Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I - 36

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descrizioni altrui e alle notizie scritte dal diligentissimo D'Amico nel
_Lexicon Topographicum Siciliæ_.
[477] Confrontinsi Ibn-el-Athîr, Ibn-Khaldûn e Nowairi, ll. cc.
[478] Il simbolo va letto non _Ali_, nè in alcuno degli altri modi mal
trovati dai numismati del secolo passato, ma certamente _gheleb_, verbo
trilitere che significa “occupa, conquista, vince,” e, preso
all'ottativo, “conquisti, vinca etc.” Da questo verbo deriva l'aggettivo
_Aghlab_ che era insieme il nome patronimico della dinastia. Indi si
capisce la etimologia di tal simbolo, il significato particolare che
dava unito alla voce _Ziadet-Allah_, ossia “trionfi la fortuna accordata
da Dio,” e il doppio scherzo di parole contenuto nella leggenda.
Veggasi Tychsen _Additamentum I introductionis in rem nummariam
Muhammedanorum_, § 1, p. 40, e 41. Nell'esemplare di Parigi il nome
el-Gewâri è preceduto dalla voce _bnu_ (figliuolo), non da _abi_ come
lesse il Tychsen. La formula in giro della faccia dritta è cavata dalla
sura IX, verso 33, del Corano.
Il signor Mortillaro, _Opere_, tomo III, p. 343, non avendo sotto gli
occhi che il disegno pubblicato dal Tychsen, credè questo dirhem falsato
e “avanzo della impostura di Vella.” Ma basta guardare il bel conio
dell'esemplare di Parigi per dileguare ogni dubbio di falsificazione: e
basta notare la esattezza delle formule e la correzione dell'ortografia
e della grammatica per sincerarsi che l'ignorante Vella non ci ebbe che
fare.
Nel Museo di Parigi non v'ha ricordi scritti nè tradizione, da poter
affermare o negare che questo esemplare fosse il medesimo di Tychsen.
[479] Scrivo questo nome secondo il MS. A di Ibn-el-Athîr. Nel MS. C, si
legge men distinto. Il testo stampato d'Ibn Khaldûn ha “Ibn-'A w n” e un
MS. di Tunis del medesimo autore “Ibn-'A w m;” Nowairi, secondo ambo i
MSS. “Z h r-ibn-Borghuth.” Ghauth è nome di tribù arabica della schiatta
di Kahtân.
[480] Confrontinsi Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo I, fog. 124 verso, e MS. C,
tomo IV, fog. 191 verso; Ibn-Khaldûn, _Histoire de l'Afrique et de la
Sicile_, p. 108; Nowairi, presso Di Gregorio, _Rerum Arabicarum_, p. 6,
7.
Ho fissato la data ritenendo la morte d'Ibn-Gewâri nei primi del 214,
come risulta comparando la leggenda del dirhem e lo attestato di
Nowairi, e pigliando dal _Baiân_, il quale è molto preciso, il tempo
dell'arrivo dell'armata spagnuola in Sicilia, la quale liberò i
Musulmani dall'imminente sterminio. Le vicende della guerra, raccontate
da Ibn-el-Athîr con poco divario nella cronologia, stanno benissimo
entro questi due termini.
[481] Si pronunzii come se si leggesse in francese Ferghaloûch, o in
inglese Ferghalûsh. I nostri antichi lo avrebbero scritto Fergaluscio.
[482] Il _Baiân_, più diligente in questo che le altre croniche, porta
l'arrivo di Asbagh e le sue promesse il 214, e l'aiuto efficace suo il
215. Così abbiamo il bandolo da sviluppare i racconti contraddittorii di
Ibn-el-Athîr e Nowairi; il primo dei quali fa venire una poderosa armata
d'Affrica e nel 214; il secondo, di Spagna e nel 215.
[483] Johannis Diaconi, _Chronicon Venetum_, presso Pertz, _Scriptores_,
tomo VII, p. 16. È incerto l'anno di questa seconda impresa, poichè il
cronista assegna data solo alla prima, cioè dell'827, e della seconda
dice che fosse mandata dal doge succeduto a Giustiniano Partecipazio, il
quale si sa d'altronde che morì l'829.
