Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I - 13

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notabili della città, il trattato fu scritto e riletto in presenza,
loro. E ch'e' non facessero da meri testimonii, e che i partiti
liberamente si agitassero, il prova l'altra adunanza tenuta pochi anni
appresso per trattar della guerra di Sicilia, dove sedettero i cadi,
come i magistrati entrano nella camera dei pari in Inghilterra; e il
principe fu necessitato a seguire l'opinione che preponderava.[223]
A comprender appieno come si bilanciassero i poteri dello stato
aghlabita, convien discorrere l'autorità che presero in questo tempo i
giuristi appo l'universale dei Musulmani. Lo studio della giurisprudenza
progredendo, come ogni altro esercizio dell'intelletto, dopo la
esaltazione degli Abbassidi, stava per creare nello Impero quasi un
novello potere surrogato a quello dei compagni del Profeta: in luogo
dell'aristocrazia dei santi, l'aristocrazia dei dottori. Costoro erano a
un tempo teologi senza sacerdozio, moralisti, pubblicisti e
giureconsulti; come portava l'unità e confusione delle leggi. Per
necessaria contraddizione della teocrazia, i dottori vollero comandare
al pontefice e re: e tanto o quanto ne vennero a capo; se non che il
lione di tratto in tratto lor dava qualche zampata. Così Abu-Hanîfa
(699-767), primo tra gli _imâm_ della scienza, i dottori principi, a
nostro modo di dire, era morto in prigione, martire, come Papiniano, di
sue dottrine e coscienza. Ma non guari dopo Mâlek-ibn-Anas (712-795)
guadagnava tanta riverenza appo Harûn-Rascîd, animo grande e civile, che
il califo pensò dare virtù di legge al _Mowattâ_, come si addimandò
l'instituta di quel giureconsulto; dal che Mâlek stesso lo ritenne, non
sappiamo se per modestia, o perchè tal sanzione gli paresse illegittima,
e lesiva al grado della scienza. Un'altra fiata, richiesto da Harûn di
dare lezioni all'erede presuntivo della corona, Mâlek gli rispose che la
scienza, nobile sopra tutt'altra umana possanza, non dovesse servire
altrui ma essere servita; donde il califo, scusandosi, inviò il
figliuolo con gli altri giovani della città alla moschea dove Mâlek
tenea scuola. Sotto altro monarca, Ibn-Hanbal fu vergheggiato (834)
perchè contro gli editti del califo sosteneva increato il Corano; ma il
domma del califo andò giù, e venuto a morte Ibn-Hanbal (855), dicesi che
a Bagdad accompagnassero il feretro meglio che secentomila persone, e
che ventimila tra Cristiani, Giudei e Guebri si convertissero
immediatamente all'islamismo, trasportati dal fervore del popolo che
celebrava a una voce la dottrina e virtù di quel grande. Noi lasciamo
indietro i molti esempii di virtù dei giureconsulti promossi all'uficio
di cadi, i quali sapeano affrontar l'ira dei principi quanto niun altro
eroico magistrato di cui faccia ricordo la storia d'Europa. Nell'ordine
dello Stato mantenner essi l'autorità giudiziale independente dal
principato, più e meno che noi non l'ammetteremmo con le odierne teorie
di dritto pubblico. Perchè, da una parte i giureconsulti usurparono il
potere legislativo mediante le interpretazioni dottrinali; e dall'altro
canto, non arrivarono a divider netto la giurisdizione dei magistrati da
quella del principe e dei governatori e ministri. Oltre a ciò, i vizii
dell'aristocrazia militare, anzi la invincibile anarchia della società
arabica, resero necessario un magistrato eccezionale, come noi lo
diremmo, uficio dei soprusi lo chiamarono i Musulmani; tribunale
preseduto dal principe o da un delegato di lui, spedito nella procedura
