Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I - 18

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quale niun Musulmano potea dir contro, Ziadet-Allah interrogò gli
oratori, tra i quali si trovava, forse da interprete, un Musulmano; i
quali risposero: “È vero, sono stati imprigionati i vostri in Sicilia,
ma a ragione; poich'essi non se ne andarono a tempo debito.”[424] Così
non sinceraronsi punto i dotti musulmani della infrazione della tregua,
nè cessarono di ripugnare alla guerra di Sicilia:[425] ma il pretesto
v'era; il fanatismo religioso e le cupidigie mondane gli dettero forza
di ragione; e il principe, i guerrieri, il popolo trovarono, senza meno,
che il solo Ased intendesse bene la legge.
Fu discorsa insieme la utilità della impresa. Messo da altri il partito
di infestare la Sicilia, senza farvi stanza nè porvi colonie, levossi a
contraddirlo un Sehnûn-ibn-Kâdim. “Quanto v'ha,” dimandava costui “tra
la Sicilia e l'Italia?” “Si va e viene due o tre volte dal levare al
tramonto del sole,” gli risposero. “E tra la Sicilia e l'Affrica?”
ripigliò; e quelli: “V'ha un giorno e una notte di viaggio.” “Oh, se pur
avessi l'ale, non vorrei volar su quest'isola,” conchiudea Sehnûn;
scherzando sul proprio nome che si dà in Affrica a un uccello assai
scaltrito. Quest'arguzia per altro non giovò. I più, a una voce,
deliberarono la guerra; ma d'incursione, non di conquisto.[426]
Allora Ased, che non si era tanto affaticato per una scorreria, pensò di
portarla dassè al fine che si proponea, non ostanti tutti i dottori; e
indi si fece, senza rispetti, a chiedere il comando dell'oste che
ambivano parecchi altri uomini di maggior seguito per nobiltà di
schiatta ed esperienza di guerra. E non curando Ziadet-Allah tal novella
ambizione del giurista, forse facendosene beffe, quegli si volse al
popolo, e andava brontolando: “Ve' che non mi vogliono, perchè mi
tengono uom da nulla! Han saputo ben trovar nocchieri che governino le
navi; che bisogno or hanno di chi le faccia andare secondo il Corano e
la Sunna?”[427] Ma tanta riputazione ebbe Ased nell'universale dei
cittadini da lui esortati e infiammati alla guerra sacra, che
Ziadet-Allah piegossi, con tutta quell'indole sua imperiosa, e fece
ammenda della passata ripugnanza. Appresentatoglisi Ased, e chiestogli
che, secondo, i sacri statuti, or che l'avea fatto capitano, lo
deponesse dal magistrato: “Non fia mai” rispose il principe, “ch'io te
ne rimuova. Ben v'aggiungo l'officio di capitano che è di più alto
grado, ma vo' che tu ritenga anco il primo, e che sii detto cadi emiro.”
