Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I - 26

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viaggio, certamente stanza e occasione di far preda. Surse per tal modo
tra le mura della città e il Sebeto (880) un campo musulmano, vero ribât
o kairewân, dal quale uscian le gualdane addosso ai nemici del vescovo
di Napoli; nè costui poteva vietare che spogliassero anco gli amici.
Guastarono lo Stato di Capua, i confini di quei di Salerno, Benevento,
Spoleto[801] e la campagna di Roma: monasteri, chiese, città, borghi,
villaggi, monti, colline, isole, dice Erchemperto, furono saccheggiate a
un paro.[802] Sovente in loro correrie i Musulmani faceano stanza ad
alcun luogo forte, ch'indi divenia novello centro d'infestagione. Così
poneansi (880) alla Cetara, luogo marittimo tra Salerno e Amalfi, e
sforzavano i Salernitani ad uno accordo; i quali poi a tradimento li
assalirono, credendoli sprovveduti: ma i Musulmani uscirono alla zuffa,
recando nella prima fila in punta d'una lancia il trattato violato dai
nemici, e rupperli con molta strage; dettero il guasto al paese, e fino
osarono porre l'assedio a Salerno, donde poi furono cacciati per avere
pochissime forze.[803] Così anche uno stuolo si afforzò a Sepiano tra
Boiano e Telese: contro il quale invano mosse Guido Terzo, novello duca
di Spoleto e di Camerino; sì che fu costretto a far pace coi Musulmani,
dati reciprocamente statichi per la osservanza.[804] Nel medesimo tempo,
altra schiera musulmana, con milizie di Napoli e Gaeta, andava ad
assalire Castel Pilano nella contea di Capua, e n'era respinta. L'anno
appresso (881), Musulmani e Napoletani e partigiani di Pandonolfo, chè
sovente scambiavan parte quegli arrabbiati cugini di Capua e gli amici
d'oggi diveniano nemici domani, mossero insieme alla volta di Capua;
posero l'assedio all'anfiteatro, che si guardava come fortezza. Nello
stesso anno ottocento ottantuno, il papa andò di nuovo a Capua, a
comporre o raccendere le liti;[805] e, partendo in due la diocesi,
consagrò vescovo un Landolfo, fratello di Pandonolfo, nella chiesa di
San Pietro, che di lì a poco fu arsa dai Musulmani mandativi da
Atanasio.[806] E con ciò porrò fine alle cose di Capua, ove tutti i
piccoli Stati dei contorni, tutti i potentati vicini o lontani,
feudatarii franchi di Spoleto, condottieri bizantini, Musulmani di
Sicilia, vescovi, conti, pretendenti e il papa con essi, si avvolsero
per tanti anni in un brutto laberinto di violenze e perfidie.
In questo mezzo, il papa, vergognando che il vescovo di Napoli lo avesse
tenuto a bada per due anni, adunato un sinodo a Roma, del mese di marzo
ottocento ottantuno, pronunziò contro Atanasio l'anatema, preludio, come
ognun sa, della scomunica. Notevol è in quest'atto che il papa affermava
avere profferto danari ad Atanasio, perchè spezzasse il patto coi
Musulmani; e aver quegli amato meglio la parte che gli davano del
bottino.[807] Ma il vescovo, niente sbigottito, spacciati suoi
segretarii in Sicilia, fe' venire più forte stuolo di Musulmani; i quali
con Sichaimo loro re, dice Erchemperto, forse Soheim condottiero di
tribù o masnada, si accamparono alle falde occidentali del Vesuvio. La
tradizione serbovvi memoria di loro per lunghissimo tempo; e n'avea ben
donde: poichè, posando dalle scorrerie lontane, solean prendere sollazzo
nei contorni, sì che non vi lasciarono armi nè cavalli nè giovanette,
che non portassero al campo.[808]
La quale insolenza, non meno che gli anatemi del papa, scrive l'autore
contemporaneo, sospinse Atanasio a disfarsi di cotesti ausiliarii.[809]
Giovanni Ottavo, che già vedea i Musulmani presso Roma, o il
temeva,[810] incalzò sue minacce, proponendo ad Atanasio, in prezzo
della benedizione, ch'ei facesse scannare a suo potere i gregarii
musulmani, pigliare a tradimento certi condottieri, di cui dava i nomi,
e consegnarli ai legati pontificii, i quali avrebbero cura di mandarli a
Roma.[811] Il vescovo di Napoli, avvezzo alle perfidie, assentì.
