Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I - 05

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Debbo avvertire infine che M. Des Vergers pose la versione di varii
capitoli della Storia d'Affrica del Nowairi in appendice alla parte di
Ibn-Khaldûn pubblicata da lui; e che il baron De Slane ha tradotto in
francese la prima parte della Storia d'Affrica, inserita nel _Journal
Asiatique_, série III, tomo XI-XII (1841), e ristampata in appendice
alla _Hist. des Berbères par Ibn-Khaldoun_, tomo I, p. 313, seg. M. De
Slane ha giudicato troppo severamente il Nowairi, incolpandolo di tutte
le favole del conquisto musulmano d'Affrica, che quegli non avea fatto
che copiare da altri compilatori[92].
LV. =Dsehebi= (Scems-ed-dîn-Abu-Abd-Allah), morto il 1347, fu
compendiatore come i contemporanei suoi Abulfeda, Nowairi, e
Scehâb-ed-dîn-Omari; se non che attese alla sola storia, e
particolarmente alla letteraria, o, per dir meglio, alle biografie degli
uomini dotti. Questo è il pregio delle opere che ci rimangono di lui. La
principale intitolata _Târîkh el-Islâm_ è tavola cronologica, divisa per
decennii e corredata alla fine di ciascun decennio da una lunga serie di
cenni biografici. La Biblioteca di Parigi ne possiede due volumi
staccati, Ancien Fonds 626 e 646, dei quali il primo corre dall'anno 1º
al 40º dell'egira, l'altro dal 301 al 370. Un altro MS. della stessa
Biblioteca, Ancien Fonds 753, che abbraccia gli anni dal 581 al 620, mi
pare appartenente non al _Târîkh_, ma al compendio che ne fece lo stesso
Dsehebi, del quale v'ha esemplari a Leyde e altrove[93]. Pochissime
notizie ho cavato, sì da cotesti tre volumi, sì dai due del Suppl. Arabe
746, opera dello stesso autore, intitolata _Kitâb el-'iber_ ec.
(Avvertimenti su le geste dei trapassati). All'incontro, ho preso una
ventina di buoni cenni biografici di Siciliani, dal MS. di Leyde, nº 654
Warn., Catalogo del Dozy, tomo II, p. 205, nº DCCCLXXVI, compendio che
fece il Dsehebi dell'_Anbâ en-Nohâ_ di Abu-Hasan-Ali-el-Kifti, morto
alla metà del XIII secolo.
LVI. =Scehâb-ed-dîn'Omari= (Abu-Abbâs-Ahmed-ibn-Iahîa), detto
Ibn-Fadhl-Allah, soprannominato anche Dimascki, da Damasco ond'era
oriundo, e 'Omari dal nome di Omar il grande, dal quale pretendea
discendere; nacque verso il 1300 di famiglia benemerita ai sultani
d'Egitto; fu professore di tradizion del Profeta; servì nelle
cancellerie di Damasco e del Cairo; e morì il 1349. Costui accozzò una
enciclopedia a modo suo, intitolata _Mesâlek el-Absâr_ ec. (Escursioni
degli sguardi sopra i varii reami della terra). Dei ventisette volumi di
tal compilazione, i pochi che ci rimangono trattan di geografia, storia
e antologia poetica. La parte geografica è cavata da buone opere, e, tra
le altre, da Abulfeda; ma l'Omari vi aggiunse non poche notizie raccolte
dassè, sia da documenti oficiali, sia dalle relazioni di viaggiatori e
mercatanti ch'egli interrogava, ben usando le comodità che gli dava
l'oficio suo. Pertanto il capitolo su la Sicilia, che ho tolto da un MS.
della Bodlejana, Pococke 191, Catalogo tomo I, nº CM, contiene ragguagli
contemporanei, anche di fatti storici. Nel medesimo volume ho veduto una
descrizione della Calabria, porto di Taranto e altri luoghi d'Italia.
Dobbiamo saper grado, altresì, all'Omari degli squarci di poesie d'Arabi
Siciliani ch'ei ci conservò; i quali ho copiato dal MS. di Parigi,
Ancien Fonds 1372.
