Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I - 19

condizioni degli uomini che si laceravan tra loro sul desolato terreno
della Sicilia. Non rimaneva agli occupatori altro che Mazara e Mineo,
disgiunte di tutta la lunghezza dell'isola, da sentieri difficili e
popolazione ostile; e l'una tenea per non essere stata assalita giammai;
l'altra, rôcca fortissima, era per soggiacere alla fame. Parea dunque
assai vicino il termine della guerra nella state dell'ottocento
ventinove, due anni dopo lo sbarco di Ased a Mazara.[480]


CAPITOLO IV.

In questo tempo capitò nei mari di Sicilia un'armatetta spagnuola
condotta da Asbagh-ibn-Wekîl, della tribù berbera di Howâra,
soprannominato Ferghalûsc.[481] Era gente di quella schiuma che la
società musulmana di Spagna spandea ribollendo; e il caso ne faceva
ladroni, eroi, martiri, conquistatori: come gli usciti di Cordova in
Creta; come cento altre masnade che afflissero per un secolo e mezzo le
costiere meridionali della Francia e dell'Italia di sopra, e fino i più
rimoti recessi delle Alpi. Approdato Ashagh in Sicilia, e richiesto di
soccorso da' Musulmani, par ne desse tanto da vettovagliare Mineo; e più
ne promettea, senza far ciance, vedendo largo il campo ai guadagni.
Forse giunse qualche altro aiuto d'Affrica, ove Ziadet-Allah avea spento
alfine la ribellione di Tunis.[482] Dalla parte de' Cristiani la guerra
allenò. L'armata veneziana, venuta di nuovo in Sicilia l'anno ottocento
ventinove, o quel d'appresso, niente premurosa di mettersi a sbaraglio
per solo amor dello imperatore di Costantinopoli, se ne tornò, così dice
un cronista nazionale, senza trionfo.[483] Nè riportonne altrimenti il
patrizio Teodoto da più d'un anno che bloccava Mineo; forse men
travagliato dai nemici che dal proprio governo, dall'azienda confusa e
dilapidata, dalla marea che saliva o calava a corte; tanto più che morto
Michele il Balbo, d'ottobre dell'ottocento ventinove, gli era succeduto
Teofilo, giovane d'animo dritto e valoroso, ma poco cervello; però
capriccioso nel render giustizia, male avventurato nella guerra, crudele
in casa; e spesso si gittò, come ogni altro, ad atti di perfidia, poichè
il dispotismo è pendío da non potervisi trattenere il piè quando si
vuole.
Sopraggiunse nella state dell'ottocento trenta il poderoso rinforzo
aspettato dai Musulmani di Sicilia: trecento legni, dice un
cronista,[484] i quali, per piccioli che fossero, dovean portare da
venti a trenta migliaia d'uomini, se prendiamo per misura la espedizione
di Ased. Uomini diversi di schiatta, d'indole, di proponimento: Arabi e
Berberi d'Affrica mandati da Ziadet-Allah a proseguire il
conquisto:[485] e maggior numero d'Arabi e Berberi e fors'anco antichi
abitatori di Spagna, intenti solo a far correrie; capitanati da Asbagh e
da altri condottieri, come il nota espressamente una cronica;[486] tra i
quali un'altra nomina Soleiman-ibn-'Afia da Tortosa.[487] Gli Spagnuoli,
che si doveano trovar assai male in arnese, diersi a saccheggiare, menar
via prigioni che si vendean come ogni altro bottino, prender castella
qua e là per taglieggiarle e lasciarle: nè mossero all'aiuto di lor
fratelli di Mineo, se prima il presidio non stipulò che Asbagh avesse il
supremo comando,[488] e se non furono forniti di cavalli,[489] forse
dagli Affricani che teneano Mazara. Allora, occupate per via le fortezze
che gli assicurassero la ritirata, Asbagh assalì Teodoto sotto Mineo; lo
ruppe e uccise; e gli avanzi dello esercito bizantino corsero a
chiudersi in Castrogiovanni: la quale battaglia seguì tra luglio e
agosto dell'ottocento trenta.[490] Asbagh, diroccata e arsa l'infausta
Mineo, marciò con tutto lo esercito sopra una città che il Baiân scrive
Ghalûlia o Ghallûlia, e dalla somiglianza del nome e opportunità del
luogo parrebbe la Calloniana dell'Itinerario d'Antonino, posta nel sito
attuale di Caltanissetta, o non lungi,[491] in riva al Salso che taglia
