Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I - 31

[119] Caruso, _Memorie storiche di Sicilia_, parte I, vol. II, lib. 5.
Il volume che contiene questo passo, uscì alla luce in Palermo il 1716,
sotto il dominio della casa di Savoia.
Di Giovanni, _Codex Siciliæ Diplomaticus_, dissertazione 1, p. 405, seg.
Il primo volume di questa egregia opera, che non si continuò per cagion
d'una acerba e sciocca persecuzione, fu stampato a Palermo il 1743. Dopo
mezzo secolo e più, il Di Gregorio (_Introduzione al Diritto pubblico
Siciliano_) onorò la memoria dello autore con una timida parola.
Domenico Scinà l'ha poi vendicato degnamente (_Prospetto della Storia
letteraria di Sicilia nel secolo XVIII_), tom. I, p. 260 e seg.
[120] _Acta Apostolorum_, XXVIII, 12.
[121] Quest'ultimo fatto si potrebbe spiegare altrimenti, supponendo una
tratta di schiavi stranieri; ma quel di Tindaro lascia pochissimo
dubbio, parlandosi espressamente di idolatri che non si voleano
convertire ed erano difesi dai _potenti_. Ciò mostra che si tratti di
contadini di Sicilia schiavi dei grandi proprietarii, e che il caso sia
simile a quel di Sardegna. Oltre i seguaci del paganesimo greco e
romano, qualche famiglia balestrata in quelle provincie dalla servitù
prestava culto agli Angeli. Veggansi le epistole di S. Gregorio, lib.
II, nº 98, indiz. XI (a. 593), e lib. V, nº 132, indiz. XIV (a. 596); le
quali anco si leggono presso il Di Giovanni, _Codex Siciliæ
Diplomaticus_, numeri CII e CXXVII, pag. 142 e 175. Per la missione in
Sardegna riscontrinsi le epistole di San Gregorio, lib. III, nº 23, 25
ec.
In Sardegna, oltre gli idolatri indigeni, v'era una popolazione detta
dei Barbaricini che si mantenea con le armi alla mano; coi quali si
trattava di far uno accordo, purchè si convertissero al cristianesimo.
V'ha su questo argomento altre epistole di San Gregorio, una delle quali
indirizzata al capo de' Barbaricini. Par che si tratti di Berberi, come
l'han pensato alcuni eruditi.
La tarda conversione degli abitanti delle campagne in Sicilia è notata
espressamente nel panegirico di San Pancrazio scritto nel IX secolo,
presso il Gaetani, _Vitæ Sanctorum Siculorum_, tom. I, pag. 11; e nella
raccolta dei Bollandisti, _Acta Sanctorum_, 3 aprile, pag. 237, seg.
In generale si riscontrino Pirro _Sicilia Sacra_, Gaetani, Di Giovanni,
Caruso, nelle opere citate, dal I al VI secolo, e il compendio del P.
Aprile sì diligente a far fascio d'ogni erba (_Della Cronologia
universale della Sicilia_, pag. 442, seg.). Le fonti della storia
ecclesiastica di Sicilia nei primi tre secoli, per lo più sono i
menologi greci e i Mss. del Monastero di Cripta Ferrata e di quello del
Salvatore di Messina. Dei Mss. greci si sa quanto valgano. Gli altri
puzzano spesso di XII e XIII secolo.
[122] Veggansi i particolari in Di Giovanni, _Codex Siciliæ
Diplomaticus_, Dissertazioni II, III, IV.
[123] Divi Gregorii papæ, _Epistolæ_, lib. I, nº 80; presso il Di
Giovanni, op. cit., si trova al nº LXXIX, p. 125.
[124] Tre diplomi in papiro dati il 444, risguardanti il maneggio del
patrimonio di un Lauricio in Sicilia e il danaro che il suo procuratore
avea pagato ai _conduttori_ della Chiesa di Ravenna anche in Sicilia,
presso Marini, _I Papiri Diplomatici_, nº LXXIII. Divi Gregorii papæ,
_Epistolæ_, presso Di Giovanni, op. cit., nº 211. Agnelli, _Liber
Pontificalis_, presso Muratori R. I., tom. II, Parte I, p. 143, ove si
dice di un Benedetto diacono, rettore del patrimonio della Chiesa
Ravennate in Sicilia. L'autore visse nella prima metà del IX secolo. Il
fatto portato da Agnello si riferisce alla metà del VII secolo, e prova
la ricchezza di questo patrimonio e la corruzione dei rettori.