E così fu fatto, continua il cronista contemporaneo Ahmed-ibn-Soleiman,
nè mai s'è visto prima nè poi nello Stato d'Affrica cumulare in una
persona quelle due dignità.[428]
Si allestiva in questo mentre l'armata nel porto di Susa, ov'Eufemio fu
mandato ad aspettare con le sue genti.[429] Quando ogni cosa trovossi in
puntò, data la posta all'esercito a Kairewân, Ased movea con quello alla
volta di Susa; e all'uscita della città l'accompagnavano, per fargli
onore, i primarii tra i dotti con la gemâ', ossia municipalità, e tutta
la corte del principe; che Ziadet-Allah non volle che rimanesse addietro
alcun de' suoi famigliari. A Susa poi si fece la mostra dell'oste. Narra
un testimonio di presenza che Ased, commosso dal nobile spettacolo, gli
squadroni schierati in faccia, a tergo e ai fianchi, il volteggiare,
delle bandiere al vento, l'annitrio dei cavalli, il frastuono dei
tamburi, fatto silenzio, orò in queste parole: “Non v'ha altro Dio che
il Dio uno, il Dio che non ha compagni. Affè di Dio, valorosi guerrieri,
nè avolo nè padre ebbi io che mi lasciassero signoria,[430] e pur uomo
al mondo non fu mai onorato di eletto séguito al par di questo; nè lo
spettacolo che ci sta dinanzi agli occhi io l'ho visto mai, fuorchè
negli scritti. Su, dunque, sforzate alacremente gli animi, affaticate i
corpi nel cercare scienza, e fatene tesoro, nè siatene sazii giammai, nè
mai vinti da' travagli ch'ella v'arreca, e sappiate che ne conseguirete
il guiderdone in questa vita, e in quella ch'è da venire.”[431] Nè ci
danno altro della orazione di Ased i biografi, eruditi che ne presero
quel tanto che lor pareva onorasse il mestiere; come i frati cronisti
del medio evo notavan solo dei principi il bene o il male fatto al
monastero. Duolmi pertanto non avere ricordi più larghi, e dover
sopperire con gli sforzi delle generalità, le quali se bastano a
tratteggiare i tempi, mal ci aiutano a delineare le fattezze degli
uomini, in cui la natura è sì svariata e capricciosa. E veramente da
quelle parole di Ased trapela la vanità dell'uomo nuovo e l'orgoglio del
dotto, e par vedere Cicerone pavoneggiarsi con la corazza indosso; ma
son soppressi al certo, come cosa di minor momento, gli alti sensi che
resero sì potente Ased nel tumulto degli animi della colonia, dico il
fervore religioso e militare, la virtù del primo secolo dell'islamismo,
al quale tornavan sempre col pensiero i giureconsulti di quel tempo, e
forse Ased sopra ogni altro. Notevol è che il conquisto di Sicilia,
promosso da questo grande, fu l'ultimo al tutto della schiatta arabica,
e l'ultimo dello islamismo in Ponente. In Levante, le insegne dell'islam
s'eran anco soprattenute da cento anni, nè ripigliarono la via dei
conquisti che lunga pezza appresso, in mano della schiatta turca: sopra
l'India, cioè, nello undecimo secolo, coi Gaznevidi; sopra l'Europa, nel
decimoquinto, con gli Ottomani.


CAPITOLO III.

S'era adunato al bando della guerra sacra il fior de' guerrieri
musulmani dell'Affrica: Arabi, Berberi, soprattutto della tribù di
Howâra,[432] rifuggiti Spagnuoli e il giund, frequentissimo di Persiani
del Khorassân;[433] e tra tutti notavansi molti uomini di dottrina e di
consiglio.[434] Sommò lo esercito a settecento cavalli e diecimila
fanti; il navilio a settanta o secondo altri cento barche, senza
noverarvi l'armatetta d'Eufemio.[435] Sciolsero dal porto di Susa[436]
il quindici di rebi' primo dell'anno dugentododici dell'egira,[437] che
torna al tredici giugno ottocentoventisette; e drizzandosi alla più
vicina punta della Sicilia, posero a terra le prime navi, il sedici
giugno, a Mazara, ov'Eufemio avea partigiani, o volle schivare il
Lilibeo come città assai munita. Ased, fatti sbarcare immantinente i
cavalli, soprastette tre dì, attendendo forse il rimanente delle navi;
nè fu sturbato, se non che capitò una torma di cavalli degli aderenti di
Eufemio; i quali il cadi fece pigliare e rilasciolli poichè li ebbe
conosciuto.[438] Pur non fidandosi di Eufemio, quando fu ora di venire
alle mani, chiamatolo a sè, gli dicea breve: non aver mestieri di
ausiliarii; si mettesse in disparte con le sue genti; ma pigliassero una
divisa per distinguersi da' nemici, perchè i Musulmani per errore non li
offendessero. E così furono costretti a fare. Un ramoscello di pianta
salvatica, messo per fregio all'elmetto,[439] notò cotesti sventurati
che non avean più amici nè patria, nè altra bandiera che della privata
vendetta: messi per primo supplizio a guardare con la braccia
incrocicchiate il successo della battaglia.
