore.
«Ah sì, figliuolo, sì!» esclamò Federigo; e con una dignità piena
d'affetto, concluse: «lo sa il cielo se avrei desiderato di tener
con voi tutt'altri discorsi. Tutt'e due abbiamo già vissuto molto:
lo sa il cielo se m'è stato duro di dover contristar con rimproveri
codesta vostra canizie, e quanto sarei stato più contento di consolarci
insieme delle nostre cure comuni, de' nostri guai, parlando della beata
speranza, alla quale siamo arrivati così vicino. Piaccia a Dio che le
parole le quali ho pur dovuto usar con voi, servano a voi e a me. Non
fate che m'abbia a chieder conto, in quel giorno, d'avervi mantenuto in
un ufizio, al quale avete così infelicemente mancato. Ricompriamo il
tempo: la mezzanotte è vicina; lo Sposo non può tardare; teniamo accese
le nostre lampade. Presentiamo a Dio i nostri cuori miseri, vôti,
perchè Gli piaccia riempirli di quella carità, che ripara al passato,
che assicura l'avvenire, che teme e confida, piange e si rallegra, con
sapienza; che diventa in ogni caso la virtù di cui abbiamo bisogno.»
Così detto, si mosse; e don Abbondio gli andò dietro.
Qui l'anonimo ci avvisa che non fu questo il solo abboccamento di que'
due personaggi, nè Lucia il solo argomento de' loro abboccamenti; ma
che lui s'è ristretto a questo, per non andar lontano dal soggetto
principale del racconto. E che, per lo stesso motivo, non farà menzione
d'altre cose notabili, dette da Federigo in tutto il corso della
visita, nè delle sue liberalità, nè delle discordie sedate, degli odi
antichi tra persone, famiglie, terre intere, spenti o (cosa ch'era pur
troppo più frequente) sopiti, nè di qualche bravaccio o tirannello
ammansato, o per tutta la vita, o per qualche tempo; cose tutte delle
quali ce n'era sempre più o meno, in ogni luogo della diocesi dove
quell'uomo eccellente facesse qualche soggiorno.
Dice poi, che, la mattina seguente, venne donna Prassede, secondo il
fissato, a prender Lucia, e a complimentare il cardinale, il quale
gliela lodò, e raccomandò caldamente. Lucia si staccò dalla madre,
potete pensar con che pianti; e uscì dalla sua casetta; disse per la
seconda volta addio al paese, con quel senso di doppia amarezza, che si
prova lasciando un luogo che fu unicamente, caro, e che non può esserlo
più. Ma i congedi con la madre non eran gli ultimi; perchè donna
Prassede aveva detto che si starebbe ancor qualche giorno in quella
sua villa, a quale non era molto lontana; e Agnese promise alla figlia
d'andar là a trovarla, a dare e a ricevere un più doloroso addio.
Il cardinale era anche lui sulle mosse per continuar la sua visita,
quando arrivò, e chiese di parlargli il curato della parrocchia, in cui
era il castello dell'innominato. Introdotto, gli presentò un gruppo e
una lettera di quel signore, la quale lo pregava di far accettare alla
madre di Lucia cento scudi d'oro ch'eran nel gruppo, per servir di dote
alla giovine, o per quell'uso che ad esse sarebbe parso migliore; lo
pregava insieme di dir loro, che, se mai, in qualunque tempo, avessero
creduto che potesse render loro qualche servizio, la povera giovine
sapeva pur troppo dove stesse; e per lui, quella sarebbe una delle
fortune più desiderate. Il cardinale fece subito chiamare Agnese, le
riferì la commissione, che fu sentita con altrettanta soddisfazione
che maraviglia; e le presentò il rotolo, ch'essa prese, senza far gran
complimenti. «Dio gliene renda merito, a quel signore,» disse: «e
vossignoria illustrissima lo ringrazi tanto tanto. E non dica nulla a
nessuno, perchè questo è un certo paese.... Mi scusi, veda; so bene che
un par suo non va a chiacchierare di queste cose; ma.... lei m'intende.»