Allo incontro, la parte storica non può servire ad altro che a
confrontare qualche passo d'Abulfeda; i cui annali l'Omari copiò
sfacciatamente, trinciandoli di decennio in decennio, forse per
occultare il plagio. Dissi già che alcuni estratti della Storia relativi
alla Sicilia furono tradotti da un MS. dell'Escuriale, il quale poi si
perdè, probabilmente nell'incendio del 1671. Il Di Gregorio ristampò la
versione latina che ne avea fatto il Caruso su la italiana dello
Inveges, presa dalla latina di Marco Dobelio Citeron. Io ho trovato
parte del testo arabico nel MS. di Parigi, Ancien Fonds 642, il quale
corre dall'anno 541 al 744, cioè dall'ultimo capitolo della versione del
Di Gregorio in poi; nè posso rammaricarmi troppo della perdita dei
precedenti, poichè ne abbiamo il tenore originale in Abulfeda. Nelle
citazioni che mi occorrerà di farne, aggiugnerò il nome patronimico di
Omari al titolo di Scehâb-ed-dîn (Fiaccola della Fede), ch'è comune a
cento altri dottori musulmani; e però mal si è adoperato a
significare il nostro autore. Avverto poi non esser questi il cadi
Scehâb-ed-dîn-Ibn-Abi-l-Damm, da Hama, come suppose il Di Gregorio[94],
traendo nel proprio errore il Wenrich[95]; perocchè quel cadi visse un
secolo innanzi l'Omari, sendo morto il 1244; e Abulfeda cita sovente
l'opera sua, ch'è intitolata: _Tarîkh Mozafferi_, e non _Mesâlek
el-Absâr_[96]. Su Scehâb-ed-dîn-'Omari si veggano: Quatremère, nelle
_Notices et Extraits des MSS._, tomo XIII, p. 151 seg.; Catalogo della
Bodlejana d'Oxford, tomo II, p. 599; Catalogo de' MSS. Orientali del
British Museum, parte II, p. 273, nº DLXXV; Reinaud, _Géographie
d'Aboulfeda_, Introd., p. CLII[97].
LVII. =Ibn-el-Wardi= (Zîn-ed-dîn-Abu-Hafs-Omar), morto il 1348; mezzo
copiò e mezzo compendiò le notizie di Edrisi e Dimascki su la Sicilia.
Quali ch'elle siano, le darò, secondo la lezione dei MSS. di Parigi,
Ancien Fonds 590, 593, 594, confrontata col testo che ha pubblicato il
Tornberg[98] di questa mediocre compilazione geografica, intitolata
_Kharîdat el-'Agiâib_ (Perla delle Meraviglie).
LVIII. =Sefedi= (Selâh-ed-dîn-Khalîl-ibn-Ibek), che morì il 1362,
compose un dizionario geografico, addimandato _El-Waki bil-Wefeiât_ (Il
Conservatore delle Necrologie), diligente e giudiziosa compilazione. La
Biblioteca di Parigi ne possiede due volumi staccati, Suppl. Arabe 706,
che contengono le lettere dell'alfabeto arabico dalla _Kha al Sad_;
dalle quali ho cavato tre biografie, e, delle tre, due sono di
Cristiani: re Ruggiero, cioè, e l'ammiraglio Giorgio d'Antiochia.
LIX. =Domairi= (Kemâl-ed-dîn-Abd-Allah) scrisse nel 1371 l'_Haiât
el-Haiwân_, opera di Storia naturale; in cui, trattando dello scorpione,
l'autore cita i versi e la trista fine di un poeta del Iemen che si
trovò avviluppato in una cospirazione contro Saladino, tramata da
malcontenti egiziani con la corte normanna di Sicilia. Ho cavato questo
squarcio dal MS. di Parigi, Suppl. Arabe 873.