Si riscontri il Dandolo, lib. VIII, cap. II, §i 1 e 9 presso il
Muratori, _Rerum Italicarum Scriptores_, tomo XII, e la _Cronica
Altinate_, nello _Archivio Storico Italiano_, tomo VIII, p. 20.
Il Rampoldi, _Annali Musulmani_, tomo IV, p. 237, muta le due imprese
dell'827 ed 829, o 30, in due “forti combattimenti ch'ebbe a sostenere
Ased traversando da Susa a Mazara con una flotta di Veneziani alleati
dell'imperatore.” E quel ch'è peggio, egli cita Nowairi, il quale non
dice una parola di questi fatti.
Il Martorana, _Notizie Storiche_ ec., tomo I, p. 39, fa venire il
naviglio greco l'830, sotto il comando di Teofilo, mandato dal padre
Michele il Balbo (ch'era morto l'829), e fa abbottinare contro Teofilo
l'armata veneziana. Delle sue citazioni a questo proposito l'una è
inesatta, l'altra non vale.
[484] Ibn-el-Athîr.
[485] Ricordisi che Ibn-el-Athîr qui parla solo di aiuti d'Affrica; ma
nel progresso della guerra fa menzione delli Spagnuoli in modo da
doverli supporre assai numerosi.
[486] Il _Baiân_.
[487] Nowairi.
[488] _Baiân._
[489] Nowairi.
[490] Confrontinsi Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo I, fog. 124 recto; e MS. C,
tomo IV, fog. 191 verso; _Baiân_, tomo I, p. 96; Nowairi presso Di
Gregorio, _Rerum Arabicarum_, p. 7; Ibn-Khaldûn, _Histoire de l'Afrique
et de la Sicile_, p. 108; _Chronicon Cantabrigiense_, presso Di
Gregorio, op. cit., p. 41.
Questa sola cronica porta la morte di Teodoto, e la dice seguita l'anno
dell'era costantinopolitana 6339, quando fu presa dai Musulmani una
città il cui nome nel testo arabico si legge _misawa_. Il Nowairi porta
la sconfitta di Teodoto sotto Mineo, e ch'ei si rifuggisse a
Castrogiovanni del mese di giumadi secondo del 215, cioè dal 25 luglio
al 22 agosto 830, e però pochi giorni innanzi il principio del 6339, che
corre dal 1 settembre 830 al 31 agosto 831. Ibn-el-Athîr e il _Baiân_
dicono anche levato l'assedio da Mineo. Or questo nome, scritto in
arabico _minâw_, si può scambiare facilmente con quel della cronica di
Cambridge confondendovi le due lettere _i n_ sì che rassomiglino ad una
_s_. Però ho creduto di correggere l'arbitraria lezione di Messina che
si era adottata nelle versioni di detta cronica. Si leggano con questa
avvertenza i passi corrispondenti del Martorana, tom. I, pag. 41, e del
Wenrich, lib. I, cap. IV, §37. Nell'831, quand'essi registrano la presa
di Messina, gli Arabi combatteano ben lungi da quella provincia.
[491] Callonianis è una delle poste di cavalli nella nuova linea che
s'era aperta, al dir dello Itinerario, tra Catania e Girgenti. Veggasi
la edizione di M. Fortia d'Urbain, _Itinéraires des anciens_, p. 27.
[492] _Baiân_, tomo I, p. 97.
[493] Nowairi presso Di Gregorio, op. cit., p. 7, assegna questa data al
principio dell'assedio di Palermo, e la seguo, adattandosi bene alla
narrazione d'Ibn-el-Athîr, al quale dobbiamo i particolari dello
assedio.
[494] Ibn-el-Athîr, come si dirà a suo luogo, fa cenno delle aspre
contese che sorgeano tra Africani e Spagnuoli dopo la reddizione di
Palermo. Perciò gli Spagnuoli eran molti; e si dee necessariamente
supporre che tutti, o i più, fossero venuti con Asbagh, e non rimasti
degli aiuti Spagnuoli che accompagnarono Ased, o sopraggiunsero
all'assedio di Siracusa nell'827; dei quali pochissima parte potea
sopravvivere alla pestilenza, alle sconfitte di Castrogiovanni, e alla
fame di Mineo.
[495] Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo I, fog. 124 recto; MS. C, tomo IV, fog.
191 verso. La cronaca di Cambridge presso il Di Gregorio, op. cit., p.