[125] Theophanis _Chronographia_, p. 631. Supponendo che si tratti di
talenti attici e ragionando il peso in oro puro, i tre talenti e mezzo
varrebbero circa 300,000 lire italiane; ragionando i prezzi delle cose,
circa un milione d'oggi.
[126] Vedi le autorità citate dal Di Giovanni, _Codex Siciliæ
Diplomaticus_, Dissertazioni V e VI.
[127] Pirro, _Sicilia Sacra_, p. 25, nota del D'Amico.
[128] Divi Gregorii papæ, _Epistolæ_, lib. I, nº 39, indiz. IX.
[129] Ibid., lib. III, nº 15, VII, 27, VIII, 65.
[130] Divi Gregorii papæ, _Epistolæ_, lib. I, nº 3, indiz. IX.
[131] Lib. I, ep. 1, indiz. IX.
[132] Lib. I, ep. 3.
[133] Epistola di San Gregorio del 16 marzo 591, presso Di Giovanni,
_Codex Siciliæ Diplomaticus_, LXVI, pag. 106, la quale manca nella
edizione delle opere di San Gregorio che ho per le mani.
[134] Lib. I, ep. 42.
[135] Questo provvedimento è contenuto nella epistola 11, del lib. III,
indiz. XII. Si è preteso che riguardasse la elezione delle badesse, non
la professione delle suore, e così anche pensa il Di Giovanni, op. cit.,
p. 154. Ma il testo di San Gregorio mi par sì preciso da non dar luogo
alle pie sofisticherie dei comentatori.
[136] Per togliere ai lettori e a me stesso la molestia di troppe
citazioni, non mi riferisco qui alla raccolta delle epistole di San
Gregorio nella quale sono sparse quelle che toccano la Sicilia, ma
piuttosto alla scelta di queste ultime che si trova presso il Di
Giovanni, _Codex Siciliæ Diplomaticus_, numeri LX a CCLXVI. Vedi anche
la Diss. III del medesimo Di Giovanni; Pirro, _Sicilia Sacra_, nelle
notizie dei varii vescovadi dal 590 al 604; e Gaetani, _Vitæ Sanctorum
Siculorum_, tom. I, p. 188 a 224.
[137] Pirro, op. cit., p. 35 a 38; Gaetani, op. cit., tom. II, p. 1 a 4;
Anastasius Bibliothecarius, presso il Muratori R. I., tom. III, 142,
145, 147, 174.
[138] _Sce'b_ si chiama il tronco, come sarebbe Adnân; la prima
diramazione si dice _Kabîla_; la seconda, _I'mâra_; la terza, _Bain_; la
quarta, _Fekhid_; la quinta, _A'scîra_; la sesta, _Fasîla_: imperfette
denominazioni e spesso confuse. Più comunemente la tribù vien detta
_Kabîla_. Ho seguíto in tal distinzione l'antica e pregevole opera di
Ibn-Abd-Rabbih (_Kitâb-el-Ikd_, Ms., tom. II, fol. 43 recto), che cita
l'autorità di Ibn-Kelbi.
[139] La _Kufîa_, _Kefía_ o _Keffieh_, che si pronunzia in questi varii
modi, è un fazzoletto quadro legato intorno al capo con doppii giri di
una funicella di pelo, e scende al collo e alle spalle. Ordinariamente
listato a verde e giallo, o tutto bianco. Il professore Dozy,
_Dictionnaire des noms des vêtements_ ec., p. 394, sostiene che la
origine di questa voce sia italiana. Credo al contrario che gli Arabi
l'abbian portato in Italia.
[140] Sâdât è plurale di plurale, come lo chiamano i grammatici arabi,
della voce notissima Sâid, signore. Con questo titolo significativo
chiamansi i senatori della Mecca di quel tempo nelle antiche tradizioni
che raccolse Ibn-Zafer nel libro intitolato _Nogiabâ-'l-Ebnâ_ ossia dei
“fanciulli egregii.” Se ne parla a proposito di un aneddoto di Maometto
fanciullo di dodici anni, entrato per caso nella sala del consiglio,
mentre vi si trattava un alto affare. Vedi il MS. di Parigi, Suppl.
arabe 486, fol. 48 verso, e Supp. arabe 487..... La presente citazione
si riferisca al solo titolo che non credo sia dato da altro autore. La
istituzione e autorità del consiglio è nota.