LX. =Ibn-Khaldûn= (Wâli-ed-dîn-Abu-Zeid-Abd-er-Rahmân-ibn-Mohammed),
nacque a Tunis il 1332 d'illustre famiglia, passata dall'Arabia
meridionale in Spagna ai tempi del conquisto, e rifuggitasi in Affrica
nel XIII secolo. Nobile dunque e povero, cominciò sua carriera da
calligrafo nella Segreteria dei principi hafsiti di Tunis. Da costoro
passò al servigio dei loro nemici i Merinidi; poi, sempre da un regolo a
un altro, di que' che usurpavan oggi e cadean domani sì in Affrica e sì
in Spagna: appo i quali ei fu cortigiano, agente diplomatico, ministro,
professore; or arricchito e onorato, or imprigionato e perseguitato per
gara di altri intriganti, e sospetti che destava quel suo far da
Girella. A cinquant'anni, ristucco dell'Affrica, se n'andò in Egitto;
ove diessi all'insegnamento pubblico; toccò una pensioncella dal
Sultano; salì allo uficio di cadi di scuola malekita al Cairo: e sì
balzano è l'animo degli uomini, che quello statista di larga coscienza
fu deposto della magistratura per la rettitudine e severità ch'ei
manteneva tra la corruzione degli altri giuristi. Il caso, alfine, lo
fe' trovare nel 1400 sotto le mura di Damasco in mezzo alle orde dei
Tartari e in presenza di Tamerlano; al quale ei fu prodigo di
adulazioni, e n'ebbe onori e profferta di rimanere alla corte tartara;
ma destramente ei se ne svincolò. Tornato in Egitto, salito e sceso, e
risalito all'oficio di cadi, moriva il 1406. Questi particolari tolti
dall'Autobiografia di Ibn-Khaldûn, non parranno troppi, quando si pensi
che discorriamo del primo scrittore al mondo che abbia trattato di
proposito la filosofia storica: nè saprei dir se altri v'abbian levato
il velo più alto di lui.
Il lavoro istorico d'Ibn-Khaldûn, composto la più parte in Affrica,
nelle brevi stagioni ch'egli ebbe di calma, è intitolato: _Kîtâb
el-'Iber_ ec., che io, discostandomi dalle interpretazioni date fin qui,
tradurrei: “Libro dei concetti storici e raccolta delle origini e
vicenda di Arabi, Stranieri e Berberi.” Va diviso in Introduzione, tre
libri, e Autobiografia; delle quali parti, la Introduzione tratta della
Storiografia e il primo libro racchiude le considerazioni generali che
noi intendiam sotto la denominazione di filosofia storica. Gli altri due
libri contengono la narrazione storica; cioè il secondo libro, degli
Arabi e altri popoli orientali ed europei; e il terzo, dei Berberi.
Disegno vasto e ben ordinato, ma colorito con man disuguale, quasi da
due uomini di varia tempra d'ingegno. Da un canto, Ibn-Khaldûn,
superiore alla età e società in cui visse, speculando su i fatti
generali della storia, arrivava a scoprirne le leggi e s'imbatteva anco
in chimere, come è avvenuto poi al Vico ed altri naviganti in quelle
regioni; e ritrovava i canoni della critica; e, maravigliosa coincidenza
col Vico, discorrendo di così fatti studii, conchiudeva essere scienza
nuova, a meno che, aggiunse modestamente, qualche antico non ne abbia
scritto, e si sian perdute le opere[99]. Dall'altro canto, Ibn-Khaldûn
si messe a riempire, come un volgare annalista, i compartimenti sì bene
immaginati in schiatte, dinastie, e cronologia storica di ciascuna
dinastia. In questo usò molti ottimi materiali, e tra gli altri il
_Kâmil_ d'Ibn-el-Athîr; ma non digerì i fatti con la critica di cui avea
già dettato i principii; non serbò proporzione nei racconti; non seppe
sviluppare le cagioni immediate degli avvenimenti con la intuizione che
hanno, per esempio, i Latini e il Machiavelli: in somma fece una
compilazione, e, pei tempi più vicini, una cronica e nulla più. Il
barone De Slane, che lo ha studiato e può giudicarne, notava che
Ibn-Khaldûn scrisse la filosofia storica con chiarezza, e le narrazioni
con uno stile avviluppato, saltellante e pieno di neologismi.
Lunga sarebbe la rassegna dei lavori che si son fatti, da una trentina
d'anni in qua, su questa mirabile opera. Limitandomi a quei che più
s'avvicinano all'argomento nostro, ricorderò il testo e versione della
Storia dell'Affrica sotto gli Aghlabiti e della Sicilia, pubblicati da
M. Des Vergers; la Storia dei Berberi il cui testo si è dato a stampa in
Algeri a spese del Ministero della Guerra di Francia e per le cure di M.