in due la Sicilia meridionale. Quinci i Musulmani avrebbero dominato
quel che poi si chiamò val di Mazara, che si stende a ponente del fiume,
ed è la regione più aperta dell'isola; avrebbero fronteggiato
Castrogiovanni che s'innalza a greco di Caltanissetta a mezza giornata
di cammino; e il fiume li avrebbe diviso dalla provincia che occupa
l'angolo tra levante e mezzodì, montuosa e assicurata dalle armi
bizantine di Siracusa. Il sito però ottimamente era eletto. Ma
impadronitisi i Musulmani di Ghallûlia, si appresero malattie
nell'esercito; scoppiarono in fiera pestilenza, e ne morirono Asbagh
stesso e parecchi condottieri. Deliberati gli altri ad abbandonare la
città, i Bizantini che n'ebbero sentore, li assalirono nella ritirata.
Dopo lunghi e sanguinosi combattimenti, gli avanzi dell'esercito
giunsero alfine alla marina, forse di Mazara. Dove, risarciti i legni,
se ne tornarono sconsolati in Ispagna.[492]
Ma mentre Asbagh s'era avviato a Mineo, un altro stuolo musulmano, la
più parte Affricani, mosse, com'e' pare, da Mazara, alla volta di
Palermo; e principiò l'assedio lo stesso mese di giumadi secondo del
dugento quindici (25 luglio a 22 agosto 830) che fu rotto Teodoto.[493]
La occupazione di Ghallûlia assicurò gli assedianti dalle forze
bizantine che potessero venire ad assalirli da Castrogiovanni, ovvero da
Siracusa; e il disastro dell'esercito di Asbagh tornò loro men grave,
poich'e' pare che non pochi condottieri, in vece di ritrarsi alla marina
verso ponente e mezzodì andassero al campo sotto Palermo.[494] Città
fondata dai Fenicii innanzi la venuta delle colonie greche in Sicilia;
rinomata nelle guerre puniche; prosperante o meno consumata che le altre
sotto la dominazione romana; forte nel sesto secolo quando espugnolla
Belisario; popolata e ricca nel settimo, come ne fan fede le epistole di
San Gregorio; e durava la importanza sua nella rivoluzione d'Eufemio.
Ricinta da un braccio di mare e dalle lagune, la città che occupava il
centro dell'attuale, tenne il fermo per un anno contro i Musulmani; poco
o punto aiutandola l'imperatore Teofilo. Però i cittadini si consumarono
in una memorabilissima difesa: che da settantamila che ve n'era al
principio dell'assedio, verso la fine ne avanzarono manco di tremila, e
gli altri tutti perirono, se è da stare alla testimonianza
d'Ibn-el-Athîr. Che che ne sia delle cifre, tal tradizione prova la
grande mortalità, aumentata al certo dalla pestilenza che da quattro
anni serpeggiava in Sicilia. Alfine, correndo il mese di regeb del
dugento sedici (13 agosto a 11 settembre 831), il governatore s'arrese,
salve le persone e la roba:[495] egli, il vescovo Luca, e que' pochi che
poteano abbandonare il paese[496] senza morir di fame, se n'andarono via
per mare: la popolazione del territorio fu assoggettata alla schiavitù,
scrivea Giovanni Diacono di Napoli, forse alla condizione di _dsimmi_, o
vogliam dire vassalli, senza lasciarsi ad alcuno il possesso di beni
stabili.[497] Nè è a dire se nel corso dell'assedio e dopo, quelle
mescolate masnade di Musulmani commettessero guasti, violenze, eccidii
in tutto il paese. Però la storia può accettare dalle leggende religiose
il martirio del monaco San Filareto da Palermo e di parecchi altri, i
quali, volendo rifuggirsi in Calabria quando il nemico occupò il
territorio o la città, furon presi; messi all'alternativa di rinnegare o
morire; e virtuosamente elessero la morte.[498] Su questo fatto alcuni
imaginaron lor novelle, e quel ch'è peggio fabbricaron lettere dei
monaci Benedettini di Palermo dispersi dagli Infedeli.[499] Fondato poi
nel decimoquarto secolo, in un sito delizioso tra i monti che sovrastano
alla città, il monastero benedettino di San Martino, il novello priore
spacciò e scrisse essere stato quel suo chiostro edificato da San
Gregorio, illustrato dalla pietà di antichi monaci e suore, e abbattuto
da' perfidi Saraceni l'anno ottocento ventisette, quand'ei li credeva
entrati in Palermo.[500]


CAPITOLO V.

