Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I - 34

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parte dal clero e dalla plebe nella elezione dei vescovi. Due epistole
di San Gregorio ci provano tal modo di votazione in Sicilia, e sono
indirizzate l'una _Nobilibus Syracusanis, l'altra Clero ordini et plebi
Panormitanæ civitatis_; lib. IV, nº XCI; lib. XI, nº XXII.
[334] _Codex Theodosianus_, lib. XII; Divi Gregorii papæ, _Epistolæ_,
lib. VII, nº XI, indizione 1ª, anche presso Di Giovanni, _Codex Siciliæ
Diplomaticus_, nº CXLII, p. 188; Gibbon, _Decline and fall_, cap. XVII,
con le osservazioni di Guizot e di Milman, alle note 172 e 180.
[335] Confrontinsi i Diplomi seguenti:
del 489 presso Marini, _I Papiri Diplom._, nº XXXII e XXXIII.
verso il 504 pr. Di Giov., _Codex Sic. Diplom._, nº XXXVIII, p. 79.
del 526-527 ibid. nº XLI e XLIII, p. 82-84.
verso il 537 ibid. nº LI, p. 91.
Veggansi inoltre: Justiniani, _Novellæ_, nov. LXVIII; Di Giovanni, op.
cit., diss. VI, cap. III, p. 458, seg.; Savigny, _Histoire du droit
romain_, cap. V, § 106-108, p. 227, seg., che cita tra gli altri
documenti le epistole di San Gregorio, delle quali ho fatto parola (p.
199, nota 3); e un'altra (della quale credo errata la citazione) scritta
al vescovo di Tindaro intorno l'accettazione di certe donazioni, nella
quale si ricorda essere bisognevoli a ciò le _gesta municipalia_.
Intorno i beni delle città, leggasi nel _Codex Theodosianus_, lib. XV,
tit. I, legge 32, il rescritto di Arcadio e Onorio (anno 395)
indirizzato ad Eusebio consolare di Sicilia, nel quale, provvedendosi
alla conservazione delle città ed _oppida_ dell'isola, è detto: _De
redditibus fundorum juris reipublicæ tertiam partem publicorum mœnium et
thermarum subustioni_ (corretto da Gotofredo _substructioni_)
_deputamus._ Fondi appartenenti alla repubblica, secondo il linguaggio
legale che prevaleva in quel secolo, non significa que' del patrimonio
imperiale, ma appunto beni comunali, come l'ha spiegato il Di Gregorio
nel citato Discorso XII.
[336] Constantinus Porphyrogenitus, _De Thematibus_, lib. II, them. 10 e
11; _De administrando imperio_, tomo III, cap. XXVII, p. 58, 118, 121.
Non occorre avvertire che la nuova divisione in temi, ancorchè si
ritragga dalle opere di Costantino Porfirogenito, risalisce senza dubbio
all'ottavo secolo. Ai tempi di quel povero imperatore (911-959) occupata
tutta l'isola dagli atei Saraceni, com'ei li chiama, non rimanea del
tema siciliano che la Calabria. Ei lo confessa nell'opera _De
Thematibus_, dove prudentemente passa sotto silenzio Napoli e Amalfi
ch'eran già repubbliche indipendenti. Nell'altro libro _De administrando
imperio_ confonde i temi di Sicilia e di Longobardia, nominando sol
questo ultimo, e dicendo che dopo Costantino il Grande vi si mandassero
due patrizii, uno dei quali per la Sicilia, Calabria, Napoli e Amalfi, e
l'altro che sedendo a Benevento, reggea Pavia, Capua e il rimanente.
Soggiugne più innanzi che Napoli era l'antica capitale dei patrizii; e
chi comandava Napoli, comandava alla Sicilia; e andato il patrizio a
Napoli, il duca di Napoli veniva in Sicilia. Queste parole non provan
altro che l'ignoranza dell'augusto compilatore o di chi fece il lavoro
per lui. Oltre la discrepanza delle notizie date nell'opera _De
Thematibus_, è evidente qui che si prenda per regola generale qualche
fatto particolare, e si faccia uno strano miscuglio dei tre sistemi
diversi; cioè quel di Costantino, quello dei temi e quello intermedio
adottato da Giustiniano dopo il conquisto di Belisario. Al contrario, il
nome del tema, la importanza strategica della Sicilia al tempo in cui si
adoperò la novella divisione territoriale, e qualche esempio di comandi
dati dal patrizio di Sicilia al duca di Napoli, mostrano che la parte
primaria del tema fosse l'isola, e la capitale probabilmente Siracusa.
