Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I - 11

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cristiana di nome. Il reggimento bizantino resisteva a così fatti nemici
mercè la ordinata amministrazione d'una provincia ricca, la disciplina
militare, le molte fortezze, il navilio. E queste forze eran tali, che
nei principii del settimo secolo Eraclio governatore dell'Affrica avea
occupato il trono di Costantinopoli, e che il patrizio Gregorio,
deputato da lui a regger la provincia, levossi in aperta ribellione
(646) quando vide fortuneggiare l'impero assalito dagli Arabi.
Gli Arabi non prima avean messo piè in Egitto che irruppero in Affrica.
A'mr-ibn-A'si occupò Barca, Tripoli e Zuâgha (641-643), gli abitatori
della quale si rifuggirono in Sicilia.[186] A'mr, levata di quei paesi
una grossa taglia, ardea d'andar oltre: quando il califfo Omar gli
comandò di ritrarsi; temendo di far troppo grande l'Impero, e come
presago del gran sangue che dovea costare l'Affrica. Similmente parecchi
compagni del Profeta, pochi anni appresso, dissentivano dall'impresa
proposta dal novello capitano d'Egitto al califfo Othman, che gli era
fratel di latte; ma questi, sendosela fitta in mente, pose di nuovo il
partito nel consiglio, e, vintolo, affrettò i preparamenti in persona;
li aiutò coi proprii danari; e avviò da Medina una eletta di guerrieri
delle tribù modharite e del Iemen; i quali coi rinforzi presi
in Egitto sommarono a ventimila tra cavalli e fanti. Condotti da
Abd-Allah-ibn-Sa'd, quel medesimo che pochi anni appresso guadagnò la
battaglia navale delle Colonne, mossero, non lungi dalla costiera,
infino al golfo di Hammamet, e trovarono l'esercito di Gregorio, dentro
terra, tra Sufetula e Cartagine (647). Per certo non combatteano sotto
Gregorio centoventimila uomini, come scrissero alcuni cronisti arabi;
per certo nè quegli avea promesso la man della figliuola e
centomila monete di oro a chi uccidesse Abd-Allah-ibn-Sa'd; nè
Abd-Allah-ibn-Zobeir con trenta cavalieri soli andò ad uccider lui nel
bel mezzo delle file bizantine, e prendersi la figliuola che pugnava a
cavallo con un ombrello di penne di pavone; nè pare probabile che il
pregio del bottino montasse a tal somma prodigiosa, che, toltane la
quinta, ne toccò tremila dinar ad ogni cavaliere e mille a ogni pedone.
Cotesti episodii, ignoti ai più antichi scrittori arabi, messi innanti
da quei di tempi più bassi e accettati per necessità dagli storici
europei, sono stati distrutti non è guari da un insigne
orientalista.[187] Ma piacemi di poter dare, in luogo di quelli, alcuni
particolari, non pubblicati per anco, e autentici come io credo,
ritraendosi da un discorso, che gli Arabi serbavano tra i lor modelli di
eloquenza. Abd-Allah-ibn-Zobeir, che fu l'Ulisse di quella impresa,
sopraccorso con rapidissimo viaggio a Medina, narrava la vittoria in
pubblica concione, permettendolo il califfo: dicea che intimato agli
Affricani l'islam o il tributo, e rifiutato l'un e l'altro, i Musulmani,
temporeggiarono per due settimane in faccia all'esercito nemico: poi il
capitano li esortò a combattere per la causa di Dio e guidolli alla
battaglia; la quale aspramente si travagliò il primo giorno con molto
sangue d'ambe le parti e avvantaggio di nessuna. “Venne la notte,
proseguiva Abd-Allah, e i Musulmani a recitare il Corano, che s'udiva
tra loro appena un susurro, come il ronzio delle api; i politeisti a
sbevazzare e trastullarsi. La dimane, ripigliata la zuffa, Iddio ci fe'
star saldi e ci accordò la vittoria, verso il tramonto del sole.
