I promessi sposi. - 10

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guerra d'ingegni così graziosa. E poi, a me non compete di dar
sentenza: sua signoria illustrissima ha già delegato un giudice.... qui
il padre....»
«È vero;» disse don Rodrigo: «ma come volete che il giudice parli,
quando i litiganti non vogliono stare zitti?»
«Ammutolisco,» disse il conte Attilio. Il podestà strinse le labbra, e
alzò la mano, come in atto di rassegnazione.
«Ah sia ringraziato il cielo! A lei, padre,» disse don Rodrigo, con una
serietà mezzo canzonatoria.
«Ho già fatte le mie scuse, col dire che non me n'intendo,» rispose fra
Cristoforo, rendendo il bicchiere a un servitore.
«Scuse magre:» gridarono i due cugini: «vogliamo la sentenza.»
«Quand'è così,» riprese il frate, «il mio debole parere sarebbe che non
vi fossero nè sfide, nè portatori, nè bastonate.»
I commensali si guardarono l'un con l'altro maravigliati.
«Oh questa è grossa!» disse il conte Attilio. «Mi perdoni, padre, ma è
grossa. Si vede che lei non conosce il mondo.»
«Lui?» disse don Rodrigo: «me lo volete far ridire: lo conosce, cugino
mio, quanto voi: non è vero, padre? Dica, dica se non ha fatta la sua
carovana?»
In vece di rispondere a quest'amorevole domanda, il padre disse una
parolina in segreto a sè medesimo:--queste vengono a te; ma ricordati,
frate, che non sei qui per te, e tutto ciò che tocca te solo, non entra
nel conto.
«Sarà,» disse il cugino: «ma il padre.... come si chiama il padre?»
«Padre Cristoforo,» rispose più d'uno.
«Ma, padre Cristoforo, padron mio colendissimo, con queste sue massime,
lei vorrebbe mandare il mondo sottosopra. Senza sfide! Senza bastonate!
Addio il punto d'onore: impunità per tutti i mascalzoni. Per buona
sorte che il supposto è impossibile.»
«Animo, dottore,» scappò fuori don Rodrigo, che voleva sempre più
divertire la disputa dai due primi contendenti, «animo, a voi, che, per
dar ragione a tutti, siete un uomo. Vediamo un poco come farete per dar
ragione in questo al padre Cristoforo.»
«In verità,» rispose il dottore, tenendo brandita in aria la forchetta,
e rivolgendosi al padre, «in verità io non so intendere come il padre
Cristoforo, il quale è insieme il perfetto religioso e l'uomo di mondo,
non abbia pensato che la sua sentenza, buona, ottima e di giusto peso
sul pulpito, non val niente, sia detto col dovuto rispetto, in una
disputa cavalleresca. Ma il padre sa, meglio di me, che ogni cosa è
buona a suo luogo; e io credo che, questa volta, abbia voluto cavarsi,
con una celia, dall'impiccio di proferire una sentenza.»
Che si poteva mai rispondere a ragionamenti dedotti da una sapienza
così antica, e sempre nuova? Niente: e così fece il nostro frate.
Ma don Rodrigo, per voler troncare quella questione, ne venne a
suscitare un'altra. «A proposito,» disse, «ho sentito che a Milano
correvan voci d'accomodamento.»
Il lettore sa che in quell'anno si combatteva per la successione al
ducato di Mantova, del quale, alla morte di Vincenzo Gonzaga, che non
aveva lasciata prole legittima, era entrato in possesso il duca di
Nevers, suo parente più prossimo. Luigi XIII, ossia il cardinale di
Richelieu, sosteneva quel principe, suo ben affetto, e naturalizzato
francese: Filippo IV, ossia il conte d'Olivares, comunemente chiamato
il conte duca, non lo voleva lì, per le stesse ragioni; e gli aveva
mosso guerra. Siccome poi quel ducato era feudo dell'impero, così le
due parti s'adoperavano, con pratiche, con istanze, con minacce, presso
l'imperator Ferdinando II, la prima perchè accordasse l'investitura al
nuovo duca; la seconda perchè gliela negasse, anzi aiutasse a cacciarlo
da quello stato.