Così anche pensa l'Assemani, _Italicæ Historiæ Scriptores_, tomo I, p.
356. Ciò è provato infine da una epistola di Adriano Primo a Carlomagno,
nella quale dice che i Napoletani, prima di stipulare uno accordo col
papa, voleano andare a chiederne il permesso al loro stratego in
Sicilia, _Codex Carolinus_, edizione del Gretser, nº LXIV, edizione del
Cenni, nº LXV.
[337] Varii suggelli di piombo danno i nomi e titoli di alcuni
governatori e altri officiali pubblici di Sicilia sotto la dominazione
bizantina; donde si vede come sovente variasse il titolo del
governatore, o fosse data questa autorità provvisionalmente ad officiali
di grado inferiore. Da una faccia del suggello si trova sempre il
monogramma: [Illustrazione] che significa Κύριε βοήθει τῷ δούλῳ σῷ “Signore
aiuta il servo tuo;” e nell'altra faccia si leggono i nomi seguenti:
Gregorio patrizio e stratego di Sicilia.
Sergio id. id.
Giovanni id. spatario e proconsole.
Andrea consolare e stratego
Stefano id. e spatario.
Anastasio id. id.
Giovanni patrizio e protospatario.
Teodoro consolare.
Gregorio id. e protonotario.
Teodoro spatario e cartulario.
Leonzio prefetto.
Teofilo prefetto imperiale.
Leone spatario e logoteta del corso (_posta_).
Anatolio conte.
Sergio consolare e luogotenente.
Veggasi Torremuzza (Gabriello L. Castelli), _Siciliæ veterum
Inscriptionum_, p. 212, seg. I cronisti usano sempre i titoli ordinarii
di stratego e patrizio. In una epistola di papa Adriano Primo a
Carlomagno del 788 (_Codex Carolinus_, edizione del Gretser, nº XCII;
edizione del Cenni, nº XC), si legge: _Cum dioecete, quod latine
Dispositor Siciliæ dicitur._
[338] _Codex Theodosianus_, lib. VII, titoli _De Veteranis e De filiis
veteranorum_.
[339] Anastasius Bibliothecarius, presso Muratori, _Rerum Italicarum
Scriptores_, tomo III, p. 147.
[340] Constantini Porphyrogeniti _Novellæ Constitutiones_, p. 1509. _De
militaribus fundis._
[341] Si fa menzione particolare della annata di Sicilia nella epistola
di Paolo Primo al re Pipino, _Codex Carolinus_, edizione del Gretser, nº
XV; edizione del Cenni, nº XVIII; e nella epistola XXIV della prima, e
XXXVIII della seconda di coteste edizioni.
[342] Theophanis _Chronographia_, p. 611, seg.
[343] Theophanis _Chronographia_, p. 702 e 705.
[344] Ibn-el-Athîr, MS. C, tom. IV, fog. 164 recto, an. 178. Il
Saint-Martin, nelle note a Le Beau, _Histoire du Bas Empire_, lib. LXVI,
§i 27 e 36, registra due imprese di Elpidio nell'Asia Minore, il 791 e
il 794, citando per la prima Abulfaragi, per l'altra Ibn-el-Athîr. Ma
probabilmente si tratta di un sol fatto, recato da que' due compilatori
sotto date diverse.
[345] La importanza della popolazione ebraica in Sicilia, alla fine del
IV secolo, si vede da due epistole di San Gregorio, presso il Di
Giovanni, _Codex Siciliæ Diplomaticus_, nri CXXVII e CXLVI.
[346] Gaetani, _Vitæ Sanctorum Siculorum_, tomo II, p. 5, 28, dà le
traduzioni latine dei versi di San Giuseppe Innografo, e di tre diverse
compilazioni della vita di San Leone, le quali mi sembrano dell'XI o XII
secolo, e si dicono tratte da Manoscritti della Vaticana, del Monastero
di Criptaferrata e del Salvatore di Messina. L'Innografo non cita il
nome di Eliodoro; ma sol dice arso un che sturbava gli uditori della
divina parola, e accenna a varii altri prodigii del Taumaturgo. Gli
eruditi non sono stati di accordo su la età in cui visse San Leone: e
alcuni, l'han tirato giù fino al 779. Ma non trovandosi tra que'
prodigii alcun cenno della eresia iconoclasta, San Leone ed Eliodoro si
debbon porre senza dubbio innanzi il 726, com'ha fatto ii Gaetani.
