Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I - 21

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proscrizione degli eretici Pauliciani, che si tirò dietro guerre
atrocissime; la ambizione di Barda fratello, e la mala educazione di
Michele terzo, figliuolo di lei, soprannominato l'Ubbriaco. Il quale,
cacciata di corte la madre (854), ruppe ogni freno di pudore; dièssi a
vita brutale; buffoni e ribaldi in favore; scialacquato il danaro
pubblico; trasandata o stoltamente e vilmente condotta la guerra contro
i nemici che accerchiavano l'Impero; a vicenda insultato il culto
cristiano, e sontuosamente edificate chiese; infine accesa con
leggerezza la gran briga del patriarcato di Costantinopoli, che fu
conteso tra Ignazio e Fozio, ossia tra le fazioni del papa e della corte
(857). Donde se d'alcuna cosa è da maravigliare negli avvenimenti di
Sicilia, non fia la impotenza, ma sì la pertinacia delle armi bizantine.
Del rimanente appaiono semplici e chiare le cagioni di quel continuo
progredimento della colonia musulmana, nei trent'anni che corsero dalla
presa di Palermo, alla morte di Abbâs-ibn-Fadhl.
Verso quel tempo la fortuna cominciò a variare, come ce l'attestano gli
annali arabi, or confessando, e più spesso tacendo. Ma poich'essi dicon
poco, e i Bizantini nulla, gli avvenimenti ci capitano sotto gli occhi
sì interrotti, sì confusi, che sarebbe da metterli in forse a ogni
passo, se non si conoscessero le nuove condizioni dei vincitori e dei
vinti. Però è mestieri invertir l'ordine naturale del racconto; divisar
prima i fatti generali che noi possiamo dedurre; e poi venirne con
quella scorta ai fatti esteriori, alla scorza della storia, che
ritraggono i cronisti.
Incominciando dalla colonia musulmana, ei si vede che la concordia v'era
durata troppo più che non potesse. Perocchè la prospera fortuna attirò
nuovi coloni; la sottomissione dei Cristiani al tributo menomò il
bottino; le masnade, ingrossate e prive degli acquisti che concedea la
legge, si diedero a rubare non ostante gli accordi; i Cristiani,
provocati per tal modo, vennero ad atti di disperazione; e da ciò le
nuove sconfitte loro, le uccisioni, le schiavitù; e occupati infine
moltissimi poderi dai Musulmani, per cupidigia e necessità. Dei modi
della occupazione discorreremo nel libro terzo, e basti qui notare che
principalmente furon due, cioè: ispogliare a dirittura gli antichi
possessori, cacciandoli o facendoli schiavi; ovvero ridurli a
vassallaggio, e prender da loro una parte di ciò che fruttava il
terreno. Ma le entrate che ne tornavano ai Musulmani si scompartivano in
varie guise; e sempre con inevitabile disuguaglianza; avvenendo che le
terre prese or si dividessero, or si tenessero in demanio; e che il
ritratto dei poderi demaniali e le contribuzioni su le terre lasciate ai
Cristiani si assegnassero ai corpi del giund, in una maniera che variava
dal mero pagamento di stipendio infino al beneficio militare. Or i corpi
del giund, consorterie autonome, civili insieme e militari, spiccandosi
dalla capitale per andare ad abitar città o castella vicine ai poderi,
diventano al tutto stati nello stato, portavan seco tutti i vizii della
feudalità; opprimeano la popolazione rurale; molestavano i vicini
musulmani o cristiani; erano per ogni verso fomiti di turbolenze. Da
un'altra mano, lo assegnamento degli stipendii o beneficii e la
divisione delle terre, per legge musulmana e natura stessa della cosa,
davan luogo ad arbitrio e ingiustizia: onde si raccendeano le antiche
ire delle schiatte, delle tribù, delle famiglie; i Berberi si sentiano
lesi dagli Arabi, gli Arabi Iemeniti dai Modhariti, questa parentela da
quella; e scorreva il sangue; si perpetuavano le nimistà; il governo
della colonia diveniva difficil opra ogni dì più che l'altro. Tanto era
avvenuto in Affrica, in Ispagna, per ogni provincia musulmana. Io lo
scrivo sì francamente anco della Sicilia, perchè quegli elementi sociali
portavano a quegli effetti, e ne veggiamo spuntare i segni qua e là
negli annali siciliani dei tempi susseguenti.