Grandissimo è stato il bottino; la taglia pattuita sì grossa, che il
quinto solo torna a cinquecentomila monete: ma forse n'avremo altri due
tanti. E così io ho lasciato i Musulmani ricreati e sazii di preda, e
son venuto nunzio al principe de' Credenti.”[188] Il patto cui si allude
era stato chiesto da' vinti, quando videro sparse le gualdane a battere
il paese e struggere e rapire ogni cosa. Raccolto quanto tesoro potè,
l'esercito musulmano si ritrasse a capo di quindici mesi dal dì che avea
passato la frontiera d'Egitto.[189] Un diligente scrittore porta che in
questo tempo gli abitatori della penisola di Scerik, che guarda la
Sicilia, si riparassero nella lor città di Kalibia (Clypea), e di lì a
poco nella vicina isola di Pantellaria; ove alzaron fortezze e stettero
lunga stagione, finchè non andò a snidarli un'armata musulmana.[190] Ma
più probabile mi sembra che la fuga in Pantellaria seguisse una ventina
d'anni dopo, quando la infestagione si venne a mutare in conquisto.
Perocchè gli Arabi saviamente audaci, non sendo per anco cresciuti di
numero con assimilarsi i popoli vinti, tennero nelle prime vittorie uno
di questi due modi. Ne' paesi ove parea loro di stanziare, poneano un
grosso campo come i Romani, e occupavano qualche città: di che è esempio
il disegno di A'mr-ibn-A'si, che si affortificò a Fostat, presso al
Cairo d'oggi, e fece d'Alessandria un _ribat_, o, a modo nostro di dire,
una piazza di frontiera; ove lasciò in presidio la quarta parte delle
genti da scambiarsi ogni sei mesi con un'altra quarta parte che scorrea
la costiera, mentre le altre due quarte rimaneano col capitano.[191] Al
contrario nelle regioni troppo lontane facean grosse correrie, movendo
dalle piazze di frontiera e quivi tornavansene col bottino e le taglie,
come abbiam detto di Cipro, della Sicilia e dell'Affrica. Ma sovente
accadea che l'agevolezza della vittoria, le occasioni che nasceano, e il
rigoglio delle tribù arabe presto ingrossate di clienti stranieri,
allettassero ad occupar coteste provincie, come le altre di cui si è
detto.
E così appunto seguì in Affrica dopo quattro novelle guerre o scorrerie,
che s'avvicendarono dal secentocinquantaquattro al secentosettanta,[192]
una delle quali fu ordinata dal califo Mo'âwia a chiesta di popolazioni
cristiane dell'Affrica, cui la tirannide di Costante avea mosso a
ribellione. Il pensier del conquisto si dee riferire ad O'kba-ibn-Nafi',
il quale in gioventù avea capitanato i primi cavalli arabi passati
d'Egitto a infestar la terra d'Affrica, e, più maturo, comprese che la
si potea tenere facendosi strumento delle popolazioni berbere. Mo'âwia
il secondò con dargli comando independente dal governatore dell'Egitto,
l'anno cinquanta dell'egira (670); ed ei poneasi con diecimila cavalli a
Barca, ove fe' opera ad attirarsi i Berberi dei contorni. Risoluto poi
andò a piantare in mezzo all'Affrica propria un alloggiamento che fu
chiamato il Kairewân,[193] ove l'esercito musulmano stesse sicuro con le
famiglie e lo avere. Elesse il sito dentro terra, a una giornata di
cammino dal porto di Susa, in terreno boschivo e sano, ove sorgea un
picciol castello romano, che gli Arabi chiamano Kamunia. Della scelta si
disputò a lungo tra il capitano e i principali dell'oste, con ragioni
non da Barbari. Volean gli altri tirarsi verso le spiagge per stare più
pronti alle offese; O'kba rispondea che era meglio assicurar la capitale
da' subiti assalti delle armate bizantine. Temeano quelli da una vicina
palude tristi esalazioni nella state e umidità nell'inverno; ma egli
mostrò ch'era forza incontrare que' disagi, poichè la palude difendea un
terreno da tenere in pascolo i cameli che servono a trasportare
l'esercito nostro, diceva il capitano, e i Berberi e i Greci la prima