Indettatosi con Salerno, Capua e altre città, con tutte le forze che
poterono adunare, dettero addosso improvvisamente ai Musulmani; li
cacciarono del golfo di Napoli; non però da Agropoli presso Salerno, ove
que' valorosi, difendendosi, si ridussero.[812] Seguía questo evento,
com'ei pare, nell'autunno dell'ottocento ottantadue. Giovanni avealo
procacciato con tutte le forze dell'animo suo; e, si può dire, stando
sempre con le armi alla mano contro i Musulmani, com'ei figuratamente
scrivea ad Alfonso Terzo, re delle Asturie, richiedendogli una torma di
cavalieri moreschi, probabilmente apostati dell'islamismo, detti con
voce arabica _Fâres_.[813] Ma quand'ebbe conseguito lo scopo a Napoli e
potea correre innanzi al compimento degli altri disegni, il papa morì
avvelenato da' suoi famigliari, il quindici dicembre dell'ottantadue.
Atanasio, suo discepolo e rivale nelle arti di regno, gli sopravvisse
sedici anni: si provò in vece del papa ad assoggettare lo Stato di
Capua; fallì in questo come Giovanni Ottavo; e alfine, dopo tanti
misfatti, trapassò, cred'io, in odore di santità, ricordandosi di lui
che a forza di digiuni ed esorcismi sgomberasse il territorio di Napoli
dalle cavallette.[814]
Durarono alsì oltre la vita di Giovanni Ottavo i mali ch'egli avea
suscitato. L'attentato suo contro la libertà di Gaeta avea spinto
Docibile, primo magistrato della repubblica, a richiedere di aiuto i
Musulmani; i quali venendo lungo la marina infino al lago di Fondi,
s'eran accampati su i colli Formiani, come li chiama Leone d'Ostia,
presso Itri; donde minacciavano il territorio di Roma. Sbigottito a ciò,
Giovanni Ottavo, mostrando di pentirsi, aveva accarezzato i cittadini di
Gaeta; pregatoli a disdire l'accordo: e i semplici Gaetini aveano
ubbidito, affrontando doppio pericolo; l'ambizione cioè del papa, e
l'ira degli ingiuriati Musulmani. La morte di Giovanni li campò del
primo. Nella guerra contro i Musulmani patirono uccisioni e cattività; e
alfine furono sforzati a rifare lo accordo, concedendo al nemico di
stanziare un po' più discosto dagli Stati papali, su certi colli che
s'innalzano non lungi da Traietto dalla parte del Garigliano, e
portavano lo stesso nome della riviera. Questa fu l'origine della temuta
colonia musulmana del Garigliano.[815]
La quale per più di trent'anni, flagello sopra flagello, afflisse la
Terra di Lavoro, battuta anco dalle guerre civili: sì che il suolo
abbandonato dagli agricoltori, divenne foresta di pruni e sterpi, al
dire di Erchemperto, che il vedea con gli occhi proprii.[816] Dei
particolari di tanto strazio altro non ci si narra che la distruzione di
ricchi monasteri; perchè i frati cronisti poco si curavano del
rimanente; perchè le proprietà laiche erano state desolate già assai
prima dai Cristiani; e perchè i monasteri aveano possessioni più vaste
che niun signore. Quello di San Vincenzo in Volturno, così detto dal
sito presso la scaturigine del fiume, in diocesi d'Isernia, fu assalito
dai Musulmani, com'ei pare, l'ottocento ottantadue, mentre stanziavano
tuttavia nel golfo di Napoli; e il saccheggiarono e arsero, con
uccisione, dicesi, di parecchie centinaia di frati, i quali in parte
morirono con le armi alla mano.[817] Più lamentevole nei ricordi della
civiltà il fato del monastero di Monte Cassino: celebre per la santità
dello istitutore, l'antichità della fondazione, le sterminate ricchezze,
l'autorità feudale che esercitò, la pietà, la prudenza, e, secondo i
tempi, anco la dottrina dei frati suoi, ai quali si debbono croniche e
biografie del medio evo, ed esemplari di molti scrittori dell'antichità.
