I promessi sposi. - 22

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«Ah siete solo! Dunque abbiate pazienza, ma una porzione più piccola.»
«È giusto; ma se presto, come spero.... e con l'aiuto di Dio.... Basta;
quando avessi moglie anch'io?»
«Allora si cambia il biglietto, e si cresce la porzione. Come v'ho
detto; sempre in ragion delle bocche,» disse lo sconosciuto, alzandosi.
«Così va bene,» gridò Renzo; e continuò, gridando e battendo il pugno
sulla tavola: «e perchè non la fanno una legge così?»
«Cosa volete che vi dica? Intanto vi do la buona notte, e me ne vo;
perchè penso che la moglie e i figliuoli m'aspetteranno da un pezzo.»
«Un altro gocciolino, un altro gocciolino,» gridava Renzo, riempiendo
in fretta il bicchiere di colui; e subito alzatosi, e acchiappatolo per
una falda del farsetto, tirava forte, per farlo seder di nuovo. «Un
altro gocciolino: non mi fate quest'affronto.»
Ma l'amico, con una stratta, si liberò, e lasciando Renzo fare un
guazzabuglio d'istanze e di rimproveri, disse di nuovo: «buona notte,»
e se n'andò. Renzo seguitava ancora a predicargli, che quello era
già in istrada; e poi ripiombò sulla panca. Fissò gli occhi su quel
bicchiere che aveva riempito; e, vedendo passar davanti alla tavola
il garzone, gli accennò di fermarsi, come se avesse qualche affare da
comunicargli; poi gli accennò il bicchiere, e con una pronunzia lenta
e solenne, spiccando le parole in un certo modo particolare, disse:
«ecco, l'avevo preparato per quel galantuomo: vedete; pieno raso,
proprio da amico; ma non l'ha voluto. Alle volte, la gente ha dell'idee
curiose. Io non ci ho colpa: il mio buon cuore l'ho fatto vedere. Ora,
giacchè la cosa è fatta, non bisogna lasciarlo andare a male.» Così
detto, lo prese, e lo votò in un sorso.
«Ho inteso,» disse il garzone, andandosene.
«Ah! avete inteso anche voi,» riprese Renzo: «dunque è vero. Quando le
ragioni son giuste...!»
Qui è necessario tutto l'amore che portiamo alla verità, per farci
proseguire fedelmente un racconto di così poco onore a un personaggio
tanto principale, si potrebbe quasi dire al primo uomo della nostra
storia. Per questa stessa ragione d'imparzialità, dobbiamo però anche
avvertire ch'era la prima volta, che a Renzo avvenisse un caso simile:
e appunto questo suo non esser uso a stravizi fu cagione in gran parte
che il primo gli riuscisse così fatale. Que' pochi bicchieri che aveva
buttati giù da principio, l'uno dietro l'altro, contro il suo solito,
parte per quell'arsione che si sentiva, parte per una certa alterazione
d'animo, che non gli lasciava far nulla con misura, gli diedero subito
alla testa: a un bevitore un po' esercitato non avrebbero fatto altro
che levargli la sete. Su questo il nostro anonimo fa una osservazione,
che noi ripeteremo: e conti quel che può contare. Le abitudini
temperate e oneste, dice, recano anche questo vantaggio, che, quanto
più sono inveterate e radicate in un uomo, tanto più facilmente, appena
appena se n'allontani, se ne risente subito; dimodochè se ne ricorda
poi per un pezzo; e anche uno sproposito gli serve di scola.
Comunque sia, quando que' primi fumi furono saliti alla testa di Renzo,
vino e parole continuarono a andare, l'uno in giù e l'altre in su,
senza misura nè regola: e, al punto a cui l'abbiam lasciato, stava già
come poteva. Si sentiva una gran voglia di parlare: ascoltatori, o
almeno uomini presenti che potesse prender per tali, non ne mancava; e,
per qualche tempo, anche le parole eran venute via senza farsi pregare,
e s'eran lasciate collocare in un certo qual ordine. Ma a poco a poco,
quella faccenda di finir le frasi cominciò a divenirgli fieramente
difficile. Il pensiero che s'era presentato vivo e risoluto alla sua
mente, s'annebbiava e svaniva tutt'a un tratto; e la parola, dopo
essersi fatta aspettare un pezzo, non era quella che fosse al caso.