cosa che farebbero, sarebbe di venirceli ad ammazzare alle porte proprio
della città, con improvvisa scorreria.[194] Vinto così il partito e
condotte le genti là dove ei pensava fondare Kairewan, O'kba
solennemente n'espulse gli antichi ospiti. “Belve e serpenti,” gridò
“noi siamo i compagni dell'Apostol di Dio; partitevi di qui o sarete
sterminati.” E le bestie a sgombrare quetamente portando seco i lor
nati, e i Berberi a convertirsi, dicon le croniche, nè v'ha ostacolo a
crederlo. Con un'altra scena troncò le dubbiezze degli Arabi, che,
messisi a fabbricar la Moschea, andavan cercando la dirittura della
Mecca, la _kibla_, com'essi dicono, alla quale il Musulmano dee guardare
quand'ei fa le preci. Mentre gli altri osservavan le stelle il meglio
che poteano, egli ebbe un sogno; diè di piglio alla bandiera; seguì una
voce sovrumana; e, dove quella gli disse “resta,” fisse in terra l'asta
e fe' innalzar la Moschea cattedrale. Costruirono anche il palagio del
governo, le case dei grandi, gli abituri della minor gente: di argilla
la moschea, di canne le case, dice un antico scrittore;[195] nè
pensarono per lungo tempo a mutare in lor uso gli avanzi d'architettura
romana che offriva il luogo.[196] Oltre a ciò posero alberghi, o
com'essi dicono _menzil_, pei viandanti, a giuste distanze lungo le
strade della provincia.
In cinque anni questi ordinamenti progrediano, e O'kba portava le armi
sempre più verso ponente tra le tribù berbere; quando il califo il
depose; unì di nuovo l'Affrica all'Egitto, e un novello capitano, per
nome Abu-Mohâgir, imprigionò O'kba e smantellò il Kairewân: pensando
forse che invano si sarebbe prodigato il sangue dei Musulmani
nell'indomabile provincia, e che piuttosto era da pigliare i Berberi con
le buone. In fatti egli avea tirato a professare l'islamismo un potente
lor capo per nome Koseila, quando, salito al trono Iezîd, e tornato
O'kba in credito a corte e resogli il governo d'Affrica (681-2), ristorò
la sua città, ripigliò con tanto più ardore i suoi disegni e alla sua
volta mise in catene Abu-Mohâgir. Con ciò fe' nuovi miracoli e nuove
imprese: scaturir fontane quando l'esercito era per morir di sete;
debellare eserciti bizantini e orde di Berberi; e altre ne convertì,
com'ei credeva, e vittorioso trascorse infino a Tanger e Sus
dell'Atlantico, ove, spinto il cavallo nelle acque, levando la mano
verso il cielo, profferì que' noti detti che il mare solo rattenealo dal
portare il culto del vero Iddio sino agli ultimi confini del mondo.
Pur le gonfie parole accompagnan sì raro i savii fatti, che O'kba, pria
d'andare a guazzare il cavallo nell'Oceano, non pensò a' Bizantini che
stanziavano a Cartagine e nelle altre città del Mediterraneo troppo dure
a intaccare; ma, scansandole, era ito per la regione a mezzodì
dell'Aurès, donde passò a settentrione, forse nella provincia d'Algeri o
d'Orano. Peggio fece a trattar come vinti quei Berberi, che cominciavano
a parteggiare per lui dopo essere stati sgarati in battaglia, ma non
voleano ingozzare gli oltraggi ch'ei facea loro per superbia, o sol
perchè Abu-Mohâgir aveva usato umanamente con essi. Narrasi, tra gli
altri fatti, ch'ei richiedesse Koseila di scannare e scorticare un
montone; per la cucina, dicono i cronisti; probabilmente in sagrifizio
per mangiarne e dispensarne ai poveri, com'è uso appo i Musulmani; il
che ad O'kba dovea parere atto di carità e religione, e al principe
convertito, servigio da beccaio. Rispose non mancargli servi che il
facessero. Ma il capitan arabo persistè, minacciò e volle essere
ubbidito per forza. Koseila ubbidì: quand'ebbe finito, senza fiatare, si
astergea le insanguinate mani sulla barba, e, domandatogli il perchè,
rispondea melenso: “fa bene al pelo.” Vi fu chi comprese la muta rabbia
di quell'atto e ne ragguagliò O'kba; ma il fiero vecchio se ne rise.