Confrontisi D'Amico, _Catana Illustrata_, parte I, p. 363 a 386.
Veggansi ancora queste leggende di San Leone, nella collezione dei
Bollandisti, febbraio, tomo III, p. 222, seg. Le due epistole a nome di
Lucio governatore di Sicilia, tratte da queste fonti e pubblicate dal Di
Giovanni, _Codex Siciliæ Diplomaticus_, nri CCLXXIV e CCLXXV, sono
evidentemente apocrife.
[347] D'Amico, _Catana Illustrata_, parte I, p. 363 a 386, parte III, p.
72 a 75, dice chiamato volgarmente il monumento Liodoro. Ma in oggi tal
nome si pronunzia Diodoro, e anche Diodro e Diotro. Il Fazello, Deca I,
lib. III, cap. I, dà al supposto negromante ambo i nomi: Diodoro e
Liodoro. L'innesto dell'obelisco egiziano sull'elefante fu fatto nel
1736, come l'attestano due iscrizioni riferite dal D'Amico, III, p. 386.
Quivi si vegga il disegno dell'obelisco, che è dato altresì dal
Torremuzza, _Siciliæ veterum Inscriptionum_, p. 307.
[348] Theophanes, _Chronographia_, tomo I, 631.
[349] Gaetani, _Vitæ Sanctorum Siculorum_, tomo II, p. 32. Preferisco la
data del 772, seguita da questo scrittore, a quella che altri ha voluto
assegnare a San Giacomo di Catania, facendolo morire ai tempi di Leone
Isaurico. Veggasi D'Amico, _Catana Illustrata_, parte I, p. 361.
[350] _Theophanes continuatus_, p. 48; Symeon magister, p. 642, seg.;
Georgius monachus, p. 811, seg. Si vegga anche la collezione dei
Bollandisti, giugno, tomo II, p. 960 a 963; Mongitore, _Bibliotheca
Sicula_, tomo II, p. 66, seg.
[351] Gaetani, _Vitæ Sanctorum Siculorum_, tom. II, p. 49; Collezione
dei Bollandisti, aprile, tomo I, p. 266, 267.
[352] Si vegga il Capitolo VII, p. 175.
[353] Veggansi le omelie XI e XX di Teofane Cerameo, nella edizione di
Scorso, p. 64, 125, 129 ec., e ciò che noi diciamo di questo sacro
oratore nel Libro II, cap. XII.
[354] Theophanes, _Chronographia_, tomo I, p. 631.
[355] Pirro, _Sicilia Sacra_, p. 611; e Di Giovanni, _Codex Siciliæ
Diplomaticus_, dissertazione II, p. 421.
[356] Di Giovanni, _Codex Siciliæ Diplomaticus_, epistola di papa
Niccolò Primo dell'860, nº CCLXXXI, p. 318, e dissertazione V, p. 452;
Epistola di papa Adriano Primo del 785, _Acta Conciliorum_, tom. IV, p.
93, 94.
[357] Veggasi il Capitolo IV, p. 76.
[358] Paolo Diacono, lib. V, c. XIV. La principessa avea nome Gisa,
sorella di Romoaldo signore di Benevento.
[359] Theophanes, _Chronographia_, p. 719, 720. Per esattezza di
cronologia conviene notare che l'esilio dei cortigiani seguì il 790, e
l'accecamento di Costantino il 797.
[360] Ibidem, p. 727. Teofane spiega il modo: cioè delinear le lettere
con punture e versarvi sopra dell'inchiostro. Poco mancò che i carnefici
non inventassero la stampa!.
[361] Nella maggior chiesa di Mola sopra Taormina si conserva questa
iscrizione, tolta evidentemente da qualche antica fortezza: ΕΚΤΙΣΘΗ
ΤΟΥΤΟ ΤΟ ΚΑΣΤΡΟΝ ΕΠΙ ΚΟΝΣΤΑΝΤΙΝΟΥ ΠΑΤΡΙΚΙΟΥ ΚΑΙ ΣΤΡΑΤΗΓΟΥ ΣΙΚΕΛΙΑΣ.
