Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I - 17

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Biled-el-Bargoth mi puzza d'impostura di qualche giudeo arabizzante, di
que' che nel decimoquinto secolo fecer girare il cervello agli
archeologi di Palermo, spacciando per iscrizioni caldaiche scolpite in
pietra, poco appresso il diluvio universale, i versetti del Corano e
nomi proprii che si leggeano su certe torri nella capitale della
Sicilia. Perchè Beled-el-Borghût significa, sì, in arabico, Terra delle
pulci; ma questo sconcio nome era moderno; era corruzione di Polluce,
come or chiamano i dotti, una torre presso le rovine di Selinunte, o
piuttosto di Belgia, voce arabica, o di Belich, nome di un picciol fiume
tributario dell'Eufrate:[383] dall'una o dall'altro dei quali gli Arabi
chiamarono Belgia un castello or distrutto, e un fiumicello che scorre
lì presso, al quale è rimaso il nome di Belici. In ogni modo, il
villaggio che rimase almeno fino agli ultimi del duodecimo secolo nel
sito di Selinunte, avea nome, come leggiamo in Edrisi, Rahl-el-Asnâm, il
borgo cioè degli Idoli, che non ve n'ha penuria tra le rovine di quei
tempii colossali ben chiamate i Pilieri dei Giganti. Dond'ei mi pare
evidente che l'impostore del decimoquinto o decimosesto secolo abbia
tradotto in arabico il nome volgare che sapea di quel sito; e aggiuntevi
le fiamme del navilio musulmano, e le caldaie di rame da bollire i
Selinuntini, abbia propinato la leggenda al Fazzello; il quale se la
bevve, come quelle dei giganti primi abitatori della Sicilia, delle
iscrizioni caldaiche di Palermo, e non poche altre, sacre e profane. Nè
era colpa di sì diligente e nobile scrittore se, quand'ei visse, non si
conoscea nè la paleontologia, nè l'anatomia comparata, sì che le ossa
fossili d'elefanti e ippopotami pareano reliquie di Polifemo e di
Nembrotte; se pochi o niuno in Europa distingueano i caratteri cufici;
s'erano sepolti que' materiali storici in greco e in arabico, or sì
accessibili a chiunque; e se la critica della storia non potea
germogliare in Sicilia, sotto il giogo spagnuolo, tra i roghi del Santo
Officio!


LIBRO SECONDO.


CAPITOLO I.

Fu aperta la Sicilia ai Musulmani da una rivolta militare, della quale
si narra variamente l'origine.[384]
Mettendo a rassegna i cronisti, e principiando dagli italiani, il più
antico è Giovanni diacono di Napoli, che visse nella seconda metà del
nono secolo; quando passava tanta dimestichezza tra la colonia musulmana
di Sicilia e la repubblica di Napoli. Costui compilò la cronica dei
vescovi napoletani, cinquant'anni appresso il grande avvenimento che
avea spiccato la Sicilia dall'Impero: donde, se i critici volentieri gli
accordan fede nei fatti de' tempi suoi, gliene dobbiamo anche in
questo.[385] Raccontata la congiura di palagio che tolse al supplizio
Michele il Balbo e lo promosse al trono (26 dicembre 820), il diacono di
Napoli scrive come, immediatamente dopo la liberazione di Michele, i
Siracusani, suscitati a ribellione da un Euthimio, uccidessero Gregora
lor patrizio. Indi lo imperatore mandava possente esercito che ruppe i
Siracusani. Euthimio, rifuggitosi in Affrica con la moglie e i
figliuoli, tornò in Sicilia con un'armata di Saraceni condotta da
Arcario[386] lor duce (827); la quale corse l'isola, assediò Siracusa,
sforzolla a tributo, e alfine (831) s'insignorì della provincia di
Palermo. Dopo alcuni particolari di quest'ultima fazione, ripigliando il
filo degli eventi che succedeano a Costantinopoli e nella terraferma
d'Italia, Giovanni fa menzione della guerra civile di Tommaso di
Cappadocia (821-824); nè riparla dei Musulmani di Sicilia che quando