e arbitrario nelle sentenze. Così di mano in mano l'indole del
dispotismo occupava anco l'amministrazione della giustizia; e questa in
Oriente si corruppe come ogni altra parte del governo, e presto cadde
nella condizione in che or giace. La giurisprudenza musulmana fu
compiuta nel nono secolo. L'assentimento universale dei contemporanei e
dei posteri diè l'onore di _imâm_ a quattro professori, cioè i tre già
nominati, e Scia'fei che visse dopo. Concordavano le loro scuole nei
dommi, indi accettate tutte come ortodosse. Differivano in alcuni punti
di disciplina religiosa, dritto pubblico e dritto civile, non altrimenti
che in oggi le compilazioni del codice francese, presso le varie nazioni
che l'han preso per legge. Predominarono quale in un paese quale in un
altro; e così oggi rimane in Turchia e in India la dottrina di
Abu-Hanîfa, e in Affrica quella di Mâlek, introdottavi per lo primo da
Ased-ibn-Forât e da altri suoi contemporanei, ma non fatta legge
generale del paese che ne' principii dello undecimo secolo.[224]
Cominciò in Affrica l'opposizione pacifica dei dottori quando
Abu-'l-Abbâs-Abd-Allah, figliuolo e successore d'Ibrahim (812-817),
pensò di mugnere i proprietarii a beneficio proprio e delle milizie;
donde avvenne che queste rimanessero chete per tutto il suo regno.
Parendogli incerte e sottili le entrate della tassa fondiaria, che
ragionavasi a dieci per cento su le raccolte e prendeasi in derrate,
Abd-Allah, a spreto degli statuti, la volle in danaro, a tanto per
aratata di terreno coltivato, senza guardare ad annata buona o scarsa. A
questi ed altri soprusi risentendosi i cittadini, andavano i più
rinomati e venerandi della provincia a trovarlo in fortezza; gli
ricordavano, così dice un cronista, “i precetti della religione e il ben
della repubblica musulmana;” e, ridendosi il despota di coteste parole,
volgean essi sdegnosamente le spalle alla reggia, quando un
Hafs-ibn-Hamîd, ch'era in odore di santità, s'arrestò nel cammino, e
fece sostare i compagni. Lor disse ch'era da disperare ormai delle
creature, non già del Creatore; poi fervorosamente intonò una preghiera
a Dio che punisse lo scellerato principe; e ad ogni imprecazione gli
altri in coro rispondeano: _Amen_. La complicità delle milizie col
principe ritenne al certo i barbassori dal passar dalle scomuniche a più
gravi fatti. E tosto s'ebbero ad allegrare di lor propria sagacità e del
credito grande che godeano in Cielo, poichè opportunamente attaccossi
un'ulcera all'orecchio di Abd-Allah, e lo spacciò.[225]
Il terrore superstizioso di questo avvenimento par abbia lavorato nella
mente del novello principe Ziâdet-Allah (817), figliuolo anch'egli
d'Ibrahim, uomo nel resto di fortissima tempra di animo, il quale,
seguite un pezzo le orme del fratello,[226] cominciò a ritrarsene, a
spiccarsi dal giund, ad ascoltare i giuristi; e tanto s'addentrò nelle
ubbie religiose, che consultava i cadi su la misura di voluttà
concedutagli dalla religione;[227] e, quel ch'è peggio, parlava di
condanna capitale contro i poveri zindik, o diremmo noi, scettici,
ospiti pericolosi sotto un governo teocratico; i quali, insieme con le
schiatte persiane e con lo incivilimento, pullulavano già per tutto
l'Impero, e venivano a filosofare fino in Affrica.[228] Costui ci è
dipinto come bel parlatore, liberale coi poeti beduini e coi dotti che
veniano d'Oriente a corte sua, animoso, costante, magnifico e
giusto.[229] Ma ben mostrò ciò che intendesse per virtù, quando disse
fidar nella divina clemenza il dì del giudizio universale, avendo
mandato dinanzi a sè, chè questa figura usano sovente i Musulmani,