[141] Ibn-el-Athîr, MS. C., tom. I, fol. 3 recto e verso.
Sul giorno della fuga, gli eruditi non son di accordo; ponendolo chi in
giugno e chi in settembre 622. Vedi Caussin, _Essai sur l'histoire des
Arabes_, tom. I, p. 16, seg.
In ogni modo il primo anno dell'egira cominciò il giovedì 15 luglio 622,
secondo gli astronomi arabi, e, secondo l'uso comune, il 16; contando
gli astronomi il principio della giornata da mezzodì, e i magistrati e
il popolo dal tramonto del sole. Vedi Sédillot, _Manuel de Chronologie
universelle_, Paris 1830, tom. I, p. 340, seg.
[142] Parendomi inutile e noiosissimo di far citazioni in un quadro
generale, mi contenterò di ricordare ai lettori le opere principali da
consultarsi su la storia degli Arabi avanti l'islamismo e nei primi
tempi di quello. Sono: il Corano; le Tradizioni di Maometto, delle quali
la raccolta più compiuta che si trovi data alle stampe è il
_Mishkat-ul-Masabih_, versione inglese del capitano Matthews; Pococke,
_Specimen historiæ Arabum; Universal history, ancient part_, tom.
XVIII., _modern part_, tom. I; Caussin, _Essai sur l'histoire des
Arabes_.
L'ambasceria degli Arabi a Iezdegerd si legge in Tabari, _Annales
regum_, edizione del Kosegarten, tom. II, p. 274 a 281, e se ne trova un
compendio nel tom. III di M. Caussin, p. 474, seg., e una versione
francese di M. de Slane, _Journal Asiatique 1839_, tom. VII, pag. 376,
seg. Sarebbe superfluo lo avvertire ch'io non ho composto il discorso di
Mogheira, ma soltanto abbreviatolo, lasciandovi per lo più le parole
dell'originale.
[143] Hariri, _Mecamêt_, ediz. di M. de Sacy, p. 34, edizione di MM.
Reinaud e Derenbourg, p. 39. Questa tradizione è data nel Commentario.
Veggasi anche lo aneddoto raccontato da M. Caussin, _Essai_, tom. III,
p. 507.
[144] _Dirhem_ è corruzione della voce greca e latina _drachma_.
Significa appo gli Arabi un peso e una moneta di argento. Il valore
della moneta così chiamata è stato, come sempre occorre, vario ne' varii
tempi e luoghi: spesso moneta di conto, ma non effettiva. I dirhem che
abbiamo dei califfi, ancorchè in tempi posteriori ad Omar, tornano in
peso d'argento a sessanta centesimi di lira italiana più o meno. Parmi
che questo sia stato anco il valore che s'intendea sotto la
denominazione di dirhem al tempo di Omar. Si può supporre che una
giornata di lavoro presso i popoli stanziali di Arabia tornasse in quel
tempo circa a due dirhem; poichè lo schiavo persiano il quale per
vendetta uccise quel gran principe, sendo ito a chiedergli giustizia
contro il proprio padrone che l'obbligava a pagare due dirhem al giorno,
Omar gli avea risposto che mettendo su un molino a vento, avrebbe potuto
vivere e soddisfare quel tributo.
[145] Mawerdi, _Ahkâm Sultânîia_, lib. XVIII, ediz. Enger, p. 345 seg.
Ibn-el-Athîr, MS. C, tom. II, fol. 93, seg., sotto l'anno 15.
Ibn-Khaldûn, Parte II, MS. di Parigi, Suppl. Arabe, 742 quinquies, tom.
II, fol. 171 recto. Ho seguíto a preferenza Mawerdi, antico e rinomato
scrittore di dritto pubblico. Le cifre son date con qualche divario da
Ibn-el-Athîr e dagli altri compilatori moderni. Ma si ricava da tutti:
1º Che fossero scritti nei divani anche i fanciulli, le donne e gli
schiavi; 2º Che vi fosse un _minimum_ come noi diremmo, al quale avea
dritto ogni persona di qualunque sesso, età e condizione. Perciò le
pensioni più grosse debbono riguardarsi in parte come retribuzione
militare, o riconoscenza di meriti particolari, e in parte come quota
dei guadagni comuni, appartenente ad ogni associato nella fraternità
musulmana.