cominciarono a intromettersi nelle brighe della Penisola. Da quanto ho
detto, e dalle date certe che ho aggiunto tra parentesi, ognun vede che
il cronista napoletano abbia collocato que' casi di Sicilia, a mo'
d'episodio, nell'anno in cui principiarono, e che questo, secondo lui,
torni all'ottocentoventuno.[387]
Il secondo scrittore nostrale che faccia cenno dell'evento, visse dopo
cencinquanta anni, verso la fine del decimo secolo; anonimo, ma si sa
che fosse di Salerno, e forse monaco e di schiatta longobarda. Ei suol
fare fascio d'ogni erba, come notava il Muratori; intreccia negli annali
le novellette che correano di quel tempo, e attribuisce ai personaggi
della storia discorsi e sentenze di sua fattura. Pertanto lo lasceremmo
indietro, se non trovassimo nel racconto le vestigia di alcuni
particolari che abbiamo da altri autori degni di fede, da lui non letti
per certo. Senza dissimulare nel linguaggio suo l'odio contro i
Bizantini, l'anonimo di Salerno ci narra come certo grechetto, dice
egli, che reggea la Sicilia, ingiuriasse mortalmente Eufemio,
ricchissimo siciliano. Corrotto per danari, il prefetto violentemente
toglieva ad Eufemio la fidanzata Omoniza, fanciulla di rara bellezza,
per darla in braccio a un rivale. Ed Eufemio, cercando vendetta, si
imbarcava coi servi suoi per l'Affrica; andava a profferire la signoria
della Sicilia a quel barbaro re; il quale, colmatolo di doni, lo rimandò
nell'isola con un esercito. L'ingiuriato amante, così entrato per forza
d'armi in Catania e fattavi molta strage, ammazzò tra gli altri il
prefetto. Tanto narra l'anonimo salernitano, senza recar la data; ma
lavora di rettorica a fingere le ambasce e minacce d'Eufemio.[388]
Quest'episodio erotico, preso al rovescio con farvi Eufemio offensore
invece di offeso, è quasi la sola tradizione che ci tramandino i
Bizantini su la guerra di Sicilia. Come sorgente primitiva loro si
allega la storia particolare e contemporanea di un Teognosto: opera
perduta in oggi.[389] Rimanda in fatti a Teognosto, per più ampio
ragguaglio del caso di Sicilia, la principale tra le cronache bizantine
che possa fare autorità per quel tempo, la Cronografia detta di
Costantino Porfirogenito imperatore, scritta per suo comando e da lui
messa in ordine e postillata, la quale va in principio della
continuazione a Teofane.[390] Da questa cronica, che ha data certa della
metà del secol decimo, tolsero il fatto Cedreno, autore del duodecimo,
che vi mutò appena qualche frase, e Zonara che lo compendiò anche nel
duodecimo secolo; per non dir nulla del Curopalata Giovanni Scylitzes,
il quale, come ognun sa, trascrisse di parola in parola Cedreno senza
nominarlo. Pertanto non diremo altrimenti della testimonianza di così
fatti copisti. Ma vuolsi fare menzione d'un compendiatore del decimo
secolo, Simone maestro (che era titolo d'officio a corte),[391] il quale
par abbia avuto alle mani la storia di Teognosto o altri ricordi; poichè
si discosta dalla compilazione imperiale. Mentre Michele il Balbo, dice
il cronista, si travagliava nella guerra civile di Tommaso di
Cappadocia, gli Affricani e gli Arabi occuparono Creta, Sicilia e le
Cicladi, regioni uscite “poco innanzi” dalla dominazione bizantina, pei
peccati dei popoli e la iniquità dei principi.[392] E allora
. accadde che Michele, dicendo forse da senno a Ireneo maestro del
palagio “Mi rallegro teco; la Sicilia s'è ribellata!” que' gli replicò:
“Strana contentezza è questa, o signore;” e volto a un altro cortigiano
gli sufolò all'orecchio tre versi: “Ecco il primo disastro che dovea
succedere, preso lo stato dal dragone di Babilonia, balbuziente e
amantissimo dell'oro.”[393] Dopo ciò, Simone racconta il primo sbarco
dei Musulmani in Creta (822?).