Torremuzza (Gabriele L. Castelli), _Siciliæ veterum Inscriptionum_, p.
65.
[362] Tra i ragguagli dell'ambasceria affricana in Sicilia dell'813,
troviamo che il patrizio rimproverava ai legati avere il governo di
Sicilia pattuito con quel d'Affrica infino da ottantacinque anni, e non
si essere mai osservato l'accordo. Indi il primo trattato torna al 728.
Cotesti ragguagli leggonsi nella seconda delle tre epistole di papa
Leone Terzo a Carlomagno, date il 7 settembre, 11 e 25 novembre 813,
pubblicate dal Labbe, _Sacrosancta Concilia_, tom. VII, p. 1114 a 1117;
e nel _Codex Carolinus_ del Cenni, tom. II, ep. VIII, IX, X, di Leone; e
le due prime anche dal Di Giovanni, _Codex Siciliæ Diplomaticus_, no.
CCLXXVII, CCLXXVIII. La indizione che vi si cita, mostra che il Labbe
andò errato a riferire l'epistola dell'11 novembre all'anno 812.
Veggansi anche gli squarci di questi documenti presso il Pagi, _ad
Baronium_, anno 813, §i 21, 22, 23.
[363] Questo mi sembra il miglior modo di spiegar le parole attribuite
agli ambasciatori musulmani nella citata epistola di Leone Terzo dell'11
novembre 813. Scusavansi delle infrazioni loro apposte dal patrizio di
Sicilia, allegando che morto il padre dell'_Amiramum_ (principe dei
credenti) e rimaso costui bambino, era ita sossopra ogni cosa:
liberatisi i servi; gli uomini liberi agognanti al poter supremo; tutti
scioltisi a mal fare, come se non avessero principe sopra di sè. Ma in
oggi, fatto adulto l'_Amiramum_, soggiugneano gli ambasciatori, ha
ripigliato l'autorità, e farà osservare i trattati. Or non adattandosi
cotesti particolari nè ai califi abbassidi di quel tempo, che erano
signori degli Aghlabiti, nè agli Aghlabiti stessi, è forza supporre la
relazione del papa, come pur la dovea essere, mutila e inesatta, e
conviene indovinar ciò che vi manchi. A creder mio, vi manca che i
legati venivano dai due stati, aghlabita e edrisita, e che quest'ultimo
avea commesso le ostilità. Parmi infatti che per le accennate parole
degli ambasciatori non si alluda alle guerre civili di Mamûn col
fratello, come ha pensato M. Reinaud (_Invasions des Sarrazins en
France_, p. 123, 124), ma piuttosto alle vicende della dinastia degli
Edrisiti. Il fondator di essa morendo non lasciò figliuoli; se non che
una sua donna partoriva due mesi appresso (793) un bambino, per nome
anche Edrîs, al quale i Berberi si accordarono di ubbidire; e fu
salutato _imam_, ossia pontefice e principe, all'età di undici anni. Al
tempo dell'ambasceria ne avea venti; avea fondato la città di Fez, e
cominciato a rassodare e allargare il dominio. A questo Edrîs convengono
dunque i particolari anzidetti. A ciò si aggiunga che Ibrahim-ibn-Aghlab
dopo aver tentato, e forse non da senno, di spegnere questa dinastia
rivale dell'abbassida, avea fatto con essa un tacito accordo, che durava
ancora dell'813.
[364] Veggansi i cronisti citati da M. Reinaud, _Invasions des Sarrazins
en France_, p. 121 e 122, e da Wenrich, _Commentarium_, lib. I, cap.
III, §i 46, 47. La principale autorità, fonte delle altre, è quella
d'Einhardo, e degli _Annales Laurissenses_, che si veggano meglio in
Pertz, _Scriptores_, tom. I, dall'anno 806 all'812.
Ibn-el-Athîr, MS. A, tom. I, fog. 140, sotto l'anno 206 (5 giugno 821 a
25 maggio 822), nota una scorreria del Musulmani d'Affrica in Sardegna,
ove fecero preda, e talvolta vinsero, e talvolta furono rotti, ma alfine
se ne andarono.