Al par che il monastero del Volturno, quel di Monte Cassino era stato
più volte minacciato e taglieggiato nella prima guerra dei Musulmani.
Venne adesso dal Garigliano la feroce masnada, che il disertò, l'anno
ottocento ottantatrè, in due assalti; l'uno di settembre, l'altro di
novembre: e furon arsi e rovinati gli edifizii, e scannato su l'altare
lo abate Bertario, dicono le croniche del duodecimo secolo, ancorchè i
contemporanei non ne facciano motto. Il monastero tosto rinacque dalle
rovine; più splendido, più ricco, più orgoglioso; cinto di
fortificazioni; sede di un abate feudatario o sovrano; capitale di uno
Stato confinante col pontificio.[818] Tra queste ed altre simili
devastazioni passarono tre anni fino all'ottantacinque. Intanto, tornato
il vescovo di Napoli e anco il principe di Salerno a richiedere i
Musulmani, costoro, allettati dal bottino, dimenticavano le passate
tradigioni: una schiera, seguendo Atanasio e Guaiferio, stette a campo
all'anfiteatro di Capua. Poscia, venuto un principe di schiatta
aghlabita a domandare rinforzi per le colonie musulmane di Calabria,
trasse gran gente di Agropoli e di Garigliano, e condusseli a Santa
Severina,[819] ove Niceforo Foca ne fe' macello, come abbiam detto.
D'allora in poi quei due campi, scemati di possanza e di riputazione,
recarono minor male al paese. Atanasio ora spingea qualche schiera di
Agropoli a danno del principe di Salerno che si mantenne con aiuti
bizantini;[820] or mandava i Musulmani a osteggiare Capua.[821] La
repubblica di Gaeta ne ritenne ai suoi soldi cencinquanta; dei quali la
più parte, andata con temeraria fazione a Teano contro duemila e
cinquecento uomini capitanati da Landone,[822] fu tagliata a pezzi,
campando sol cinque persone.[823] Guido duca di Spoleto assalì una volta
il campo di Garigliano; ruppe una schiera ch'erane uscita a
combattere;[824] poi, congiunto ad Atenolfo,[825] marciando da Spoleto a
Capua, trovò alle Forche Caudine un Arran, fierissimo condottiero
musulmano, con trecento soldati, e tutti li passò al taglio della spada
(887). Morto Carlo il Calvo, e andato Guido in Lombardia (888), i
Musulmani alla lor volta saccheggiavano il Ducato di Spoleto.[826]
Un'altra schiera, superati in uno scontro i Capuani, difilata ne andò
sopra il monastero di San Martino in Marsico; ma trovò l'abate e i
monaci in arme e a cavallo; fu respinta da loro, e poi sterminata dalle
milizie di Atenolfo e Landolfo.[827] Pochi anni appresso, veggiamo i
Musulmani, padroni di Teano, respingere lo stratego bizantino
Teofilatto, venuto da Bari.[828] Veggiamo un'altra gualdana del
Garigliano assediare il castel di Rocca Monte presso Nocera; e già
ridurlo, per difetto di acque, quando una pioggia rinfrancò il presidio,
il dì di San Vito, non sappiam di quale anno.[829] L'ottocento