La compilazione imperiale, senza segnar data precisa, dà un sincronismo
diverso al fatto di Sicilia, portandolo insieme con l'impresa di Orifa
nell'Arcipelago (825?). “Tra coteste vicende, dice la compilazione,
Eufemio turmarca di milizie[394] in Sicilia, invaghito di una donzella
che vivea nel chiostro, e che portava da lungo tempo l'abito monastico,
avea cerco ancor da lungo tempo di soddisfare all'amor suo, prendendola
in moglie: chè l'esempio non era lontano, nè potea parer cosa illecita
nè brutta, quando poc'anzi l'avea praticato lo stesso imperatore
Michele. Pertanto Eufemio, rapita la vergine dal monistero, portossela,
riluttante, a casa.”[395] I fratelli di lei se ne richiamavano allo
imperatore; e questi ingiungeva allo stratego di Sicilia che, sendo vero
il misfatto, si mozzasse il naso al rapitore, secondo il rigor delle
leggi.[396] Ma Eufemio, risaputo il pericolo, ordiva una cospirazione
coi proprii soldati e con altri turmarchi compagni suoi;[397] e,
sottrattosi allo stratego che andava per punirlo, rifuggissi appo il
miramolino[398] d'Affrica; promettendo che gli darebbe la Sicilia e
pagherebbegli largo tributo, s'ei gli concedesse di prender nome e
insegne d'imperatore, e lo aiutasse di genti. Il barbaro principe
accettava il partito, e s'insignoriva dell'isola, col favore d'Eufemio
non solo, ma sì degli altri che avean messo mano con lui alla
ribellione. Pervenuto a salti, come ognun se n'accorge, alla irruzione
dei Musulmani in Sicilia, il cronista palatino esce di briga con
additare ai lettori Teognosto; nè si sofferma che per raccontare un
altro episodio drammatico: la uccisione di Eufemio.[399] Parlando dello
stratego di Sicilia in quel tempo, ei non ne dà il nome; ma più sopra,
nel racconto della guerra di Creta, avea detto che Michele il Balbo
affidò il governo della Sicilia a Fotino protospatario e capitano
d'Oriente, per racconsolarlo della sventura incontrata in
quell'altr'isola (825), ove, mandato contro i Musulmani con grosso
esercito, i suoi avean toccato una rotta ed ei se n'era fuggito, come
pare, senza combattere.[400] Questo Fotino era bisavolo di Zoe
imperatrice, madre del Porfirogenito. E ciò spiega perchè la
compilazione imperiale aggravi tanto Eufemio, e non faccia parola dei
casi della ribellione, nei quali Fotino par sia stato infelice e codardo
quanto in Creta.
Venendo alla tradizione musulmana, che ha sembianze assai più genuine, è
da avvertire come noi la tenghiamo da tre scrittori: Ibn-el-Athîr, che
visse tra il duodecimo e il decimoterzo secolo; Nowairi, del decimoterzo
e decimoquarto; e Ibn-Khaldûn, della fine del decimoquarto stesso: dei
quali ho detto abbastanza nella Introduzione. Attinsero i fatti del
conquisto di Sicilia ad unica sorgente, ignota a noi; se non che
possiamo conghietturare che fosse compilazione fatta in Sicilia o
nell'Affrica propria nell'undecimo secolo, sopra ricordi scritti ai
tempi medesimi degli eventi, come ormai portava la civiltà dei popoli
musulmani. Egli è evidente che Ibn-el-Athîr e Nowairi scorciassero
entrambi quella cronica, poichè danno il grosso dei fatti nel medesimo
ordine, e sovente con le medesime parole; ma dei particolari chi ne
presceglie uno e chi un altro, secondo il genio suo: trovandosi in
maggior copia appo Ibn-el-Athîr le cose militari e politiche, ed appo
Nowairi gli aneddoti. Quanto ad Ibn-Khaldûn, in questo capitolo abbrevia
Ibn-el-Athîr, senz'aggiugnervi una sillaba.