«Non son lontano dal credere,» disse il conte Attilio, «che le cose si
possano accomodare. Ho certi indizi....»
«Non creda, signor conte, non creda,» interruppe il podestà. «Io, in
questo cantuccio, posso saperle le cose; perchè il signor castellano
spagnolo, che, per sua bontà, mi vuole un po' di bene, e per esser
figliuolo d'un creato del conte duca, è informato d'ogni cosa....»
«Le dico che a me accade ogni giorno di parlare in Milano con ben altri
personaggi; e so di buon luogo che il papa, interessatissimo, com'è,
per la pace, ha fatto proposizioni....»
«Così dev'essere; la cosa è in regola; sua santità fa il suo dovere; un
papa deve sempre metter bene tra i principi cristiani; ma il conte duca
ha la sua politica, e....»
«E, e, e; sa lei, signor mio, come la pensi l'imperatore, in questo
momento? Crede lei che non ci sia altro che Mantova a questo mondo? Le
cose a cui si deve pensare son molte, signor mio. Sa lei, per esempio,
fino a che segno l'imperatore possa ora fidarsi di quel suo principe di
Valdistano o di Vallistai, o come lo chiamano, e se....»
«Il nome legittimo in lingua alemanna,» interruppe ancora il podestà,
«è Vagliensteino, come l'ho sentito proferir più volte dal nostro
signor castellano spagnolo. Ma stia pur di buon animo, che....»
«Mi vuole insegnare...?» riprendeva il conte; ma don Rodrigo gli
diè d'occhio, per fargli intendere che, per amor suo, cessasse di
contraddire. Il conte tacque, e il podestà, come un bastimento
disimbrogliato da una secca, continuò, a vele gonfie, il corso della
sua eloquenza. «Vagliensteino mi dà poco fastidio; perchè il conte duca
ha l'occhio a tutto, e per tutto; e se Vagliensteino vorrà fare il
bell'umore, saprà ben lui farlo rigar diritto, con le buone, o con le
cattive. Ha l'occhio per tutto, dico, e le mani lunghe; e, se ha fisso
il chiodo, come l'ha fisso, e giustamente, da quel gran politico che è,
che il signor duca di Nevers non metta le radici in Mantova, il signor
duca di Nevers non ce le metterà; e il signor cardinale di Riciliù
farà un buco nell'acqua. Mi fa pur ridere quel caro signor cardinale,
a voler cozzare con un conte duca, con un Olivares. Dico il vero,
che vorrei rinascere di qui a dugent'anni, per sentir cosa diranno i
posteri, di questa bella pretensione. Ci vuol altro che invidia; testa
vuol essere: e teste come la testa d'un conte duca, ce n'è una sola al
mondo. Il conte duca, signori miei,» proseguiva il podestà, sempre col
vento in poppa, e un po' maravigliato anche lui di non incontrar mai
uno scoglio: «il conte duca è una volpe vecchia, parlando col dovuto
rispetto, che farebbe perder la traccia a chi si sia: e, quando accenna
a destra, si può esser sicuri che batterà a sinistra: ond'è che nessuno
può mai vantarsi di conoscere i suoi disegni; e quegli stessi che devon
metterli in esecuzione, quegli stessi che scrivono i dispacci, non
ne capiscon niente. Io posso parlare con qualche cognizion di causa;
perchè quel brav'uomo del signor castellano si degna di trattenersi
meco, con qualche confidenza. Il conte duca, viceversa, sa appuntino
cosa bolle in pentola di tutte l'altre corti; e tutti que' politiconi
(che ce n'è di diritti assai, non si può negare) hanno appena
immaginato un disegno, che il conte duca te l'ha già indovinato, con
quella sua testa, con quelle sue strade coperte, con que' suoi fili
tesi per tutto. Quel pover'uomo del cardinale di Riciliù tenta di qua,
fiuta di là, suda, s'ingegna: e poi? quando gli è riuscito di scavare
una mina, trova la contrammina già bell'e fatta dal conte duca....»