ottantotto, Napoletani, Bizantini, e Musulmani erano spinti di nuovo da
Atanasio sopra Capua: contro i quali uscito Atenolfo con le forze
ausiliari di Aione principe di Benevento e con un'altra schiera di
Musulmani, si combattè a Santo Carzio in quel d'Aversa; tra i Cristiani
soli bensì, poichè i seguaci di Maometto dall'una e dall'altra parte si
stettero.[830] Non andò guari che fatta una pace da Atanasio con Capua,
uniti insieme tutt'i condottieri musulmani assalivano a un tempo gli
Stati di Napoli e di Salerno; uno stuolo loro, rotto da Guaiferio presso
Nocera, parte mettea giù le armi, parte si disperdea tra le selve; un
altro insieme coi Capuani andava a dare il guasto al territorio di
Napoli.[831] Chiamati poscia da Aione, che s'era spiccato dai Greci,
andarono con esso a far levare l'assedio di Bari, ma furono rotti dal
patrizio Costantino.[832]
Dalle quali fazioni è manifesta la condizione dei Musulmani in quelle
parti: masnade di rubatori, che faceano, quando occorrea, da compagnie
di ventura; e, quando stringeva il pericolo, s'annidavano ad Agropoli e
al Garigliano. Par che tra loro non mancasse chi si diè al traffico, o
esercitò due mestieri ad un tempo, ladrone e mercatante; ritraendosi
come in Salerno una volta si sospettò che i Musulmani accorsi in
grandissimo numero sotto specie di pace, disegnassero qualche mal tiro;
se non che furono vegliati, e poi vietato loro di entrare con armi in
città.[833] Tra così fatti commercii e l'usare con le milizie di quegli
Stati cristiani, con le quali andavano in guerra e per conseguenza
spartivano il bottino, i Musulmani si addimesticarono nel paese. Quel
rifiuto d'Affrica e di Sicilia, a dir vero, non avea parti
d'incivilimento da comunicare altrui; pure arrecava qualche usanza;
promovea, poco o molto, la influenza arabica che si vide a Salerno e
altrove nel decimo e undecimo secolo. Spicciolati, menomati, assuefatti
ad una certa dipendenza dai Cristiani, e, sopra tutto, privi di aiuti
della madre patria, rimaneano come piaga inveterata ch'uom più non pensi
a curare; nè alcuno li potea temere conquistatori, fino al passaggio di
Ibrahîm-ibn-Ahmed, del quale innanzi si dirà.


CAPITOLO XII.

Prendendo a studiare il popolo vinto nell'isola, la prima cosa convien
tornare alla memoria i modi e la progressione del conquisto. Delle terre
di Sicilia altre abbiam visto prese di viva forza, ovvero a patti che
guarentissero le persone e gli averi; altre sottomettersi a tributo;
altre vittoriosamente resistere. Le prime e le seconde di raro furon
distrutte; talvolta i Musulmani vi posero colonie; più sovente le
tennero suddite, abbattute pria le fortificazioni e presi ostaggi; nè in
tutte lasciaron presidii. Non presidii nè colonie ebbero le città
tributarie. Le independenti durarono nell'antico esser loro; aggiuntovi
i pericoli, la gloria e la febbrile attività della guerra.