L'occupazione di Palermo fu vero principio a quella dell'isola. Fin qui
i Musulmani non avean fatto stanza che in campo o entro piccole
castella, chè tal era anco Mazara; per quattro anni le forze loro,
ragunate di là dal mare in qualche boglimento di zelo religioso o di
cupidigia, erano state poi rifornite a stento, e con più fatica
traghettati gli aiuti nell'isola; tutti eran vivuti di rapina che si
sperpera; avean guerreggiato sotto varii capi, senz'accordo nè
disciplina. Ma la vasta e forte città, quasi vota d'abitatori, il
fertile territorio e i contadini che il coltivavano, rimasi preda al
primo occupante, allettarono la comune dei vincitori a soggiornare in
Palermo; ammoniti altresì dalle sventure passate. I più veggenti doveano
comprendere con ciò gli avvantaggi d'una colonia moderata da governo
regolare; grossa di popolazione, da fornire uomini e materiali alla
guerra; posta sì presso al cuor dell'isola, con un porto comodo e
difendevole, ove le arti di costruzione navale non mancavano, o si
poteano agevolmente ristorare.
Però da una parte si gittarono sul cadavere di Palermo le genti
affricane e spagnuole dell'esercito; piatiron tra loro, dice
Ibn-el-Athîr[501] e azzuffaronsi: senza dubbio, quando si venne al
parteggio delle possessioni. Dall'altro canto Ziadet-Allah pose
mano ad ordinare la colonia. Quantunque gli Spagnuoli potessero
pretestare la sovranità del principe omeiade, prevaleva pur
manifestamente in Sicilia il dritto della casa aghlabita per lo merito
della intrapresa guerra, per la sede più vicina e le forze sue più
considerevoli nell'esercito. Pertanto l'anno medesimo dugentosedici,
che ne avanzarono cinque mesi dopo la dedizione di Palermo,
Ziadet-Allah elesse a luogotenente in Sicilia il suo cugin germano
Abu-Fihr-Mohammed-ibn-Abd-Allah-ibn-Aghlab,[502] segnalatosi una volta
combattendo in Sicilia, e poi con infelice lealtà egli e i suoi fratelli
nella guerra civile di Mansur Tonbodsi.[503] Con la riputazione di
principe del sangue, e anco forse con gente fidata, giunse Abu-Fihr in
Sicilia, correndo già il dugento diciassette (6 febbraio 832 a 25
gennaio 833). Costui ne cacciò, dice la cronica, Othman-ibn-Kohreb[504]
non sappiam di che nazione, certamente un de' capi di parte venuti su in
que' trambusti: e leggiamo altrove che le discordie tra Affricani e
Spagnuoli si composero in questo tempo.[505]
Par che la colonia si ordinasse come centro di uno stato novello, poco
dipendente dall'Affrica; al che portavano quegli elementi suoi
eterogenei e turbolenti, non disposti a sottomettersi al principato
aghlabita senza larghissime franchigie. Ciò si vedrà dal progresso degli
avvenimenti. N'è segno altresì il titolo di _Sâheb_ dato da scrittori
assai diligenti al primo governatore dell'isola; il qual titolo, posto
assolutamente senz'altra voce che lo determini, tocca al capo d'uno
Stato;[506] differente perciò da _emir_, e da _wâli_.[507] Sappiamo
inoltre che del dugento ventuno (836) moriva a Kairewân un cadi di
Sicilia;[508] donde si argomenta che questo supremo magistrato fosse
stato posto fin dal principio delle nuove instituzioni nella colonia. A