Sa il cielo quando il podestà avrebbe preso terra; ma don Rodrigo,
stimolato anche da' versacci che faceva il cugino, si voltò
all'improvviso, come se gli venisse un'ispirazione, a un servitore, e
gli accennò che portasse un certo fiasco. «Signor podestà, e signori
miei!» disse poi: «un brindisi al conte duca; e mi sapranno dire se il
vino sia degno del personaggio.» Il podestà rispose con un inchino,
nel quale traspariva un sentimento di riconoscenza particolare; perchè
tutto ciò che si faceva o si diceva in onore del conte duca, lo
riteneva in parte come fatto a sè.
«Viva mill'anni don Gasparo Guzman, conte d'Olivares, duca di san
Lucar, gran privato del re don Filippo il grande, nostro signore!»
esclamò, alzando il bicchiere.
Privato, chi non lo sapesse, era il termine in uso, a que' tempi, per
significare il favorito d'un principe.
«Viva mill'anni!» risposer tutti.
«Servite il padre,» disse don Rodrigo.
«Mi perdoni;» rispose il padre: «ma ho già fatto un disordine, e non
potrei....»
«Come!» disse don Rodrigo: «si tratta d'un brindisi al conte duca. Vuol
dunque far credere ch'ella tenga dai navarrini?»
Così si chiamavano allora, per ischerno, i Francesi, dai principi di
Navarra, che avevan cominciato, con Enrico IV, a regnar sopra di loro.
A tale scongiuro, convenne bere. Tutti i commensali proruppero in
esclamazioni, e in elogi del vino; fuor che il dottore, il quale, col
capo alzato, con gli occhi fissi, con le labbra strette, esprimeva
molto più che non avrebbe potuto far con parole.
«Che ne dite eh, dottore?» domandò don Rodrigo.
Tirato fuor del bicchiere un naso più vermiglio e più lucente di
quello, il dottore rispose, battendo con enfasi ogni sillaba: «dico,
proferisco, e sentenzio che questo è l'Olivares de' vini: _censui, et
in eam ivi sententiam_, che un liquor simile non si trova in tutti
i ventidue regni del re nostro signore, che Dio guardi: dichiaro e
definisco che i pranzi dell'illustrissimo signor don Rodrigo vincono le
cene d'Eliogabalo; e che la carestia è bandita e confinata in perpetuo
da questo palazzo, dove siede e regna la splendidezza.»
«Ben detto! ben definito!» gridarono, a una voce, i commensali: ma
quella parola, carestia, che il dottore aveva buttata fuori a caso,
rivolse in un punto tutte le menti a quel tristo soggetto; e tutti
parlarono della carestia. Qui andavan tutti d'accordo, almeno nel
principale; ma il fracasso era forse più grande che se ci fosse stato
disparere. Parlavan tutti insieme. «Non c'è carestia,» diceva uno:
«sono gl'incettatori....»
«E i fornai,» diceva un altro: «che nascondono il grano. Impiccarli.»
«Appunto; impiccarli, senza misericordia.»
«De' buoni processi,» gridava il podestà.
«Che processi?» gridava più forte il conte Attilio: «giustizia
sommaria. Pigliarne tre o quattro o cinque o sei, di quelli che,
per voce pubblica, son conosciuti come i più ricchi e i più cani, e
impiccarli.»
«Esempi! esempi! senza esempi non si fa nulla.»
«Impiccarli! impiccarli!; e salterà fuori grano da tutte le parti.»