Andò a casa, zitta, zitta; si chiuse in camera, svoltò il rotolo, e
quantunque preparata, vide con ammirazione, tutti in un mucchietto e
suoi, tanti di que' ruspi, de' quali non aveva forse mai visto più
d'uno per volta, e anche di rado; li contò, penò alquanto a metterli
di nuovo per taglio, e a tenerli lì tutti, che ogni momento facevan
pancia, e sgusciavano dalle sue dita inesperte; ricomposto finalmente
un rotolo alla meglio, lo mise in un cencio, ne fece un involto, un
batuffoletto, e legatolo bene in giro con della cordellina, l'andò
a ficcare in un cantuccio del suo saccone. Il resto di quel giorno,
non fece altro che mulinare, far disegni sull'avvenire, e sospirar
l'indomani. Andata a letto, stette desta un pezzo, col pensiero in
compagnia di que' cento che aveva sotto: addormentata, li vide in
sogno. All'alba, s'alzò e s'incamminò subito verso la villa, dov'era
Lucia.
Questa, dal canto suo, quantunque non le fosse diminuita quella gran
ripugnanza a parlar del voto, pure era risoluta di farsi forza, e
d'aprirsene con la madre in quell'abboccamento, che per lungo tempo
doveva chiamarsi l'ultimo.
Appena poterono esser sole, Agnese, con una faccia tutta animata, e
insieme a voce bassa, come se ci fosse stato presente qualcheduno a cui
non volesse farsi sentire, cominciò: «ho da dirti una gran cosa;» e le
raccontò l'inaspettata fortuna.
«Iddio lo benedica, quel signore,» disse Lucia: «così avrete da star
bene voi, e potrete anche far del bene a qualchedun altro.»
«Come?» rispose Agnese: «non vedi quante cose possiamo fare, con tanti
danari? Senti; io non ho altro che te, che voi due, posso dire; perchè
Renzo, da che cominciò a discorrerti, l'ho sempre riguardato come un
mio figliuolo. Tutto sta che non gli sia accaduta qualche disgrazia, a
vedere che non ha mai fatto saper nulla: ma eh! deve andar tutto male?
Speriamo di no, speriamo. Per me, avrei avuto caro di lasciar l'ossa
nel mio paese; ma ora che tu non ci puoi stare, in grazia di quel
birbone, e anche solamente a pensare d'averlo vicino colui, m'è venuto
in odio il mio paese: e con voi altri io sto per tutto. Ero disposta,
fin d'allora, a venir con voi altri, anche in capo al mondo; e son
sempre stata di quel parere; ma senza danari come si fa? Intendi ora?
Que' quattro, che quel poverino aveva messi da parte, con tanto stento
e con tanto risparmio, è venuta la giustizia, e ha spazzato ogni cosa;
ma, per ricompensa, il Signore ha mandato la fortuna a noi. Dunque,
quando avrà trovato il bandolo di far sapere se è vivo, e dov'è, e che
intenzioni ha, ti vengo a prender io a Milano; io ti vengo a prendere.
Altre volte mi sarebbe parso un gran che; ma le disgrazie fanno
diventar disinvolti; fino a Monza ci sono andata, e so cos'è viaggiare.
Prendo con me un uomo di proposito, un parente, come sarebbe a dire
Alessio di Maggianico: chè, a voler dir proprio in paese, un uomo di
proposito non c'è: vengo con lui: già la spesa la facciamo noi, e....
intendi?»
[Illustrazione: ....si chiuse in camera, svoltò il rotolo... (pag.
383)]
Ma vedendo che, in vece d'animarsi, Lucia s'andava accorando, e non
dimostrava che una tenerezza senz'allegria, lasciò il discorso a mezzo,
e disse: «ma cos'hai? non ti pare?»
«Povera mamma!» esclamò Lucia, gettandole un braccio al collo, e
nascondendo il viso nel seno di lei.
«Cosa c'è?» domandò di nuovo ansiosamente la madre.
«Avrei dovuto dirvelo prima,» rispose Lucia, alzando il viso, e
asciugandosi le lacrime; «ma non ho mai avuto cuore: compatitemi.»
«Ma dì su, dunque.»
«Io non posso più esser moglie di quel poverino!»
«Come? come?»
Lucia, col capo basso, col petto ansante, lacrimando senza piangere,
come chi racconta una cosa che, quand'anche dispiacesse, non si può
cambiare, rivelò il voto; e insieme, giungendo le mani, chiese di nuovo
perdono alla madre, di non aver parlato fin allora; la pregò di non
ridir la cosa ad anima vivente, e d'aiutarla ad adempire ciò che aveva
promesso.