quattro opere meritorie: l'edificazione della moschea cattedrale e del
ponte della porta Rebî' a Kairewân, la costruzione della fortezza Ribât
a Susa, e la elezione di Abu-Mohriz a cadi della capitale.[230]
Affidandosi in cotesti meriti, gli parea tanto più venial peccato il
sangue ch'ei facea spargere, mosso da sua natura feroce, dalle necessità
della tirannide, e sovente anco dal vino che bevea. Quella indole
imperiosa, non dimenticando l'antica insolenza del giund, sdegnò di
accarezzarlo, o comperarlo, come avean fatto il padre e il fratello;
volle essere ubbidito sol perch'ei comandava; e probabil mi sembra
ch'anco offendesse il giund negli averi, disdicendo la nuova tassa di
Abd-Allah. Agevole gli fu di spegnere una prima sollevazione di
Ziâd-ibn-Sahl-ibn-es-Sikillîa ovvero es-Sakalîba, che significherebbe
figliuol della Siciliana, ovvero della Slava (822). Ma surto in arme
Amr-ibn-Mo'âwia della potente tribù di Kais, e costretto ad arrendersi,
Ziâdet-Allah, come l'ebbe in mano, non seppe moderar la vendetta. Più
savio di lui il giullare di corte, domandato quel dì che nuove
corressero, “Si dice che tu non uccida Amr,” gli rispose; “perchè i
Kaisiti farebberti pagar caro quel sangue.” Ma egli, tanto più
invogliato, correa alla prigione; scannava di propria mano il ribelle
con due figliuoli, e fatte porre le teste sopra uno scudo, le imbandì
sul desco ove si messe a bere coi cortigiani (823). Scoppiò a tal atto
di crudeltà l'ira delle milizie. Proruppero a sedizione in Tunis; si
levarono per tutta l'Affrica, arrogandosi ognuno la signoria del
distretto ove era alle stanze, e fecero capo dell'esercito un Arabo di
illustre schiatta per nome Mansûr, detto Tonbodsi, dal nome d'un suo
castello (824). Invano il despota avviava contro costui i mercenarii e
il giund suo fidato, minacciando di mettere a morte chi voltasse le
spalle nella battaglia. Rotti da Mansûr, passarono sotto le bandiere di
lui per fuggire la vendetta del crudel signore: tutto il giund, e le
milizie cittadine, e gli stuoli che accorreano in arme da ogni
luogo[231], mossero sopra Kairewân; posero il campo fuor la città
(agosto 825), sollecitando i terrazzani a seguirli; mentre Ziâdet-Allah
co' mercenarii e la famiglia s'era chiuso in cittadella. Il popolo della
capitale, non badando ai dottori che sognavano potersi camminar sempre
entro i limiti della resistenza legale, aprì le porte a Mansûr,
rifabbricò con l'aiuto di quello le mura abbattute da Ibrahim, capo
della dinastia, e tutto diessi alla rivoluzione. Poi seguì l'usato
effetto tra que' piccioli corpi feudali e municipali, ciascun dei quali
avea preso a reggersi dassè. Impotenti ad espugnare Abbâsia, si
divisero; e Ziâdet-Allah, uscito co' suoi, li ruppe (ottobre 825), pose
in fuga Mansûr, riprese Kairewân, ed abbattè le mura, ritenendolo da
maggiore vendetta, chi dice un voto ch'avea fatto a Dio mentre era
stretto d'assedio in Abbâsia, chi dice le preghiere dei due cadi; e
nessuno ha pensato che volendo domare il giund, dovea andare con
riguardo verso i cittadini, e che Mansûr, ancorchè sconfitto, era in
arme, e la provincia tutt'altro che queta. In fatti, voltata la fortuna
della guerra, Mansûr tornò a Kairewân, Ziâdet-Allah tornò a chiudersi in
Abbâsia, e già si parlava di accordo che lasciata la signoria d'Affrica
ei se ne andasse con la famiglia e lo avere in Levante, quando uno dei
suoi partigiani con audace fazione lo salvò. Costui, tolto seco un pugno
d'uomini, andò verso Castilia ai confini meridionali dell'odierno Stato
di Tunis, ove s'era mossa contro i ribelli la tribù berbera di Nefzâwa;