Chi, passando per una fiera, s'è trovato a goder l'armonia che fa una
compagnia di cantambanchi, quando, tra una sonata e l'altra, ognuno
accorda il suo stromento, facendolo stridere quanto più può, affine di
sentirlo distintamente, in mezzo al rumore degli altri, s'immagini che
tale fosse la consonanza di quei, se si può dire, discorsi. S'andava
intanto mescendo e rimescendo di quel tal vino; e le lodi di esso
venivano, com'era giusto, frammischiate alle sentenze di giurisprudenza
economica; sicchè le parole che s'udivan più sonore e più frequenti,
erano: _ambrosia_, e _impiccarli_.
Don Rodrigo intanto dava dell'occhiate al solo che stava zitto; e lo
vedeva sempre lì fermo, senza dar segno d'impazienza nè di fretta,
senza far atto che tendesse a ricordare che stava aspettando; ma in
aria di non voler andarsene, prima d'essere stato ascoltato. L'avrebbe
mandato a spasso volentieri, e fatto di meno di quel colloquio; ma
congedare un cappuccino, senza avergli dato udienza, non era secondo le
regole della sua politica. Poichè la seccatura non si poteva scansare,
si risolvette d'affrontarla subito, e di liberarsene; s'alzò da tavola,
e seco tutta la rubiconda brigata, senza interrompere il chiasso.
Chiesta poi licenza agli ospiti, s'avvicinò, in atto contegnoso, al
frate, che s'era subito alzato con gli altri; gli disse: «eccomi a'
suoi comandi;» e lo condusse in un'altra sala.


CAPITOLO VI.

«In che posso ubbidirla?» disse don Rodrigo, piantandosi in piedi nel
mezzo della sala. Il suono delle parole era tale; ma il modo con cui
eran proferite, voleva dir chiaramente, bada a chi sei davanti, pesa le
parole, e sbrigati.
Per dar coraggio al nostro fra Cristoforo, non c'era mezzo più sicuro
e più spedito, che prenderlo con maniera arrogante. Egli che stava
sospeso, cercando le parole, e facendo scorrere tra le dita le ave
marie della corona che teneva a cintola, come se in qualcheduna di
quelle sperasse di trovare il suo esordio; a quel fare di don Rodrigo,
si sentì subito venir sulle labbra più parole del bisogno. Ma pensando
quanto importasse di non guastare i fatti suoi o, ciò ch'era assai più,
i fatti altrui, corresse e temperò le frasi che gli si eran presentate
alla mente, e disse, con guardinga umiltà: «vengo a proporle un atto
di giustizia, a pregarla d'una carità. Cert'uomini di mal affare hanno
messo innanzi il nome di vossignoria illustrissima, per far paura a un
povero curato, e impedirgli di compire il suo dovere, e per soverchiare
due innocenti. Lei può, con una parola, confonder coloro, restituire al
diritto la sua forza, e sollevar quelli a cui è fatta una così crudel
violenza. Lo può; e potendolo.... la coscienza, l'onore....»
«Lei mi parlerà della mia coscienza, quando verrò a confessarmi da lei.
In quanto al mio onore, ha da sapere che il custode ne son io, e io
solo; e che chiunque ardisce entrare a parte con me di questa cura, lo
riguardo come il temerario che l'offende.»
Fra Cristoforo, avvertito da queste parole che quel signore cercava
di tirare al peggio le sue, per volgere il discorso in contesa, e
non dargli luogo di venire alle strette, s'impegnò tanto più alla
sofferenza, risolvette di mandar giù qualunque cosa piacesse all'altro
di dire, e rispose subito, con un tono sommesso: «se ho detto cosa
che le dispiaccia, è stato certamente contro la mia intenzione. Mi
corregga pure, mi riprenda, se non so parlare come si conviene; ma si
degni ascoltarmi. Per amor del cielo, per quel Dio, al cui cospetto
dobbiam tutti comparire....» e, così dicendo, aveva preso tra le
dita, e metteva davanti agli occhi del suo accigliato ascoltatore il
teschietto di legno attaccato alla sua corona, «non s'ostini a negare
una giustizia così facile, e così dovuta a de' poverelli. Pensi che Dio
ha sempre gli occhi sopra di loro, e che le loro grida, i loro gemiti
sono ascoltati lassù. L'innocenza è potente al suo....»