Decisiva la battaglia che sovrastava; poichè trovandosi i Musulmani su
la costiera, e avendoli aspettato lungamente il Palata, e ragunato tutte
le forze dell'isola, delle due cose dovea seguir l'una, o ch'ei li
rituffasse in mare, o che sconfitto da loro lasciasse l'isola senza
difese. Capitanava cencinquanta mila uomini, dicono certi cronisti
musulmani, per non restar di sotto agli scrittori cristiani che lor
n'han fatto uccidere trecentomila da Carlo Martello a Tours: pur senza
dubbio l'oste siciliana avanzava molto di numero quella di Ased.[440]
Saputo che il Palata si fosse venuto a porre in una pianura che prese il
nome da lui[441] il cadi usciva in ordinanza da Mazara[442] il quindici
luglio[443] e schierò l'oste musulmana a fronte alla greca. Aspettò,
secondo il costume degli Arabi,[444] la carica de' nemici: tutto solo
innanzi le file tenendo in alto il pennon del comando, ripetea sottovoce
il capitolo _Ja-Sin_, il cuor del Corano, come lo chiamò Maometto,
lugubre preghiera che suolsi recitare ai moribondi. Così tre secoli
appresso stava il gran Saladino nei campi di Siria all'appiccar della
zuffa. Ma a vedere un uomo incanutito su i libri e nel fôro incontrar sì
securo le lance bizantine, dovea parer miracolo ai guerrieri affricani.
Mentre ci tremava il cuore in petto, scrive un di loro per nome
Ibn-abi-'l-Fadhl, mentre ci tremava il cuore per Ased, ei fornì tutta la
sua prece, e a un tratto volgendosi a noi: “Son questi,” disse, “i
medesimi Barbari della costiera d'Affrica; i vostri schiavi! Non li
temete, o Musulmani!” E sparve il campo di mezzo: e Ased trovossi
avvolto il primo tra gli squadroni nemici. N'uscì tutto intriso del
sangue che gli scorrea per l'asta della lancia, lungo il braccio e
infino all'ascella, afferma il narratore maravigliato dalla fierezza del
vecchio cadi.[445] Di quella degli altri, ch'era virtù comune tra gli
Arabi, non ne fa motto alcun dei cronisti; e descrivono questa giornata,
come cento e cento altre, tutti con una diceria: che aspra fu la
mischia; che Dio dissipò i nemici; che grandissima preda fecero i
Musulmani, di cavalli, ricchezze, bagaglio; che menarono strage degli
Infedeli. Il Palata rifuggissi a Castrogiovanni, ove, non tenendosi
sicuro, passò in Calabria, e fu morto.[446] Donde si vede che la
sconfitta, com'avviene sempre quando il popolo diffidi dei governanti,
produsse incontanente nuove turbolenze tra le soldatesche e nelle città:
ma nulla v'approdò la parte d'Eufemio, che si era infamata chiamando i
Musulmani.
Il vincitore intanto tirava a dirittura vêr la capitale. Lasciato
presidio a Mazara sotto un Abu-Zeki della tribù di Kinâna, e occupate
varie altre castella che assicurassero la linea d'operazione
dell'esercito, Ased ratto percorse la strada romana della costiera
meridionale, com'ei pare, fino alla foce del Salso o poc'oltre; donde
poi pigliò la via dei monti che mena a Siracusa per Biscari, Chiaramonte
e Palazzolo, l'antica Acri.[447] Quanti Siciliani non perdettero l'animo
al primo disastro, avean raccolto ad Acri, credo io,[448] le poche armi
che rimaneano nell'isola; e speravano, tra la fortezza del luogo e
l'astuzia, intrattenere l'esercito musulmano, tanto che si munisse
Siracusa. Però, appressandosi Ased, vennero a trovarlo oratori, dei
primarii del paese, con lor fole di accordo: che sottometterebbersi e
pagherebbero la gezîa, purch'egli non andasse oltre. E Ased, raggirato,
al dir dei cronisti arabi, soprastette alquanti dì,[449] e riscuotè una
prima taglia di cinquantamila soldi d'oro, che tornano a un di presso,
in valor del metallo, a settecento mila lire nostrali.[450] Forse il
cadi volle anch'egli apparecchiarsi allo assedio di Siracusa, più arduo
assai che non gli era paruto da lungi: volle aspettare l'armata;
riordinare lo esercito, impedito dal bottino e dai prigioni,
assottigliato dai presidii che avea lasciato qua e là nella lunga via, e
dai predoni vaganti senza comando. Ma quand'ei vide che la dimora
giovava al nemico più che a lui; quando seppe che facean diligenza ad
afforzare Siracusa e le altre castella, e ridurvi i tesori delle chiese,
le vettovaglie, e ogni roba di maggior pregio delle terre aperte; quando
ebbe sentor delle pratiche d'Eufermio, il quale sottomano confortava i
cittadini a tener fermo e combattere valorosamente per la patria; e
quando i Siracusani si cominciarono a scoprire ricusando il rimanente
del denaro pattuito, il condottier musulmano non differì a disdire la
tregua. Sparse le gualdane per ogni luogo; sforzò o schivò la fortezza
d'Acri; e col novello terrore delle stragi, delle depredazioni e de'
guasti del contado, piombò sopra Siracusa.