In queste angustie, per uno di que' falsi istinti che, in tante cose,
rovinan gli uomini, ricorreva a quel benedetto fiasco. Ma di che aiuto
gli potesse essere il fiasco, in una tale circostanza, chi ha fior di
senno lo dica.
[Illustrazione: ....tanto che divenne lo zimbello della brigata. (pag.
218)]
Noi riferiremo soltanto alcune delle moltissime parole che mandò fuori,
in quella sciagurata sera: le molte più che tralasciamo, disdirebbero
troppo; perchè, non solo non hanno senso, ma non fanno vista d'averlo:
condizione necessaria in un libro stampato.
«Ah oste, oste!» ricominciò, accompagnandolo con l'occhio intorno alla
tavola, o sotto la cappa del cammino; talvolta fissandolo dove non era,
e parlando sempre in mezzo al chiasso della brigata: «oste che tu sei!
Non posso mandarla giù.... quel tiro del nome, cognome e negozio. A
un figliuolo par mio...! Non ti sei portato bene. Che soddisfazione,
che sugo, che gusto.... di mettere in carta un povero figliuolo?
Parlo bene, signori? Gli osti dovrebbero tenere dalla parte de' buoni
figliuoli.... Senti, senti, oste; ti voglio fare un paragone.... per la
ragione.... Ridono eh? Ho un po' di brio, sì.... ma le ragioni le dico
giuste. Dimmi un poco; chi è che ti manda avanti la bottega? I poveri
figliuoli, n'è vero? dico bene? Guarda un po' se que' signori delle
gride vengono mai da te a bere un bicchierino.»
«Tutta gente che beve acqua,» disse un vicino di Renzo.
«Vogliono stare in sè,» soggiunse un altro, «per poter dir le bugie a
dovere.»
«Ah!» gridò Renzo: «ora è il poeta che ha parlato. Dunque intendete
anche voi altri le mie ragioni. Rispondi dunque, oste: e Ferrer, che è
il meglio di tutti, è mai venuto qui a fare un brindisi, e a spendere
un becco d'un quattrino? E quel cane assassino di don...? Sto zitto,
perchè sono in cervello anche troppo. Ferrer e il padre Crrr.... so
io, son due galantuomini; ma ce n'è pochi de' galantuomini. I vecchi
peggio de' giovani; e i giovani.... peggio ancora de' vecchi. Però, son
contento che non si sia fatto sangue: oibò; barbarie, da lasciarle
fare al boia. Pane; oh questo sì. Ne ho ricevuti degli urtoni ma....
ne ho anche dati. Largo! abbondanza! viva!... Eppure, anche Ferrer....
qualche parolina in latino.... _siés baraòs trapolorum_.... Maledetto
vizio! Viva! giustizia! pane! ah, ecco le parole giuste!... Là ci
volevano que' galantuomini.... quando scappò fuori quel maledetto ton
ton ton, e poi ancora ton ton ton. Non si sarebbe fuggiti, ve', allora.
Tenerlo lì quel signor curato.... So io a chi penso!»