Agnese era rimasta stupefatta e costernata. Voleva sdegnarsi del
silenzio tenuto con lei; ma i gravi pensieri del caso soffogavano quel
dispiacere suo proprio; voleva dirle: cos'hai fatto? ma le pareva
che sarebbe un prendersela col cielo: tanto più che Lucia tornava a
dipinger co' più vivi colori quella notte, la desolazione così nera,
e la liberazione così impreveduta, tra le quali la promessa era stata
fatta, così espressa, così solenne. E intanto, ad Agnese veniva anche
in mente questo e quell'esempio, che aveva sentito raccontar più volte,
che lei stessa aveva raccontato alla figlia, di gastighi strani e
tenibili, venuti per la violazione di qualche voto. Dopo esser rimasta
un poco come incantata, disse: «e ora cosa farai?»
«Ora,» rispose Lucia, «tocca al Signore a pensarci; al Signore e alla
Madonna. Mi son messa nelle lor mani: non m'hanno abbandonata finora;
non m'abbandoneranno ora che.... La grazia che chiedo per me al
Signore, la sola grazia, dopo la salvazion dell'anima, è che mi faccia
tornar con voi: e me la concederà, sì, me la concederà. Quel giorno....
in quella carrozza.... ah Vergine santissima!... quegli uomini!...
chi m'avrebbe detto che mi menavano da colui che mi doveva menare a
trovarmi con voi, il giorno dopo?»
«Ma non parlarne subito a tua madre!» disse Agnese con una certa
stizzetta temperata d'amorevolezza e di pietà.
«Compatitemi; non avevo cuore.... e che sarebbe giovato d'affliggervi
qualche tempo prima?»
«E Renzo?» disse Agnese, tentennando il capo.
«Ah!» esclamò Lucia, riscotendosi, «io non ci devo pensar più a quel
poverino. Già si vede che non era destinato.... Vedete come pare che il
Signore ci abbia voluti proprio tener separati. E chi sa...? ma no, no:
l'avrà preservato Lui da' pericoli, e lo farà esser fortunato anche di
più, senza di me.»
«Ma intanto,» riprese la madre, «se non fosse che tu ti sei legata per
sempre, a tutto il resto, quando a Renzo non gli sia accaduta qualche
disgrazia, con que' danari io ci avevo trovato rimedio.»
«Ma que' danari,» replicò Lucia, «ci sarebbero venuti, s'io non avessi
passata quella notte? È il Signore che ha voluto che tutto andasse
così: sia fatta la sua volontà.» E la parola morì nel pianto.
A quell'argomento inaspettato, Agnese rimase lì pensierosa. Dopo
qualche momento, Lucia, rattenendo i singhiozzi, riprese: «ora che la
cosa è fatta, bisogna adattarsi di buon animo; e voi, povera mamma,
voi mi potete aiutare, prima, pregando il Signore per la vostra povera
figlia, e poi.... bisogna bene che quel poverino lo sappia. Pensateci
voi, fatemi anche questa carità: che voi ci potete pensare. Quando
saprete dov'è, fategli scrivere, trovate un uomo.... appunto vostro
cugino Alessio, che è un uomo prudente e caritatevole, e ci ha sempre
voluto bene, e non ciarlerà: fategli scriver da lui la cosa com'è
andata, dove mi son trovata, come ho patito, e che Dio ha voluto
così, e che metta il cuore in pace, e ch'io non posso mai mai esser
di nessuno. E fargli capir la cosa con buona grazia, spiegargli che
ho promesso, che ho proprio fatto voto. Quando saprà che ho promesso
alla Madonna.... ha sempre avuto il timor di Dio. E voi, la prima volta
che avrete le sue nuove, fatemi scrivere, fatemi saper che è sano; e
poi.... non mi fate più saper nulla.»
Agnese, tutta intenerita, assicurò la figlia che ogni cosa si farebbe
come desiderava.
«Vorrei dirvi un'altra cosa,» riprese questa: «quel poverino, se non
avesse avuto la disgrazia di pensare a me, non gli sarebbe accaduto
ciò che gli è accaduto. È per il mondo; gli hanno troncato il suo
avviamento, gli hanno portato via la sua roba, que' risparmi che aveva
fatti, poverino, sapete perchè.... E noi abbiamo tanti danari! Oh
mamma! giacchè il Signore ci ha mandato tanto bene, e quel poverino, è
proprio vero che lo riguardavate come vostro.... sì, come un figliuolo,
oh! fate mezzo per uno; chè, sicuro, Iddio non ci mancherà. Cercate
un'occasione fidata, e mandateglieli, chè sa il cielo come n'ha
bisogno!»
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