[146] Omar-ibn-Madî-Karib, interrogato dal califo Omar su la virtù delle
varie maniere d'armi, rispondea così per le saette; per la lancia dicea:
or è tuo fratello, or ti tradisce, ec. Egli si piccava sopratutto di
maneggiar la spada e l'espresse con una parolaccia alla quale il califfo
rispose con lo staffile. Ibn-Abd-Rabbih, _Kitâb-el-I'kd_, MS., tom. I,
fol. 50 verso.
[147] Ibn-Abd-Rabbih, op. cit., tom. I, fol. 26 verso. Tacito avea
scritto: _Velocitas juxta formidinem; contatio propior constantiæ est._
De Mor. Germ. Ciò che dico delle armi e tattica dei Musulmani nei primi
secoli dell'islamismo si ricava anche dai varii racconti di lor guerre,
non meno che dai trattati di Leone il filosofo, Leonis imperatoris
_Tactica_, cap. 18, edizione di Meursius, p. 810, seg., e di Costantino
Porfirogenito, Constantini _Tactica_, ibid., p. 1398, seg.
[148] Gli Arabi non han preso mai il nome di Saraceni, nè altro simile;
nè avvi nei loro ricordi alcuna gente così chiamata. Questa vocabolo,
scritto dai Latini _Sarraceni_ e da' Greci Σαρακηνοὶ, presso Plinio il
vecchio, Tolomeo e Stefano Bizantino, denota alcune tribù e picciole
popolazioni; Ammiano Marcellino e Procopio l'usano in significato più
vasto; e gli scrittori occidentali dopo l'islamismo gli danno la
estensione che io ho accennato. Indi si vede come successivamente si
allargasse quella denominazione tra il primo e 'l quarto e poi di nuovo
tra il sesto e il settimo secolo dell'era volgare. L'etimologia è
incerta, ancorchè gli eruditi si siano tanto sforzati a trovarla,
cominciando da San Geronimo che facea derivare il nome dei figli di Agar
da Sara; e scendendo ai moderni, i quali han creduto raffigurar certi
vocaboli arabi che suonerebbero uomini del deserto, ladroncelli e simili
baie. Secondo una opinione più plausibile, Saraceni, sarebbe
trascrizione della voce arabica _sciarkiun_, al genitivo (sul quale per
lo più si costruiscono i derivati in tutte le lingue) _sciarkiin_ che
significa orientali; la qual voce i Greci e i Romani non poteano
trascrivere nè pronunziare altrimenti che _sarkin_ o _sarakin_, mancando
nell'alfabeto loro la lettera _scin_ che risponde alla _ch_ francese e
_sh_ inglese. Veggansi Gibbon, _Decline and Fall_, Cap. L, nota 30, con
l'annotazione di Milman; Saint-Martin, note a Le Beau, _Histoire du
Bas-Empire_, lib. LVI, § 24; Reinaud, _Invasions des Sarrazins en
France_, p. 229, 231.
[149] Evagrius, _Historia Ecclesiastica_, lib. VI, cap. 2; Nicephorus
Callistius, _Ecclesiasticæ Historiæ_ lib. XVIII, cap. 10; Caussin,
_Essai sur l'histoire des Arabes_, tom. II, pag. 133. I due scrittori
greci, portando il nome del principe arabo con l'articolo, scrivonlo
Alamondar.
[150] Anastasius Bibliothecarius, presso Muratori R. I., tom. III, pag.
140.
[151] Processo di papa Martino a Costantinopoli, presso Labbe, _Sacros.
Concilia_, tom. VI, pag. 63, 68, 69.
[152] All'accusa di connivenza con Olimpio il papa rispose che non
avrebbe avuto forze da opporsi; e recriminò contro uno degli accusatori
il quale s'era trovato in condizioni simili.
[153] Beladori, presso Reinaud, _Fragments Arabes_ etc. _relatifs à
l'Inde_, p. 182. I due luoghi di Ibn-Khaldûn, riferiti nella nota
seguente, mi inducono a tradurre in questo modo il passo analogo del
Beladori.