[365] Epistola di Leone Terzo, del 7 settembre, citata a p. 224, in
nota.
[366] Einhardus, presso Pertz, _Scriptores_ etc., tom. I, p. 199. Questo
cronista, copiato dai susseguenti, riferisce all'812 i raccontati
avvenimenti, non esclusa la distruzione “quasi totale” dell'armata che
assalì la Sardegna. Ma l'epistola di Leone Terzo dell'11 novembre,
citata a p. 224, in nota, porta positivamente il naufragio nel giugno
della 6ª indizione, che fu dell'813. D'altronde si può dubitare se gli
assalitori di Nizza fossero stati gli stessi di Civitavecchia, e gli uni
o gli altri Spagnuoli, ovvero dell'Affrica occidentale.
[367] Nella citata epistola di papa Leone dell'11 novembre, dopo essersi
fatto menzione della lettera del cristiano d'Affrica, si aggiugne: _Et
hoc factum est mense junio, quando illud signum igneum, tamquam lampadam
in cœlo multi viderunt._ Non si ritrae dove si trovassero quei _multi_,
e se tutti in una stessa regione.
[368] Epistola di Leone Terzo data il 7 settembre, citata di sopra. In
questa gli assalitori son chiamati sempre _Mauri_. Nella epistola
seguente si dà sempre il nome di _Saraceni_ ai Musulmani dello stato
aghlabita.
[369] Veggasi la nota 1, p. 225.
[370] Secondo la epistola di Leone Terzo, gli ambasciatori erano venuti
_in navigio Veneticorum, et sic veniendo combusserunt igne navigia quæ
de Spania veniebant_.
[371] Veggasi il presente libro, cap. VI, p. 148-149. Il narratore è un
Soleimân-ibn-Amrân, e lo squarcio della narrazione si legge nel
_Riadh-en-nofûs_, MS., fog. 28 recto. La reciproca sicurtà dei
mercatanti siciliani in Affrica si suppone dal fatto che un di loro avea
scritto al patrizio (si vegga sopra a p. 228). Non fa specie che
Soleiman taccia il patto della reciprocità, sendo stato uso costante di
tutte le tregue tra Musulmani e Cristiani, che ciascuna delle due parti
promulgasse solo i patti favorevoli ai proprii sudditi e tacesse gli
obblighi contratti verso i nemici.
[372] Epistola dell'11 novembre 813, citata a p. 224, in nota.
[373] Gaetani, _Vitæ Sanctorum Siculorum_, tom. I, p. 160, seg., da un
MS. greco del monastero del Salvatore di Messina attribuito a Pietro
vescovo di Tauriano che visse sotto Leone eretico, e andò a lui,
tremando di paura, il terzo anno del suo regno. Dei tre imperatori
bizantini ai quali convengono tal nome e tal ingiuria, il Gaetani
preferisce, come più antico, Leone Isaurico, senza badare a ciò che
questi nel terzo anno del suo regno non si era per anco chiarito contro
le immagini. Perciò mi par che si tratti piuttosto dell'Armeno. Il buon
vescovo di Tauriano dice aver visto il naufragio della nave musulmana, e
narra dopo di quello la sua missione a Costantinopoli. Alcuni versi di
San Giuseppe Innografo, citati dal Gaetani, dicono anche del miracolo di
San Fantino contro i Musulmani.
[374] Ibn-Abbâr, MS. della Società Asiatica di Parigi, fog. 35 recto.
L'autore, non contento di notare l'anno della egira, aggiugne che questa
_scorreria_ fu fatta circa otto anni avanti il _conquisto_ di
Ased-ibn-Forât.
[375] Erchempertus, cap. XI, presso Muratori, _Rerum Italicarum
Scriptores_, tom. II, parte I, p. 240.
[376] Leo Marsicanus, lib. I, cap. XXI, presso il Muratori, _Rerum
Italicarum Scriptores_, tomo IV, p. 296, e presso Pertz, _Scriptores_,
tomo VII, p. 596. Nella edizione del Pertz si nota l'errore di
cronologia, e che appartenga a Leone, non ad Erchemperto. Aggiugnerei
che Leone nel cap. XX porta alcuni fatti dell'827, e che però è
possibile che i copisti trascrivendo la data in numeri romani abbiano
lasciato indietro la cifra delle unità.