E alla prima occupava, dice Ibn-el-Athîr, certe enormi spelonche intorno
la città:[451] al certo le latomie di Paradiso, Santa Venera, Navanteri,
Cappuccini, che giacciono a distanze disuguali, in una linea spezzata di
più di un miglio, al confine meridionale dei quartieri di Neapoli e
Acradina, distrutti tanti secoli innanzi. Tra le latomie e l'istmo
giacea nel nono secolo un quartiere,[452] murato senza meno dalla parte
di terra dall'uno all'altro porto; sì che doveva opporre ai Musulmani
una vasta linea di fortificazioni. Pertanto Ased, non potendo altrimenti
investir la città, senza macchine, senza grossi navigli, senz'altro che
otto o novemila uomini, si accampò nelle latomie, raccolto e minaccioso;
fece accostare l'armata che chiudesse alla meglio i due porti; diè
qualche sanguinoso assalto; bruciò navi ai nemici; fece prova a stringer
la città per terra e per mare; e s'affrettò a chiedere rinforzi
d'Affrica.[453] Perchè la fame cominciava a travagliare il campo, più
che la città; sendo ridotte in questa le vittuaglie del contado; nè
potendo i Musulmani troppo allargarsi a depredare. Vennero a tale
penuria, che si cibaron di cavalli, ed i soldati un dì s'abbottinarono.
Scelsero ad oratore un Ibn-Kâdim,[454] il quale fattosi innanzi ad Ased
richiedealo di levare l'assedio, e tornarsene in Affrica; dicendo avere
l'esercito più cara la vita di un sol Musulmano che tutti i beni della
Cristianità. Al quale il capitano brusco rispondea: “Non son io quegli
che farà tornare addietro i Musulmani usciti alla guerra sacra, mentre
hanno ancor tante speranze di vittoria.” Vedendo crescere, ciò non
ostante, la insolenza dei soldati, ei rincalzò minacciando che arderebbe
le proprie navi. Indi parea che dalle parole fossero per venire ai
fatti; e Ibn-Kâdim andava dicendo: “Per manco di questo fu ucciso il
califo Othman;” quando Ased domò i malcontenti come fanciulli: sì
valoroso uomo egli era, e sì disciplinato lo esercito. Ased di mezzo a
loro fe' pigliare Ibn-Kâdim, e dargli qualche staffilata, senza
spogliarlo, com'era usanza: esempio, però, non supplizio, nè vendetta; e
meritata vergogna di chi braveggiava per voglia di voltar le spalle al
nemico. E così ebbe fine il tumulto. Il biografo chiude questo racconto
con bella semplicità, dicendo che le staffilate non furon più di tre o
quattro; ma che Ased tirò innanzi costante e vittorioso, tanto che diè
ai Greci una fiera battaglia, e ne fe' strage, li ruppe e schiantolli
dalla Sicilia.[455]
Perchè venian da una mano fresche genti d'Affrica insite coi venturieri