La tradizione musulmana corre nel tenor seguente. L'anno dugento uno
dell'egira (816-17) secondo il Nowairi, e dugento undici (826-27)
secondo Ibn-el-Athîr, il re dei Rûm prepose alla Sicilia il patrizio
Costantino[401] soprannominato il Suda,[402] voce d'origine latina,
grecizzata nei bassi tempi, che suona trincea; ed in Creta è nome
geografico, noto, com'e' pare, nella guerra dei Musulmani. Il _Trincea_
avendo fatto capitano dei soldati d'armata Eufemio della nazione dei
Rûm, uom prode e intraprendente, caporione tra gli ottimati
siciliani,[403] costui andò ad osteggiare la costiera d'Affrica; presevi
mercatanti, vi fece bottino, e lunga pezza s'intrattenne a infestar que'
mari. Poscia riseppe avere il principe commesso al patrizio dell'isola
di torgli il comando e punirlo d'una colpa che gli era stata apposta: e
datane contezza ai compagni suoi d'arme, li accese a ribellarsi con
essolui. Donde, approdata l'armata a Siracusa, si azzuffò con le genti
di Costantino, lo ruppe; una schiera, inseguitolo infino a Catania, lo
prese e ammazzò; ed Eufemio fu gridato imperatore. Il quale chiamò al
governo d'alcuna provincia un de' partigiani suoi, barbaro, dicesi, di
nazione alemanna, forse Armeno,[404] per nome Palata,[405] cugino d'un
Michele che reggea la città di Palermo; ma i due congiunti, messe
insieme loro forze, disdiceano il nome d'Eufemio; movean contr'esso; e
vintolo in battaglia, uccisigli mille uomini ed entrati in Siracusa, ei
fu costretto a fuggirsi in Affrica con la gente che gli avanzava. Così
scrivono di seconda o di terza mano i citati cronisti.[406] Il
_Riadh-en-nofûs_, raccolta di biografie d'Affricani, compilata, come s'è
detto nella Introduzione, verso la fine del decimo secolo o
nell'undecimo al più tardi, sopra memorie scritte del nono, offre
l'addentellato alla riferita tradizione, e dà i nomi di Eufemio e del
Palata; se non che esclude il supposto delle incursioni d'Eufemio su la
costiera d'Affrica, o almeno porta a credere che fossero esercitate
contro i Musulmani di Spagna.[407]
Or i racconti che minutamente abbiamo esposto, messi al cimento dalla
critica, lungi dal contraddirsi a vicenda, s'attagliano l'uno all'altro,
meglio che non potrebbe aspettarsi in ricordi di origine sì diversa e di
una età sì povera di scritti istorici. E prima, il nome del protagonista
della rivoluzione siciliana concorda in tutti gli autori: chè se
Giovanni diacono il chiama Euthimio, questa voce facilmente si potea
confondere con Eufemio nella scrittura, e più nella pronunzia.[408]
Convengono alsì tutte le memorie su la ribellione, la sconfitta, la fuga
di Eufemio in Affrica: e l'Anonimo salernitano che parrebbe men degno di
fede, prova pure essergli pervenuto qualche ragguaglio preciso, narrando
la uccisione dello stratego in Catania, che sappiam solo da Ibn-el-Athîr
e da Ibn-Khaldûn. Delle nozze con la suora o novizia, non pare nè anco
da dubitarsi; se non che questa va tenuta circostanza secondaria, anzi
pretesto della persecuzione d'Eufemio; poichè la corte bizantina, al par
di ogni altro governo dispotico e bacchettone, avea due misure di
morale: l'una larga pei principi e lor fautori, e l'altra rigorosa e
intollerante, adoperata quando ci entrava di mezzo il furore teologico,
la invidia o la nimistà politica. Politico del tutto fu dunque il