41, accenna la occupazione di Palermo il 6340, cioè dal 1º settembre 831
al 31 agosto 832. Ibn-Khaldûn, _Histoire de l'Afrique et de la Sicile_,
p. 108, riferisce la dedizione di Palermo al 217, scambiando questo
fatto con quello di ordinarvi il governo, che veramente seguì nel 217.
Il Nowairi, presso Di Gregorio, op. cit., p. 7, prolunga la
dedizione fino al mese di regeb del 220 (835), indotto in errore,
com'è manifesto, dal supporre che là città si fosse resa a un
Mohammed-ibn-Abd-Allah-ibn-Aghlab, ch'ei, per secondo sbaglio, suppone
preposto ai Musulmani di Sicilia in quell'anno.
La cronaca della Cava, nella edizione di Pratilli, _Historia Principum
Langobardorum_, tomo IV, p. 391, reca la presa di Palermo l'anno 832; ma
questa è manifestamente la notizia della Cronica di Cambridge
_interpolata_ dal Pratilli con quella misera frode che si può sospettare
dalle sue proprie parole (stesso volume, p. 381), e che ormai è chiarita
dopo le ricerche del Pertz e del Köpke, _Archiv für ältere Teutsche
Geschichts Kunde_.
[496] Johannes Diaconus, _Chronica episcoporum Sanctæ Neapol. Eccl._,
presso Muratori, _Rerum Italicarum Scriptores_, tomo I, parte II, p.
313, dice presa la città, e liberato col vescovo Luca e pochi altri lo
spatario Simeone. Par che questi fosse il governatore.
[497] Ibn-el-Athîr, l. c., scrive che il governatore (_sâheb_) di
Palermo chiese ed ottenne l'_amân_ per la propria persona e della sua
gente (_ahl_) e per la “sua” roba (_mâl_, ossia beni mobili). La vaga
significazione della voce _ahl_ che or s'intende della famiglia o gente
di casa, or del popolo, non ci permette di definire questa prima
condizione del patto. Ma aggiungendosi che il governatore e i suoi se ne
andavano per mare, è da credere che si trattasse di pochi ottimati, non
di tutti gli abitanti. Quanto alla seconda clausola, Ibn-el-Athîr dice
assicurata la roba “sua,” cioè del governatore, non la roba “loro,” come
avrebbe scritto se ciò fosse stato accordato a tutti i cittadini.
Convengono così fatte espressioni con quelle di Giovanni Diacono, citato
di sopra: _Ad postremum vero capientes Panormitanam provinciam, cunctos
ejus habitatores in captivitatem dederunt. Tantummodo Lucas ejusdem
oppidi electus et Symeon spatharius cum paucis sunt exinde liberati._
Come si debba intendere questa cattività sarà detto quando tratteremo in
generale della condizione dei Cristiani di Sicilia sotto i Musulmani, la
quale non era uguale in tutti i luoghi. Intanto si ritenga che a que' di
Palermo non fu lasciato il possesso di beni stabili. Ciò mi par che
risalti manifesto dalle parole d'Ibn-el-Athîr e di Giovanni Diacono.
Il Nowairi, non badando alta importanza del passo analogo della cronica
ch'egli ebbe sotto gli occhi come Ibn-el-Athîr, dice in generale presa
Palermo con l'_amân_, ossia a patti. Da ciò il Di Gregorio suppose
accordate _tutte_ le solite condizioni dello amân che si dava alle
città; e ne spiegò alcune nella nota (c) al Nowairi, nell'opera citata,
p. 7. Ma le condizioni, massime in fatto di proprietà, non erano nè
poteano essere uguali in ogni luogo.
[498] Gaetani, _Vitæ Sanctorum Siculorum_, tomo II, p. 42, vita di San
Filareto; e la stessa nella collezione dei Bollandisti, _Acta
Sanctorum_, dì 8 aprile.
[499] Veggansi presso Francesco Aprile, _Della Cronologia universale
della Sicilia_, pag. 487.
[500] Mongitore, _Palerm. santif._, p. 164, che io cito su la citazione
dello Aprile. Il Mongitore cavò queste notizie da un MS, del P. Angelo
Sinesio, primo abate nel 1352. Della storia del monastero di
San Martino presso Palermo v'ha un MS. nella Biblioteca imperiale
di Parigi, intitolato _Chronica Monasterii S. Martini de Scalis_
(Saint-Germain-des-Prés, nº 590). Questa compilazione fu fatta in
Sicilia nei principii del XVIII secolo, e indirizzata al P. Massuet
della congregazione di St. Maur.