spagnuoli di Creta;[456] dall'altra Michele il Balbo accozzò
soldatesche, e indusse il doge Giustiniano Partecipazio a mandare in
Sicilia l'armata veneziana.[457] Ingrossando per tal modo la guerra, si
venne a un'altra giornata, al dire d'Ibn-el-Athîr, quando, giunti gli
aiuti d'Affrica, il governatore di Palermo uscì alla campagna con
poderoso esercito; ma non sappiamo se i Musulmani fossero sbarcati a
Mazara o a Siracusa, e se l'oste di Palermo avesse lor tagliato la via,
ovvero combattuto insieme contro essi ed Ased congiunti sotto
Siracusa.[458] Sentendo venirsi addosso forze maggiori, i Musulmani si
cinsero d'un largo fossato; e fuori da quello buccherarono tutto il
terreno di pozzette, ottima difesa contro i cavalli, adoperata sovente
dai Bizantini e scritta ne' loro libri di strategia. Pur dimenticando le
proprie arti, caricarono con vano impeto i Cristiani; si avvilupparono
nel mal terreno, e incespando i cavalli e scompigliandosi gli uomini, i
Musulmani ne fer macello. Strinsero indi più fortemente Siracusa per
mare e per terra:[459] che ormai durava l'assedio da dieci mesi o un
anno,[460] e si venne a tale che i cittadini proponeano un accordo, e i
Musulmani lo ricusavano.[461] Non poche altre terre s'eran sottomesse,
onde parea da temere che presto le imitasse tutta l'isola.[462]
Quando una moría s'appiccò nello esercito; della quale, altri dice di
ferite, trapassava il grande Ased-ibn-Forât, nella state dell'ottocento
ventotto, ed era sepolto nel campo.[463] Lasciò desiderio di sè
nell'universale dell'esercito; e al certo vi si ricordavano a gara le
lodi che hanno scritto di lui i biografi: la sapienza, le lettere, la
prudenza, l'antica virtù, gli strepitosi fatti che operò, le famose
concioni che tenne nella guerra di Sicilia.[464] Mancato lui, la fortuna
voltò le spalle ai Musulmani. Gli statichi delle varie città sottomesse
fuggirono incontanente dal campo,[465] in alcuno scompiglio d'assalto o
sedizione; ovvero per bella audacia, volendo andare a gridare per tutta
la Sicilia ch'era tempo di togliersi d'addosso i Barbari. E tra costoro
non posava la discordia; quando leggiamo che Mohammed-ibn-el-Gewâri,
succeduto ad Ased, era eletto al supremo comando, non dal principe
aghlabita, ma dall'esercito stesso.[466] A ciò ben si riconoscono coloro
che, pochi anni addietro, avean fatto tremare Ziadet-Allah in Affrica, e
affrontato il tiranno di Cordova.
D'altronde gli assedianti non poteano sperare nuovi aiuti d'Affrica,
dove in quel medesimo tempo gli Italiani aveano osato portar la guerra.