movimento d'Eufemio, come il dicono i due più antichi scrittori,
italiano e bizantino, Giovanni diacono e Simone maestro. Più difficile a
fissarne appunto la data. Que' due accennano all'ottocentoventuno; e
s'accorda con essi l'anno dell'egira segnato dal Nowairi, e la
probabilità grandissima che i capitani dell'esercito siciliano si
fossero sollevati, quando Tommaso di Cappadocia chiarito ribelle in
Oriente movea contro Costantinopoli; come già lo stratego Sergio turbò
l'isola quand'ei seppe Leone Isaurico assediato dagli Arabi nella
capitale. E che la ribellione di Sicilia fosse durata cinque o sei anni,
sarebbe tanto più verosimile, quanto Michele il Balbo non ebbe mai forze
da reprimerla. Nondimeno, io penso che in quel movimento si debba
supporre un intervallo nel quale la Sicilia avesse riconosciuto il
governo di Costantinopoli; poichè gli Arabi nel loro ragguaglio sì
particolareggiato e verosimile, chiamano lo stratego ucciso da Eufemio
con un nome e un soprannome che ben s'adattano a Fotino, il quale fu
promosso a quell'officio verso l'ottocentoventisei, come si deduce dalla
cronica del Porfirogenito. E veramente nella scrittura arabica il nome
di Costantino non è molto dissimile da quell'altro; e come assai più
ovvio, dovea parer migliore lezione ai copisti. Al tempo stesso il
soprannome di Suda sembra coniato apposta per Fotino. Infine la serie di
fatti, che salta a piè pari il cronista palatino, par debba riferirsi,
come già notai, all'avolo di Zoe imperatrice.
Si potrebbe argomentare da tutto ciò che il movimento siciliano avesse
avuto due periodi; l'uno dalla esaltazione di Michele il Balbo alla
elezione di Fotino; l'altro dalla persecuzione d'Eufemio alla sua fuga
in Affrica. I quali due periodi, sì vicini tra loro, furono, com'avvien
sempre, confusi in un solo dalla tradizione verbale e dai compendiatori;
e in quel solo primeggiò il nome, rimase infame, d'Eufemio: e il tempo
si riferì dagli uni al principio, cioè all'ottocentoventuno; dagli altri
al fine, cioè all'ottocentoventisei. Dall'ottocentoventuno
all'ottocentoventicinque i condottieri ch'erano arbitri della Sicilia,
forse uccisero un primo patrizio Gregora o Gregorio; forse Eufemio si
prevalse, al par che gli altri capitani, di quei turbamenti, ma non ne
fu motore principale; forse i turbamenti non trascorsero fino all'aperta
ribellione; ovvero Michele il Balbo, non potendo con un esercito, la
represse con un finto perdono. Ma Fotino mandato a dar sesto alla
Sicilia, sendo favorito dell'imperatore e spregiato dai soldati,
prosontuoso e codardo, e volendo fare ammenda della fuga di Creta con
qualche grande impresa di polizia in Sicilia, diè opera a spegnere i
condottieri più baldanzosi, tra i quali primeggiava Eufemio. In luogo di
ricercare il crimenlese, chè non si potea fare onestamente nè senza
pericolo, trovò un sacrilegio chiarito o incerto; trovò i fratelli della
sposa, tiranni domestici delusi, o pacifici cittadini ingiuriati da un
soldato che si fea lecito ogni cosa: e per tal modo, col manto della
morale e della religione, Fotino si provò a spezzar la prima verga del
fascio. Se non che l'accusato era in sull'armi; gli altri condottieri
s'accorsero dell'arte grossolana dello stratego, e videro il proprio
pericolo in quel d'Eufemio: donde raccesero immantinenti la rivoluzione.