[501] MS. A, tomo I, fog. 124; MS. C, tomo IV, fog. 102 recto.
[502] _Baiân_, tomo I, p. 97, nell'anno 216; Ibn-Abbar, MS., fog. 35
recto, porta la data del 217.
[503] Nowairi, _Conquête de l'Afrique_, in appendice a Ibn-Khaldûn,
_Histoire des Berbères_, versione di M. De Slane, tomo I, p. 409.
Veggasi anche Ibn-Khaldûn, _Histoire de l'Afrique et de la Sicile_,
traduz. di M. Des Vergers, p. 101.
[504] _Baiân_, tomo I, p. 97, nel 217. Leggendosi forse in alcuna delle
cronache antiche che il primo luogotenente musulmano di Sicilia fosse
stato eletto immediatamente dopo la dedizione di Palermo, Ibn-Khaldûn,
versione di Des Vergers, op. cit. riferisce la dedizione al 217, quando
venne, non al 216 quando fu eletto, Mohammed-ibn-Abd-Allah (Abu-Fihr).
Un doppio errore, di confondere cioè le date delle elezioni e i nomi dei
primi governatori, condusse il Nowairi, presso Di Gregorio, _Rerum
Arabicarum_, p. 7, a differire la presa di Palermo, fino al 220, e far
cominciare il governo di Mohammed-ibn-Abd-Allah in quest'anno nel quale
appunto ei fu ucciso.
[505] Ibn-el-Athîr, l. c.
[506] Negli annali arabi il titolo assoluto di _Sâheb_ è adoperato
promiscuamente con _Malek_ (re), e lo dicono degli imperatori di
Costantinopoli, dei re normanni di Sicilia, ec. Determinato da una
seconda voce, prende altro significato: per esempio _Sâheb-es-sciorta_,
“prefetto di polizia;” _Saheb-el-istûl_, “capitano del navilio,” ec. In
origine _Sâheb_ significa “compagno.” Chi sa se non vollero tradurre il
titolo di _comes_?
[507] Veggasi il Libro I, capitolo VI, p. 147.
[508] _Baiân_, tomo I, p. 98-99. Non si dice il nome; ma par che si
tratti dello stesso cadi del Kairewân Abu-Mohriz, del quale si è detto
di sopra; certo di un personaggio riverito molto dal principe, e pio o
grande al segno da vietare gli onori funebri che si aspettava da costui.
Tuttavia dubito di qualche errore, poichè il _Riadh-en-nofûs_ non fa
menzione di ciò nella biografia di Abu-Mohriz.
[509] Tychsen, _Additamentum I introductionis in rem nummariam
Muhammedanorum_, p. 43. Il rovescio è lo stesso del dirhem del 214, di
cui dicemmo a p. 283, 284. Il dritto ha la medesima formola religiosa,
il nome di Mohammed-ibn-Abd-Allah, e in giro: “In nome di Dio fu battuto
questo dirhem in Sicilia l'anno 220.” Quivi il nome dell'isola, scritto
_Iskilîa_, premettendosi, cioè, una _alef_, ricorda la pronunzia
maltese, e però l'abate Vella. Nondimeno, senza veder la moneta, non la
posso dichiarare spuria; tanto più che il Vella, com'io credo, falsificò
poche monete, e molte ne finse che punto non esisteano.
La leggenda di questo dirhem è stata ristampata dal signor Mortillaro,
_Opere_, tomo III, p. 344.
[510] Confrontinsi: _Theophanes continuatus_, lib. III, cap. 18, p. 107
a 109; Symeon Magister, nello stesso vol., p. 630 a 632; Georgius
Monachus, nello stesso volume, p. 794 a 796; e Leo Grammaticus, p. 216,
217. Il nome patronimico di Alessio si legge Musele, Μουσελέ, ma lo
correggo secondo il Saint-Martin, ch'è autorità competente, e lo scrive
_Mouschegh_ nelle note a Le Beau, _Histoire du Bas Empire_, lib. LXIX, §
21. Mi discosto dai due eruditi compilatori francesi circa il tempo
della missione di Alessio in Sicilia, che pongono nell'835; ma Symeon
Magister, molto preciso in questo racconto, riferisce la elezione
all'anno terzo di Teofilo, e il richiamo all'anno quarto, cioè agli anni
831-32 e 832-33, contandosi alla bizantina dal primo settembre e dalla
esaltazione di Teofilo, che seguì il primo ottobre 829.