Bonifazio secondo, conte di Lacca, sapendo i casi di Sicilia, o
provocato da qualche insulto che avesser testè fatto pirati musulmani in
Corsica, accozzava le genti con Berengario fratel suo, e altri conti
della Toscana; allestivano un'armatetta; e, fatto vela per la Corsica e
non trovandovi il nemico, andavano a cercarlo in Affrica. Posero a terra
tra Utica e Cartagine, dicono gli annali d'Einhardo; presso Kasr-Tûr,
leggiamo, per tradizione di Lebîdi, nel _Riadh-en-nofûs_; e rotti in
cinque scontri i Musulmani con molta strage, ma perduto poi per troppa
temerità un po' delle proprie genti, se ne tornarono in Italia. Così
Einhardo.[467] Il Lebîdi riferisce con altri particolari il medesimo
successo. Narra che Mohammed, figlio di quel Sehnûn-ibn-Sa'îd, che fu
giurista di alta fama in Affrica; andando da Kairewân a Kasr-Tûr a far
la ispezione dei posti di guardia, e sentendo gridare accorruomo dalla
gente della marina e dei villaggi assaliti dagli Italiani, occorsevi,
com'era, sopra una mula da viaggio, senza perder tempo a mandare a Susa
per un cavallo; vestì la corazza, s'armò di spada e lancia; adunò gli
uomini del castello, le guardie della costiera e una mano di Beduini; e,
caricato il nemico che s'era messo a far preda e prigioni, dopo
sanguinosa zuffa, lo ruppe e sforzò a rifuggirsi su le navi.[468] La
quale fazione nel cuor dello Stato aghlabita bastava a distogliere
Ziadet-Allah dalle cose di Sicilia, quand'anco avesse avuto voglia
d'aiutare l'esercito contumace, e forze da farlo, e quiete in casa.[469]
Soprattutto affranse gli assedianti la moría fieramente incrudelita; e
il veder arrivare in questo l'armata bizantina e veneziana, piena di
soldatesche. Risoluti a ciò d'abbandonare l'impresa, i Musulmani
risarciscono alla meglio lor legni nel porto grande di Siracusa; e
montanvi e salpano: quando le poderose forze navali de' nemici chiusero
la bocca del porto. Allora, senza far vana prova a rompere la fila delle
navi cristiane, i Musulmani, tornano addietro a terra; brucian le
proprie, anzichè lasciarle al nemico; e, sicuri per disperazione,
s'addentrano nei monti, cercando luoghi più forti e salubri. Nessun
cronista ci lasciò scritte quelle perdite spaventevoli che patì
necessariamente l'esercito, infetto d'epidemia, trabalzato dal campo su
barche, e dalle barche a terra, spinto in fretta tra vie rotte ed
alpestri, senza bagaglie, senza giumenti da portare gl'infermi.
Ibn-Khaldûn solo accenna a tante afflizioni, con dire che i
sopravvissuti non bramavano ormai che la morte.[470]
A una giornata di cammino da Siracusa, tra un gruppo di vulcani estinti,
sorge in cima ad eccelso monte la città di Mineo, ristorata da Ducezio
re dei Sicoli, cinque secoli innanti l'era volgare, quand'ei cominciò
sua dura lotta contro le colonie greche. Due miglia sotto la rôcca, da
un cratere vulcanico, spiccia un'acqua torbida e puzzolente, detta
nell'antichità il lago dei Palici: sede d'oracoli e iddii vendicatori.
Tra questi luoghi sostò lo stuol musulmano, divorato dalla pestilenza,
guidato da Eufemio che, in abito e nome d'imperatore, recava seco le
maledizioni di tutta la Sicilia: e parea gli antichi numi lo attirassero
in loro voragini. Nella nuova religione la rôcca di Ducezio s'affidava
alla protezione di Sant'Agrippina, martire romana, le cui ossa trafugate
da pie donne, recate in Mineo, onorate di tempio e di culto, si teneano
come palladio della città. Pertanto una leggenda greca, del decimo o
undecimo secolo, favoleggiò che montati di notte i Barbari su per le
mura di Mineo, appariva da quelle Santa Agrippina levando in alto una
croce e mandava giù a precipizio gli assalitori, che un solo non ne
campò.[471] In tal mito si ristrinsero le vicende della guerra succedute
in un anno, secondo le cronache arabiche. Sappiam da queste come i
disperati Maomettani, a capo di tre dì, si insignorissero di Mineo,[472]
ove par si fosse dileguata da loro l'epidemia, com'avvien sovente per
mutar di luogo. Rinfrancati, mandavano uno stuolo su la costiera
meridionale; il quale espugnò Girgenti, città molto decaduta sotto la
dominazione romana e bizantina. Indi intrapresero più importante
fazione. Lasciato presidio a Mineo, si spinsero nel cuor dell'isola,
sotto le formidabili rupi di Castrogiovanni. Questa è l'antica Enna, il
cui nome par che già corresse mutato e guasto nella lingua del volgo. In
fatti il Beladori, cronista arabo del medesimo secolo nono, lo scrivea
Kasr-Iânna[473] che è trascrizione di _Castrum Ennæ_, pronunziata
_Ienna_; appunto com'or si direbbe in Sicilia, soprattutto a Messina,
ove la schiatta greca di Sicilia lasciò più profonde radici. Allargata
poi dagli Arabi la prima sillaba, prevalse nell'isola la forma di Iânna;
e con l'andar del tempo, massime nel duodecimo secolo, quando
sopraggiunse nuov'onda di popolazione italiana, si piegò a Ioanni o
Giovanni ch'era voce più famigliare agli orecchi, e il nome intero si
mutò com'adesso lo scriviamo. Ho notato coteste minuzie, e così farò per
lo innanzi quante volte me ne occorra, potendo servire agli studii di
linguistica, che or vanno spargendo tanto lume nella storia.