Così mi raffiguro l'andamento dei fatti. Io pongo la sollevazione
militare contro Fotino nell'anno ottocentoventisei. La sconfitta, la
morte di costui, la effimera esaltazione di Eufemio, la sollevazione di
due altri condottieri contro di lui e il novello combattimento di
Siracusa, ond'ei fu costretto a fuggire, si debbono credere per filo e
per segno come li narrano gli Arabi, e collocare nel medesimo anno
ottocentoventisei. Soltanto aggiugnerei ch'Eufemio, detto da
Ibn-el-Athîr capitano di soldati d'armata, e da tutti gli Arabi
guerreggiante su le costiere d'Affrica, avesse dalla parte sua le
milizie siciliane che montavano l'armata dell'isola; perchè, tra gli
eventi di Costantinopoli e di Creta, non è da supporre che venisse in
Sicilia il navilio imperiale. Altri soldati del presidio, stranieri e
mercenarii, si sollevarono al certo con Eufemio; ma non andò guari che i
loro capitani, massime i due cugini alemanni o armeni, non parendo loro
aver guadagnato abbastanza, e corrotti forse dall'oro imperiale, si
rivoltarono contro il novello signore, e gridarono il nome di Michele il
Balbo. Riportarono la vittoria i traditori; e nondimeno rimase ad
Eufemio non poco séguito tra i Siciliani, come lo dice espressamente la
cronaca del Porfirogenito, e come si vedrà ancora dalla narrazione degli
Arabi. È indi manifesto che i due elementi dai quali nacque il moto
militare dell'ottocentoventisei, tosto si separarono. Le armi
mercenarie, come pietra che si gitti in alto, ricaddero verso il loro
centro di gravità, ch'era il dispotismo di Costantinopoli. Le milizie
siciliane tentarono di spiccarsi dall'impero greco, sì come avean fatto
un secolo innanti quelle dell'Italia centrale; ma oppresse da forze più
ordinate, nè potendo trovar sostegno nello sfacelo della società civile,
si gittarono per disperazione al peggior partito: chiamarono un
potentato straniero; e affrettaron così la morte della nazione
greco-sicola, ch'era andata decadendo e consumandosi, ormai da mille
anni, dopo l'entrata di Marcello a Siracusa.


CAPITOLO II.

In questo tempo la guerra civile posava appena nello stato aghlabita, nè
era spenta per anco a Tunis, principal porto di quello; ma tal
commozione, in luogo di portare spossamento e abbandono come in Sicilia,
avea raddoppiato l'attività della giovane colonia. Tra gli uomini grandi
che producea l'islamismo in sua virtù, segnalavasi allora
Abu-Abd-Allah-Ased-ibn-Forât-ibn-Sinân, cadi della capitale, vecchio
settuagenario. Oriundo di Nisapûr nel Khorassân, e però di sangue
straniero, era cliente costui della tribù arabica dei Beni Soleim; era
nato il centoquarantadue (759-60) ad Harrân in Mesopotamia; e 'l padre
venendo con l'esercito dei Khorassaniti al racquisto dell'Affrica,
l'avea recato bambino di due anni a Kairewân. Fatto soggiorno in quella
città, e indi a Tunis, e divenuto colono, forse proprietario, Forât avea
potuto dare al figliuolo la dispendiosa educazione che s'apparteneva a
giureconsulto. Donde Ased, studiato il Corano in Affrica, ripartì a
diciott'anni per l'Arabia; ascoltò a Medina le lezioni di
Malek-ibn-Anas, famoso tra i dottori principi dell'islamismo; e venuto
quegli a morte, passò in Irak appo i discepoli di Abu-Hanîfa; e compiè
poi gli studii sotto Ibn-Kâsim, onor della scuola di Malek in
Egitto.[409]
Pieno la mente di quegli alti pensieri dei dottori orientali, fece
ritorno Ased in Kairewân del settecento novantasette, e aprì scuola di
dritto leggendovi il Mowattâ del primo suo maestro e un comento ch'ei
par n'abbia fatto con la scorta d'Ibn-Kâsim; la quale opera, dal nome
dell'autore, fu addimandata l'Asediìa. Crebbe la sua riputazione a tale,