«Eh, padre!» interruppe bruscamente don Rodrigo: «il rispetto ch'io
porto al suo abito è grande: ma se qualche cosa potesse farmelo
dimenticare, sarebbe il vederlo indosso a uno che ardisse di venire a
farmi la spia in casa.»
Questa parola fece venir le fiamme sul viso del frate: il quale però,
col sembiante di chi inghiottisce una medicina molto amara, riprese:
«lei non crede che un tal titolo mi si convenga. Lei sente in cuor suo,
che il passo ch'io fo ora qui, non è nè vile nè spregevole. M'ascolti,
signor don Rodrigo; e voglia il cielo che non venga un giorno in cui si
penta di non avermi ascoltato. Non voglia metter la sua gloria.... qual
gloria, signor don Rodrigo! qual gloria dinanzi agli uomini! E dinanzi
a Dio! Lei può molto quaggiù; ma....»
«Sa lei,» disse don Rodrigo, interrompendo, con istizza, ma non senza
qualche raccapriccio, «sa lei che, quando mi viene lo schiribizzo di
sentire una predica, so benissimo andare in chiesa, come fanno gli
altri? Ma in casa mia! Oh!» e continuò, con un sorriso forzato di
scherno: «lei mi tratta da più di quel che sono. Il predicatore in
casa! Non l'hanno che i principi.»
«E quel Dio che chiede conto ai principi della parola che fa loro
sentire, nelle loro regge; quel Dio che le usa ora un tratto di
misericordia, mandando un suo ministro, indegno e miserabile, ma un suo
ministro, a pregar per una innocente....»
«In somma, padre,» disse don Rodrigo, facendo atto d'andarsene, «io non
so quel che lei voglia dire: non capisco altro se non che ci dev'essere
qualche fanciulla che le preme molto. Vada a far le sue confidenze a
chi le piace; e non si prenda la libertà d'infastidir più a lungo un
gentiluomo.»
Al moversi di don Rodrigo, il nostro frate gli s'era messo davanti,
ma con gran rispetto; e, alzate le mani, come per supplicare e per
trattenerlo ad un punto, rispose ancora: «la mi preme, è vero, ma non
più di lei; son due anime che, l'una e l'altra, mi premon più del mio
sangue. Don Rodrigo! io non posso far altro per lei, che pregar Dio; ma
lo farò ben di cuore. Non mi dica di no: non voglia tener nell'angoscia
e nel terrore una povera innocente. Una parola di lei può far tutto.»
«Ebbene,» disse don Rodrigo, «giacchè lei crede ch'io possa far molto
per questa persona; giacchè questa persona le sta tanto a cuore....»
«Ebbene?» riprese ansiosamente il padre Cristoforo, al quale l'atto
e il contegno di don Rodrigo non permettevano d'abbandonarsi alla
speranza che parevano annunziare quelle parole.
«Ebbene, la consigli di venire a mettersi sotto la mia protezione. Non
le mancherà più nulla, e nessuno ardirà d'inquietarla, o ch'io non son
cavaliere.»
A siffatta proposta, l'indegnazione del frate, rattenuta a stento
fin allora, traboccò. Tutti que' bei proponimenti di prudenza e di
pazienza andarono in fumo: l'uomo vecchio si trovò d'accordo col nuovo;
e, in que' casi, fra Cristoforo valeva veramente per due. «La vostra
protezione!» esclamò, dando indietro due passi, postandosi fieramente
sul piede destro, mettendo la destra sull'anca, alzando la sinistra con
l'indice teso verso don Rodrigo, e piantandogli in faccia due occhi
infiammati: «la vostra protezione! È meglio che abbiate parlato così,
che abbiate fatta a me una tale proposta. Avete colmata la misura; e
non vi temo più.»
«Come parli, frate?...»