[154] Ibn-Khaldûn, _Prolegomeni_, nel British Museum, MS. 9547, fol. 143
verso; e Storia, sezione 2ª, MS. di Parigi, Suppl. arabe, 742 quinquies,
vol. II, fol. 180 verso. In questi due luoghi si legge in due modi
alquanto diversi il motto riferito da Beladori e citato di sopra; se non
che è attribuito ad A'mr-ibn-A'si, il quale, interrogato da Omar che
fosse il Mediterraneo, rispondeva: “Una sterminata pianura su la quale
cavalcano uomini di poco cervello, piantati come vermi in un pezzo di
legno.” Nei Prolegomeni lo storico arabo aggiugne riflessioni generali
su le armate dei Musulmani. Nell'altro luogo citato, che contiene la
storia dei primi califi, narra che Mo'âwia proponesse ad Omar l'impresa
di Cipro; che quegli domandasse ragguagli ad A'mr-ibn-A'si capitano
d'Egitto, e che, avutane quella risposta, vietasse l'impresa nei termini
ch'io ho riferito. Il citato squarcio dei Prolegomeni si legge in
inglese, con interpretazione che non risponde del tutto alla mia,
nell'opera del Gayangos, _The history of the Mohammedan Dynasties in
Spain by Al-Makkari_, tom. I, p. XXXIV.
[155] Le indulgenze che guadagnano i Musulmani combattendo per mare sono
annoverate nel _Mesciâri'-el-Asciwâk_, p. 49, seg. Le opinioni contrarie
leggonsi presso M. Reinaud, _Extraits etc. relatifs aux Croisades_, p.
370 e 476; e _Invasions des Sarrazins en France_, p. 64 e 67. Tra le
altre v'ha che i legisti teneano come stolto, e indi incapace a far
testimonianza in giudizio, chiunque avesse navigato due o più volte per
cagion di mercatura.
[156] Ibn-Khaldûn, _Storia_, sezione 2ª, MS. di Parigi, Suppl. arabe,
742 quinquies, vol. II, fog. 180 verso.
[157] Ibid., fog. 181 recto.
[158] Gli annalisti musulmani son dubbii su queste date. Le pongo
secondo i bizantini citati da Le Beau, _Histoire du Bas-Empire_, lib.
LIX, § 35, 36.
[159] Presso Labbe, _Sacrosancta Concilia_, tom. VI, p. 63, 68, 69. Il
papa si discolpava dell'accusa d'aver mandato lettere e danari ai
Saraceni, allegando non aver fatto che qualche picciola limosina a servi
di Dio andati nel paese che occupavano gli Infedeli: senza dubbio la
Sicilia. Gli apponevano inoltre i magistrati bizantini il favore dato
all'esarco Olimpio che praticava contro l'imperatore, come pare, quando,
rappacificatosi col papa, passò in Sicilia.
[160] Tom. I, p. 532, sotto l'anno del mondo 6155, secondo il conto suo,
che, ridotto all'era volgare, risponderebbe al 662. Il passo di Teofane,
rettamente interpretato (e posso dirlo con certezza dopo averlo messo
sotto gli occhi di M. Hase), è del tenor seguente: “Quest'anno fu
occupata parte della Sicilia, e (i prigioni), a scelta loro, furon fatti
stanziare in Damasco.” La inesatta versione latina del testo stampato ha
portato alcuni compilatori moderni a sognare un volontario esilio di
Siciliani a Damasco.
[161] Presso Muratori, _Rerum Italicarum Scriptores_, tom. III, p. 140;
e Labbe, _Sacrosancta Concilia_, tom. VI, p. 3, che dà più corretto
questo luogo del testo. Parlando d'Olimpio, Anastasio dice: _Qui, facta
pace cum sancta Dei Ecclesia, colligens exercitum, profectus est
Siciliam adversus gentem Sarracenorum, qui ibidem habitabant. Et,
peccato faciente, major interitus in exercitu romano pervenit, et post
hoc idem exarchus morbo interiit._ Secondo le correzioni del Pagi al
Baronio (anno 649 e seguenti), la passata d'Olimpio in Sicilia si dee
riferire al 652; la qual data è determinata con certezza dai noti casi
di papa Martino, che succedettero dopo la morte d'Olimpio. Veggasi anche
lo stesso Anastasio Bibliotecario, _Historia Ecclesiastica_, anno 22 di
Costante.