Koseila intanto, indettatosi coi Bizantini, si levò improvviso in arme;
e corsogli addosso O'kba impetuosamente con le poche forze che avea
intorno, finse di fuggire finchè tirò gli Arabi a Tahuda a piè dei
fatali monti Aurès, ove circondolli con infinita moltitudine di Berberi
e aiuti bizantini. Già gli Arabi sentian suonar l'ora estrema. Era tra
loro Abu-Mohâgir che O'kba traeasi dietro incatenato sospettandolo di
tradimento o infingendosene; il quale proruppe a recitar due versi
d'antico poeta, che avea pianto d'avere i ferri mentre i suoi
s'apparecchiavano alla battaglia. O'kba, all'intenderlo, scorda le
offese; lo fa sciorre; gli dice che salvisi con la fuga poichè non è
tenuto a combattere: e Abu-Mohâgir risponde non bramar altro che di
morire coi Musulmani; e s'arma, e ponsi al fianco del capitano.
Spezzarono i foderi delle spade, imitandoli gli altri guerrieri: e
avventatisi tra i Berberi virtuosamente caddero; campando pochissimi
dalla strage (683). Koseila tra non guari s'insignorì di Kairewân; le
reliquie degli Arabi si ritrassero di nuovo a Barca. Questo fine ebbe la
prima prova di occupazione permanente dell'Affrica. O'kba seppe meglio
imaginarla che mandarla ad effetto: uomo di costante proponimento, e
prodigioso valore in guerra; ma poco atto a maneggiar le fila di un gran
disegno, e meno a raffrenare le proprie passioni; troppo uso a fidarsi
in quel piglio tra di fanatico e di commediante che ha accresciuto la
sua fama appo i posteri.[197]
Così mossi i Berberi a guerra nazionale contro gli invasori, cui da
principio avean creduto nemici dei soli Romani, il contrasto si fe'
ostinato, sanguinosissimo; ebbe fasi diverse: sospeso talvolta per
stanchezza; ripigliato per novelle cagioni che si sviluppavano dalla
conquista; continuato fin quando le due schiatte si unirono sotto una
stessa fede e uno stesso vessillo di guerra; acceso anche in Spagna e in
Sicilia; durato sei secoli: nè finì che quando gli Arabi di dominatori
divennero soggetti. Nè l'impero dei califi, nel fior della sua potenza,
incontrò in alcun'altra provincia popoli che più disperatamente gli
resistessero: costretto suo malgrado al conquisto dell'Affrica; ove
mandò cinque eserciti a far vendetta l'uno dell'altro e ad incontrar la
medesima sorte.