«Parlo come si parla a chi è abbandonato da Dio, e non può più far
paura. La vostra protezione! Sapevo bene che quella innocente è sotto
la protezione di Dio; ma voi, voi me lo fate sentire ora, con tanta
certezza, che non ho più bisogno di riguardi a parlarvene. Lucia, dico:
vedete come io pronunzio questo nome con la fronte alta, e con gli
occhi immobili.»
«Come! in questa casa...!»
«Ho compassione di questa casa: la maledizione le sta sopra sospesa.
State a vedere che la giustizia di Dio avrà riguardo a quattro pietre,
e suggezione di quattro sgherri. Voi avete creduto che Dio abbia fatta
una creatura a sua immagine, per darvi il piacere di tormentarla! Voi
avete creduto che Dio non saprebbe difenderla! Voi avete disprezzato
il suo avviso! Vi siete giudicato. Il cuore di Faraone era indurito
quanto il vostro; e Dio ha saputo spezzarlo. Lucia è sicura da voi: ve
lo dico io povero frate; e in quanto a voi, sentite bene quel ch'io vi
prometto. Verrà un giorno....»
Don Rodrigo era fin allora rimasto tra la rabbia e la maraviglia,
attonito, non trovando parole; ma, quando sentì intonare una
predizione, s'aggiunse alla rabbia un lontano e misterioso spavento.
Afferrò rapidamente per aria quella mano minacciosa, e, alzando la
voce, per troncar quella dell'infausto profeta, gridò: «escimi di tra
piedi, villano temerario, poltrone incappucciato.»
Queste parole così chiare acquietarono in un momento il padre
Cristoforo. All'idea di strapazzo e di villania era, nella sua mente,
così bene, e da tanto tempo, associata l'idea di sofferenza e di
silenzio, che, a quel complimento, gli cadde ogni spirito d'ira e
d'entusiasmo, e non gli restò altra risoluzione che quella d'udir
tranquillamente ciò che a don Rodrigo piacesse d'aggiungere. Onde,
ritirata placidamente la mano dagli artigli del gentiluomo, abbassò
il capo, e rimase immobile, come, al cader del vento, nel forte della
burrasca, un albero agitato ricompone naturalmente i suoi rami, e
riceve la grandine come il ciel la manda.
«Villano rincivilito!» prosegui don Rodrigo: «tu tratti da par tuo. Ma
ringrazia il saio che ti copre codeste spalle di mascalzone, e ti salva
dalle carezze che si fanno a' tuoi pari, per insegnar loro a parlare.
Esci con le tue gambe, per questa volta; e la vedremo.»
Così dicendo, additò, con impero sprezzante, un uscio in faccia a
quello per cui erano entrati; il padre Cristoforo chinò il capo, e se
n'andò, lasciando don Rodrigo a misurare, a passi infuriati, il campo
di battaglia.
Quando il frate ebbe serrato l'uscio dietro a sè, vide nell'altra
stanza dove entrava, un uomo ritirarsi pian piano, strisciando il muro,
come per non esser veduto dalla stanza del colloquio; e riconobbe il
vecchio servitore ch'era venuto a riceverlo alla porta di strada. Era
costui in quella casa, forse da quarant'anni, cioè prima che nascesse
don Rodrigo; entratovi al servizio del padre, il quale era stato
tutt'un'altra cosa. Morto lui, il nuovo padrone, dando lo sfratto a
tutta la famiglia, e facendo brigata nuova, aveva però ritenuto quel
servitore, e per esser già vecchio, e perchè, sebben di massime e di
costume diverso interamente dal suo, compensava però questo difetto
con due qualità: un'alta opinione della dignità della casa, e una gran
pratica del cerimoniale, di cui conosceva, meglio d'ogni altro, le più
antiche tradizioni, e i più minuti particolari. In faccia al signore,
il povero vecchio non si sarebbe mai arrischiato d'accennare, non che
d'esprimere la sua disapprovazione di ciò che vedeva tutto il giorno:
appena ne faceva qualche esclamazione, qualche rimprovero tra i denti
a' suoi colleghi di servizio; i quali se ne ridevano, e prendevano anzi
piacere qualche volta a toccargli quel tasto, per fargli dir di più che
non avrebbe voluto, e per sentirlo ricantar le lodi dell'antico modo
di vivere in quella casa. Le sue censure non arrivavano agli orecchi
del padrone che accompagnate dal racconto delle risa che se n'eran
fatte; dimodochè riuscivano anche per lui un soggetto di scherno, senza
risentimento. Ne' giorni poi d'invito e di ricevimento, il vecchio
diventava un personaggio serio e d'importanza.