[162] Beladori, MS. di Leyde, p. 275: “Dicono che abbia osteggiato la
Sicilia Mo'âwia-ibn-Hodeig della tribù di Kinda, ai giorni di
Mo'âwia-ibn-abi-Sofiân. Egli il primo portò la guerra in quest'isola; nè
posò d'allora in poi l'infestagione, finchè gli Aghlabiti vi occuparono
oltre una ventina di cittadi.”...... “Narra il Wâkidi che
Abd-Allah-ibn-Kaîs abbia fatto prigioni in Sicilia, e presovi simulacri
d'oro e d'argento incoronati di gemme, i quali mandò a Mo'âwia (il
califo) che inviolli a Bassora, a fine d'imbarcarli per l'India, e quivi
farli vendere con avvantaggio.” Come ognun vede, il Beladori non
confonde queste due scorrerie, che veramente furono distinte, ancorchè
egli nol dica espresso. Aggiungasi che il Beladori scrive l'impresa di
Sicilia immediatamente innanzi quella di Rodi, su la data della quale
non v'ha dubbio. Il Wâkidi citato da lui è il cronista le cui opere son
perdute, e il nome è stato usurpato dal compilatore moderno di cui feci
menzione. Nel testo di Beladori si legge Khodeig in luogo di Hodeig,
com'io l'ho corretto, seguendo Ibn-el-Athîr, MS. C., tom. II, fol. 171,
seg. E così anco ha fatto sopra altre autorità il dotto editore del
_Baiân_, alla p. 9.
[163] La più autorevole ancorchè più recente è il _Baiân_, p. 9 ed 11.
Quivi si distinguono le due scorrerie di cui abbiam detto nella nota
precedente; ma si attribuisce alla prima una circostanza peculiare della
seconda, cioè gli idoli mandati a rivendere in India. Il _Baiân_ pone la
prima nel 34 (654-5) e la seconda nel 46 (666-7): date sbagliate l'una e
l'altra per lo studio di connettere queste due imprese di Sicilia con
quelle d'Affrica, con le quali non ebbero che fare. Sembra che altri
compilatori abbiano confuso in una sola le due imprese per la medesima
ragione, e perchè supposero che la espressione del Beladori “ai giorni
di Mo'âwia-ibn-abi-Sofiân” significasse mentre Mo'âwia era califo
(661-680), più tosto che nel tempo ch'ei governò la Siria (640-661).
Cotesti compilatori sono il Bekri, citato da Ibn-Scebbât, MS., p. 7; il
Nowairi, presso Di Gregorio, _Rerum Arabicarum_, p. 1; e Ibn-abi-Dinâr,
MS., fol. 10 verso, e traduzione, p. 41. Ibn-el-Athîr non fa menzione nè
dell'una nè dell'altra impresa, talchè è da supporre qualche lacuna nel
MS.
[164] Dopo i lavori dell'Hamaker e d'altri orientalisti, è nota la
falsità del libro del conquisto di Siria attribuito a Wâkidi; sul quale
Okley in gran parte compilò la sua storia de' Saraceni, e trasse nel
proprio errore Gibbon e parecchi altri. Questo libro e quei dello stesso
conio su i conquisti di Egitto etc., contengono insieme tradizioni
genuine e fittizie, e son opere di uno o parecchi compilatori. Or tra i
molti MSS. del falso Wâkidi che v'hanno nelle collezioni europee, se ne
trova uno al British Museum (Bibl. Rich. 7361. Nº CCLXXXVII del catalogo
stampato) che contiene lunghe appendici su i conquisti di Cipro, Rodi,
Affrica, Sicilia ed Arado. Su queste appendici è da notare in primo
luogo che le non sian date, come il rimanente del MS., a nome or del
Wâkidi ed ora del _rawî_, ossia raccontatore, ma sempre di quest'ultimo.