ond'egli accozzando i Berberi e mille Negri armati di vanghe e di scuri,
ruppe il giund di A'mir-ibn-Nafi'. Le discordie fecero il resto. Mansûr,
venuto alle armi contro A'mir, fu morto a tradimento; A'mir tenne il
fermo altri tre o quattro anni in Tunis; e i capi minori prima di ciò a
uno a uno s'eran sottomessi; e la più parte era ita ad espiare la
ribellione con la guerra sacra in Sicilia.[232]
Tali erano le condizioni dell'Affrica in questo tempo. La popolazione
industriale, d'origine europea o mescolata, non avea peso nello Stato:
menomata dalle emigrazioni; sottomessa d'opere e d'animo, e la più parte
fatta musulmana, con tal precipizio, che la Chiesa Africana, la quale
levò già tanto grido in Cristianità, potea dirsi annichilata mezzo
secolo dopo il conquisto; come ce l'attestano concordemente le
cronache musulmane e i documenti ecclesiastici, sia romani, sia
alessandrini.[233] I Berberi, tutti oramai musulmani, tra ortodossi e
scismatici, stanchi e divisi ma non domi, ubbidivano e si sollevavano;
pronti ad accompagnar gli Arabi in guerra, non a sopportare i pesi del
dominio; meno ostili a casa aghlabita che ai capi dei giund lor signori
o vicini; ma quel sembiante di obbedienza s'andava dileguando a misura,
che le tribù si allontanavano dal centro della provincia. Dei coloni
arabi e persiani abbiam detto abbastanza, che le passioni di quelle
milizie riottose, di que' cittadini turbolenti, di que' giuristi
fanatici, eran fuoco sotterraneo che cercava d'aprirsi uno spiraglio.
Tra vicende analoghe s'agitavano in questo medesimo tempo i Musulmani di
Spagna. Accennammo già come nei primi impeti del conquisto (711),
valicati i Pirenei, irrompessero in Linguadoca. A capo di venti anni,
fatto pianta di lor guerra quella provincia, or con eserciti or con
gualdane si spinsero fino al Rodano e alla Senna da un lato, alla Loira
e all'Oceano dall'altro, capitanati da emiri, cui designava il califo,
ovvero il governatore d'Affrica. Ma infin d'allora svilupparonsi due
serie distinte di fatti, che liberarono dal danno presente la Francia, e
dal pericolo tutta l'Europa. Da una mano era la reazione delle
popolazioni cristiane; la maravigliosa costanza delli Spagnuoli
afforzatisi tra i monti di Gallizia, delle Asturie, della Navarra; il
valore de' Franchi, e altri Germani, che sotto Carlo Martello
guadagnavano la giornata di Poitiers (ottobre 732); la resistenza di
parecchi signori della Francia meridionale, e possiamo aggiungere degli
Italiani ancora, poichè le mosse di Liutprando affrettavano la
espugnazion d'Avignone (737). L'altra serie di eventi che troncarono i
passi ai conquistatori, nascea dai vizii della società musulmana in
generale, e di quella d'Affrica in particolare, madre della colonia
spagnuola. Pertanto in Spagna, come in Affrica e peggio, i vincitori
sospettosi tra loro, pronti a straziarsi in guerra civile: Arabi contro
Berberi; Modhariti contro Iemeniti; gli antichi coloni contro i nuovi; i
borghesi contro i militari: ed ogni fortuna che corresse la dominazione
dei califi in Affrica portava un contraccolpo di là dallo Stretto.
La provincia nondimeno si rassettò, quando spiccossi dallo Impero, per
ubbidire a un principe proprio (755) della schiatta d'Omeîa, testè
cacciata dal trono dei califi. Senza potere sradicar da loro montagne
que' valorosi Cristiani che teneano tra ponente e settentrione della
penisola, i primi monarchi omeîadi di Spagna si mantennero a un di
presso a' limiti dei Pirenei, or avanzandosi fino a Carcassonne (792),
ora indietreggiando a Barcellona, che perdettero per sempre (801).