questo tempo appartiene un dirhem, pubblicato dal Tychsen, e ch'io non
ho visto. Se non è falso, servirà a confermare che nel dugento venti
dell'egira (4 gennaio a 24 dicembre 835) Mohammed-ibn-Abd-Allah reggea
la Sicilia, e che battea moneta di argento col nome suo e
del principe d'Affrica; sì come avea fatto sei anni innanzi
Mohammed-ibn-el-Gewâri.[509]
Nondimeno per due anni non seguì fazione d'importanza, per cagion delle
preoccupazioni che dava ai Musulmani l'assetto delle proprietà e d'ogni
altra civil faccenda; ed anco per la riputazione di Alessio Muscegh,
nuovo patrizio di Sicilia. Questo bello e valoroso giovane armeno era
salito in subito favore appo Teofilo, sì che, tra' suoi ghiribizzi, lo
fidanzò alla propria figliuola Maria, ancorchè bambina; lo fe' patrizio,
proconsolo, maestro degli offici a corte; gli diè titolo di Cesare, e lo
destinava forse a succedergli nello impero, quando insospettito per mene
di palagio, volendo allontanarlo, lo prepose all'esercito di Sicilia
(832). E i cronisti bizantini che dipingono sì studiosamente ogni inezia
e perfidia di corte e confondono nell'ombra il resto de' fatti, si
contentano qui d'aggiugnere ch'Alessio egregiamente compiè i voleri
dello imperatore; potendosi al più inferire da qualche parola che, fatte
genti in Calabria, cominciasse già a ristorar la guerra nell'isola. Ma
tra i nemici che avea lasciato a Costantinopoli, e que' che l'invidia
gli suscitò d'un soffio in Sicilia, fu accusato di pratiche coi
Musulmani; di tramare ribellione: solite contraddizioni della calunnia,
che Teofilo si bevve senza esame. Donde chiamato Alessio appo di sè
(833), ed esitando quegli a ubbidire, il principe trovò più comodo un
tradimento. Mandò a persuaderlo l'arcivescovo Teodoro Crethino, al quale
fe' sacramento del gran bene che voleva ad Alessio, e gli diè un
salvocondotto soscritto di sua mano, e, più sacro pegno, una croce ch'ei
solea portare al petto; sì che l'onesto sacerdote, ingannato, ingannò
Alessio e seco il ricondusse a Costantinopoli. Quivi il Cesare era
imprigionato, vergheggiato, confiscatigli i beni. L'arcivescovo che in
una solenne cerimonia della chiesa osò rinfacciar lo spergiuro allo
imperatore, fu strappato dagli altari, battuto, mandato in esilio. Poi
Teofilo, pentito per le rimostranze del patriarca di Costantinopoli,
liberò l'uno e l'altro: ma Alessio era ristucco sì tosto del mondo, che
dei beni resigli edificò un monastero e vi si serrò.[510] Così fatto
imperatore, così fatto capitano, e i soldati fiacchi, il popolo
rimbambito, gli ottimati di Sicilia sì saputi a calunniare, sì mal
disposti a combattere, non erano al certo gli uomini che poteano salvare
l'isola dai Musulmani. Il solo espediente strategico in cui si
affidarono dopo la occupazione di Palermo, fu di adunare il grosso
dell'esercito a Castrogiovanni; sì che gli scrittori musulmani dicono
trasferita da Siracusa in quella città la sede del governo.[511] Oggidì
si chiamerebbe campo di osservazione. Quivi sedea il capitan generale
dell'isola, spettatore ozioso d'ogni guasto che facevano i Musulmani.