Quanto al cammino dei conquistatori, si è potuto notare che s'avanzarono
quasi sempre da ponente a levante. Combattuto qua e là con varia fortuna
per quattro anni (827-831) e ferme poi le stanze in Palermo,
s'insignorirono entro un decennio (831-841) del Val di Mazara: regione
piana anzi che no, abbondante di pascoli e terre da seminato; nella
quale fondarono lor prime colonie e trasportarono gli schiavi che
coltivassero i poderi occupati. Nei diciott'anni susseguenti (841-859)
fu domo con più duro contrasto il Val di Noto: terreno feracissimo,
ondulato, sparso di men alti monti e men vaste pianure che il Val di
Mazara; nè par che i Musulmani prendessero a soggiornarvi finchè
Siracusa tenne il fermo. Repressa intanto la sollevazione cristiana
dell'ottocento sessanta, che fu comune al Val di Mazara e al Val di
Noto, i vincitori si spinsero in Val Demone: provincia formata dalla
catena degli Apennini e dall'Etna; e però tutta valli e aspre montagne,
coperta d'alberi da bosco e da giardino, e difendevole assai. In Val
Demone, invero, aveano occupato Messina ed alcun'altra città marittima;
pure, entro sessant'anni (843-902) non arrivarono a spuntar dalla difesa
le popolazioni cristiane ridotte in un triangolo, il cui vertice toccava
Catania e la base stendeasi dai monti sopra Messina infino a Caronia,
com'io credo.[834]
Ho seguito fin qui la divisione territoriale della Sicilia in tre
province, che chiamavansi Valli, di Mazara, Demone e Noto; la quale
durò, con qualche mutamento, infino al mille ottocento diciotto, e la
origine sua si riferisce d'ordinario ai Musulmani. Cotesta opinione
manca di prove; poichè i diplomi e le cronache dei primi tempi normanni,
quando l'azienda pubblica ritenea quasi tutte le forme del governo
precedente, fanno menzione del solo Val Demone.[835] I ricordi del Val
di Mazara e del Val di Noto non sono nè sì antichi nè sì precisi.[836]
Nondimeno io accetto il pensamento comune, parendomi la divisione in tre
province ordine antico che tornasse su, dopo qualche innovazione
temporanea; e riflettendo inoltre che i conquistatori arabi erano
necessitati a tripartire l'isola. Volendo giovarsi degli oficii
dell'azienda bizantina per la riscossione del tributo fondiario,
trovavano le due provincie, Lilibetana e Siracusana, divise dallo Imera
Meridionale, ossia fiume Salso; ma com'eglino non possedeano per intero
la provincia Siracusana, così doveano distinguere la parte che rimaneva
ai nemici, ch'era appunto il Val Demone, dalla parte musulmana che
giaceva a mezzodì e chiamossi Val di Noto, e da un po' di territorio a
ponente il quale confuso con la provincia Lilibetana si addimandò Val di
Mazara. Secondo tal supposto lo scompartimento in tre province
tornerebbe alla seconda metà del nono secolo.[837]
In quell'epoca si potrebbe trovare alsì la ragione dei nuovi nomi delle
tre province; delle quali la prima e l'ultima li presero, com'è
evidente, da città. La provincia Lilibetana andò chiamata forse di
Mazara, per esser questa la città più vicina al Lilibeo,[838] non
ristorato per anco col nome di Porto di Ali (_Marsâ-Alî_, Marsala);
ovvero perchè sedesse a Mazara il _diwân_ dei beneficii militari, posto
fuori dalle città di Palermo e di Girgenti ch'erano circondate di poderi
allodiali. La provincia Siracusana potea ben prendere il nome da Noto
che vi primeggiava, giacendo Siracusa in rovine, nè sendo risorta da
quelle innanzi il decimo secolo. Quanto al Val Demone, l'etimologia si è
riferita ai boschi (_Vallis Nemorum_); si è riferita ai demonii
dell'Etna, tenuto spiraglio d'inferno (_Vallis Dæmonum_); altri più
saviamente l'ha tratto da un forte castello, ricordato nelle memorie del
nono secolo e abbandonato di certo nel duodecimo. Sembrami più probabile
che i nomi della provincia e del castello fossero nati insieme
dall'appellazione presa per avventura dagli abitatori di tutta quella
regione: Perduranti, cioè, o Permanenti, nella fede, si aggiunga
dell'impero bizantino. Perocchè un cronista greco del nono secolo,
trattando delle città di Puglia rimase sotto il dominio di
Costantinopoli, adopera il verbo analogo a così fatta voce;[839] e una
delle varianti con che questa ci è pervenuta è appunto _Tondemenon_ che
si riferisce, senza dubbio, non al territorio ma agli abitatori.[840] La
denominazione di valle potrebbe essere arabica al par che latina;[841]
nel secondo dei quali casi ben potea convenire a un territorio compreso
nella vallata tra gli Apennini e l'Etna; nè il nome generico latino o
arabico unito a una appellazione greca, farebbe maraviglia nella Sicilia
di quei tempi.[842]
I Cristiani ch'erano tuttavia la maggior parte della popolazione
dell'isola, viveano in quattro condizioni diverse, cioè, indipendenti,
tributarii, vassalli e schiavi; le quali partitamente prenderemo ad
esaminare.