[377] Il Martorana par che abbia dubitato del fatto, poichè nol porta
espressamente nel testo, cap. II, tom. I, p. 30; ma sì nella nota 28,
nella quale cita Leone d'Ostia e il Curopalata (Giovanni Scylitzes). Il
Wenrich confrontò e corresse coteste citazioni. In fatti ei toglie via
quella di Scylitzes, che non ha che fare qui, e aggiugne in primo luogo
l'attestato di Erchemperto. Ma, trattenendosi a mezza strada, l'erudito
tedesco adatta al racconto d'Erchemperto la falsa cronologia di Leone, e
così cade anche egli nell'errore di raddoppiare il fatto. Lib. I, cap.
IV, § 51.
[378] Fazzello, Deca II, lib. VI, cap. I.
[379] Questa è la giusta ortografia al modo nostro di trascrivere
l'alfabeto arabico.
[380] M. Reinaud ha notato ciò nella versione francese della Geografia
d'Abulfeda, tom. II, pag. 179. Aggiungo che tra gli strafalcioni di
Leone ve n'ha uno, il quale prova non solo che scrivesse di memoria, ma
ancora che non avesse buona memoria. Ed è che un califo fatimita
d'Egitto abbia mandato Giawher a conquistare la Barbaria; e che,
ribellatosi il governatore di questa provincia, il califo El-Kaim abbia
scatenato sopra quella gli Arabi d'Egitto. Sarebbe lo stesso a dire che
Giustiniano da Roma mandò Belisario ad occupare Costantinopoli; e che
Roma fu saccheggiata dalle genti del Bastardo di Borbone per comando di
Filippo il Bello.
[381] Ecco questo squarcio dell'opera geografica di Leone Africano
sottoscritta di Roma, il 10 marzo 1526, ch'io copio su la edizione del
Ramusio, tom. I, p. 69 verso. Detto che sotto la dinastia degli
Aghlabiti Kairewân crebbe di grandezza e di popolo, Leone aggiunge che
il signore del paese “fece fabbricare appresso un'altra città cui pose
nome Recheda, nella quale habitava egli e i primieri della sua corte. In
questo tempo fu presa Sicilia dalli suoi eserciti mandativi per mare con
un capitano detto Halcama, il quale nella detta isola edificò una
piccola città per fortezza et sicurtà della sua persona, chiamandola dal
suo nome, la quale vi è sin oggi chiamata dai Siciliani Halcama. Dapoi
quest'Halcama fu quasi assediata dalli esserciti che vennero in soccorso
di Sicilia; allora il signore di Cairoan mandò un altro essercito più
grande con un valente capitano chiamato Ased, il quale rinfrescò
Halcama, et tutti si ridussero insieme et occuparono il resto delle
terre che rimaseno.” E Leone non ne dice altro.
[382] Veggasi la notizia biografica che dà Leone Affricano dello
Esseriph Essachali, com'ei chiama Edrisi. Presso Fabricio, _Bibliotheca
Græca_, tom. XIII, p. 278.
[383] _Belgia_ in arabico vuol dir crepuscolo sia mattutino sia
vespertino. Su i nomi geografici ai quali accenno, si vegga il capo I
del lib. III.
[384] Questi due righi e la esposizione delle testimonianze storiche
eran già scritti, quando si pubblicò, il 1845, il lavoro del Wenrich,
dove si trova (lib. I, cap. IV, § 52) una frase che a prima vista pare
poco diversa e un metodo d'esamina somigliante al mio, ancorchè con
altri fatti e altri risultamenti. Non essendo uso a rubare gli altrui
lavori, mi basta avvertire il lettore, e lascio la forma del mio scritto
com'ella stava.
[385] Veggasi la prefazione del Muratori, _Rerum Italicarum Scriptores_,
tom. I, parte II, p. 287 a 289. La cronica pare scritta verso l'872, e
l'autore allude a quella come ad opera giovanile in altri opuscoli assai
meno importanti ch'ei dettò verso il 902.
[386] _El-Kadhi_: il cadi Ased-ibn-Forât.
[387] Johannes diaconus, _Chronicon_ etc., presso il Muratori, _Rerum
Italicarum Scriptores_, tom. I, parte II, p. 313.