[511] Confrontinsi Nowairi presso Di Gregorio, _Rerum Arabicarum_, p. 8,
e Ibn-el-Athîr, Ibn-Khaldûn e gli altri cronisti citati nel capitolo VI
del presente libro, nella narrazione della presa di Castrogiovanni.
[512] Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo I, fog. 124 verso, dove si dicono
preposti allo stuolo mandato a Taormina, Mohammed e Sâlem. Credendolo
errore del MS., ho corretto Mohammed-ibn-Sâlem. Una parte di cotesti
avvenimenti manca nel MS. C, tomo IV, fog. 192 recto. Ibn-Khaldûn,
_Histoire de l'Afrique et de la Sicile_, p. 108, 109, dà un cenno della
terza fazione di Castrogiovanni e di quella di Taormina. Questo nome
d'altronde, che è scritto _Tarmîn_, si trova nel solo Ibn-Khaldûn, e nel
MS. d'Ibn-el-Athîr è lasciato in bianco. Il _Baiân_, tomo I, p. 98,
parla di una sola battaglia di Abu-Fihr, nel 220, e accenna in generale
“molte altre fazioni dei Musulmani in Sicilia e in Spagna, per mare e
per terra, combattute il medesimo anno.”
[513] Ibn-el-Athîr, MS. A, l. c., che dà al capitano greco il titolo di
patrizio e _Malek_ (re) della Sicilia. Breve cenno in Ibn-Khaldûn, l. c.
[514] Scrivo il nome secondo il _Baiân_, tomo I, p. 104, ove Ibrahim è
chiamato principe (_sâheb_) di Sicilia. A p. 98 e 99, questo libro fa
menzione di lui col solo soprannome di Abn-'l-Aghlab, che alla p. 98 si
legge, al certo erroneamente, Ibn-el-Aghlab.
Il _Baiân_ ci dà il bandolo d'una matassa in cui gli altri annalisti han
confuso questo personaggio con altri governatori di Sicilia; ed ecco in
qual modo.
Ibn-el-Athîr, citato di sopra, dà Mohammed-ibn-Abd-Allah-ibn-el-Aghlab
come già esercente la carica di governatore di Sicilia nel 220. Poi
narra ch'ei fu ucciso lo stesso anno, ed eletti successivamente dopo di
lui, Fadhl-ibn-Ia'kûb ed Abu-'l-Aghlab-Ibrahim-ibn-Abd-Allah. (MS. A,
tomo I, fog. 124 verso.) In ultimo, quasi dimenticando cotesti nomi e
date, registra nel 236 la morte di Mohammed-ibn-Abd-Allah, governatore
di Sicilia, dopo 19 anni di egregio governo; ma egli dubita di così
fatta tradizione, aggiungendo la solita frase di scappatoia: “Del resto,
la verità la sa Iddio.” (MS. A, tomo II, fog. 2 recto; MS. C, tomo IV,
fog. 212 recto.)
Ibn-Khaldûn, _Histoire de l'Afrique et de la Sicile_, p. 120; Abulfeda,
Annales Moslemici, ann. 237; Nowairi, presso Di Gregorio, _Rerum
Arabicarum_, p. 8, ed Ibn-Abi-Dinâr, MS. di Parigi, fog. 20 verso e 21
recto, replicano il nome di Mohammed-ibn-Abd-Allah-ibn-el-Aghlab, e la
tradizione dei 19 anni di forte e savio governo, finito per morte il 236
o il 237 e cominciato, come dice il Nowairi con evidente sbaglio di
computo, il 225.
Ibn-Abbâr, infine (MS. della Società Asiatica di Parigi,
fog. 148 verso), porta il nome di Abu-'l-Aghlab-Ibrahim-ibn
-Abd-Allah-_ibn-Ibrahim_-ibn-el-Aghlab, che “assestò (dice egli),
ed egregiamente resse la Sicilia dall'anno 221 ch'ei vi fu mandato,
per tutto il tempo della sua vita.”