Le popolazioni independenti dai Musulmani chiuse nelle proprie mura e
obbedienti, più o meno, all'impero bizantino, riteneano i magistrati e
gli ordini anteriori al conquisto. Pure, nell'ultima metà del nono
secolo, forza era che seguisse tra loro una vicenda analoga alla
restaurazione dei comuni nell'Italia di mezzo dopo il conquisto
longobardo. Non potendo l'impero porre presidii per ogni luogo
dell'isola, dovea tollerare, anzi procacciare che le terre forti per
sito o per numero di cittadini si difendessero dassè, come le città
italiane del settimo secolo; il che inevitabilmente accresceva autorità
e baldanza all'aristocrazia della curia, base dei corpi municipali.
Avvezzi ormai a combattere o patteggiare coi Musulmani; a cospirare col
governo bizantino quando talvolta fossero stati soggiogati dal nemico;
ad ordinare mosse militari, di accordo coi capitani imperiali di
Castrogiovanni o di Siracusa, le città siciliane par che a poco a poco
prendessero sembianze di confederate più tosto che suddite. Pertanto le
istituzioni municipali, che in Grecia e altrove si dileguarono sotto il
forte governo di Basilio Macedone, sì che poi Leone il Sapiente ne
cancellò anco il nome, le istituzioni municipali, io dico, doveano
rinvigorire, in quel medesimo tempo, nelle città di Val Demone che
mantennero l'onor del nome cristiano in Sicilia. Ciò confermano parecchi
cenni delle cronache: come sarebbero le pratiche dei Musulmani a Troina
l'ottocento sessantasei; la missione d'un decurione per lo riscatto dei
prigioni nell'ottantatrè; e tanti casi di guerra cessata o ripresa, nei
quali è manifesto che operassero i municipii, non gli oficiali
dell'impero. I ricordi ecclesiastici del tempo, dei quali si tratterà in
questo capitolo, danno indizio anch'essi della autorità politica assunta
dagli ottimati: senza che il sacerdozio non avrebbe con tanta rabbia
aguzzato contro costoro il pungolo della satira. L'autorità municipale
poi occupò ogni potere, ossia i comuni independenti operarono come
repubbliche, negli ultimi anni del nono e i primi del decimo secolo;
quando lo impero del tutto li abbandonò.
Pari autorità civile, con minore possanza e niuna gloria, serbarono i
municipii della seconda classe di popolazioni, vogliam dire le
tributarie. Nei principii del conquisto, tal condizione dovea parer
comoda ai vincitori al par che ai vinti; sopratutto ai capi. E
veramente, i condottieri musulmani senza fatica imborsavano il danaro e
poteano scompartirlo con più largo arbitrio che il bottino; e i
magistrati municipali si francavan dai pericoli della guerra, pagando
agli Infedeli, poco più o poco meno, quel che soleano mandare a
Costantinopoli; poteano inoltre distribuire il peso tra' lor miseri
concittadini con maggiore ingiustizia che loro non ne concedessero le
leggi dell'impero. Nondimeno l'odio religioso, il sentimento nazionale,
e le molestie nascenti dalla licenza e discordia dei vincitori,
sturbavano sovente i raziocinii dell'interesse materiale e spingeano
l'aristocrazia municipale a spezzare i patti. Perchè quella società non
sembri troppo più generosa dell'odierna società europea, si aggiunga lo
scapito dei proprietarii, i cui servi e coloni spesso fuggivansi dai
poderi; spezzandosi le catene dello schiavo altrui che riparasse in
paese musulmano e si convertisse all'islamismo, divenuto liberto di Dio,
come dicea Maometto.[843] S'aggiunga infine il bisogno che portava le
colonie musulmane ad estendersi, e si comprenderà come avvenia sì
sovente che le città tributarie si ribellassero o i Musulmani le
assalissero con pretesti. Ricadendo sotto il giogo, erano ridotte a
vassallaggio: talchè il numero delle tributarie scemò a poco a poco, e
poi del tutto mancarono.