Dirò di questa lotta assai brevemente, astenendomi dai particolari il
più che potrò. Entro pochi anni, gli Arabi vendicarono la strage di
Tahuda; ruppero gli eserciti collegati de' Berberi e Bizantini e
ammazzaron Koseila; ma intanto un'armata, allestita in Sicilia, occupò
Barca, rimasa vota di difensori (688-9); e il capitano arabo vittorioso,
Zoheir-ibn-Kais, affrettandosi alla riscossa con una picciola schiera,
non guadagnò che l'onore di entrare nella città e morirvi con la spada
alla mano.[198] Cinque anni appresso, escita appena la casa Omeiade
dalla guerra civile di Abd-Allah-ibn-Zobeir, il califo comandava al
capitan d'Egitto Hassân-ibn-No'mân di pigliare tutte le entrate della
provincia, tutta la gente e attrezzi da guerra, e andare a far
dell'Affrica ciò che gli paresse. Il quale, messi insieme quarantamila
uomini, tirò dritto a Cartagine (693-4); ruppe i terrazzani e il
presidio usciti a combattere; e pose tale spavento nella città, che i
principali cittadini se ne fuggirono su le navi, chi in Sicilia e chi in
Spagna; ed egli, facilmente sforzati que' che rimaneano, saccheggiò, fe'
prigioni, diè opera a tagliare li aquidotti e diroccare frettolosamente
quanto si potea; e non tardò a tornare dentro terra contro i Berberi
dell'Aurès. Tra i quali, come avvien sovente nei moti nazionali,
correndo le eccitate imaginazioni alla superstizione, era surta una
novella Zenobia, regina della tribù di Gerâwa, per nome Dihâ, più nota
sotto l'appellazione di Kâhina che le dettero gli Arabi, che è a dire
indovina; alla cui voce profetica e bizzarro furore, congeniale alla
schiatta loro, s'erano unite le altre tribù. Scontratasi con l'esercito
di Hassân su le rive del fiume Nini presso Bagaia, ch'oggi va nella
provincia di Costantina, la Kâhina ruppe gli Arabi con memorabile
strage: e di lì a poco un patrizio Giovanni, venuto con le forze navali
di Costantinopoli e di Sicilia, ripigliò Cartagine; Hassân con le
reliquie dell'esercito fu ricacciato di nuovo a Barca. La profetessa poi
sciupò la vittoria. Da una mano rimandò liberi i prigioni arabi, fuorchè
un solo che adottò per figliuolo, il quale la tradì mandando avvisi ad
Hassân. Dall'altra mano scatenò i suoi a guastar le città e i colti
dell'Affrica propria, per annichilare, diceva ella, que' futili beni che
attiravano il nemico. Ma fe' contrario effetto, perchè le popolazioni
industri delle altre schiatte, parte emigrarono in Spagna e nelle isole,
parte mandarono a profferire aiuto agli Arabi, i quali s'apprestavano a
nuovo sforzo di guerra.
Donde tornato Hassân con una armata e un esercito, ruppe i Berberi, e
uccisa la Kâhina nella sconfitta che avea vaticinato, com'è uso dei
profeti senza poterla evitare, le tribù dell'Aurès, ormai spicciolate e
sbigottite, si sottomessero; pattuirono di dar dodicimila ausiliari
contro i Berberi non domi e contro i Greci. Indi movea Hassân per la
seconda volta all'assedio di Cartagine; prostrava in parecchi scontri le
forze bizantine; rimanea padrone del golfo; e sì stringea la città per
mare e per terra, che il presidio finse di domandare l'accordo
profferendo il tributo, e in mezzo alle trattative imbarcata ogni cosa
di notte su le navi ch'erano in porto, quetamente se ne fuggì. Tentato
invano di resistere in altri punti della costiera, il patrizio Giovanni
con l'armata si allontanò per sempre dall'Affrica (698): Hassân, entrato
in Cartagine, compiè l'opera della distruzione col ferro e col fuoco,
lasciando picciol presidio, come per vedetta, e fabbricovvi, scrivon gli
Arabi, una moschea, che è a dire serbò ed acconciò a quest'uso qualche
antico edifizio. Infine, tornato a Kairewân, si volse ad ordinar la
provincia; posevi gli uficii d'azienda, e assoggettò al tributo
fondiario gli abitatori di schiatte europee, e dei Berberi tutti quelli
che non avean fatto la professione dell'islamismo;[199] ma ai Berberi
convertiti diè la parte dei tributi e delle terre che lor toccava come a
guerrieri musulmani. Così gli Arabi fermarono per la prima volta il
dominio su quella parte dell'Affrica settentrionale che oggi è compresa
nelle reggenze di Tripoli, Tunis, e provincia di Costantina, senza
estendersi per anco più a ponente. Dal nome d'Affrica propria che davano
i Romani alla parte più importante di questa regione, gli Arabi la
dissero tutta Ifrikia; e secondo lor geografi si stende dalla grande
Acaba che sorge tra Barca e Alessandria, infino a Bugia. Di lì
all'Atlantico chiamarono Maghreb che suona appo noi occidente, e
diviserlo in Maghreb del mezzo tra Bugia ed Orano, ed estremo Maghreb,
da Orano in poi. E coteste loro denominazioni geografiche noi adopreremo
per lo innanzi; se non che scriveremo a modo nostrale Affrica in luogo
di Ifrikia.