A questa parola, abbassò la testa, e stette qualche tempo, come assorto
in un pensiero: poi mise un gran sospiro, e alzò il viso, con due
occhi inumiditi e lustri, con un certo accoramento così svenevole,
così sguaiato, che guai se chi n'era l'oggetto avesse potuto vederlo
un momento. Ma quegli omacci che già avevan cominciato a prendersi
spasso dell'eloquenza appassionata e imbrogliata di Renzo, tanto
più se ne presero della sua aria compunta; i più vicini dicevano
agli altri: guardate; e tutti si voltavano a lui; tanto che divenne
lo zimbello della brigata. Non già che tutti fossero nel loro buon
senno, o nel loro qual si fosse senno ordinario; ma, per dire il vero,
nessuno n'era tanto uscito, quanto il povero Renzo: e per di più era
contadino. Si misero, or l'uno or l'altro a stuzzicarlo con domande
sciocche e grossolane, con cerimonie canzonatorie. Renzo, ora dava
segno d'averselo per male, ora prendeva la cosa in ischerzo, ora, senza
badare a tutte quelle voci, parlava di tutt'altro, ora rispondeva, ora
interrogava; sempre a salti, e fuor di proposito. Per buona sorte, in
quel vaneggiamento, gli era però rimasta come un'attenzione istintiva a
scansare i nomi delle persone; dimodochè anche quello che doveva esser
più altamente fitto nella sua memoria, non fu proferito: chè troppo
ci dispiacerebbe se quel nome, per il quale anche noi sentiamo un po'
d'affetto e di riverenza, fosse stato strascinato per quelle boccacce,
fosse divenuto trastullo di quelle lingue sciagurate.


CAPITOLO XV.

L'oste, vedendo che il gioco andava in lungo, s'era accostato a Renzo;
e pregando, con buona grazia, quegli altri che lo lasciassero stare,
l'andava scotendo per un braccio, e cercava di fargli intendere e
di persuaderlo che andasse a dormire. Ma Renzo tornava sempre da
capo col nome e cognome, e con le gride, e co' buoni figliuoli. Però
quelle parole: letto e dormire, ripetute al suo orecchio, gli entraron
finalmente in testa; gli fecero sentire un po' più distintamente il
bisogno di ciò che significavano, e produssero un momento di lucido
intervallo. Quel po' di senno che gli tornò, gli fece in certo modo
capire che il più se n'era andato: a un di presso come l'ultimo moccolo
rimasto acceso d'un'illuminazione, fa vedere gli altri spenti. Si
fece coraggio; stese le mani, e le appuntellò sulla tavola; tentò,
una e due volte, d'alzarsi; sospirò, barcollò; alla terza, sorretto
dall'oste, si rizzò. Quello, reggendolo tuttavia, lo fece uscire di tra
la tavola e la panca; e, preso con una mano un lume, con l'altra, parte
lo condusse, parte lo tirò, alla meglio, verso l'uscio di scala. Lì
Renzo, al chiasso de' saluti che coloro gli urlavan dietro, si voltò in
fretta; e se il suo sostenitore non fosse stato ben lesto a tenerlo per
un braccio, la voltata sarebbe stata un capitombolo; si voltò dunque,
e con l'altro braccio che gli rimaneva libero, andava trinciando e
iscrivendo nell'aria certi saluti, a guisa d'un nodo di Salomone.
«Andiamo a letto, a letto,» disse l'oste, strascicandolo; gli fece
imboccar l'uscio; e con più fatica ancora, lo tirò in cima di quella
scaletta, e poi nella camera che gli aveva destinata. Renzo, visto il
letto che l'aspettava, si rallegrò; guardò amorevolmente l'oste, con
due occhietti che ora scintillavan più che mai, ora s'ecclissavano,
come due lucciole; cercò d'equilibrarsi sulle gambe; e stese la mano al
viso dell'oste, per prendergli il ganascino, in segno d'amicizia e di
riconoscenza; ma non gli riuscì. «Bravo oste!» gli riuscì però di dire:
«ora vedo che sei un galantuomo: questa è un'opera buona, dare un letto
a un buon figliuolo; ma quella figura che m'hai fatta, sul nome e
cognome, quella non era da galantuomo. Per buona sorte che anch'io son
furbo la mia parte....»
L'oste, il quale non pensava che colui potesse ancor tanto connettere;
l'oste che, per lunga esperienza, sapeva quanto gli uomini, in quello
stato, sian più soggetti del solito a cambiar di parere, volle
approfittare di quel lucido intervallo, per fare un altro tentativo.