[388] Anonymi Salernitani, _Paralipomena_, presso Muratori, _Rerum
Italicarum Scriptores_, tom. II, parte II, cap. XLV, p. 163, seg.;
presso Pratillo, tom. II, cap. LI, p. 119 (che varia il numero dei
capitoli), e meglio presso Pertz, _Scriptores_, tomo III, cap. LX, p.
498. Su l'autore veggansi le prefazioni del Muratori e del Pertz. Il
Muratori crede che il nome di lui sia stato Arderico.
[389] Le stesse croniche bizantine denotano Teognosto come autore dei
canoni grammaticali: la sola opera che ci rimane di lui, Θεογνοστου
κάνονες, presso Cramer, _Anecdota Græca_, tom. II, Oxford 1835.
[390] _Theophanes continuatus_, p. 3, in fine del titolo. A p. 81, § 26,
di Michele il Balbo, in fin della impresa di Orifa in Creta si legge:
“ed ei ci lasciò la briga di liberare l'isola dagli Agareni. Rimettasi
ciò nelle mani di Dio: ma anche noi dobbiamo darcene pensiero; e dì e
notte l'animo nostro se ne travaglia.” Queste parole non poteano esser
dettate che dallo imperatore.
[391] Veggasi Ducange, _Glossarium mediæ et infimæ latinitatis_, alla
parola _Magister_, e _Glossarium mediæ et infimæ græcitatis_, alla voce
Μαγίστερ
[392] ..... λαβόντος ἀρχὴν ἄρτι πρῶτον λαοῦ άμαρτίας. κ. τ. λ.
[393] Symeon Magister, nel volume _Theophanes continuatus_, p. 621, 622,
§ III, del regno di Michele il Balbo. Su l'autore veggasi Fabricius,
_Bibliotheca Græca_, tom. VII, lib. V, cap. I, § 10.
[394] Τουρμάρχης τελῶν. Τέλος, che ho tradotto _milizia_, è voce
generica e vaga. Non così turmarca, che risponde, negli ordini militari
d'oggi, a generale di brigata. Comandava una turma o μὲρος, composta di
tre _drungæ_, o μοῖραι, ciascuna delle quali, a un di presso come i
nostri reggimenti, variava da 1000 a 2000 uomini. Sopra il turmarca o
merarca non era che il generale in capo o stratego: sotto venivano i
drungarii o chiliarchi. Veggasi la _Tattica_ dell'imperatore Leone,
detto il Sapiente, cap. IV del testo greco, e nella versione francese
del Maizeroi, p. 33. Veggasi anche Ducange, _Glossarium mediæ et infimæ
græcitatis_, alle voci τουρμάρχης, τοῦρμα, μοῖραι.
Al tempo di Leone, drungario e turmarca eran titoli di capitani nelle
armatette provinciali, non già nel navilio imperiale; op. cit., versione
del Maizeroi, p, 146. Il Cedreno dà ad Eufemio il vago titolo di
Ἑξηγούμενος.
[395] La versione latina del padre Combefis, ristampata nella edizione
del Niebuhr, non è molto esatta in questo luogo, nè in parecchi altri.
Oso correggerla, afforzandomi dell'autorità di M. Hase, il quale,
cortese quanto egli è sapiente ed erudito, si è piaciuto rivedere e
postillare la versione mia.
[396] In fatti si trova minacciato questo supplizio nelle _Basiliche_
(Βασιλικῶν, lib. LX, titolo XXXVII, cap. LXXI, LXXIV, LXXV, e _Liber
Leonis et Constantini AA._, tit. XXVIII, cap. X, XI, XII), non solo ai
seduttori delle monache, ma sì a chi viziasse l'altrui fidanzata, o
sposasse la propria comare. Indi si vede la confusione che portavano già
nella morale le ubbíe religiose, e come, tra quelle e il dispotismo, si
guastava la legge romana.
[397] Συντουρμαρχῶν. Questa voce mal copiata o mal compresa
nell'esemplare del Curopalata (Giovanni Scylitzes) ch'ebbe alle mani il
Fazzello, gli fece scrivere che Eufemio fosse stato consigliato dalli
_Scythamarchi_.
[398] L'autore, supponendo un califo anche in Affrica, e guastando il
nome di Emir-el-Mumenin, lo chiama ʾαμεραμνουνῆς. Ho scritto questo
titolo secondo la elegante corruzione che ne fecero i nostri antichi.