Con breve intervallo succedeva ad Hâssan un grande che rappattumò le due
schiatte per qualche spazio di tempo, e legolle di tal vincolo che non
si spezzò più mai, non ostante che si ricominciasse la lotta. Fu costui
un vecchio settuagenario, Musa-ibn-Noseir, uom di origine straniera,
liberto di casa Omeiade;[200] famosissimo per lo conquisto di Spagna, e
degno di maggiore gloria per l'arte di stato e di guerra con che avea
prima compiuto quel d'Affrica e del Maghreb. Esordì nel governo della
provincia, come un sommo capitano del nostro secolo, con arringare
l'esercito, accusando d'incapacità i predecessori, e dando certe le
vittorie ch'ei vedea sì chiare nella sua mente. E pagò il debito con
usura. Arrivò da Kairewân all'Oceano, domandò per ogni luogo le nazioni
berbere, stringendosele in confederazione dopo la vittoria, pigliandosi
ostaggi per guarentigia del patto; e, in vece di spingere il cavallo in
mare come O'kba, fondò la città o campo di Tanger; posevi
diciassettemila Arabi e dodicimila Berberi; e provvide a far apprendere
il Corano ai Berberi, che lo ripetessero alle più rimote e salvatiche
popolazioni di lor linguaggio. Così in breve tempo, dice l'autore del
_Baiân_, si vide un mutar di chiese in moschee per tutta l'Affrica
occidentale. La profession di fede era facile a fare; la partecipazione
nel bottino si comprendea bene da' nuovi convertiti; le armi si tenean
pronte a punire gli apostati. Musa le seppe rendere più possenti,
ordinando un corpo di giannizzeri, come li diremmo dal nome che lor
dettero i Turchi tanti secoli appresso; giovani robusti, e in gran parte
di nobil sangue, ch'ei comperava da' suoi soldati, ai quali eran toccati
nel partaggio del bottino; e li educava alle armi, alla religione, a
cieca ubbidienza, per farne terribile strumento di dispotismo, e, se
occorresse, d'usurpazione.
Nel vasto suo disegno Musa non tralasciò di usare lo ingegno e le arti
delle popolazioni cristiane dell'Affrica propria. La mercè di quelle,
rifabbricava di pietre e di marmi il Kairewân, che trovò di canne e
d'argilla; e intendendo, dice un cronista, da' vecchi del paese le
grandi imprese marittime di Cartagine, faceva costruire a Tunis cento
navi e pria scavare il canale dell'arsenale, con intendimento manifesto
di tenervi sicuri i legni musulmani dagli assalti dell'armata bizantina,
e da' tradimenti degli abitatori cristiani, che eran tornati certamente
a Cartagine e negli altri antichi porti. Quando il navilio fu in punto,
vi unì gli avanzi d'un'armata d'Egitto che avea fatto naufragio su le
costiere d'Affrica; bandì la guerra sacra in sul mare; chiamovvi i più
nobili guerrieri arabi, dando voce di volerla capitanare in persona; e
poi affidolla al proprio figliuolo Abdallah (704). Per tal modo cominciò
l'infestagione del Mediterraneo occidentale: furon corse, oltre le isole
Baleari, la Sicilia e la Sardegna, come si dirà a suo luogo. Abbiamo da
buone autorità che in coteste imprese del Mediterraneo e del continente
d'Affrica fosser fatti trecentomila prigioni; incredibile cosa appo noi,
e tal anco parve a corte del califo; ove capitata una lettera di Musa
che dicea montare il quinto a trentamila, fu ridomandato se fossevi
errore: “ed errore v'ha,” replicò Musa, “ma è che il segretario ha
scritto trenta in luogo di sessanta migliaia.” Del rimanente la
maraviglia cesserà ove si pensi che gli uomini eran forse il più lucroso