Il principato aghlabita volle riparare a tal discordia, o trarne partito
per dominare su i coloni altrimenti che di nome. La quale usurpazione, o
ripetimento di dritti che dir si voglia; incominciò da uno di que'
monarchi, di facil natura, Mohammed-ibn-Aghlab, che regnò, senza mai
governare (841-856). Costui volendo liberarsi dalla insolenza d'un
fratello che lo tenea come prigione, cospirò con Ahmed e Khafâgia,
figliuoli di Sofiân-ibn-Sewâda, suoi lontani parenti;[572] i quali, come
uomini di gran vaglia, fattogli conseguire l'intento, rimasero
potentissimi appo di lui. Par che costoro non perdesser grado, quando,
morto Mohammed, succedeagli Ahmed suo figliuolo (856 a 863). Da lui fu
eletto al governo di Sicilia, a dispetto della colonia, o almeno di una
grossa fazione, Khafâgia-ibn-Sofiân, detto di sopra; prode uom di
guerra, ucciso a tradimento dai suoi stessi, e padre d'un altro valoroso
che governò dopo lui la Sicilia, e incontrovvi lo stesso fato.
Seguì anco in questo tempo la esaltazione di Basilio Macedone (867), il
riformatore del Basso Impero. Basilio, salito men che onestamente da
povertà ed oscurità al favor della corte; guadagnato l'animo di Michele
terzo con la vergogna di sposare una concubina ch'era venuta a noia
all'imperatore e dargli in cambio la propria sorella; associato indi
allo impero in merito d'un assassinio; e rimasto solo sul trono, per la
grazia di Dio e perchè fe' scannare sotto gli occhi suoi Michele che
dormiva ubbriaco; Basilio, dico, dopo tante brutture e misfatti, regnò
con vera gloria. Riforniva lo erario senza aggravare i sudditi; cessava
gli scandali ecclesiastici; raffrenava gli abusi dell'azienda; facea
compilare un codice di leggi che porta il suo nome; sopra tutto
ristorava la milizia, riformandovi ogni ordine, a cominciar dalle paghe,
dalla leva dei soldati, dagli esercizii di mosse e d'armeggiare, fino
alla virtù della disciplina e alla scienza strategica.[573] Pertanto la
vittoria sotto gli auspicii suoi tornò ai vessilli bizantini; la
dinastia macedone regnò più lungamente e quetamente che molte altre;
parve rinfuso un po' di vita nell'impero. Basilio ripigliò anco un
tratto dell'Italia meridionale, e aspramente contese la Sicilia ai
Musulmani.
A questo effetto egli aiutò il moto delle popolazioni cristiane,
incominciato, come s'è detto, dopo la presa di Castrogiovanni, e però
parecchi anni innanzi la esaltazione di Basilio. Il moto era nato
nell'isola stessa dal continuo disagio e pericolo in che viveano tante
città tributarie dei Musulmani. Il caso di Castrogiovanni lo accelerò;
forse perchè i Musulmani, imbaldanziti, si sciolsero a maggiori eccessi.
Le popolazioni siciliane s'intesero tra loro, come trasparisce dalle
fazioni che sappiamo di quella guerra. Sgarate nella prova, par che
tentennassero; ma alla morte di Abbâs ripigliarono le armi con novello
ardire, rincorandole la divisione de' Musulmani. Ciò mi par si tocchi
con mano nei brani degli annali arabi, con la scorta dei quali ormai
torneremo al racconto.