«Figliuolo caro,» disse, con una voce e con un fare tutto gentile: «non
l'ho fatto per seccarvi, nè per sapere i fatti vostri. Cosa volete? è
legge: anche noi bisogna ubbidire; altrimenti siamo i primi a portarne
la pena. È meglio contentarli, e.... Di che si tratta finalmente? Gran
cosa! dir due parole. Non per loro, ma per fare un piacere a me: via;
qui tra noi, a quattr'occhi, facciam le nostre cose; ditemi il vostro
nome, e.... e poi andate a letto col cuor quieto.»
«Ah birbone!» esclamò Renzo: «mariolo! tu mi torni ancora in campo con
quell'infamità del nome, cognome e negozio!»
«Sta zitto, buffone; va a letto,» diceva l'oste.
Ma Renzo continuava più forte: «ho inteso: sei della lega anche tu.
Aspetta, aspetta, che t'accomodo io.» E voltando la testa verso la
scaletta, cominciava a urlare più forte ancora: «amici! l'oste è
della....»
«Ho detto per celia,» gridò questo sul viso di Renzo, spingendolo verso
il letto: «per celia; non hai inteso che ho detto per celia?»
«Ah! per celia: ora parli bene. Quando hai detto per celia.... Son
proprio celie.» E cadde bocconi sul letto.
«Animo; spogliatevi; presto,» disse l'oste, e al consiglio aggiunse
l'aiuto; che ce n'era bisogno. Quando Renzo si fu levato il farsetto,
(e ce ne volle) l'oste l'agguantò subito, e corse con le mani alle
tasche, per vedere se c'era il morto. Lo trovò: e pensando che, il
giorno dopo, il suo ospite avrebbe avuto a fare i conti con tutt'altri
che con lui, e che quel morto sarebbe probabilmente caduto in mani di
dove un oste non avrebbe potuto farlo uscire; volle provarsi se almeno
gli riusciva di concluder quest'altro affare.
«Voi siete un buon figliuolo, un galantuomo; n'è v'ero?» disse.
«Buon figliuolo, galantuomo,» rispose Renzo, facendo tuttavia litigar
le dita co' bottoni de' panni che non s'era ancor potuto levare.
«Bene,» replicò l'oste: «saldate ora dunque quel poco conticino, perchè
domani io devo uscire per certi miei affari....»
«Quest'è giusto,» disse Renzo. «Son furbo, ma galantuomo.... Ma i
danari? Andare a cercare i danari ora!»
«Eccoli qui,» disse l'oste: e, mettendo in opera tutta la sua pratica,
tutta la sua pazienza, tutta la sua destrezza, gli riuscì di fare il
conto con Renzo, e di pagarsi.
«Dammi una mano, ch'io possa finir di spogliarmi, oste,» disse Renzo.
«Lo vedo anch'io, ve', che ho addosso un gran sonno.»
L'oste gli diede l'aiuto richiesto; gli stese per di più la coperta,
addosso, e gli disse sgarbatamente «buona notte,» che già quello
russava. Poi, per quella specie d'attrattiva, che alle volte ci tiene
a considerare un oggetto di stizza, al pari che un oggetto d'amore,
e che forse non è altro che il desiderio di conoscere ciò che opera
fortemente sull'animo nostro, si fermò un momento a contemplare
l'ospite così noioso per lui, alzandogli il lume sul viso, e facendovi,
con la mano stesa, ribatter sopra la luce; in quell'atto a un dipresso
che vien dipinta Psiche, quando sta a spiare furtivamente le forme del
consorte sconosciuto. «Pezzo d'asino!» disse nella sua mente al povero
addormentato: «sei andato proprio a cercartela. Domani poi, mi saprai
dire che bel gusto ci avrai. Tangheri, che volete girare il mondo,
senza saper da che parte si levi il sole; per imbrogliar voi e il
prossimo.»