Ostili ai Musulmani di Affrica; duramente contrastati dalla parte di
Francia, dai primi monarchi carolingi, che s'intendeano coi califi
abbassidi, gli Omeîadi di Spagna non si segnalarono per conquisti,[234]
ma si detter pensiero degli armamenti navali, più che non l'avessero mai
fatto i governatori dei califi.[235] Intesero altresì a ordinare lo
Stato a dispetto degli elementi di discordia accennati dianzi; e dettero
principio a quella splendida civiltà che poi sopravvisse a lor dinastia,
alle guerre civili ed alla occupazione cristiana. E perchè nel faticoso
cammino della umanità è sempre avvenuto che i principii d'ordine fossero
usurpati e contaminati dal dispotismo, e appena oggi si comincia a
vedere qua e là nel mondo qualche popolo che sappia innestarli con la
libertà, non fia maraviglia se verso la fine dell'ottavo secolo i
monarchi musulmani di Spagna, volendo dar sesto alla società, cadessero
nella tirannide, o piuttosto intraprendessero l'opera dell'ordine e
incivilimento al solo fine incivilissimo di prevalersi senza ritegno del
comando. Seguendo l'istinto che porta i tiranni a spolpare i sudditi per
ingrassare le soldatesche stanziali, Hâkem-ibn-Hesciâm (796-822), terzo
principe omeîade di Spagna, uom prode e di forte animo, ma beone,
dissoluto e crudele, provocò di soverchio il popolo della capitale.
Aggravati col nuovo balzello della decima su le vittuaglie; dispettosi
del vedere armar legioni di schiavi comperati a posta e rizzare fortezze
e tener cavalli schierati innanzi la reggia, i cittadini di Cordova si
risentirono; rincorati dai giuristi, i quali in Spagna come in ogni
altra provincia sosteneano la primitiva libertà dei Musulmani. Indi
Hâkem a far morire i caporioni della resistenza legale; indi i cittadini
a congiurare per deporlo dal trono; e dalle congiure i soliti tradimenti
e supplizii; finchè la rattenuta ira scoppiava alle violenze d'uno
schiavo soldato contro un cittadino.
Il borgo meridionale, frequentissimo di popolo, si levò incontanente a
romore (25 marzo 818); dove spinti da Hâkem gli stanziali negri, il
giund e sue schiere di ribaldi raunaticci, il giorno appresso il borgo
fu espugnato; messo per tre dì a ruba, a sangue ed a fuoco; distruttevi
dalle fondamenta case e moschee; trecento cittadini dei più notabili,
sgozzati e sospesi ai pali in orrida fila lungo il Guadalquivir. Al
quarto giorno, osando alla fine un cortigiano di ricordare al tiranno
che quei ribelli di cui facea carnificina fossero pur creature di Dio,
Hâkem perdonò la vita ai superstiti che s'andavano ascondendo per la
città; ma volle che sgomberassero da Cordova e luoghi vicini, con loro
donne e figliuoli, portando seco la roba che potessero: ma le
soldatesche, postesi ai passi nella campagna, li svaligiarono. Molti
indi si rifuggivano a Toledo e altre città di Spagna; molti su le
costiere d'Affrica; e più numero andò a cercar ventura in Oriente:
rimase il borgo di Cordova desolato e disabitato per quattro secoli.