Abu-Fihr andò dritto ad assalirlo ne' principii dell'anno dugento
diciannove dell'egira (15 gennaio 834 a 3 gennaio 835): uscitigli
incontro i Cristiani, li rompea dopo aspra zuffa, li ricacciava negli
alloggiamenti, e, tornatovi in primavera, lor dava una seconda
sconfitta. L'anno appresso intraprese più grossa guerra. Principiando
dal campo di osservazione, lo combattè una terza fiata (835); espugnò
gli alloggiamenti, li saccheggiò, vi fece prigioni la moglie e un
figliuolo del patrizio che capitanava lo esercito; e tornatosi egli in
Palermo, mandò un grosso di genti con Mohammed-ibn-Sâlem infino a
Taormina, su la costiera orientale, i quali fecero ricco bottino. Altre
gualdane saccheggiarono altri luoghi. Tra coteste vittorie scoppiava
contro Abu-Fihr una sollevazione militare in cui fu ucciso, e gli
omicidi si rifuggirono presso l'esercito cristiano.[512]
Mandato da Ziadet-Allah in Sicilia, in luogo del congiunto, un
Fadhl-ibn-Ia'kûb, segnalossi immantinente con due correrie, l'una sopra
Siracusa, l'altra forse nelle parti di Castrogiovanni; poichè leggesi
che il patrizio andò con grosso stuolo a tagliar il cammino ai
Musulmani. Se non ch'essi furono pronti ad afforzarsi in un aspro
terreno e boscaglie intricate, ove il nemico non osò assalirli.
Aspettato invano insino a sera che scendessero quelli a combattere, le
genti del patrizio, com'era l'indole delle milizie bizantine, più
neghittose che vigliacche, si partirono; sciolsero gli ordini nella
ritirata. Addandosene i Musulmani, saltavan fuori da loro rupi,
caricavano il nemico d'una carica vera, dicono gli annali, e lo
sbaragliavano: il patrizio, ferito di parecchi colpi di lancia, cadde da
cavallo, ma fu valorosamente difeso da' suoi, tanto che sel portarono
fuggendo così mal concio, abbandonando armi, arnesi, cavalli. Così la
scorreria finì in segnalata battaglia.[513] Seguiano coteste due fazioni
nella state dell'ottocento trentacinque; e si terminò con quelle la
missione provvisionale di Fadhl, sendo venuto all'entrar di settembre a
reggere la Sicilia un altro principe del sangue aghlabita. Fu questi
Abu-'l-Aghlab-Ibrahim-ibn-Abd-Allah-ibn-el-Aghab,[514] cugin germano di
Ziadet-Allah e fratello dell'ucciso Mohammed. Uomo di grande saviezza e
vedere politico, come il mostrò promovendo le fazioni navali. Venne con
una armatetta in Palermo, capitale della Sicilia, come già la chiama un
cronista, di mezzo ramadhan del dugentoventi (11 settembre 835), campato
da grave fortuna in cui avea perduto parecchie navi per naufragio ed
altre presegli dai Cristiani.[515] Tra queste leggiamo che fosse una
harrâka, e che una squadra di legni della medesima denominazione,
capitanata da Mohammed-ibn-Sindi, uscì immediatamente alla riscossa, e
diè la caccia al nemico, finchè la notte non glielo tolse di vista;[516]
e nei combattimenti che seguirono indi a non molto, si fa menzione
altresì d'una _harrâka_ presa dai Musulmani sopra i Greci.[517] Or
cotesta voce arabica significa appunto “incendiaria”; e però denota le
galee da lanciar fuoco, che i Musulmani per avventura avean preso ad
imitar dai Greci, tra il fine dell'ottavo e il principio del nono
secolo: ancorchè tal foggia di navi in Oriente si fosse anco adoperata
ad altri usi, e in Italia al commercio, riconoscendosi quello infausto
nome nella appellazione di “carraca” e “caracca” che occorre sì sovente
nei ricordi di Genova e di Venezia.[518] È manifesto dunque che la
colonia di Palermo tentava già il gran problema della tattica navale del
tempo, di costruire cioè le navi incendiarie, ed a ciò adoperava le arti
conosciute in Africa, in Ispagna, e forse meglio in Sicilia, poichè di
_harrâke_ non fanno menzione gli annali arabici, della Spagna nè
dell'Affrica. Abu-'l-Aghlab non lasciò in ozio tal novella forza.