Il padre Cristoforo lo guardò, passando, lo salutò, e seguitava la sua
strada; ma il vecchio se gli accostò misteriosamente, mise il dito
alla bocca, e poi, col dito stesso, gli fece un cenno, per invitarlo
a entrar con lui in un andito buio. Quando furon lì, gli disse sotto
voce: «padre, ho sentito tutto, e ho bisogno di parlarle.»
«Dite presto, buon uomo.»
«Qui no: guai se il padrone s'avvede.... Ma io so molte cose; e vedrò
di venir domani al convento.»
«C'è qualche disegno?»
«Qualcosa per aria c'è di sicuro: già me ne son potuto accorgere. Ma
ora starò sull'intesa, e spero di scoprir tutto. Lasci fare a me. Mi
tocca a vedere e a sentir cose...! cose di fuoco! Sono in una casa...!
Ma io vorrei salvar l'anima mia.»
«II Signore vi benedica!» e, proferendo sottovoce queste parole, il
frate mise la mano sul capo del servitore, che, quantunque più vecchio
di lui, gli stava curvo dinanzi, nell'attitudine d'un figliuolo. «II
Signore vi ricompenserà,» prosegui il frate: «non mancate di venir
domani.»
«Verrò,» rispose il servitore: «ma lei vada via subito e.... per amor
del cielo.... non mi nomini.» Così dicendo, e guardando intorno,
usci, per l'altra parte dell'andito, in un salotto, che rispondeva nel
cortile; e, visto il campo libero, chiamò fuori il buon frate, il volto
del quale rispose a quell'ultima parola più chiaro che non avrebbe
potuto fare qualunque protesta. Il servitore gli additò l'uscita; e il
frate, senza dir altro, partì.
Quell'uomo era stato a sentire all'uscio del suo padrone: aveva fatto
bene? E fra Cristoforo faceva bene a lodarlo di ciò? Secondo le regole
più comuni e men contraddette, è cosa molto brutta; ma quel caso non
poteva riguardarsi come un'eccezione? E ci sono dell'eccezioni alle
regole più comuni e men contraddette? Questioni importanti; ma che il
lettore risolverà da sè, se ne ha voglia. Noi non intendiamo di dar
giudizi: ci basta d'aver dei fatti da raccontare.
Uscito fuori, e voltate le spalle a quella casaccia, fra Cristoforo
respirò più liberamente, e s'avviò in fretta per la scesa, tutto
infocato in volto, commosso e sottosopra, come ognuno può immaginarsi,
per quel che aveva sentito, e per quel che aveva detto. Ma quella così
inaspettata esibizione del vecchio era stata un gran ristorativo per
lui: gli pareva che il cielo gli avesse dato un segno visibile della
sua protezione.--Ecco un filo, pensava, un filo che la provvidenza mi
mette nelle mani. E in quella casa medesima! E senza ch'io sognassi
neppure di cercarlo!--Così ruminando, alzò gli occhi verso l'occidente,
vide il sole inclinato, che già già toccava la cima del monte, e pensò
che rimaneva ben poco del giorno. Allora, benchè sentisse le ossa gravi
e fiaccate da' vari strapazzi di quella giornata, pure studiò di più il
passo, per poter riportare un avviso, qual si fosse, a' suoi protetti,
e arrivar poi al convento, prima di notte: che era una delle leggi più
precise, e più severamente mantenute del codice cappuccinesco.