Comparando le quali testimonianze, e notando la fede che merita
ciascuna, è evidente lo errore di tutti gli altri, fuorchè il _Baiân_, e
Ibn-Abbâr; e che Ibn-el-Athîr, seguíto da Ibn-Khaldûn, che il vero nome
dapprima, e poi con troppa fretta ripetè lo errore altrui. Lo errore
stava nel confondere i tre anni di governo di Mohammed-ibn-Abd-Allah
(217 a 220), e i sedici di Ibrahim (220 a 236), e far dei due fratelli
un solo personaggio che avesse retto la Sicilia per 19 anni.
Chiarito or questo punto, rimarrebbe un sol dubbio, cioè se il padre di
Ibrahim, chiamato Abd-Allah, fosse stato figliuolo di quell'Aghlab, dal
quale prese nome la dinastia, ovvero del costui figliuolo Ibrahim primo
principe d'Affrica; e perciò se il governatore mandato in Sicilia il 220
fosse stato cugino germano di Ziadet-Allah, ovvero nipote, figliuolo
cioè del fratello che avea regnato prima di lui. Rimane il dubbio, io
dico, per lo nome di _Ibn-Ibrahim_ che si legge in Ibn-Abbâr, e ch'io ho
scritto in corsivo nella citazione; ma come il MS. di Ibn-Abbâr che ho
sotto gli occhi è copia moderna e scorretta, così io credo si debba
sopprimere questo grado di genealogia, e stare al nome dato dal _Baiân_.
[515] _Baiân_, tomo I, p. 98. La sola data dell'arrivo in Sicilia e il
nome del nuovo governatore Abu-'l-Aghlab-ibn-Ibrahim-ibn-Abd-Allah
leggonsi in Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo I, fog. 124 verso, e Ibn-Khaldûn,
_Histoire de l'Afrique et de la Sicile_, p. 109.
[516] _Baiân_, l. c.
[517] Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo I, fog. 124 verso.
[518] I Bizantini, il cui navilio fu sì formidabile per cagione dei
legni incendiarii, non chiamavanli con nome speciale. I _dromoni_,
ch'erano lor navi da fila, portavano uno o più tubi di metallo, onde
schizzava il fuoco greco alla guisa delle _lance a fuoco_ d'oggidì; e
gli artiglieri, drizzando quella lingua di fiamma come voleano, ardean
la nave nemica. Aveano oltre a ciò piccioli tubi, pentole e altri
artifizii di fuoco da lanciare a mano o con macchine. Veggansi a tal
proposito le _Institutions militaires de l'empereur Léon_, versione
francese del Maizeroi, p. 136 seg.; e Reinaud et Favé, _Du feu
grégeois_, pag. 103 a 112.
Presso i Musulmani il nome di (nave) incendiaria apparisce la prima
volta, credo io, verso l'813; facendosi menzione da Ibn-el-Athîr d'una
_harrâka_ con la quale il califo Amîn solea andare a diporto sul Tigri.
Poi, questa denominazione occorre al tempo delle Crociate nel
significato di barca da fiume, battello, gondola; ma tuttavia alcuni
scrittori arabi la definivano: “galea con un ordegno da gittar fuoco.”
Da tale contraddizione tra il nome e il fatto, è nato disparere su la
qualità di nave che si dovesse intendere sotto il nome di _harrâka_;
ostinandosi i dotti a credere che si trattasse sempre di una sola
qualità di nave: e le varie opinioni su tal punto si leggono nelle note
dei signori Reinaud, _Extraits etc. relatifs aux Croisades_, p. 415; ed
E. Quatremère, _Histoire des Sultans Mamlouks par Makrizi_, tomo I, p.
143, e tom. II, parte I, p. 24 e 25.
La menzione fatta delle _harrâke_ dei Musulmani, e sopratutto d'una dei
Bizantini, nei combattimenti di Sicilia, parmi che tronchi ormai la
lite, mostrando come in varii tempi e luoghi si addimandarono così or
navi da guerra, or barche da diporto o commercio. In simil guisa le
“bombarde” dell'Italia meridionale ritengon oggi lo antico nome,
ancorchè le si adoprino a traffico di cabotaggio e siano smesse nella
guerra.