Così detto o pensato, ritirò il lume, si mosse, uscì dalla camera,
e chiuse l'uscio a chiave. Sul pianerottolo della scala, chiamò
l'ostessa; alla quale disse che lasciasse i figliuoli in guardia a
una loro servetta, e scendesse in cucina, a far le sue veci. «Bisogna
ch'io vada fuori, in grazia d'un forestiero capitato qui, non so come
diavolo, per mia disgrazia,» soggiunse; e le raccontò in compendio il
noioso accidente. Poi soggiunse ancora: «occhio a tutto; e sopra tutto
prudenza, in questa maledetta giornata. Abbiamo laggiù una mano di
scapestrati che, tra il bere, e tra che di natura sono sboccati, ne
dicon di tutti i colori. Basta, se qualche temerario....»
«Oh! non sono una bambina, e so anch'io quel che va fatto. Finora, mi
pare che non si possa dire....»
«Bene, bene; e badar che paghino; e tutti que' discorsi che fanno,
sul vicario di provvisione e il governatore e Ferrer e i decurioni e
i cavalieri e Spagna e Francia e altre simili corbellerie, far vista
di non sentire; perchè, se si contraddice, la può andar male subito;
e se si dà ragione, la può andar male in avvenire: e già sai anche tu
che qualche volta quelli che le dicon più grosse.... Basta; quando
si senton certe proposizioni, girar la testa, e dire: vengo; come se
qualcheduno chiamasse da un'altra parte. Io cercherò di tornare più
presto che posso.»
Ciò detto, scese con lei in cucina, diede un'occhiata in giro, per
veder se c'era novità di rilievo; staccò da un cavicchio il cappello e
la cappa, prese un randello da un cantuccio, ricapitolò con un'altra
occhiata alla moglie, l'istruzioni che le aveva date; e uscì. Ma,
già nel far quelle operazioni, aveva ripreso, dentro di sè, il filo
dell'apostrofe cominciata al letto del povero Renzo; e la proseguiva,
camminando in istrada.
--Testardo d'un montanaro!--Chè, per quanto Renzo avesse voluto tener
nascosto l'esser suo, questa qualità si manifestava da sè, nelle
parole, nella pronunzia, nell'aspetto e negli atti.--Una giornata come
questa, a forza di politica, a forza d'aver giudizio, io n'uscivo
netto; e dovevi venir tu sulla fine, a guastarmi l'uova nel paniere.
Manca osterie in Milano, che tu dovessi proprio capitare alla mia?
Fossi almeno capitato solo; che avrei chiuso un occhio per questa
sera; e domattina t'avrei fatto intender la ragione. Ma no signore; in
compagnia ci vieni; e in compagnia d'un bargello, per far meglio!--
A ogni passo, l'oste incontrava o passeggieri scompagnati, o coppie,
o brigate di gente, che giravano susurrando. A questo punto della sua
muta allocuzione, vide venire una pattuglia di soldati; e tirandosi
da parte, per lasciarli passare, li guardò con la coda dell'occhio,
e continuò tra sè:--eccoli i gastigamatti. E tu, pezzo d'asino, per
aver visto un po' di gente in giro a far baccano, ti sei cacciato in
testa che il mondo abbia a mutarsi. E su questo bel fondamento, ti sei
rovinato te, e volevi anche rovinar me; che non è giusto. Io facevo di
tutto per salvarti; e tu, bestia, in contraccambio, c'è mancato poco
che non m'hai messo sottosopra l'osteria. Ora toccherà a te a levarti
d'impiccio: per me ci penso io. Come se io volessi sapere il tuo nome
per una mia curiosità! Cosa m'importa a me che tu ti chiami Taddeo o
Bartolommeo? Ci ho un bel gusto anch'io a prender la penna in mano! ma
non siete voi altri soli a voler le cose a modo vostro. Lo so anch'io
che ci son delle gride che non contan nulla: bella novità, da venircela
a dire un montanaro! Ma tu non sai che le gride contro gli osti
contano. E pretendi girare il mondo, e parlare; e non sai che, a voler
fare a modo suo, e impiparsi delle gride, la prima cosa è di parlarne
con gran riguardo. E per un povero oste che fosse del tuo parere, e
non domandasse il nome di chi capita a favorirlo, sai tu, bestia, cosa
c'è di bello? _Sotto pena a qual si voglia dei detti osti, tavernai
ed altri, come sopra, di trecento scudi_: sì, son lì che covano
trecento scudi; e per ispenderli così bene; _da essere applicati, per
i due terzi alla regia Camera, e l'altro all'accusatore o delatore_:
quel bel cecino! _Ed in caso di inabilità, cinque anni di galera, e
maggior pena, pecuniaria o corporale, all'arbitrio di sua eccellenza._
Obbligatissimo alle sue grazie.--
A queste parole, l'oste toccava la soglia del palazzo di giustizia.