bottino: gregge facile a prendere in tutti i tempi; se non che allora
nol teneano in pastura, ma subito ne facean danaro rivendendolo, o co'
riscatti.[201]
Musa poi sguinzagliò i suoi Arabi e Berberi su la Spagna (711); vi
sopraccorse ei medesimo, non ostante il peso degli anni, a rivaleggiare
col proprio liberto Tarik: ed avea forse valicato i Pirenei, i suoi
aveano al certo infestato la Linguadoca, ed egli parlando de' suoi
smisurati disegni correva a compierli, quando lo raggiunse un messaggio
del califo, afferrò il freno della mula ch'ei montava, e intimògli di
voltar cammino e andare a scolparsi a Damasco. Lo accusavano di
peculato. Solimano, ch'ei trovò sul trono quando giunse alla capitale,
non fe' gran caso dei discorsi del conquistatore, che si vantava non
essersi giammai, nel lungo corso di sua milizia, chiuso in castella, nè
trinceato in campo; e parlando del valor dei soldati esaltava, sopra
tutti gli Arabi, que' del Iemen; dicea i Bizantini lioni ne' lor
castelli, aquile a cavallo e donne nelle navi; sagaci a spiar le
occasioni in guerra, vilissimi dopo la rotta; i Berberi somiglianti
molto agli Arabi per forza del corpo, impeto e ordine nel combattere, ma
traditori sopra ogni altro popolo. Nè ottenne maggior grazia mostrando
al califo le primizie dei trionfi: gli ottimati fatti prigioni in
Majorca, Minorca, Sicilia e Sardegna, vestiti de' lor più solenni
addobbamenti; e donzelle spagnuole a migliaia; e gemme preziosissime,
tra le quali aveano scoperto non so che tavola di Salomone. Il califo,
picciolo d'animo, sospettoso, avaro, governato da invidi cortigiani, non
perdonò la gloria a Musa. Dopo prigionia e brutali maltratti,
condannollo in quattro milioni di dinar che quegli non ebbe poter di
pagare; fece ammazzare a tradimento il figliuolo, lasciato da lui a
regger la Spagna; e affrettò la morte del misero vecchio asmatico (716)
con mostrargli la testa del figliuolo imbalsamata di canfora, e
domandargli se la conoscesse.[202]
Mancato un tant'uomo, le cose d'Affrica andavan per pochi anni com'ei da
principio le avviò; e quasi tutte le nazioni berbere aveano accettato
l'islam, quando si raccese la lite loro con gli Arabi. Al che dette
occasione la rapacità fiscale, sofisticando e facendo opera di
assoggettare ai tributi come Infedeli i Berberi fatti Musulmani. Ucciser
essi il prefetto ch'era venuto d'Oriente con tal vezzo (720), e il
califo lor diè ragione; ma dopo alquanto tempo, ritentata la prova da
altri oficiali, nè potendosi sempre spegner questi senza ribellione, i
Berberi vi corsero audacemente. E forza fu di dare un altro passo a che
portava la rivoluzione contro un re pontefice. I padri loro, seguaci di
Koseila e della Kâhina, avean gittato il Corano in faccia ai dominatori
stranieri. La generazione presente cresciuta in quegli ordini che si
poteano dir civili rispetto all'antica barbarie, non sapea vivere ormai
senza i conforti reali ed immaginarii dell'islamismo. Avvezza a
riconoscere da Allah, giorno per giorno, un beneficio ovvero una
staffilata, la pioggia, i frutti del suolo e degli armenti, la vittoria
e la preda, ovvero la carestia, le morie, le sconfitte; avvezza a far
tante genuflessioni ogni dì ripetendo qualche parola del Corano, o
almeno il nome di Maometto, pensò di mantenersi a un tempo gli aiuti del
Cielo e sciogliersi da chi tiranneggiava la terra in nome di quello:
corse, in vece dell'apostasia, all'eresia.