In secondo luogo si scopre in qual tempo scrisse il _rawî_; perchè
parlando dell'Etna (fol. 118 recto) ei cita il racconto fattogli da uno
sceikh siciliano per nome Abu-l-Kâsem-ibn-Hakem, che vivea a corte del
califo di Bagdad. Per avventura il medesimo sceikh si vede citato da
Abu-Hâmid-Mohammed-ibn-Abd-er-Rahîm-el-Mokri nella compilazione di
geografia intitolata _Tohfat-el-Albâb_, della quale conosciam la data,
cioè l'anno 557 dell'egira (1161): e sappiamo che l'autore si fosse
trovato a Bagdad nel 1122 e nel 1160 (Reinaud, _Géographie d'Abulfeda_,
tom. I, Introduction, p. CXII). Abu-Hâmid dice aver sentito di propria
bocca di Abu-l-Kâsem a Bagdad le notizie ch'ei dà su l'Etna, le quali
esattamente rispondono a quelle del falso-Wâkidi (_Tohfat-el-albâb_, MS.
di Parigi, Ancien Fonds 586, fol. 66 recto, e Suppl. arabe, 861, 862,
863). Mi par dunque certo che il compilatore dell'appendice sia vivuto
nel XII secolo, e ch'egli non abbia preteso punto di attribuir
l'appendice a Wâkidi, nel qual caso non avrebbe citato il nome d'un
contemporaneo, uomo assai noto. Oltre a ciò le idee e lo stile, sì
dell'opera principale e sì delle appendici, tengon bene della
esaltazione religiosa, della esasperazione di sentimenti nazionali, e
fin della moda di romanzi cavallereschi deste in Oriente dalle Crociate.
Trovo finalmente nella appendice su la Sicilia: “Il re dei Rum ha tenuto
sua sede dai tempi più remoti infino a questi nostri giorni, in tre
luoghi soli, cioè la Sicilia, Roma, e Costantinopoli” (fog. 119 verso);
la quale asserzione s'adatta alle vicende dell'impero fino al soggiorno
di Costante a Siracusa, e risponde anco più esattamente al duodecimo
secolo, in cui i potentati delle provincie italiane e greche erano
appunto quei tre: imperatore bizantino, re normanno di Sicilia, e re dei
Romani.
Passando alla critica dei fatti, basta a percorrere le appendici per
accorgersi di quel miscuglio di vero e di falso che si trova in tutte le
opere dello pseudo-Wâkidi; ma è notevole che la sconfitta navale e la
uccisione di Costante, e poi il conquisto dell'Affrica, siano raccontati
con circostanze più vicine al vero, e in generale senza le novellette
che Ibn-el-Athîr e altri rinomati scrittori accettarono come fatti
storici. Che se parrebbe sospetta a prima vista la mancanza del nome di
chi capitanò questa impresa di Sicilia, ciò può provare al contrario la
diligenza del compilatore, poichè i ricordi antichi erano divisi
su tal punto, e chi dava l'onore a Mo'âwia-ibn-Hodeig, chi ad
Abd-Allah-ibn-Kais. Del rimanente sarà agevole, a creder mio, a scevrare
le finzioni dai fatti che il compilatore tolse da autori antichi, forse
dal genuino Wâkidi. Perciò non ho avuto scrupolo ad ammettere questi
ultimi nella mia narrazione. E perchè il lettore possa rivedere il
giudizio mio, gli porrò sotto gli occhi la somma della detta appendice
che è questa:
I Musulmani, levata una taglia in Affrica e ritrattisi da quella
provincia, volgon la mente al conquisto di Sicilia, una delle antiche
sedi dei re romani, vasta isola e ferace. Mo'âwia ne scrive al califo
Othman, che assente. Gli Affricani, risapendo questo, ne danno avviso in
Sicilia. Il principe della quale isola s'adira del disegno, senza
prestarvi molta fede. Scioglie dalla costiera (di Siria) l'armata
musulmana, di trecento legni, e improvvisa piomba sull'isola, ove il
principe dall'alto del suo palagio la vede venire adorna di bandiere e
gonfaloni e piena di guerrieri bene armati. Il principe di Cesarea che
s'era rifuggito in Sicilia, quando il cacciarono gli Arabi, consiglia a
quel di Sicilia di comporre per danaro. Quei spregia l'avviso, dicendo
aver tali forze da far testa agli Arabi in cento scontri e resister loro
per un anno intero. Nondimeno, surta che fu all'áncora l'armata
musulmana, ei mandava a parlamentare. Viene a lui un oratore musulmano
che per via d'interpreti gli propone l'islamismo, il tributo, o la
guerra: lungo discorso seguíto da una lunga e sdegnosa risposta del
principe di Sicilia. Infine un patrizio domanda all'oratore se alcun
arabo voglia misurarsi con lui. “Sì lo faranno gli infimi dell'esercito
musulmano;” risponde l'oratore. Descrizione del duello, in cui il
patrizio è ucciso. Sbigottito il principe a tal esempio, si chiude in
fortezza; e i Musulmani danno il guasto a varii luoghi ed espugnano con
lor macchine varie castella. Infine si viene a giornata. Il principe
rompe l'ala sinistra de' Musulmani; ma la destra tien fermo, e la
battaglia dura in fino a sera. A notte avanzata, i Musulmani lasciano il
campo, e rimontati su l'armata vanno ad infestare altre parti
dell'isola. Il principe siciliano scrive ai Romani (d'Italia) chiedendo
rinforzi; ma essi nè anco gli rispondono. Allora il principe di Cesarea
gli suggerisce di tenere a bada il capitan musulmano con simulate
proposizioni di pace e mandare per aiuto al principe di Costantinopoli:
a che il Siciliano replica: “Mai noi farò quando anche dovessi perdere
l'isola.” Così i Musulmani continuano a depredare il paese, finchè il
principe di Costantinopoli mandavi secento navi ben munite di guerrieri.