Procedendo nelle conghietture, io penso che gli Arabi abbiano costruito
navi apposta, o almeno ingegni da incendiare, quando cominciarono ad
appropriarsi quel che poteano delle scienze ed arti de' Greci. In questo
particolare, come in parecchi altri, gli Arabi fallirono; e forse l'uso
delle navi incendiarie fu abbandonato da loro, perchè non seppero mai
costruire i dromoni veloci e forti come i Bizantini, e perchè fino al
tempo delle Crociate non venne lor fatto giammai di scoprir la vera
composizione del fuoco greco. Il nome che trovasi a Bagdad, come ho
detto, nell'813, e in Sicilia nell'835, prova che il saggio fosse stato
cominciato o continuato nei principii del IX secolo. E il tentativo
fatto si può argomentare anco dai ricordi cristiani che abbiamo intorno
il fuoco greco: cioè che recollo a Costantinopoli, verso la metà del
settimo secolo, Callinico ingegnere di Siria, e che sendosi adoperato
con felice successo contro i Musulmani nei due assedii di
Costantinopoli, passò tra i segreti di Stato: e la corte spacciò che un
angelo lo avesse insegnato a Costantino il Grande; che Iddio serbasse
tremendi supplizii a chiunque lo rivelava; e che in fatti un traditore
che volle darlo ai nemici fu divorato da fiamme scese dal cielo. Come
gli imperatori non trascuravano i mezzi umani di guardare gelosamente
quel segreto, e come i chimici musulmani non seppero indovinar bene la
composizione prima del tempo delle Crociate, così i saggi di qualche
officiale subalterno che passasse dai Bizantini agli Arabi, tornarono
tutti vani. Forse le _harrâke_ di Sicilia furono costruite con questo
mezzo, e però imperfettamente, e però si disusarono; affidandosi meglio
i Musulmani alle spade, alle lance e all'impeto e numero con che
andavano all'arrembaggio.
La voce _carraca_, mutata poi in _caracca, carrica, carraque_ ec., dà
esattamente il suono della _harrâka_ arabica, pronunziandosi anche così
la _h_ nella voce genovese _camâlo_, venuta dall'arabo _hammâl_, e in
tante altre. La etimologia da _harrâka_ mi pare assai più naturale che
quelle imaginate fin qui, su le quali veggansi Ducange, _Glossarium
mediæ et infimæ latinitatis_, alle dette voci; e Jal, _Archéologie
navale_, tomo II, p. 211, seg.
[519] Ibn-el-Athîr scrive _harrâka_. Ho messo la denominazione che senza
dubbio davano i Greci.
[520] Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo I, fog. 124 verso; Ibn-Khaldûn,
_Histoire de l'Afrique et de la Sicile_, p. 109. Questi non parla del
luogo della prima impresa navale dei Musulmani, ma sol dice che essi,
trovata l'armata bizantina, la saccheggiarono; la quale frase,
trattandosi di navi, non è più precisa in arabico che nelle nostre
lingue. Nel MS. di Ibn-el-Athîr, al contrario, è lasciato in bianco il
nome del paese depredato dalla armata musulmana.
[521] Ibn-el-Athîr, l. c., e MS. C, tomo IV, fog. 192 recto;
Ibn-Khaldûn, op. cit., p. 110.
[522] Confrontinsi Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo I, fog. 125 recto;
Ibn-Khaldûn, op. cit., p. 110; e il _Baiân_, tomo I, p. 99. Scrivo il
nome di Castelluccio, perchè il testo di Ibn-el-Athîr ha _K st l iâsa_,
e tra i tanti Castellucci, Castellacci e nomi somiglianti che si trovano
nella topografia della Sicilia, il comune chiamato oggi Castelluccio è
appunto su la via che dovea scorrere questa schiera di Musulmani. Poichè
l'annalista la dice diversa da quella che s'era spinta fino all'Etna,
cioè avea tagliato l'isola per lo mezzo; e mi pare probabilissimo che la
seconda impresa di questo anno fosse intesa ad esplorare la costiera
settentrionale, ove due anni appresso veggiamo assediata Cefalù. M. Des
Vergers ha letto questo nome “Catania;” ma oltre l'autorità di
Ibn-el-Athîr, che tratta evidentemente della stessa città di cui
Ibn-Khaldûn, i MSS. di questo secondo autore portano chiaramente _K t
liâna_.
Il nome che ho letto Tindaro si vede scritto _m d nâr_ nel _Baiân_.