Hâkem, come se non fosse ancor sazio, sfogò il resto della rabbia
ch'avea in petto con dettare una satira contro i ribelli; esempio, credo
unico, nella storia; poichè Giuliano l'apostata, al tempo antico scrisse
il _Misopogon_ contro i cittadini d'Antiochia, senza far torcer loro un
capello; e più d'un principe pagano e cristiano si è vendicato con
arsioni, macelli e saccheggi, senza sapere scriver satire. L'opinione
pubblica, che gastiga tai misfatti com'ella può, non perdonò al re
poeta. Il volgo chiamollo “Quel dal Borgo” e “L'Efferato” (_Er-Rabâdhi_
ed _Abu-'l-A'si_). I cronisti a gara lo infamarono e maledissero;
all'infuori d'un semplice o svergognato, che con gergo cortigianesco
appose il tumulto del borgo a prosperità soverchia del popolo.[236]
Il grosso degli sbanditi di Cordova (i cronisti lo fan sommare a
quindicimila) si vede apparire d'un subito, otto anni dopo l'eccidio, in
Alessandria d'Egitto; onde è da supporre che fosse stato respinto
successivamente da più luoghi di Spagna e d'Affrica, ove cercava una
patria; e che Hâkem, ovvero il figliuolo, Abd-er-Rahmân, il quale gli
succedette (822), abbia fornito navi per allontanar dal reame gente sì
indocile e sì ingiuriata. Senz'armi nè danaro, e, com'e' sembra, alla
sfilata, passarono, cheti per forza, le Baleari e le terre italiane, cui
l'armata spagnuola aveva osteggiato con successi non felici poco avanti
il caso di Cordova: e si adunarono a poco a poco nei sobborghi
d'Alessandria. Non andò guari che una rissa privata accese aspro
combattimento tra cotesti Spagnuoli che nulla possedeano, e i cittadini
che li guardavano in cagnesco; e gli Alessandrini v'ebbero la peggio: i
disperati forastieri, fatti per necessità soldati di ventura, occuparono
parte della città, e dopo orribili guasti e depredazioni vi
s'afforzarono e posero sopra di loro un condottiere. Fu questi
Abu-Hafs-Omar-ibn-Scio'aib, detto El-Ballûti da una terra presso
Cordova, e il Cretese dall'isola ch'ei poscia conquistò; Apocapso, come
lo chiamano i Bizantini, trascrivendo a lor guisa il primo dei suoi
nomi. Ma, dopo le turbolenze intestine che avean lacerato l'Egitto e
favorito la sedizione delli Spagnuoli, riordinato lo Stato da
Abd-Allah-ibn-Tâher, luogotenente del califo e poi occupatore della
provincia, questi fece intendere ad Abu-Hafs che si sottomettesse, o
s'apparecchiasse a difendersi: e bastò il nome di Tâher a piegare
Abu-Hafs all'accordo (823?). Stipularono che il governatore d'Egitto
desse un sussidio di danari, e che, allestita così un'armatetta, gli
Spagnuoli sgombrassero d'Alessandria, e cercassero fortuna in alcun
paese cristiano non soggetto ai Musulmani. Elessero Creta ch'era vicina,
mezzo disabitata,[237] e parea facile acquisto; avendovi fatto una
scorreria l'anno innanzi Abu-Hafs medesimo o alcun altro condottiero
musulmano con poche forze. Probabil è che Abu-Hafs, sbarcando in Creta,
abbia dato alle fiamme parte de' legni rabberciati con poca spesa in
Alessandria, e non atti a novella navigazione; e ciò porse argomento ai
Bizantini a replicare nel conquisto di Creta il classico racconto
dell'armata arsa da Agatocle, quando assalì Cartagine; a fingere che
Apocapso, da lor chiamato Principe dei Credenti in Spagna, volendo
sgravare il paese conducesse quella colonia in Creta, e cercasse di
togliere ai suoi la speranza del ritorno; e drammaticamente fanno
adirare i Musulmani alla vista dell'incendio per amor delle mogli e
figliuoli che avean lasciato in Ispagna; e fanli racchetare da Apocapso
con brevi parole: che ei lor darebbe in Creta donne più belle, dalle
quali avrebbero quanta prole volessero. I cronisti bizantini, che
ambivano d'intrecciar nella storia tante fronde di rettorica a modo
greco e romano, ignoravano che disperata gente fossero i vincitori di
Creta; ma ne sapeano bene alla prova il valore. Narrano pertanto molti
fatti d'arme trascurati dai Musulmani nello scheletro de' loro annali.