che in Affrica il tennero come dottore principe.[410] Donde nei moti
dell'aristocrazia contro Ibrahim-ibn-Aghlab (810-811), un capo per nome
Amrân-ibn-Mogiâled cercò di trarlo a sè con lusinghe, poi con minacce;
ma Ased troncò le pratiche rispondendo ai messaggieri di Amrân, che
s'egli fosse ito al campo dei sollevati avrebbe gridato: “l'uccisore e
l'ucciso cadranno entrambi nel fuoco eterno.”[411] Da ciò si vede che,
al par degli altri giureconsulti d'Affrica, abborriva sì la guerra
civile, ma non parteggiava punto per Ibrahim. Ma quando Ziadet-Allah,
tra' due bocconi amari che gli eran porti, amò meglio ingozzare
l'opposizione legale dei dotti che la violenza delle milizie, chiamò
Ased-ibn-Forât l'anno dugentotrè (818-19) a cadi di Kairewân; persuaso,
dicono le biografie, dalle assidue esortazioni d'un Ali-ibn-Homeila; e
non veggono che il motivo del consigliere e del principe era di dare
un'arra di conciliazione alla parte moderata, nella quale primeggiava di
certo Ased. Ziadet-Allah, non volendo punto deporre l'antico cadi,
Abu-Mohriz-Mohammed, uom dotto e pio e particolarmente riverito da lui,
sforzato quasi a dar la suprema magistratura ad Ased, glielo aggiunse
nell'uficio; talchè si videro, con esempio unico o rarissimo, due cadi
d'una medesima scuola nella stessa città.[412] Tal magistrato fu di
grande momento nel nono secolo, quando lo innalzarono a splendore le
riforme di Harun-Rascid[413] e la crescente civiltà; e quando i principi
musulmani non avean per anco ministri di Stato ordinarii e permanenti, e
gli interpreti della legge divina s'arrogavano di regolare tutte le
umane faccende. Così veggiamo i due cadi del Kairewân fare or da giudici
civili e criminali, or da padri spirituali di Ziadet-Allah; da assessori
del santo ufizio che venía già in voga appo i Musulmani,[414] e da
consiglieri di stato. Ben avvenne che interrogati da Ziadet-Allah, sul
caso di un zindîk, o, diremmo noi, miscredente che dovea sentenziarsi
dal principe, Ased e Abu-Mohriz oppugnassero insieme l'avviso d'un terzo
giureconsulto, il quale volea a dirittura la morte dell'accusato: e i
due cadi vinsero appo Ziadet-Allah il partito di perdonargli,
pentendosi; il che quel virtuoso scettico ricusò.[415] Ma del rimanente
i due giuristi, poco diversi per età e dottrina e discepoli entrambi di
Malek, discordavano sempre, forse per gelosia, certo per indole; per
l'animo forte dell'uno e pauroso dell'altro; per lo veder chiaro e
lontano del primo e gli scrupoli del secondo. Il dissoluto e crudele
Ziadet-Allah richieseli una volta su la misura di voluttà che gli fosse
lecita nel bagno; e Ased pensando che il Corano concedeva il più, non
volle contendergli il meno; ma Abu-Mohriz, con una distinzione degna del
Padre Sanchez, seppe trovar pronto il peccato e accrescere a sè medesimo
la riputazione di santo.[416]
Rifulse in ben altro caso la virtù di Ased. S'eran levate in arme contro
Ziadet-Allah, come già narrammo (825), tutte le milizie d'Affrica; e
capitanate da Mansûr Tonbodsi, avean messo il campo sotto Kairewân;
chiamavano i cittadini a seguirle nella ribellione. Usciti allora a
parlamentare i due cadi e condotti dinanzi a Mansûr che sedea tra i
caporioni dell'esercito: “Su,” diss'egli ai cadi “siate con noi, s'egli
è vero che questo tiranno vi sembri il flagello dei Musulmani!” “È vero:
ed anco dei Giudei e dei Cristiani,” rispondeva tremando Abu-Mohriz. Ma
Ased: “Non eravate voi stessi,” proruppe “non eravate poc'anzi i suoi
partigiani e fratelli? Com'è che adesso ci richiedete di amistà contro
di lui, quando nè egli nè voi avete mutato costumi? Ah no: se noi