Eufemio trovò a Castrogiovanni la morte ch'ei forse bramava. Appiccata
una pratica con terrazzani o soldati, vi fu chi venne seco ad
abboccamento; finse volerne consultare in città; andovvi e tornò ad
Eufemio un'altra fiata nello stesso dì: e la conchiusione fu che i
cittadini si disponevano a fare ogni voler suo e dei Musulmani; sarebbe
disdetto il nome di Michele il Balbo, giurata fede a lui la dimane, a
tal ora, a tal luogo, a distanza onesta tra le mura e il campo. La notte
v'ascosero lor armi. Al nuovo dì, in vestimenta di gala, servilmente
lieti, comparvero al ritrovo; e venne dall'altra parte Eufemio con
picciola scorta e lasciolla anco addietro un trar d'arco. I cittadini si
prostravano dinanzi al posticcio imperatore, in atto di adorazione, come
si usava allora, nè è smessa per anco tal vergogna. Ma due fratelli, che
par fossero stati amici d'Eufemio innanzi la guerra, si spiccano dal
branco degli adoratori; corrono bramosi ad abbracciarlo: il misero,
disusato da lungo tempo alle espansioni dell'affetto, si commosse, si
chinò a baciare l'un dei fratelli; il quale amorosamente gli prende il
capo con ambo le mani, l'afferra pei capelli, lo tiene con disperato
sforzo, e l'altro fratello gli vibra un colpo su la nuca e il fa cascar
morto.[474] Allor la brigata diè di piglio alle armi occultate: impuni e
tripudianti i due traditori riportarono in città il capo d'Eufemio: e
forse furono paragonati alla Giuditta, chiamati liberatori della patria,
sì come poi la cronaca di Costantino Porfirogenito li disse vendicatori
dell'onore imperiale contro un usurpatore. Questa fine ebbe il prode
condottiero siciliano, strascinato dai vizii del governo e del paese a
ribellarsi dall'uno, e dar l'altro in preda agli stranieri.
Ostinandosi con tutto ciò i Musulmani all'assedio, andava a rinforzare
la città Teodoto patrizio, testè giunto di Costantinopoli con
soldatesche di varie genti, la più parte Alemanni, come porta il
manoscritto del Nowairi, ma probabilmente si dee leggere Armeni.[475]
Sta Castrogiovanni in un piano scabro e inclinato che tronca la vetta
d'alto monte, di costa scoscesa da ogni lato, ripida e superba da
settentrione molto più che da mezzogiorno: le case sono sparse a gruppi
or alto or basso, come ondeggia il suolo del rispianato; ove spiccasi in
alto, verso greco, una immane rupe, stagliata intorno intorno, coronata
di grosse mura e torrioni, provveduta di scaturigini d'acque, capace di
grosso presidio: cittadella che può dirsi inespugnabile, perch'è stata
presa rarissime volte.[476] Su la rupe sorgea nell'antichità il tempio
di Cerere, quasi la Dea da quella cima vegliasse sopra l'isola sua: e
quivi i Bizantini avean posto ogni speranza di difesa, afforzando il
formidabil sito con gli ingegni di lor architettura militare; e il borgo
che stendeasi nel rispianato, ov'è in oggi la città, potea sfidare
anch'esso gli insulti nemici. Era il nemico attendato alle falde del
monte, credo da mezzodì ov'è una pianura; ciò che Ibn-el-Athîr fa
supporre, scrivendo, come i due eserciti si ordinassero in fila, l'uno a
fronte dell'altro. Perocchè Teodoto, solo capitano degno del nome che
ebbero i Bizantini in questa guerra, fidandosi in sè e nel numero de'
suoi, scese giù dal monte a presentar la battaglia. E toccò una
sanguinosa sconfitta; sì che s'ebbe a rifuggire a Castrogiovanni,
lasciando al nemico moltissimi prigioni, tra i quali si noveravano
novanta patrizii, dicono le croniche musulmane,[477] forse giovani di
famiglie patrizie, e anco di nobiltà minore: ma pur ciò basta a mostrare
la importanza dell'esercito bizantino.