De Slane, e la cui versione è stata fatta dallo stesso orientalista, con
erudite annotazioni, e n'è uscito il primo volume. I Prolegomeni, come
van chiamati comunemente la introduzione e il primo libro, vedran la
luce, tra non guari, per opera di M. Quatremère, uomo da reggere a
questo ed a maggior peso. Mi si permetta infine che io ricordi la
edizione del testo e versione italiana della storia antica di
Ibn-Khaldûn, incominciata dal nostro compatriotta l'abate Arri da Asti
nel 1840, e interrotta l'anno appresso per la immatura sua morte[100].
Ibn-Khaldûn nella _Storia di Sicilia_ compendia Ibn-el-Athîr, sì che
appena vi si potrebbe scoprir qualche fatto attinto ad altre sorgenti.
Negli altri capitoli ci dà ragguagli più pregevoli. Da tutta l'opera io
ho cavato, per inserirli nella mia Raccolta, gli squarci seguenti:
1. Uno dei Prolegomeni inedito; ove si tratta del navilio siciliano
sotto i Normanni. Dal MS. del British Museum, nº 9571, bel codice in
caratteri affricani.
2. La Storia di Sicilia. Dalla edizione di M. Des Vergers, riveduta su i
MSS. di Parigi, e confrontata con gli estratti di un buon MS. di Tunis
recatimi dal sig. Honnegar.
3. Molti squarci della Storia dei Berberi, ch'io avea copiato dal MS. di
Parigi, Suppl. Arabe 742 quater, tomo III, e che oggi ho potuto
confrontare con la edizione d'Algeri.
4. Altri squarci inediti su le prime imprese dei Musulmani nel
Mediterraneo, su la Storia dei Fatemiti, e su le Crociate; che ho tolto
dai MSS. di Parigi, 742 quinquies, tomo II, e 742 quater, tomo IV.
LXI. =Zohri= (Ibn _o piuttosto_ Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-abi-Bekr),
alla fine del XIV o principio del XV secolo, compendiò un trattato di
Geografia di Kimâri, copiato o compendiato, non sappiam quando, da un
libro che avea fatto compilare il califo Mamûn (815-835) e delineare
insieme un planisfero. Tanto si ritrae dalla prefazione del Zohri al
detto _Kitâb Gi'rafîa_, MS. di Parigi, Ancien Fonds 596, e dal cenno che
l'autore fa a fog. 58 verso. Di certo, il Kimâri, o lo Zohri stesso,
aggiunsero qualcosa alla compilazione del IX secolo; leggendosi qui i
nomi di Mehdîa e della Kalat-Beni-Hammâd, che furono fondate appresso.
Però non si può ben determinare l'epoca alla quale riferirsi le notizie
su l'Etna e su non pochi prodotti del suolo siciliano, che si trovano
nel capitolo della Sicilia e che io tolgo dal MS. di Parigi.
LXII. =Makrizi= (Taki-ed-dîn-Ahmed-ibn-Ali), nato al Cairo il 1364,
morto il 1441, dotto e diligente compilatore di varie opere[101], tra le
altre ne dettava tre che servono al nostro proposito. Sono:
Il _Mokaffa_, dizionario biografico, del quale la Biblioteca di Parigi
possiede un volume, Ancien Fonds 675, che va dagli ultimi della lettera
_ta_ (decimasesta dell'alfabeto orientale) a parte dell'_Ain_; e la
Biblioteca di Leyde, nº 1366, tre volumi, che prendono l'_alef_, _Caf_
(22ª lettera), _lam e mim_[102]. Però ci mancano parecchi volumi
dell'opera. Dal MS. di Parigi ho estratto io le biografie dei Siciliani;
dai MSS. di Leyde lo ha fatto per cortesia verso di me il prof. Dozy.
Il _Kitâb-es-Solûk_ ec. (Introduzione alla conoscenza delle dinastie),
del quale una parte è stata tradotta in francese da M. Quatremère. Ho
tolto un passo del testo arabico dal MS. di Parigi, Ancien Fonds 673 C.,
tomo III, e Ancien Fonds 673, A. 2.