Trovò bella e fatta la riforma presso i dominatori stessi. Fin dalle
guerre civili di Alî e Mo'âwia, erano seguiti in Oriente i primi urti
della ragione con l'autorità; e la ragione, come suol fare, camminando
lenta e incerta, avea dato origine alle sètte che si dissero dei
_Kharegi_, ossiano uscenti; i quali negavano l'autorità assoluta dei
califi in punto di civil governo e impugnavano anco alcuni dommi di
religione, non potendosi far l'uno senza l'altro. Tra quelle sètte se ne
notavan due, dette, dai nomi de' fondatori, gli Ibaditi e i Sifriti;
concordi tra loro nel tener necessarie qualità del Musulmano la fede e
le opere, e però non noverare più tra i Musulmani i colpevoli di gravi
peccati, fosser anco i compagni di Maometto e i califi stessi. A così
fatti principii aggiugneano entrambe una feroce intolleranza; e nei
gradi di quella si distingueano gli Ibaditi dai Sifriti, risguardando i
primi come Infedeli, e però rei di morte, tutti i Musulmani che non
militassero nella guerra sacra, e le loro famiglie passibili di
schiavitù, e rompersi anco i legami del sangue per cagione d'infedeltà.
Così fatte opinioni passarono con gli eserciti arabi in Occidente, ove
s'appreser tosto ai Berberi selvatici e malcontenti. I Sifriti, côlta
l'occasione che il fior della milizia araba fosse andato ad osteggiar la
Sicilia (740), levaronsi nel Maghreb, condotti da un Maisar che avea
fatto l'acquaiolo a Kairewân; presero Tanger; gridaron califo
l'acquaiolo; e accolte senza scrupolo sotto lor bandiere alcune tribù
che non professavano l'islamismo, combatterono insieme la causa
nazionale contro gli Arabi. Dettero a costoro due sanguinosissime
sconfitte, la seconda delle quali fu chiamata dagli Arabi la giornata
dei Nobili, dal grande numero che ne rimasero morti sul campo di
battaglia. Tutta la provincia si scompigliò. I Berberi presero le armi
per ogni luogo da ponente a levante, infino a Cabès. Gli Arabi si
ridussero in due sole città, Kairewân e Telemsen. E il precipizio si
sentì anco in Spagna, e vi produsse altre rivoluzioni.
A questi avvisi il califo Hesciâm, avvampando contro Berberi ed Arabi
d'Occidente, chè i secondi con loro divisioni aveano accresciuto la
calamità pubblica, minacciava farebbe sentir loro la collera d'un Arabo
di buona schiatta; porrebbe sotto ogni castello berbero un campo di
guerrieri delle tribù modharite di Kais o di Temîm; manderebbe un
esercito da toccare con la vanguardia il Maghreb, mentre il retroguardo
stesse ancora in Siria. Accozzò in tutto trentamila uomini: gente sì
faziosa e discorde, che si abbottinò prima di venire alle mani coi
Berberi, e che, messa insieme con l'esercito d'Affrica, n'accrebbe le
discordie; onde venuti gli Arabi alla battaglia presso Tanger (741),
qual fuggì, qual fu tagliato a pezzi dal nemico. Ma un novello capitano
per nome Hanzala-ibn-Sefwân, ebbe tanta riputazione da unire gli Arabi;
tanta fortuna o arte da guerreggiare nell'Affrica propria presso le
colonie di sua schiatta, piuttosto che nel Maghreb. Dispersa parte delle
forze nemiche in una prima battaglia e circondato dalle altre in
Kairewân, armò i cittadini, accese in tutti il fervore religioso; passò
una notte a pregare, e la dimane, spezzato il fodero della spada con
migliori auspicii che O'kba-ibn-Nafi', uscì contro le miriadi dei
Berberi. Li vinse ad Asnam, tre miglia discosto dalla città: la quale
battaglia ricordossi tra le più strepitose dell'islamismo, e vi
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