Nel tempo che durava tal qualità di popolazioni, l'ordinamento loro è
agevole a immaginare. Come nelle città independenti, così nelle
tributarie l'autorità dovea risedere nei municipii. Del ritratto dei
beni imperiali e comunali, aggiuntevi le contribuzioni su i cittadini,
il municipio pagava il tributo detto dai Musulmani _gezîa_ o
_kharâg_;[844] la somma del quale dipendea dai patti, e secondo le
usanze musulmane si stipolava ordinariamente per dieci anni, dando
statichi per sicurtà. È probabile che s'aggiugnesse il patto di svelare
ai Musulmani le trame del governo imperiale; favorir le loro imprese e
rispettare le persone e averi loro, come veggiamo stipolato da
Mo'âwia-ibn-abi-Sofiân con gli abitatori di Cipro.[845]
Soggiaceano al vassallaggio le terre prese per forza d'armi o a patti,
come dicemmo. Nelle seconde per virtù del trattato, nelle prime per
umanità e interesse a non desolare il paese, i Musulmani davano
l'_amân_, o sicurtà, come suona in nostro linguaggio. Lasciate indietro
le condizioni occasionali o transitorie di che si è fatta menzione nel
racconto, come di consegnare un dato numero di schiavi, abbandonare una
parte dello avere e somiglianti stipolazioni, la sostanza dello amân era
questa. Cessava nel paese l'autorità politica dei Cristiani. I beni
dello Stato, fors'anco del comune, e tutti o in parte i beni
ecclesiastici, e quei dei cittadini uccisi o usciti, passavano in
proprietà della repubblica musulmana; e insieme con le terre
necessariamente andavano i servi o coloni che soleano coltivarle sotto
gli antichi signori. Il rimanente della popolazione continuava a vivere
secondo le proprie leggi e costumanze; e tutti gli uomini liberi, qual
che si fosse lor grado e fortuna, si ragguagliavano dinanzi ai vincitori
in unica condizione, che s'addimandava in arabico _dsimma_ e lo
individuo _dsimmi_, che noi diremmo umiliato o suddito. Godeano
ordinariamente pieno esercizio del dritto di proprietà.[846] La legge
musulmana proteggea loro persone e averi con le medesime sanzioni penali
che pei Musulmani[847] e ammetteva ogni contrattazione civile tra loro e
i Musulmani, anche i lasciti per testamento.[848] Oltre le condizioni
ragionevolmente chiamate essenziali; cioè che non parlassero con
irriverenza del Corano, del Profeta, nè dell'Islâm, non dicessero
villania a donne musulmane, non ingiuriassero i soldati, non tentassero
far proseliti tra i Musulmani e rispettassero i beni loro,[849] gli
dsimmi andavano sottoposti a tre maniere d'aggravii: di finanza, di
polizia civile e di polizia ecclesiastica.