Il _Kitâb-el-Mewâ'iz_ ec. (Avvertimento e riflessioni su le divisioni
territoriali e i monumenti), MS. di Parigi, Ancien Fonds 680, ove si fa
menzione d'un astronomo siciliano dell'Osservatorio del Cairo; uno
squarcio del qual testo è stato pubblicato da M. Caussin de Perceval,
nella raccolta _Notices et Extraits des MSS._, tomo VII, p. 45.
LXIII. =Zerkesci= (Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-Ibrahîm), vissuto alla
fine del XV secolo, come conghiettura con buon fondamento M. Alphonse
Rousseau[103], scrisse una storia dei principi almohadi e degli hafsîti
di Tunis fino all'anno 1429. Quest'accurata compilazione, fatta su buoni
materiali, mi fornisce due squarci, che ho tolto dal MS. di Parigi,
Suppl. Arabe 852.
LXIV. =Soiûti= (Gelâl-ed-dîn-Abu-l-Fadhl-Abd-er-Rahmân), nato a Soiût
nell'alto Egitto il 1445, e morto il 1505, fu compilatore infaticabile
ma non sempre accurato; e basta a dir che si crede abbia scritto da
trecento opere diverse.
Da quella intitolata _Tarîkh-el-Kholafâ_ (Storia dei Califi), MSS. di
Parigi, Ancien Fonds 639 e 776, ho cavato due parole di cenno storico;
Dall'altra, che s'addimanda _Kitâb-el-Boghiat_ ec. (Libro di quanto
posson desiderare i raccoglitori delle Vite dei Lessicografi e
Grammatici), ho preso una ventina di biografie di Siciliani. Ho avuto
alle mani due MSS., l'uno del dottor John Lee, ch'era prestato al prof.
Dozy di Leyde in cui casa lo percorsi; l'altro acquistato recentemente
dalla Biblioteca di Parigi, ove si conserva, Suppl. Arabe 683.
LXV. =Ibn-Aiâs= (Mohammed-ibn-Ahmed), nato in Egitto, scrissevi nel 1516
il _Nescek el-Azhâr_ ec. (Fragranza dei fiori su le meraviglie delle
regioni), mediocrissima compilazione su l'opera di Edrisi e altre.
Nondimeno, raccogliendo tutti i testi ove si tratti della Sicilia, non
ho voluto rigettar questo, che ne dà due capitoletti. Li ho copiato dai
MSS. di Parigi, Ancien Fonds 595, e Suppl. Arabe 904.
LXVI. =Makkari= (Ahmed-ibn-Mohammed), nato presso Telemsen innanzi il
1590, e morto il 1631, lasciò una voluminosa e diligente opera su la
Spagna musulmana, della quale la più parte è stata tradotta in inglese
dal professor Gayangos, e adesso danno opera a pubblicare il testo
arabico i signori Dozy, Dugat, Krehl e Wright. Nella descrizione di
Cordova occorre al Makkari di citare versi del Siciliano Ibn-Hamdîs e
darne giudizio. Porrò questo passo e pochi altri cenni nella mia
raccolta, cavandoli del MS. di Parigi, Ancien Fonds 704.
LXVII. =Hagi-Khalfa= (Mustafa-ibn-Abd-Allah) da Costantinopoli, morto il
1658, per erudizione, critica, e altezza di ingegno, gareggia coi
migliori scrittori di storia letteraria che abbiamo in Europa. Due opere
sue forniscon materiali alla storia dei Musulmani di Sicilia; cioè:
Il celebre Dizionario bibliografico di 15,000 opere, quasi tutte
arabiche, pubblicato dal Fluëgel, testo e versione latina; dal quale ho
cavato tutti i paragrafi su opere di Siciliani, riscontrandoli per lo
più coi MSS. di Parigi[104].