Lì, come a tutti gli altri ufizi, c'era un gran da fare: per tutto
s'attendeva a dar gli ordini che parevan più atti a preoccupare il
giorno seguente, a levare i pretesti e l'ardire agli animi vogliosi di
nuovi tumulti, ad assicurare la forza nelle mani solite a adoprarla.
S'accrebbe la soldatesca alla casa del vicario; gli sbocchi della
strada furono sbarrati di travi, trincerati di carri. S'ordinò a tutti
i fornai che facessero pane senza intermissione; si spedirono staffette
a' paesi circonvicini, con ordini di mandar grano alla città; a ogni
forno furono deputati nobili, che vi si portassero di buon mattino,
a invigilare sulla distribuzione e a tenere a freno gl'inquieti, con
l'autorità della presenza, e con le buone parole. Ma per dar, come si
dice, un colpo al cerchio e uno alla botte, e render più efficaci i
consigli con un po' di spavento, si pensò anche a trovar la maniera di
metter le mani addosso a qualche sedizioso: e questa era principalmente
la parte del capitano di giustizia; il quale, ognuno può pensare che
sentimenti avesse per le sollevazioni e per i sollevati, con una
pezzetta d'acqua vulneraria sur uno degli organi della profondità
metafisica. I suoi bracchi erano in campo fino dal principio del
tumulto: e quel sedicente Ambrogio Fusella era, come ha detto l'oste,
un bargello travestito, mandato in giro appunto per cogliere sul fatto
qualcheduno da potersi riconoscere, e tenerlo in petto, e appostarlo,
e acchiapparlo poi, a notte affatto quieta, o il giorno dopo. Sentite
quattro parole di quella predica di Renzo, colui gli aveva fatto subito
assegnamento sopra; parendogli quello un reo buon uomo, proprio quel
che ci voleva. Trovandolo poi nuovo affatto del paese, aveva tentato il
colpo maestro di condurlo caldo caldo alle carceri, come alla locanda
più sicura della città; ma gli andò fallito, come avete visto. Potè
però portare a casa la notizia sicura del nome, cognome e patria, oltre
cent'altre belle notizie congetturali; dimodochè, quando l'oste capitò
lì, a dir ciò che sapeva intorno Renzo, ne sapevan già più di lui.
Entrò nella solita stanza, e fece la sua deposizione: come era giunto
ad alloggiar da lui un forestiero, che non aveva mai voluto manifestare
il suo nome.
«Avete fatto il vostro dovere a informar la giustizia;» disse un notaio
criminale, mettendo giù la penna, «ma già lo sapevamo.»
--Bel segreto!--pensò l'oste:--ci vuole un gran talento!--
«E sappiamo anche,» continuò il notaio, «quel riverito nome.»
--Diavolo! il nome poi, com'hanno fatto?--pensò l'oste questa volta.
«Ma voi,» riprese l'altro, con volto serio, «voi non dite tutto
sinceramente.»
«Cosa devo dire di più?»
«Ah! ah! sappiamo benissimo che colui ha portato nella vostra osteria
una quantità di pane rubato, e rubato con violenza, per via di
saccheggio e di sedizione.»
«Vien uno con un pane in tasca; so assai dov'è andato a prenderlo.
Perchè, a parlar come in punto di morte, posso dire di non avergli
visto che un pane solo.»