bastammo a tenerlo a segno quand'egli aveavi intorno, tanto meglio il
faremo or ch'è solo.” A queste parole scoppiò una tempesta nel campo. I
più feroci corsero addosso ad Ased e al compagno, sì che a mala pena
rifuggironsi in città. E i cittadini non ascoltaron quel grande:[417]
tra le ire della rivoluzione e i rancori del principe che la spense, par
che Ased per brev'ora sia venuto in uggia agli arrabbiati delle fazioni
estreme. E forse fu in questo tempo, e favellando per beffa a qualche
sciocco il quale si credea da più di lui perchè più forte gridava, che
Ased si vantò della eccellenza dei suoi nomi proprii. “Io son Ased”
disse (che significa lione), “e quale belva non cede al lione? Figliuol
son io di Forât” (così pronunziavano la voce Eufrate), “nè altro fiume
ha miglior acqua. L'avol mio appellossi Sinân” (ch'è de' nomi della
lancia), “e questa è in vero fortissima tra le armi.”[418] D'altronde,
coteste millanterie erano in voga appo gli Arabi, e ve le manteneano le
tradizioni poetiche di lor gente. E Ased, ancorchè d'origine straniera,
n'era imbevuto, com'uom di lettere ed erudito ch'ei fu, anche meglio che
giureconsulto, come pretende un biografo.[419] Più che la coltura e la
dottrina, la storia dee notare in lui il gran pensiero di racchetare
l'Affrica portando la guerra in Sicilia, e la forza d'ingegno e d'animo
con che vinse tal partito, e lo mandò ad effetto ei medesimo, a prezzo
della propria vita.[420]
Giunto Eufemio su la costiera d'Affrica, mandava incontanente a
Ziadet-Allah in Kairewân a chiedere aiuti, e offrirgli la sovranità
della Sicilia;[421] in questi termini: ch'ei medesimo tenesse l'isola
con titolo e insegne d'imperatore, e ne pagasse tributo al principe
aghlabita.[422] L'uscito faceva assegnamento sugli avanzi dell'armata
siciliana che lo seguitavano, e su i molti partigiani lasciati
nell'isola; e fidavasi spezzare le armi del Palata con le armi
affricane, e di coteste poi disfarsi con quante magagne gli offrisse il
caso o l'ingegno suo. E così pensan sempre i deboli mettendosi a
scherzare coi forti; e i più avventurati, come fu Eufemio infino alla
sua morte, riescon sì ad aggiustare qualche parte di lor macchina; ma,
presto o tardi, necessariamente succede un contrattempo che fa rovinare
il tutto, e dà l'acquisto a chi ha in mano la possanza. Da un altro
canto, com'e' pare, sbarcavano in Affrica oratori del Palata, mandati a
studiare il disegno del nemico:[423] e Ziadet-Allah pendeva irresoluto.
Nondimeno adunò a parlamento i notabili del paese, tra i quali fu
disputato a lungo su la giustizia e utilità di quella guerra. Ingiusta
pareva ai più, reggendo tuttavia la tregua dell'ottocentotredici; ma
rispondeasi essere stata violata da' governanti della Sicilia, ritenendo
prigioni parecchi Musulmani, com'aveva affermato Eufemio a Ziadet-Allah.
Consultati su tal dubbio i due cadi, Abu-Mohriz avvisava si pigliasse
tempo a chiarir meglio il fatto; Ased, all'incontro, volea che lì lì se
ne domandasse ai medesimi oratori di Sicilia. “E come crederemo”
ripigliò Abu-Mohriz “a ciò che diran costoro a carico o a difesa di sè
stessi?” E Ased a lui: “Su le parole degli ambasciatori fermossi già la
tregua, e su lor parole si spezzerà.” E focoso continuava: “Non vi
sbigottite, o Musulmani, ha detto il sommo Iddio, non vi sbigottite;
chiamate le genti all'islam, e avrete il primato sopra di quelle!
Ubbidiamo dunque al divin precetto, in vece d'appigliarne sì tenacemente
alla tregua con gli Infedeli, e rimarremo al di sopra!” Mutato per tal
modo da Ased il centro della quistione, e messo innanzi un argomento al
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