E il _Tekwîm et-Tewârîkh_, ossia Tavola cronologica, scritto in turco e
in persiano e tradotto in lingua nostra da Gian Rinaldo Carli[105]. Gli
estratti della versione italiana relativi alla Sicilia, furono voltati
in latino e pubblicati dal Caruso e dal Muratori, e a ragione lasciati
indietro dal Di Gregorio: tanto orribilmente il conte Carli avea saputo
sfigurare quella semplice Tavola. Ho trascritto il testo persiano, non
avendo potuto capitare la edizione turca di Costantinopoli, dal MS.
turco di Parigi, Ancien Fonds 45; e l'ho confrontato con una versione
latina del Reiske che v'ha nella Biblioteca di Parigi.
LXVIII. =Ibn-Abi-Dinâr= (Abu-Abd-Allah-Mohammed-el-Kairewâni) scrisse il
1681 un _Kitâb el-Munis_ etc. (Libro dilettevole sugli avvenimenti
dell'Affrica e di Tunis), che corre dai principii del conquisto
musulmano fino ai principii della dominazione ottomana in Affrica, e
contiene ragguagli topografici e di usanze: sennata e diligente
compilazione, ancorchè moderna; nella quale non di rado si fa menzione
della Sicilia. Alcuni estratti di questa opera mi furono recati da Tunis
per favore del signor Honnegar; e li ho accresciuto notabilmente
percorrendo lo esemplare che n'ha la Biblioteca di Parigi, Suppl. Arabe
851. Di questo libro han fatto una versione francese MM. Pellissier et
Remusat, nella quale l'autore è chiamato ordinariamente col nome etnico
di Kaïrouani[106]: lavoro corredato di ottime note, ma fatto, com'ei
sembra, sopra un cattivo MS.
LXIX. =Teserif el-Aiâm= ec. (Ornamento dei giorni e dei tempi e vita del
Malek-Mansur). Il principe di cui si parla è Kelaûn, sultano d'Egitto
verso la fine del XIII secolo: il compilatore della cronica non si sa.
La Biblioteca di Parigi n'ha il solo volume secondo, Suppl. Arabe 810,
splendidissimo MS. fatto senza dubbio per uso della corte di Egitto.
Contiene alcune notizie intorno la guerra del Vespro Siciliano, e il
testo d'un trattato politico e commerciale tra il Sultano e i principi
aragonesi Alfonso re d'Aragona e Giacomo re di Sicilia. Io ho dato la
versione italiana di cotesti squarci nella edizione della _Guerra del
Vespro_, Firenze 1851, Documento XXX, p. 588 a 597. Il trattato era
stato pria tradotto in francese da M. De Sacy.
LXX. =Ibn-Konfûd= (Abu-l-Abbâs-Ahmed-ibn-Hasan-ibn-Ali-ibn-Khatîb) nel
XIV secolo dettò la _Farisîa_ ec., ch'è parte annali e parte cronica
della dinastia hafsita di Tunis. Alcuni squarci ne ha pubblicato M.
Cherbonneau, professore d'arabico a Costantina, nel _Journal Asiatique_,
IV série, tomo XII, XIII e XX, con utilissime note. Tolgo dal detto
Giornale il testo relativo a due imprese di Cristiani sopra le Gerbe e
Mehdia nel 1284. Questa e la precedente opera son messe fuori
dell'ordine cronologico, non appartenendo propriamente alla storia dei
Musulmani di Sicilia; ma come danno ragguagli su la storia di Sicilia
dei tempi susseguenti, così non mi è parso di trascurarle.


LIBRO PRIMO.


CAPITOLO I.