«Già; sempre scusare, difendere: chi sente voi altri, son tutti
galantuomini. Come potete provare che quel pane fosse di buon acquisto?»
«Cosa ho da provare io? io non c'entro: io fo l'oste.»
«Non potrete però negare che codesto vostro avventore non abbia avuta
la temerità di proferir parole ingiuriose contro le gride, e di fare
atti mali e indecenti contro l' arme di sua eccellenza.»
[Illustrazione: «Lorenzo Tramaglino!» disse Renzo Tramaglino: «cosa vuoi
dir questo?»... (pag. 226)]
«Mi faccia grazia, vossignoria: come può mai essere mio avventore, se
lo vedo per la prima volta? E il diavolo, con rispetto parlando, che
l'ha mandato a casa mia: e se lo conoscessi, vossignoria vede bene che
non avrei avuto bisogno di domandargli il suo nome.»
«Però, nella vostra osteria, alla vostra presenza, si son dette cose di
fuoco: parole temerarie, proposizioni sediziose, mormorazioni, strida,
clamori.»
«Come vuole vossignoria ch'io badi agli spropositi che posson dire
tanti urloni che parlan tutti insieme? Io devo attendere a' miei
interessi, che sono un pover'uomo. E poi vossignoria sa bene che chi
è di lingua sciolta, per il solito è anche lesto di mano, tanto più
quando sono una brigata, e....»
«Sì, sì; lasciateli fare e dire: domani, domani, vedrete se gli sarà
passato il ruzzo. Cosa credete?»
«Io non credo nulla.»
«Che la canaglia sia diventata padrona di Milano?»
«Oh giusto!»
«Vedrete, vedrete.»
«Intendo benissimo: il re sarà sempre il re; ma chi avrà riscosso, avrà
riscosso: e naturalmente un povero padre di famiglia non ha voglia di
riscotere. Lor signori hanno la forza: a lor signori tocca.»
«Avete ancora molta gente in casa?»
«Un visibilio.»
«E quel vostro avventore cosa fa? Continua a schiamazzare, a metter su
la gente, a preparar tumulti per domani?»
«Quel forestiero, vuol dire vossignoria: è andato a letto.»
«Dunque avete molta gente.... Basta; badate a non lasciarlo scappare.»
--Che devo fare il birro io?--pensò l'oste; ma non disse nè sì nè no.
«Tornate pure a casa; e abbiate giudizio,» riprese il notaio.
«Io ho sempre avuto giudizio. Vossignoria può dire se ho mai dato da
fare alla giustizia.»
«E non crediate che la giustizia abbia perduta la sua forza.»
«Io? per carità! io non credo nulla: abbado a far l'oste.»
«La solita canzone: non avete mai altro da dire.»
«Che ho da dire altro? La verità è una sola.»
«Basta; per ora riteniamo ciò che avete deposto; se verrà poi il caso,
informerete più minutamente la giustizia, intorno a ciò che vi potrà
venir domandato.»
«Cosa ho da informare? io non so nulla; appena ho la testa da attendere
ai fatti miei.»
«Badate a non lasciarlo partire.»
«Spero che l'illustrissimo signor capitano saprà che son venuto subito
a fare il mio dovere. Bacio le mani a vossignoria.»
Allo spuntar del giorno, Renzo russava da circa sett'ore, ed era
ancora, poveretto! sul più bello, quando due forti scosse alle braccia,
e una voce che dappiè del letto gridava: «Lorenzo Tramaglino!», lo
fecero riscotere. Si risentì, ritirò le braccia, aprì gli occhi a
stento; e vide ritto appiè del letto un uomo vestito di nero, e due
armati, uno di qua, uno di là del capezzale. E, tra la sorpresa, e il
non esser desto bene, e la spranghetta di quel vino che sapete, rimase
un momento come incantato; e credendo di sognare, e non piacendogli
quel sogno, si dimenava, come per isvegliarsi affatto.