Mandate alcune navi in una città di cui manca il nome nei Manoscritti,
sia che fosse nelle isole Eolie, o nella costiera tra Palermo e Messina,
i Musulmani combatterono un'armatetta cristiana, la vinsero, depredarono
il paese e tornarono addietro coi prigioni, ai quali Abu-'l-Aghlab fe'
mozzare il capo. Un'altra squadra approdata a Pantellaria, vi colse un
dromone,[519] nel quale, oltre i soldati greci, trovossi un uom
d'Affrica fatto cristiano; e tutti al paro furon messi a morte per
comando del governatore di Palermo:[520] crudeltà non comandata dalla
legge, fuorchè contro i rinnegati, e non solita nelle guerre degli
Arabi; onde vi si scorge lo accanimento e invidia dei vincitori contro
il navilio bizantino che sì raro lor avvenia di sgarare. Al tempo
stesso, una torma di cavalli, spinta verso le falde dell'Etna e tra le
fortezze della regione orientale, arse le campagne, saccheggiò e sparse
gran sangue; ma combattendo, non scannando prigioni.[521]
L'anno seguente (221, 25 dicembre 835 a 12 dicembre 836) fatta irruzione
di nuovo nel paese dell'Etna, se ne tornarono i Musulmani in Palermo con
tanta preda di roba, e sopratutto di uomini, che il prezzo degli schiavi
molto rinvilì, scrive laconicamente Ibn-el-Athîr. Un'altra schiera che
mosse, credo io, lungo la costiera settentrionale non mai prima
infestata, arrivò infino a Castelluccio, rôcca in su i monti a mezza via
tra Palermo e Messina, e vi fe' anco bottino e prigioni; ma sopraggiunta
dal nemico, dopo aspro combattimento, fu sconfitta. L'armata intanto,
capitanata da Fadhl-ibn-Ia'kûb, assaliva e spogliava le isolette
adiacenti, senza dubbio le Eolie; espugnava poi una fortezza, che
volentieri leggerei Tindaro, e parecchie altre rôcche, e vittoriosa se
ne tornò a Palermo.[522] Dond'è manifesto che dopo le isole Eolie avesse
scorso anch'essa la costiera di settentrione. Nel medesimo anno o
piuttosto in quel d'appresso (222, 13 dicembre 836 a 1 dicembre 837)
Abu-'l-Aghlab spingeva una grossa schiera capitanata da
Abd-es-Selâm-ibn-Abd-el-Wehâb sul territorio di Castrogiovanni; contro
la quale sceso il nemico a combattere, andarono in volta i Musulmani,
lasciando assai gente sul campo di battaglia e non pochi prigioni, e tra
quelli Abd-es-Selâm, che fu indi liberato, forse in uno scambio.[523]
Perocchè l'armata ch'era uscita anco questa stagione, scontratasi in
quella dei Bizantini, la ruppe, e presele nove grossi navigli e una
salandra[524] con tutte le ciurme; e l'esercito, per far vendetta o
riavere i prigioni, tornò più forte sotto Castrogiovanni, e vi si messe
a campo.
Tra i quali travagli innoltratosi il verno, avvenne una notte che un
Musulmano scoprì un di Castrogiovanni che si riduceva in città per
viottoli ignoti; e tenutogli dietro, chetamente salì fino al sobborgo
ove erano gli alloggiamenti dell'esercito. Donde tornato in fretta il
Musulmano a darne avviso ai suoi, tutti s'armarono, s'inerpicarono per
quel sentiero; e, superatolo, diedero il grido d'_Akbar-allah_ (è
massimo Iddio), e furono addosso ai nemici. Si rifuggivan quegli entro
la cittadella, abbandonato il borgo; e fieramente indi resisteano,
sicuri nella fortezza del sito. Alfine, dice il cronista, chiesero ed
ottennero l'amân; e così i Musulmani carichi di preda se ne tornarono a
Palermo.[525] Si deve intendere che i Cristiani profferirono una taglia,
e che i Musulmani, stando all'assedio tra i dirupi da una parte e un
grosso presidio dall'altra, furon lietissimi di uscir dal pericolo con
onore e guadagno. Ma nè s'impadronirono della rôcca, nè rimasero nel
sobborgo; perocchè egli è certo che Castrogiovanni fa combattuta per più
di venti anni dopo questo accordo; e ognun vede che se i Musulmani vi
fossero entrati una volta, non avrebbero di leggieri lasciato sì
importante fortezza.