Mentre i Cristiani provocavano, insultando al cadavere di Abbâs, la
colonia rifece capitano Ahmed-ibn-Ia'kûb, zio di lui; e il principe
aghlabita lo confermò.[574] Pur a capo di pochi mesi, verso il febbraio
dell'ottocento sessantadue, veggiamo deposto popolarmente Ahmed,
surrogatogli Abd-Allah figliuolo del morto Abbâs; e disapprovato lo
scambio a corte di Kairewân.[575] Nondimeno Abd-Allah avea dato opera
alla guerra; e, raro esempio ai tempi del padre, in luogo di condurla in
persona vi avea mandato Ribbâh, l'antico condottiero della vanguardia,
quel che primo entrò nella rôcca di Castrogiovanni. Il quale or
trovossi, per certo, a fronte di soverchianti forze, poichè dopo qualche
lieve avvantaggio fu rotto; presegli le bandiere e le taballe che
soleano stare al centro degli eserciti; e fattogli grande numero di
prigioni. Campato a stento, non volle tornare a casa senza vendetta:
espugnò la città del monte d'Abu-Malek, di ignoto sito; menò in
cattività tutti i borghesi; arse la terra; sparse intorno le gualdane a
fare i soliti guasti. La rôcca degli Armeni, la rôcca di Mosciâri'a
cadeano ancora in potere dei Musulmani. Seguiano queste fazioni nella
primavera dell'ottocento sessantadue.[576] Ma il principe d'Affrica, non
spuntandosi di suo proponimento, mandò a reggere la Sicilia
Khafâgia-ibn-Sofiân-ibn-Sewâda, di sangue aghlabita, di gran seguito a
corte, come dicemmo, chiaro alsì per vittorie in Affrica: il quale
arrivò in Palermo del mese di giugno.[577]
E con tutto l'ardore che il portava alle armi, e la furia di capitano
nuovo, come dice il proverbio siciliano, Khafâgia mandava in sua vece
alla guerra sacra il figliuolo Mahmûd: tanto ei trovò conturbata la
colonia di Palermo! Mahmûd, cavalcando il contado di Siracusa, rapì,
guastò, arse; ma, usciti i Cristiani a combattere, fu sconfitto e
costretto a tornarsene in Palermo.[578] Nè il padre il potè vendicare;
perchè l'anno che seguì, che fu il dugento quarantanove dell'egira (23
febbraio 863 a 11 febbraio 864), si sa che abbia mandato gualdane, che
quelle abbiano riportato un po' di bottino; ma senza fazioni degne che
se ne faccia ricordo, scrive Ibn-el-Athîr.[579] In vece delle quali
troviamo cerimonie di officio: che Ziadet-Allah, succeduto al fratello
Ahmed-ibn-Mohammed, confermava Khafâgia nel governo di Sicilia, e
mandavagli i soliti abbigliamenti di investitura;[580] quasi a mantenere
il rigor di dritto che facea amovibili i governatori a piacimento del
principe.
Ricominciava da senno la guerra, composte come par le liti intestine,
all'entrar dell'anno dugentocinquanta (12 febbraio 864 a 31 gennaio
865), quando i Musulmani occupavano l'antica e importante città di Noto,
per tradimento di un cittadino che lor mostrò la via di penetrar nella
fortezza. Saccheggiatala, e presavi, dicono gli annali, una bella somma
di danaro, passarono a Scicli, su la costiera di mezzogiorno, terra
della quale occorre adesso il nome per la prima volta, e fu espugnata
per lungo assedio.[581] Intanto, se dee starsi alla identità d'un altro
nome scritto nel solo _Baiân_, i Musulmani aveano abbandonato
Castrogiovanni, ed era ormai riabitata dai Cristiani, perchè si legge
che il dugento cinquantuno (1 febbraio 865 a 20 gennaio 866) Khafâgia
andava a guastar le mèssi del contado, trascorrea fino a Siracusa, e
combatteavi contro i Cristiani una fazione, forse infelice, perchè
senz'altro si aggiunge ch'ei tornasse in Palermo. Donde fe' uscire una
gualdana capitanata dall'altro suo figliuolo Mohammed; la quale prese il
fiero soprannome di gualdana dei mille cavalieri; chè tanti ne uccise,
posto un agguato, com'e' parrebbe, nelle campagne di Siracusa, e
attiratovi il nemico.[582] Ciò mostri con che grosse forze si combattea.