Narrano, come Abu-Hafs afforzava l'alloggiamento, che poi divenne città,
e dalla voce arabica _Khandak_, che suona fosso, si chiamò Candia, e diè
all'isola il nome che or porta. Dicono infine come Michele il Balbo,
testè liberatosi dalla guerra civile di Costantinopoli, mandasse due
eserciti al racquisto dell'isola, e fossero entrambi sconfitti.
Dondechè, condotta una schiera di mercenarii a quaranta monete d'oro a
capo, questa forte milizia, che i Greci chiamarono per invidia i
Tessaracontarii, o diremmo noi Quarantini, fece miglior prova. Con
un'armatetta capitanata da Orifa, che al nome par anch'egli straniero, i
Tessaracontarii liberarono dai Musulmani le isolette adiacenti; Creta
non già, ove la colonia si afforzò e crebbe. Seguitavano questi eventi
verso l'ottocento venticinque di nostr'era.[238] I Musulmani poi di
Creta, su' quali regnò la dinastia di Abu-Hafs,[239] sembra che
partecipassero con le popolazioni affricane nel conquisto di Sicilia, e
di certo furono principalissimi nella infestagione della Puglia e della
Calabria per tutto il nono secolo: e per tal motivo ho voluto
distendermi nei particolari della emigrazione loro dalla Spagna,


CAPITOLO VII.

Basta a gittare uno sguardo su la carta geografica per comprendere come,
occupata l'Affrica propria dai Musulmani, la Sicilia fu involta in
continua guerra. Dapprima servì di scala alle spedizioni con che il
governo bizantino provossi a difendere l'Affrica: in fatto s'adunavano
in Sicilia le armate che ripigliarono Barca del seicento ottantotto, e
Cartagine del seicento novantasette, come abbiamo narrato. Ma stanco
l'Impero a sì pochi sforzi, e sconfitta da Hassân-ibn-No'mân la
terribile reina dei Berberi, i Musulmani incontanente ripigliarono
l'assalto, con infestar le isole italiane. Principiarono da Cossira,
ch'oggi s'addimanda Pantellaria; isoletta ferace, spaziosa, comoda di
porti, e situata, come pila d'un ponte che dovesse congiungere la
Sicilia e l'Affrica, a sessanta miglia dalla prima e quaranta dalla
seconda. Però Cossira fu, di tutti i tempi, luogo rinomato nelle guerre
che si travagliarono tra i due paesi. Molti Cristiani d'Affrica vi
s'erano rifuggiti, già il dicemmo, dalle armi musulmane, e, afforzatisi
nell'isola, vissero sicuri finchè gli Arabi di quelle parti non ebber
agio di pensare alle cose del mare. Ma verso il settecento dell'era
volgare, Abd-el-Melik-ibn-Katân, venendo forse d'Egitto, andò a
gastigare que' sudditi contumaci, come al certo li chiamavano i
Musulmani; s'insignorì dell'isola, e ne spianò le fortezze. Mandavalo,
al dire di Bekri, il califo Abd-el-Melik-ibn-Merwân:[240] ed è evidente
che questa fazione fosse il principio d'un gran disegno, attribuito da
alcuni scrittori a Musa-ibn-Noseir.
Ed era di rinnalzare la potenza che la schiatta semitica avea fondato in
quelle medesime regioni quindici secoli innanzi, la quale non avea
ceduto che alla virtù di Roma. Narra un de' primi cronisti arabi che
Musa, venuto a Cartagine, sentendo dir dai paesani berberi delle antiche
imprese navali di quel popolo, si deliberasse a ritentare tal via;[241]
sì come poi occupata la Spagna gli lampeggiò alla mente di tornare in
Oriente a traverso la terraferma di Europa; imitando e avanzando
Annibale. Altri vuole che Hassân-ibn-No'mân, predecessore di Musa,
avesse pensato già prima alla guerra navale; sì che per comando o
assentimento del califo s'era cominciato a sgomberare il canale tra il
mare e la laguna di Tunis, per acconciar questa a porto da guerra e
farvi un arsenale:[242] e avean messo mano a tai lavori, o alla
costruzione delle navi, artigiani copti chiamati a posta d'Egitto,[243]
indifferenti o forse lieti di lavorare ai danni de' lor antichi signori
bizantini. Qual che si fosse l'autore del disegno, il tempo in cui vi si
diè principio si può circoscrivere a quattro o cinque anni tra il
seicento novantotto e 'l settecentotrè; e la opportunità della scelta è
evidente, poichè quella laguna sì difendevole assicurava l'armata
musulmana dalle superiori forze navali dei Greci; oltrechè a Tunis non
v'era sospetto, come a Cartagine, d'una popolazione cristiana che desse
aiuto o almeno avvisi al nemico. Musa, se non cominciò, affrettò l'opera
al certo; comandò di fabbricar cento navi;[244] e non aspettò che
fossero fornite,[245] per muovere un assalto contro la Sicilia;
istigandolo invidia e cupidigia, che poteano pur troppo sul grande animo
suo.