In questo medesimo tempo stringeano Cefalù su la costiera
settentrionale, a quarantotto miglia a levante di Palermo; il cui nome
gli Arabi scrissero _Gefalûdi_ e _Scefalûdi_: e ciò mostra
ch'abbiano trovato guasta, forse da molti secoli, la pronunzia di
_Kefalídion_.[526] Così addimandarono quella terra i Greci dalla
sembianza d'una rupe ritonda, inaccessa, sporgente in mare; la quale
sovrasta alla città odierna, e sostenne l'antica oltre venti secoli,
incominciando da tempi che non hanno storia; poichè vi si trovano avanzi
di mura ciclopiche. Il forte sito la rese città di qualche momento
nell'antichità e nel medio evo; e indi a prima vista alcun potrebbe
maravigliare che i Musulmani conducessero insieme ambo le imprese di
Cefalù e di Castrogiovanni, e ne potrebbe credere la colonia di Palermo
assai più potente che non fu nei primi principii. Ma suppliva al numero
dei Musulmani l'audacia loro e il terrore dei nemici. Una schiera solea
dare il guasto al contado; porsi in luogo forte presso le mura;
minacciare chiunque ne uscisse; combattere ed opprimere chi l'osava;
spiare l'occasione di qualche colpo di mano: e questo chiamavasi
assedio. E l'era, poichè sovente riduceva i terrazzani ad arrendersi,
per amor dei poderi, per noia dei disagi, per paura di sè, della
famigliuola, della roba, per tutti quei sintomi del pacifico cittadino,
come il chiamano per dileggio coloro che il menano a verga. Nondimeno la
fortezza del sito o del presidio faceva andare in lungo l'assedio di
Cefalù, quando, dell'anno dugentoventitrè (2 dicembre 837 a 21 novembre
838), probabilmente in primavera, giunservi grossi rinforzi per mare.
Eran costretti da quelli i Musulmani a levare l'assedio, a combattere
molte fazioni,[527] com'e' pare, con disavvantaggio, ritraendosi sempre
verso Palermo. Dove risaputa tra questi travagli la morte di
Ziadet-Allah, ch'era seguita in Affrica il quattordici di regeb (10
giugno 838), la colonia se ne costernò fortemente, leggiamo negli
annali; ma dileguato il primo sbigottimento, si apprestò a mostrare il
viso alla fortuna.[528] Donde è chiaro che si temessero nuovi
rivolgimenti in Affrica, e si disperasse indi degli aiuti che per
avventura si credevano necessarii contro il nemico sbarcato a Cefalù.
Svanirono poi que' timori per lo savio e forte reggimento di
Abu-I'kâl-Aghlab-ibn-Ibrahim; il quale succeduto tranquillamente al
fratello Ziadet-Allah, seppe contentare le milizie, raffrenare le
violenze private, tenere a freno i Berberi, ristorare nella capitale
d'Affrica que' ch'eran buoni costumi secondo le idee religiose de'
Musulmani. E tosto mandò nuove genti in Sicilia; onde la colonia
continuava sue correrie nel dugentoventiquattro (22 novembre 838 a 10
novembre 839), dalle quali, leggiamo che i Musulmani tornassero in
Palermo carichi di bottino;[529] e però si vede che la espedizione dei
Bizantini a Cefalù era finita, come le precedenti, senza alcun frutto.