Indi l'assedio continuò; nel qual tempo tanto ordinatamente reggeansi i
Musulmani, che dell'argento preso batteron moneta. Se ne conosce non
saprei dir se due esemplari, o un solo; trovandosene uno pubblicato dal
Tychsen, ed uno posseduto dal Museo Numismatico di Parigi, che ben
potrebbe essere il medesimo. È moneta sottile, non logora, coniata a
lettere cufiche dello stesso stile dei dirhem abbassidi contemporanei;
pesa due grammi e novanta centesimi; vale perciò da sessanta centesimi
di lira italiana. Oltre le usate formole, la faccia dritta ha nel campo
una voce di tre lettere, simbolo particolare degli Aghlabiti, poi il
nome di Ziadet-Allah-ibn-Ibrahim, e infine la stessa parola composta
Ziadet-Allah nel senso proprio di “Accrescimento (dato da) Dio.” Nel
campo del rovescio si legge, interpolato alla formola, come ve n'ha
tanti esempii, il nome di Mohammed-ibn-el-Gewâri; e in giro:
“In nome di Dio questo dirhem fu battuto in Sicilia l'anno dugento
quattordici.”[478] E si deve intendere dei principii di quell'anno,
ossia della primavera dell'ottocento ventinove; nel qual tempo gli Arabi
assediavano Castrogiovanni, e mancò di vita Mohammed-ibn-el-Gewâri.
Dopo la cui morte, rifatto capitano, per elezione dell'esercito, un
Zoheir-ibn-Ghauth,[479] l'avvantaggio della guerra tornò ai Bizantini.
Perchè, uscita a far preda, com'era usanza, una gualdana degli Arabi,
Teodoto le mandò incontro genti che la combatterono e rupperla; e la
dimane, venuti a giusta giornata ambo gli eserciti, Teodoto riportò anco
la vittoria; ammazzò da mille uomini ai Musulmani, e li cacciò infino
agli alloggiamenti; dove si munirono con fossati, e furono a lor volta
assediati e chiusa loro ogni uscita. Apprestatisi pertanto all'estremo
rimedio di tentare una sortita di notte sopra il campo bizantino,
Teodoto, che lo riseppe, lasciò vôto il luogo; si appostò nei dintorni;
e quando i Musulmani aveano occupato il campo, maravigliati del non
trovarvi anima viva, il nemico piombò improvvisamente da tutti i lati,
ne fece strage: li sbaragliati a mala pena si ritrassero a Mineo.
Inseguendoli Teodoto, li assediò nella fortezza; e alfine li condusse a
tale diffalta di vittuaglie, che doveano cibarsi de' giumenti e de'
cani. A questi avvisi il picciol presidio di Girgenti distruggea la
città, leggiam nelle cronache, forse le sole fortificazioni; e non
potendo soccorrere que' di Mineo, si ridusse a Mazara. Aumentato
l'esercito bizantino, e rincorato da un capitano di vaglia; avvezzi un
po' gli abitatori dell'isola al romore delle armi, innaspriti dalle
profanazioni, saccheggi e guasti degli Infedeli; e costoro menomati tra
vittorie e sconfitte, non fidanti nel nuovo condottiero, mancato lor
anco Eufemio, dileguati già prima i suoi partigiani: tali erano le
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