«Ah! avete sentito una volta, Lorenzo Tramaglino?» disse l'uomo dalla
cappa nera, quel notaio medesimo della sera avanti. «Animo dunque;
levatevi, e venite con noi.»
«Lorenzo Tramaglino!» disse Renzo Tramaglino: «cosa vuol dir questo?
Cosa volete da me? Chi v'ha detto il mio nome?»
«Meno ciarle, e fate presto,» disse uno de' birri che gli stavano a
fianco, prendendogli di nuovo il braccio.
«Ohe! che prepotenza è questa?» gridò Renzo, ritirando il braccio.
«Oste! o l'oste!»
«Lo portiam via in camicia?» disse ancora quel birro, voltandosi al
notaio.
«Avete inteso?» disse questo a Renzo: «si farà così, se non vi levate
subito subito, per venir con noi.»
«E perchè?» domandò Renzo.
«Il perchè lo sentirete dal signor capitano di giustizia.»
«Io? Io sono un galantuomo: non ho fatto nulla; e mi maraviglio....»
«Meglio per voi, meglio per voi; così, in due parole sarete spicciato,
e potrete andarvene per i fatti vostri.»
«Mi lascino andare ora,» disse Renzo: «io non ho che far nulla con la
giustizia.»
«Orsù, finiamola!» disse un birro.
«Lo portiamo via davvero?» disse l'altro.
«Lorenzo Tramaglino!» disse il notaio.
«Come sa il mio nome, vossignoria?»
«Fate il vostro dovere,» disse il notaio a' birri; i quali misero
subito le mani addosso a Renzo, per tirarlo fuori del letto.
«Eh! non toccate la carne d'un galantuomo, che...! Mi so vestir da me.»
«Dunque vestitevi subito,» disse il notaio.
«Mi vesto,» rispose Renzo; e andava di fatti raccogliendo qua e là
i panni sparsi sul letto, come gli avanzi d'un naufragio sul lido.
E cominciando a metterseli, proseguiva tuttavia dicendo: «ma io non
ci voglio andare dal capitano di giustizia. Non ho che far nulla con
lui. Giacchè mi si fa quest'affronto ingiustamente, voglio esser
condotto da Ferrer. Quello lo conosco, so che è un galantuomo; e m'ha
dell'obbligazioni.»
«Sì, sì, figliuolo, sarete condotto da Ferrer,» rispose il notaio. In
altre circostanze, avrebbe riso, proprio di gusto, d'una richiesta
simile; ma non era momento da ridere. Già nel venire, aveva visto per
le strade un certo movimento, da non potersi ben definire se fossero
rimasugli d'una sollevazione non del tutto sedata, o princìpi d'una
nuova: uno sbucar di persone, un accozzarsi, un andare a brigate, un
far crocchi. E ora, senza farne sembiante, o cercando almeno di non
farlo, stava in orecchi, e gli pareva che il ronzío andasse crescendo.
Desiderava dunque di spicciarsi; ma avrebbe anche voluto condur via
Renzo d'amore e d'accordo; giacchè, se si fosse venuti a guerra aperta
con lui, non poteva esser certo, quando fossero in istrada, di trovarsi
tre contr'uno. Perciò dava d'occhio a' birri, che avessero pazienza, e
non inasprissero il giovine; e dalla parte sua, cercava di persuaderlo
con buone parole. Il giovine intanto, mentre si vestiva adagino
adagino, richiamandosi, come poteva, alla memoria gli avvenimenti del
giorno avanti, indovinava bene, a un di presso, che le gride e il nome
e il cognome dovevano esser la causa di tutto; ma come diamine colui lo
sapeva quel nome? E che diamine era accaduto in quella notte, perchè la
giustizia avesse preso tant'animo, da venire a colpo sicuro, a metter
le mani addosso a uno de' buoni figliuoli che, il giorno avanti, avevan
tanta voce in capitolo? e che non dovevano esser tutti addormentati,
poichè Renzo s'accorgeva anche lui d'un ronzío crescente nella strada.
Guardando poi in viso il notaio, vi scorgeva in pelle in pelle la
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