Perchè un'armata egiziana era testè venuta, quasi sotto gli occhi del
capitano d'Affrica, a far preda su le terre dei Cristiani.
'Atâ-ibn-Rafi', della tribù di Hudseil, condottiero dell'armata,
proponendosi d'assalire la Sardegna, era entrato nel porto di Susa a far
vettovaglie; quando ebbe lettere di Musa, che l'ammonivano ad aspettar
la primavera e non affrontar le tempeste di quella stagione; ch'era,
credo io, l'autunno del settecentotrè. Odorandovi l'invidia, 'Atâ non
dette ascolto al consiglio, e salpò, e giunse ad un'isola di Silsila,
come leggiamo nel MS. unico d'Ibn-Koteiba: sia che gli Arabi d'allora
abbian dato tal nome a Lampedusa o altra isoletta vicina; sia, come
parmi più probabile, che si tratti della Sicilia e i copisti n'abbian
guasto il nome. Gli Arabi d'Egitto fecervi grosso bottino d'oro, argento
e gemme; ma al ritorno, un turbine di vento li colse presso le costiere
d'Affrica: onde molte navi perirono, tra le quali quella di 'Atâ; altre
qua e là arenarono. E Musa, risaputolo, mandava incontanente una man di
cavalli a percorrere le spiagge; prendere i legni e i marinai campati al
naufragio; e condurre gli uni e gli altri nell'arsenale di Tunis[246].
Entrato poi l'anno ottantacinque dell'egira (13 gennaio a 31 dicembre
704) Musa bandisce la guerra sacra sul mare; dà voce ch'ei vi andrà in
persona; trasceglie i più arrisicati e forti uomini dell'esercito e il
fior della nobiltà araba, e li fa montare su l'armata; che niuno ne
rimase in terra, al dir dei cronisti. Quando le navi erano in punto di
salpare, Musa si fe' recare l'insegna del comando, e inaspettatamente
l'annodò alla lancia che tenea in mano Abd-Allah suo figliuolo;
affidando alla fortuna del giovane questa che fu la prima impresa navale
dei Musulmani d'Affrica, e che addimandossi la spedizione degli
illustri, per la chiara fama de' guerrieri che v'andarono. Sbarcarono
del settecentoquattro in Sicilia, ove presero una città della quale non
sappiamo il nome; ma solo che, scompartito il bottino, toccassero cento
dinâr d'oro a ciascuno, che vi si contavano tra novecento o mille
uomini;[247] onde la somma, aggiuntavi la quinta del principe, torna
quasi ad un milione e settecento mila lire.[248] Non andò guari che Musa
fe' uscir di nuovo l'armata d'Affrica sotto A'iiâsci-ibn-Akhial, il
quale irruppe in Siracusa (705), dicono i cronisti arabi, forse nella
parte della città che rimaneva in terraferma, ovvero in qualche
sobborgo, e tornossene sano e salvo e con gran preda.[249]
L'anno poi che principiò la guerra di Spagna (710), Musa mandò le navi
in Sardegna; all'arrivo delle quali gli abitatori della città capitale
non trovaron altro riparo che di gittare in fondo al porto tutto il
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