Trattandosi di una fortezza importante, e su la costiera settentrionale,
poichè l'assaliva l'armata reduce dalle isole Eolie, Tindaro mi è parso,
tra tutti i nomi antichi e moderni, quel che più si avvicina al testo
del _Baiân_. Lo scambio della prima lettera non sarebbe caso
straordinario. Edrisi scrive Tindaro _d n dâri_. Tindaro fu città
importante fino al tempo dei Musulmani, e si trova noverata tra le sedi
vescovili nel IX o X secolo. Durò anco fino al XIV, leggendosi di un
Vinciguerra Aragona signore di _Tyndaris_.
È da avvertire, in fine, che il _Baiân_ non dice se questa impresa fosse
stata fatta dall'armata o dall'esercito, che la reca nel 222, quando
Ibn-el-Athîr la riferisce al 221, e l'attribuisce alle forze navali.
Leggiamo in questo autore essere state prese “cittadi e fortezze;” ma la
prima parola, in arabico _Modonan_, potrebbe essere alterazione del
detto nome geografico.
[523] Confrontinsi Ibn-el-Athîr e Ibn-Khaldûn col _Baiân_, ll. cc., dei
quali il primo pone tutte queste fazioni nel 221, e l'ultimo tutte nel
222.
[524] Legno sottile adoperato per dare avvisi, fare scoperte e simili
officii. Ho dato a questa voce la forma italiana del medio evo. I Greci
scriveano Χελάνδιον; i Latini dei bassi tempi, _Chelandium_; gli Arabi
_s l n d s_.
[525] Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo I, fog. 125 recto, dice espressamente
che i Musulmani occuparono il solo borgo, e che i Cristiani si difesero
nella cittadella. Ibn-Khaldûn, op. cit., p. 100, narra il fatto più
brevemente e vagamente. La ritirata nella fortezza mostra che il campo
d'osservazione dei Bizantini questa volta fosse posto nel borgo.
[526] Strabone scrive Κεφαλοίδιον; Tolomeo Κεφαλοιδίς; Κεφαλούδιος i
ricordi bizantini del IX secolo; Plinio _Cephaloedis_; altri latini
_Cephaludium_ etc. Gli Arabi aveano non meno di quattro lettere per
notare il suono della κ greca e della _c_ latina, la quale par abbia
avuto il suono di una _k_, per esempio _Cicero_ pronunziata _Kikero_. Se
contuttociò gli Arabi resero la prima lettera con una _Gim_ o una
_Scin_, ciò prova che la sentivano pronunziare dai Siciliani con lo
stesso suono strisciante che diamo in oggi in Sicilia alla c avanti le
vocali e ed i. Cefalù era sede vescovile nel IX secolo e però città
importante.
[527] Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo I, fog. 124 verso; MS. C, tomo IV,
foglio 192 recto.
[528] Ibn-el-Athîr, l. c., Ibn-Khaldûn, op. cit., p. 110.
[529] Ibn-el-Athîr, l. c., (sotto l'anno 201); e MS. A, tomo I, fog. 285
verso (sotto l'anno 223); Ibn-Khaldûn, op. cit., p. 111, 112.
[530] Ibn-el-Athîr e Ibn-Khaldûn, ll. cc.; Nowairi, presso Di Gregorio,
_Rerum Arabicarum_, p. 7, 8. Lasciando indietro il secondo che non dà i
nomi, è da notare che que' di Platani e Caltabellotta si trovano presso
Ibn-el-Athîr e presso il Nowairi. Il nome di Corleone si legge
distintamente in ambo i MSS. del primo; e in que' del secondo è scritto
Kârûb. Il seguente è scritto in Ibn-el-Athîr _Merw_ (notissima città del
Khorâssan), e in Nowairi _M r a_ con una lettera senza punti diacritici
tra la r e l'_a_; talchè può essere _b t th n i_; ed io leggo per
conghiettura Marineo, confrontandola col nome di questa terra in Edrisi.
L'ultima è data dal solo Nowairi, _Harsa_ in un MS., _Harha_ nell'altro;
probabilmente _Gerasa_, o _Geragia_. Si riscontrino le note del Di
Gregorio in questo luogo. Io rigetto la sua correzione di _Mirta_,
perchè _Mirto_ è troppo lontana dalla provincia infestata l'840. Per la
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