[399] _Teophanes continuatus_, lib. II, cap. XXVII, p. 81, 82.
[400] Op. cit., lib. II, cap. XXII, p. 76, 77.
[401] Così chiaramente nei MSS. d'Ibn-el-Athîr e d'Ibn-Khaldûn, ancorchè
senza vocali brevi. Dei due MSS. di Nowairi, il più moderno (Biblioteca
di Parigi, Ancien Fonds, 702 A), omettendo al solito le vocali brevi,
scrive anche _k s n tin_; ma l'altro (Ancien Fonds, 702), autografo,
ovvero copiato sopra un autografo, ha una volta _f s n tin_, e tre
volte, lasciando la prima lettera senza punti diacritici, sì che possa
leggersi _f_ ovvero _k_, la fa seguire da quattro lettere — _s tin_,
ovvero da cinque — _s n tin_. La lezione _f s tin_ potrebbe benissimo
supporsi copiata dal nome di Fotino; perocchè la s, che v'ha di più, si
confonde spesso nei MSS. con un frego di penna orizzontale che servisse
di legatura tra due altre lettere. Ve n'ha infiniti esempii nei MSS., e
molti nelle iscrizioni lapidari, e in quelle ricamate su drappi o
rilevate su metalli.
[402] Il Ducange, _Glossarium mediæ et infimæ græcitatis_, spiega la
voce Σοῦδα _fossa sudibus munita_, cioè fosso con palizzata. In Creta si
addimandò Suda il luogo ove posero il primo campo i Musulmani. Da χάραξ
che significa lo stesso in greco antico, prese nome un vicin
promontorio. I Musulmani chiamarono il campo loro, poi divenuto
capitale, _Khandak_, che significa la stessa cosa.
[403] Quest'ultima frase è data dal solo Nowairi. M. Caussin de
Perceval, padre, che il voltò in francese, e il Di Gregorio che lo
ritradusse in latino, rendono quelle parole _un des principaux patrices
ed ex præcipuis inter patricios_. Ma la voce del testo _mokaddem_
significa precisamente “posto innanzi a tutt'altri” e indi “condottiero,
capo di parte.” La parola seguente dice “dei suoi patrizii” riferendosi
il pronome relativo a Costantino. Pertanto mi par che si tratti
certamente dei patrizii siciliani. Debbo avvertire che la costruzione
grammaticale del testo lascia un po' dubbio se Eufemio fosse il
caporione, ovvero _uno dei_ caporioni.
[404] Ciò dal Nowairi. Il Caussin avvertì in nota che talvolta gli
scrittori arabi avessero disegnato col nome di Alemanni gli Italiani; e
allegò in esempio un passo di Abulfaragi, autore del XIII secolo. Il Di
Gregorio non ne volle altro per tradurre a dirittura _quemdam ab Italia
oriundum_. Ma tale interpretazione non può accettarsi. Gli scrittori
arabi chiamano ordinariamente gli Italiani _Rûm_, che vuol dire anche
Bizantini, e talvolta ci danno il nome di _Ankabard_, talvolta di
_Franchi_; confondendoci con le varie razze dei dominatori. Non parlano
poi dell'Italia come parte dell'Alemagna altri scrittori che que' dei
tempi di Federigo II imperatore, come appunto Abulfaragi, ovvero più
moderni, come Abulfeda. Questi due, se non m'inganno, sono i soli autori
arabi caduti in tale equivoco, che non si può supporre affatto in uno
scrittore del X o XI secolo, come quello copiato da Nowairi. D'altronde
è probabilissimo che v'abbia un errore nel MS.; sì chè vi leggerei
Armeni, non Alemanni. I mercenarii di schiatta germanica non aveano
cominciato per anco a venire a Costantinopoli. Per lo contrario gli
Armeni erano frequentissimi nell'esercito bizantino. Infine l'ortografia
che troviamo in Nowairi non sarebbe corretta se si trattasse di
Alemanni; ma aggiugnendovi una r, lettera non legata nella scrittura
arabica e perciò facile a sfuggire, si avrebbe il nome di Armeni.
Lo stesso errore si trova nei MSS. di Nowairi, là dov'ei dice venuto in
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