Con più formidabili appresti i Musulmani uscirono alla campagna l'anno
appresso (11 novembre 839 a 29 ottobre 840) nel quale si arreser loro a
patti Platani, Caltabellotta, Corleone, e, se ben leggiamo, anco Marineo
e Geraci, e molte altre rôcche di cui gli annali non portano il
nome.[530] Così anco del dugento ventisei (30 ottobre 840 a 19 ottobre
841) una torma di cavalli diè il guasto al territorio di Castrogiovanni,
arse, depredò, fece prigioni, senza che il presidio osasse uscirle
incontro. Pertanto scorrendo oltre fino alla fortezza delle Grotte, chè
così addimandavasi, scrive Ibn-el-Athîr, per trovarvisi quaranta grotte,
i Musulmani la presero e saccheggiarono.[531] Il sito e il nome danno a
credere che sia la città che or si chiama Grotte, presso Girgenti,
ancorchè parecchi altri luoghi di Sicilia abbiano la stessa
denominazione negli annali musulmani, e in Sicilia al par che in
Sardegna, in Puglia, in Affrica, in Egitto e altrove, come ognun sa, si
veggano assai frequenti coteste stanze tagliate nella roccia in tempi
antichissimi, per albergo de' vivi o tomba de' morti. I nomi delle città
arrese ai Musulmani tra l'ottocentotrentanove e il quarantuno, bastano a
mostrare che fosse ormai signoreggiato da loro tutto il val di Mazara, e
lasciato in pace fin qui il rimanente dell'isola. Contuttociò aveano non
solo portato le armi nella terraferma d'Italia, ma, quel che più è,
fattovi lega con la repubblica di Napoli.


CAPITOLO VI.

Com'ai forti non manca giammai chi abbia bisogno di loro, e, per fuggire
altro pericolo più imminente, corra dassè ad avvilupparsi nella rete;
così i Musulmani di Sicilia presto trovarono amici in terraferma.
L'Italia dopo la morte di Carlomagno era rimasta a un tempo serva,
divisa e mal sicura. I principi Franchi, signori della parte
settentrionale, impediti da discordie di famiglia e dalla troppa vastità
dell'impero non pensavano ad allargare i confini nella penisola. I papi,
mezzi principi e mezzi cappellani del novello impero, teneano senza
spada l'Italia centrale, insudiciandosi in ogni scandalo della corte di
Francia. All'incontro i principi longobardi di Benevento, liberi dal
timore dei papi e dei Carlovingi e padroni pressochè di tutta la regione
meridionale, agognavano ad occupare quella striscia di costiera, ove,
con maravigliosa costanza e poche forze, resistean loro le repubbliche
di Napoli, Amalfi, Sorrento, Gaeta. Nelle vicende di cotesta lotta
disuguale, Napoli ch'era come capo di quelle città, da Gaeta in fuori,
avea promesso tributo ai principi di Benevento. Ma l'ottocentotrentasei,
volendosene svincolare l'audace repubblica o crescendo la tracotanza del
principe Sicardo, si raccese la guerra. Disperando d'avere aiuti dagli
imperatori d'Oriente o d'Occidente, Andrea console di Napoli si volse ai
Musulmani di Sicilia. Mandatovi a quest'effetto un segretario, i
Musulmani colsero il destro: andarono a Napoli con un'armatetta; la
quale costrinse Sicardo a levare l'assedio, a fare un trattato coi
Napoletani, ed a render loro i prigioni.[532] Questo principio ebbe la
lega della repubblica di Napoli con gli emiri di Sicilia, che durò mezzo
secolo, fino al novecento, con tutte le scomuniche dei papi, le minacce
degli imperatori e la rapacità e insolenza dei Musulmani. Son corsi già
dieci secoli, nè la storia ci rammenta altro intimo accordo che questo
tra i due paesi, cristiani, italiani e oppressi entrambi; sì che ben
avrebbero avuto ed avrebbero cagione di accostarsi l'uno all'altro,
d'amarsi, d'aiutarsi a vicenda!
In altro capitolo si tratterà la guerra condotta dai Musulmani in
terraferma; dove si vedranno appieno le conseguenze della detta lega, e