Intanto, nella casetta di Lucia, erano stati messi in campo e ventilati
disegni, de' quali ci conviene informare il lettore. Dopo la partenza
del frate, i tre rimasti erano stati qualche tempo in silenzio; Lucia
preparando tristamente il desinare; Renzo sul punto d'andarsene ogni
momento, per levarsi dalla vista di lei così accorata, e non sapendo
staccarsi; Agnese tutta intenta, in apparenza, all'aspo che faceva
girare. Ma, in realtà, stava maturando un progetto; e, quando le parve
maturo, ruppe il silenzio in questi termini:
«Sentite, figliuoli! Se volete aver cuore e destrezza, quanto bisogna,
se vi fidate di vostra madre,» a quel _vostra_ Lucia si riscosse, «io
m'impegno di cavarvi di quest'impiccio, meglio forse, e più presto del
padre Cristoforo, quantunque sia quell'uomo che è.» Lucia rimase lì, e
la guardò con un volto ch'esprimeva più maraviglia che fiducia in una
promessa tanto magnifica; e Renzo disse subitamente: «cuore? destrezza?
dite, dite pure quel che si può fare.»
[Illustrazione: «Verrà un giorno....» (pag. 78)]
«Non è vero,» proseguì Agnese, «che, se foste maritati, si sarebbe già
un pezzo avanti? E che a tutto il resto si troverebbe più facilmente
ripiego?»
«C'è dubbio?» disse Renzo: «maritati che fossimo.... tutto il mondo
è paese; e, a due passi di qui, sul bergamasco, chi lavora seta è
ricevuto a braccia aperte. Sapete quante volte Bortolo mio cugino m'ha
fatto sollecitare d'andar là a star con lui, che farei fortuna, com'ha
fatto lui: e se non gli ho mai dato retta, gli è.... che serve? perchè
il mio cuore era qui. Maritati, si va tutti insieme, si mette su casa
là, si vive in santa pace, fuor dell'unghie di questo ribaldo, lontano
dalla tentazione di fare uno sproposito. N'è vero, Lucia?»
«Sì,» disse Lucia: «ma come...?»
«Come ho detto io,» riprese la madre: «cuore e destrezza; e la cosa è
facile.»
«Facile!» dissero insieme que' due, per cui la cosa era divenuta tanto
stranamente e dolorosamente difficile.
«Facile, a saperla fare,» replicò Agnese. «Ascoltatemi bene, che vedrò
di farvela intendere. Io ho sentito dire da gente che sa, e anzi ne
ho veduto io un caso, che, per fare un matrimonio, ci vuole bensì il
curato, ma non è necessario che voglia; basta che ci sia.»
«Come sta questa faccenda?» domandò Renzo.
«Ascoltate e sentirete. Bisogna aver due testimoni ben lesti e ben
d'accordo. Si va dal curato: il punto sta di chiapparlo all'improvviso,
che non abbia tempo di scappare. L'uomo dice: signor curato, questa è
mia moglie; la donna dice: signor curato, questo è mio marito. Bisogna
che il curato senta, che i testimoni sentano; e il matrimonio è bell'e
fatto, sacrosanto come se l'avesse fatto il papa. Quando le parole son
dette, il curato può strillare, strepitare, fare il diavolo; è inutile;
siete marito e moglie.»
«Possibile?» esclamò Lucia.
«Come!» disse Agnese: «state a vedere che, in trent'anni che ho passati
in questo mondo, prima che nasceste voi altri, non avrò imparato nulla.
La cosa è tale quale ve la dico: per segno tale che una mia amica,
che voleva prender uno contro la volontà de' suoi parenti, facendo
in quella maniera, ottenne il suo intento. Il curato, che ne aveva
sospetto, stava all'erta; ma i due diavoli seppero far così bene, che
lo colsero in un punto giusto, dissero le parole, e furon marito e
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