Dai primi tempi della storia infino a noi molte genti straniere vennero
a calpestare il suolo della Sicilia: Cartaginesi, Vandali, Goti,
Bizantini, Alemanni, Francesi, Spagnuoli, a vicenda fecervi guerra,
guastarono, messer su novelle dominazioni e poi dileguaronsi lasciando
poche vestigia di sè. Tra tanti rivolgimenti superficiali quattro
conquisti mutarono radicalmente il paese: che furono il greco, il
romano, il musulmano e il normanno, o meglio direbbesi italiano. Le
colonie doriche e ionie, nell'ottavo secolo innanzi l'era volgare, si
insignorivano della Sicilia tra per la forza delle armi e
dell'intelletto; vi recavano loro schiatta, genio e linguaggio;
dirozzavano gli antichi abitatori, gente italica la più parte e avanzo
di varii popoli orientali; facean lieta l'isola di città, di monumenti,
di colti, di popolazione; fondavano Stati da rivaleggiare con quei della
madre patria; correano, come li portava lor mobile natura, or alla
libertà or alla tirannide: tra i quali continui travagli fiorirono nella
Sicilia greca i più nobili e profittevoli esercizii degli uomini; e
nacquervi, ad onor della umanità, Teocrito, Empedocle, Archimede. Il
soldato romano poi che uccideva Archimede simboleggia pienamente il
secondo conquisto, il quale, con effetto contrario a quel che si vide
nelle altre province, in Sicilia distrusse più che non fondasse. Ma
nell'ottavo secolo dopo la nascita di Cristo, seguì il terzo
rinnovamento della Sicilia, per opera dei Musulmani, i quali avean tocco
l'apice di lor subita civiltà; e riforniron l'isola di colonie arabiche
e berbere; vi portarono altra religione, leggi, costumi, lingua,
letteratura, scienze, arti, industrie, virtù militare e genio
d'independenza; in guisa da ritrarre, se non il raffinamento e
splendore, al certo l'attività dei tempi greci. Breve del resto il
dominio musulmano, nè arrivò a compiere la assimilazione degli abitanti
che avea trovato nell'isola. Sfasciandosi da un canto la società
musulmana in Sicilia come per ogni luogo, e spuntando dall'altro canto
la novella nazione italiana, questa trovò, come per caso, la insegna di
ventura, gli egregii esempii d'ardire e gli ordini di guerra dei
Normanni: talchè, verso la fine dell'undecimo secolo, passò il Faro
sotto la bandiera di quelli; ripigliò la Sicilia, che le appartenea per
ragione di geografia e di schiatta; si aggregò le popolazioni cristiane
rimastevi, e raccolse i frutti delle proprie e delle altrui virtù.
Perchè, sendo pochi i Normanni che le aveano insegnato a vincere, e ad
ordinare lo Stato, la nazione italiana, per la ineluttabile maggioranza
del numero, assorbì quella forte schiatta, in guisa che a capo d'un
secolo ne rimasero appena i nomi di alcune famiglie. Quanto ai
Musulmani, parte si dileguò nel seno della società italiana di Sicilia,
parte emigrò o fu mietuta dalle spade cristiane. Ed intanto si era
mandata ad effetto, sotto gli auspicii del nuovo popolo, l'opera
cominciata dagli Arabi quattrocent'anni avanti: la Sicilia tornata a
potenza e splendore primeggiò per tutto il duodecimo secolo tra le
province italiane; s'insignorì delle parti meridionali della Penisola; e
sparse in terraferma molti semi di quel mirabile incivilimento della
comune patria nostra che pose termine al medio evo.
La storia delle colonie musulmane di Sicilia, ch'io mi son proposto di
scrivere, comprende i due detti conquisti, arabo e normanno, le
conseguenze dei quali son visibili infino ai nostri giorni. Principierò
con ritrarre le vicende della Sicilia innanzi la venuta degli Arabi,
l'origine dello impero musulmano e le condizioni della sua provincia
d'Affrica: e ciò darà argomento al primo libro. Nei tre seguenti
tratterò la dominazione dei Musulmani su l'isola; nel quinto il
conquisto normanno. Nel sesto libro finalmente discorrerò la condizione
dei vinti e i fatti ai quali parteciparono sino alla metà del
decimoterzo secolo; quando gli ultimi avanzi loro furono trapiantati di
Sicilia in Puglia, e la civiltà italiana tramutò ancor sua sede, prima
dall'isola alle parti meridionali della terraferma, e poi, fuggendo i
capricci dei re, alle gloriose repubbliche ch'eran surte tra il Tevere e
le Alpi.