Gli aggravii di finanza addimandavansi _gezîa_ e _kharâg_; la prima su
le persone, il secondo su i beni stabili. La gezîa che suona
compensazione, aggiungasi della sicurtà data alle persone e alla roba,
era una tassa testatica di quarantotto dirhem all'anno[850] su i ricchi,
ventiquattro su gli uomini di mezzane facultà, e dodici su i
nullatenenti costretti a vivere di lavoro manuale, escluse le donne, i
bambini, i frati, gli storpii, i ciechi, i mendici e gli schiavi. Kharâg
vuol dire ritratto o rendita. Si levava, come le contribuzioni fondiarie
dei tempi nostri, sul fruttato presunto, in ragion composta della
estensione del terreno e maniera della cultura: e in alcune province
musulmane fu in origine il venti per cento; ma la somma spesso restò
invariabile, talchè scemata la rendita, il dazio tornò più grave. La
gezîa cessava per conversione all'islamismo. Per contraddizione fiscale,
necessaria al mantenimento dello Stato, il kharâg continuava non ostante
che il possessore si convertisse, o che il podere passasse in man di
Musulmano.[851]
Ingiuriosi furono e molesti gli statuti di polizia civile. Vietato agli
dsimmi di portare armi, montar cavalli, metter selle su' loro asini o
muli, fabbricare case più alte o al ragguaglio di quelle dei Musulmani,
prendere nomi proprii in uso appo i Musulmani e fin di adoperare
suggelli con leggende arabiche. Proibivasi di più che bevessero vino in
pubblico, accompagnassero i cadaveri alla sepoltura con pompe funebri e
piagnistei; e alle donne loro di entrare nel bagno quando fosservi donne
musulmane e rimanervi quando quelle sopravvenissero. E perchè non si
dimenticasse in alcuno istante la inferiorità loro, era ingiunto agli
dsimmi di tenere un segno su le porte delle case, uno su le vestimenta,
usare turbanti d'altra foggia e colore e sopratutto portare una cintura
di cuoio o di lana. In strada eran costretti a cedere il passo ai
Musulmani; stando in brigata, a levarsi in piè quando entrasse o uscisse
uom della schiatta vincitrice.[852]
Parrà mirabile dopo ciò la tolleranza dei regolamenti di polizia
ecclesiastica, che limitavansi a vietare la costruzione di novelle
chiese e monasteri, ma non già la restaurazione degli edifizii
attuali.[853] Del rimanente era lecito alle chiese di redare;[854]
liberissimo lo esercizio del culto nei tempii e nelle case; ma si
inibiva di far mostra di croci in pubblico, leggere il vangelo sì alto
che lo sentissero i Musulmani, ragionare del Messia con costoro, e
suonare furiosamente campane o tabelle.[855] Non si intrometteano i
Musulmani nè punto nè poco nelle materie di domma, culto, o disciplina,
e proteggeano ugualmente i sudditi cristiani di qualsivoglia setta.[856]
A condizioni poco diverse il califo Omar aveva accordato l'Amân ai
cittadini di Gerusalemme, il quale servì di norma in tutti i tempi,
salvo i mutamenti consigliati dalle circostanze o dall'umor dei
vincitori. I patti del vassallaggio si osservarono con rigore sotto i
governanti duri o bacchettoni, e quando rincrudiva il fanatismo del
popolo; si trascurarono più sovente per saviezza e dispregio di chi
reggeva, e per la riputazione dei cristiani amministratori delle entrate
pubbliche, medici, segretarii, cortigiani, grossi mercatanti, o
innalzatisi in qual altro modo sappiano usare lo ingegno e l'astuzia per
domare la forza brutale. Gli Ebrei, come ognun sa, e molti ne viveano
allora in Sicilia, soggiaceano alle medesime leggi. È bene di notare che
quanto ho qui scritto degli dsimmi, quanto dirò degli schiavi, si ritrae
dagli esempii d'altri paesi; ma che si dee ritenere prescritto anco in
Sicilia, per la medesimità delle circostanze e la uniformità delle
costumanze musulmane. Raccoglierò in altro luogo gli attestati
risguardanti l'esercizio del culto cristiano in Sicilia, ch'è stato
messo in forse per erronei supposti e poca attenzione alle generalità
che or ora accennai.
Se dalla condizione degli dsimmi ci volgiamo alle speciali istituzioni
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