Avutone avviso, i Musulmani deliberano di partire immediatamente.
Lascian l'isola nottetempo; e, dopo parecchi giorni di navigazione,
giungono alla costiera di Siria; dove sbarcato il bottino e i prigioni,
li arrecano a Damasco a Mo'âwia-ibn-abi-Sofiân. Levatone la quinta,
Mo'âwia la manda ad Othman, ragguagliandolo del fatto di Sicilia, e che
i Musulmani ne fossero usciti sani e salvi. Dopo ciò, i Musulmani
combattono l'isola di Arado, che fu l'ultima vittoria loro sotto il
califato di Othman, e seguì lo stesso anno della uccisione di lui.
[165] Ibn-Scebbâtt, MS., pag. 50, dice: “Sikillia è anche nome di una
_dhía_ (villa o podere addetto a beneficio militare) nella Ghûta di
Damasco.” Il _Merasid-el-Ittila'_ MS. di Leyde, ha quest'altro breve
articolo: “Sikilliât (al plurale femminino) con tre i e la l
raddoppiata, dicono sia nome di luogo in Siria.” Questa opera è
compendio del gran dizionario geografico di Jakut, e si attribuisce il
compendio allo stesso autore che vivea nel XIII secolo. Vedi Reinaud,
_Géographie d'Abulfeda_, tom. I, p. CXXXIII, seg.
[166] Dsehebi, MS. di Parigi, Suppl. Arabe, 746, tom. 1, anni 37 e 38.
[167] Ibn-Abd-el-Hakem, MS. di Parigi, Ancien Fonds 655, p. 430.
[168] Ibid., p. 253. Quest'impresa seguì l'anno 31 (651-52); e come
altri due guerrieri di nome riportarono la stessa ferita di Ibn-Hodeig,
così gli Arabi chiamarono i Nubii “saettatori delle pupille.”
[169] Beladori, l c.; _Baiân_, p. 9, il quale riferisce l'impresa al 34,
mentre Mo'âwia-ibn-Hodeig era in Affrica; e però è costretto a dire
ch'egli _mandò_ ad assaltare la Sicilia.
[170] Soprattutto le tre espedizioni ch'egli capitanò nell'Affrica
propria gli anni 34 (654-5), 40 (660-1), e 50 (670); l'una delle quali
si scambiava con l'altra fin dal tempo dei primi scrittori, come
l'afferma Ibn-abd-el-Hakem, che visse nel IX secolo dell'era cristiana.
Veggansi Ibn-abd-el-Hakem, MS. di Parigi, Ancien Fonds 655, p. 262, 263,
e Ancien Fonds 785, fol. 109 recto e 122, e il _Riadh-en-nofûs_, fol. 9
recto.
[171] Riscontrinsi le citazioni che ho fatto sopra testualmente, e si
giudichi se dian prova di tutti i fatti ch'io scrivo. Veggasi del
rimanente Le Beau, _Histoire du Bas-Empire_, lib. LX, § 6, 36, con le
correzioni del Saint-Martin. Parmi errore del Martorana, _Notizie