La decadenza della Sicilia greca era cominciata, come avvenir suole,
prima della distruzione di sua potenza politica. Le città più grosse,
straziandosi in guerra tra loro e ciascuna dentro da sè stessa; snervate
dal lusso, ch'è figlio di civiltà ma uccide la madre; e logore, sopra
ogni altra cagione, da tre secoli di guerra continua contro Cartagine,
presto soggiacquero alla rozza vigoria di Roma (anni 241-210 avanti
l'era volgare). Roma usò e abusò gli avvantaggi dell'acquisto; il primo
che facesse fuor la Penisola e fin allora il più ricco. Abbattuta tanto
più agevolmente Cartagine quanto l'aveano stracca le guerre con la
Sicilia; fatto scala di quest'isola ad altre imprese nel Mediterraneo;
accattate da lei le prime dolcezze della cultura intellettuale e del
viver dilicato, i vincitori non si saziarono che non divorassero la
provincia. La chiamarono granaio del popol romano, e sì vollero farne un
gran podere e nulla più. Per un verso o per un altro incominciò il suolo
siciliano a divenire proprietà pubblica di Roma o privata dei nobili;
incominciarono a formarsi in Sicilia come in terraferma i latifondi, che
rimasero a proprietarii romani o d'altre parti d'Italia infino al
settimo secolo, nè sparvero che al conquisto musulmano. Ma infin dal
principio della dominazione romana vasti tratti di terreno si tennero a
pascolo; prima degradazione, che si accrebbe affidandosi gli armenti a
schiavi marchiati in fronte, ignudi o coperti di ruvide pelli; i quali
armati di mazze, spiedi e bastoni, a due, a tre, poi a frotte, si davano
a ladronecci per campar la vita; poichè i padroni lor davano, in luogo
di salario o vitto, la impunità dei misfatti.[107] Da un'altra mano i
cavalieri romani, o, come or diremmo, i cittadini della classe di mezzo,
presero in fitto molte terre dell'isola per coltivarle con le braccia
d'altri schiavi marchiati, incatenati, chiusi negli ergastoli la notte,
menati al lavoro con la sferza.[108] A tal empio sistema d'industria
agraria si aggiunse la enormità delle gravezze, che prendeano il quarto,
come si crede,[109] del ritratto delle terre, senza contare i balzelli
su le altre arti e commercii.
Così arricchiti subitamente i pochi intraprenditori stranieri, rovinati
gli indigeni che non godeano i medesimi privilegii di dritto o di fatto,
ne doveano seguitare due mali: che la proprietà ogni dì più che l'altro
si tramutasse in man dei Romani, e che andassero a precipizio le
industrie cittadinesche e sì il commercio con gli altri popoli fuorchè i
dominatori. Dal peso e dalla vergogna del giogo nascea quella
disperazione universale, che al certo attizzò la prima guerra servile
(a. 134-132 av. l'e. v.), e che spinse alla seconda (a. 103-101 av. l'e.
v.) non poche popolazioni libere. Pur coteste guerre avevano origine da
più antica e profonda iniquità di cui non erano innocenti i cittadini
greci di Sicilia. Gli schiavi di tante lingue congregati nell'isola, e
forse gran parte siciliani, dopo lungo alternar della fame con la
rapina, della abiezione con gli omicidii, si risovvennero della dignità
umana, e invocando il cielo che credeano la dovesse vendicare, si
adunarono nei più rinomati santuarii, nel tempio di Cerere ad Enna o
dinanzi i tremendi altari dei Palici; bandirono la naturale uguaglianza
degli uomini; e valorosamente la sostennero con le armi, aiutati più o
meno dai cittadini, finchè Roma, che s'intendea meglio di quella
ragione, li vinse e sterminò. E mossa dalla prudenza che accompagnava la
ferocità sua, l'aristocrazia romana volle rimediare con leggi che
rendessero più sopportabile la condizione dei Siciliani: ma non giovò,
perchè tal minuta giustizia non troncava la radice del male, e
d'altronde non si osservava, per essere elusa e soffocata a Roma dalla
prepotenza dei grandi. Già la patria era perduta; già i migliori
disperavano di lei. Diodoro, che fiorì l'ultimo tra i sommi ingegni
della Sicilia greca e fu il primo scrittore dell'antichità che
abbracciasse la storia universale, Diodoro, dopo trent'anni di viaggi e
lungo soggiorno a Roma (verso l'anno 45 av. l'e. v.), par sì rassegnato
alle sventure della Sicilia, che accettava come vera guarigione un
sollievo passeggiero dovuto alla umanità del pretore Asillio. Nè volgare
animo ebbe lo storico siciliano, nè poco amore per la patria; ma
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