Il caso stranamente sfigurato, credo io, in qualche compilazione
persiana, portò il nostro Rampoldi a scrivere negli _Annali Musulmani_,
che l'ottocento sessantasette Khafâgia, volendo ritoglier Enna ai
Cristiani, era fatto prigione dopo avere ucciso di propria mano più di
mille uomini; ma il dì appresso lo riscattavano i suoi a prezzo di
trentaseimila bizantini d'oro.[583] La quale prigionia di Khafâgia, non
trovandosene vestigio nelle croniche arabiche scritte da senno, va messa
a fascio con l'erculea prova dei mille uccisi di sua mano. Torna anco
alla state dell'ottocento sessantacinque una fazione navale, in cui i
Musulmani presero quattro salandre bizantine nel mar di Siracusa; ove
par che l'armata fosse andata a cooperare con l'esercito, sia nella
impresa di Khafâgia, sia del figliuolo.[584]
Ostinandosi a fiaccar la capitale nemica, l'anno dugento cinquantadue
(21 gennaio 866 a 9 gennaio 867), Khafâgia riassaltava il contado di
Siracusa, ma con poco frutto; donde tornato per le falde dell'Etna
guastando per ogni luogo le campagne, veniano a chiedergli l'accordo
oratori, di Taormina troviamo nelle croniche, ma forse va letto
Troina.[585] Perchè ei vi mandava ad ultimar la cosa una moglie sua,
forse schiava cristiana, col figliuolo; e si fermò il patto: ma poi
infranto dai cittadini, Mohammed figliuolo di Khafâgia sopraccorrea con
lo esercito, entrava nella terra, e menava schiavi gli abitatori: la
qual facile vittoria non va con le note condizioni di Taormina, a quel
tempo città grossa, fortissima di sito, avvezza agli assalti e celebre
poco appresso per ostinate difese.[586] Mosse Khafâgia nella state del
medesimo anno sopra Noto, che, s'era sciolta dall'obbedienza; l'espugnò
di nuovo;[587] e verso l'autunno strinse Ragusa; la sforzò ad
arrendersi, a patto che andasse libera parte de' cittadini con loro roba
e giumenti: e ogni altra, cosa ch'era nella fortezza, anco gli animali e
gli schiavi, andò a monte come bottino[588]. Par che seguendo la
costiera di mezzogiorno giugnessero i Musulmani presso Girgenti, avendo
costretto a calarsi agli accordi il popolo di Ghirân, che io credo la
terra di Grotte: e moltissime altre castella occuparono; finchè il
capitano infermò di malattia sì grave, che fu mestieri portarlo a
Palermo in lettiga.[589] Ma non andò guarì che il rividero i Cristiani
nel dugento cinquantatrè (10 gennaio a 30 dicembre 867) cavalcare i
contadi di Siracusa e di Catania, distruggere le mèssi, guastar le
ville; mentre le gualdane ch'ei spiccava dal grosso dell'esercito
depredavano ogni parte dell'isola.[590]
Basilio, ch'era salito al trono in settembre di questo anno, provvide
immantinente a gagliardo sforzo di guerra in Sicilia. Onde Khafâgia
uscito di Palermo a dì venti di rebi' primo del dugento cinquantaquattro
(19 marzo 868), e mandato il figliuolo Mohammed per mare con le
_harrâke_, messosi a depredare il contado di Siracusa, seppe giunto di
Costantinopoli un Patrizio con armata ed esercito. A duro tirocinio li
avea mandato Basilio, contro tal capitano e tal milizia, cui le vittorie
dell'anno innanzi avean reso l'alacrità, l'impeto, e, men durevole, la
militar fratellanza. Scontraronsi i due eserciti in aspra battaglia,
lunga, sanguinosa. Trionfarono tuttavia i Musulmani; uccisero al nemico
parecchie migliaia d'uomini; presero robe, armi, cavalli; e più
furiosamente sbrigliatisi a guastare i dintorni di Siracusa, tornarono
in Palermo il primo regeb (26 giugno). Lo stesso dì Khafâgia fea salpare
il figliuolo con l'armata che s'era ritratta in Palermo, schivando le
superiori forze navali dei Greci. La quale andò a combattere su le
costiere di terraferma, e zeppa di bottino se ne tornò in autunno, come
altrove diremo.[591]
Poco mancò che a mezzo il verno, Mohammed figliuolo di Khafâgia non
rinnovasse a Taormina l'audace fatto d'Abbâs-ibn-Fadhl a Castrogiovanni.
Offertosi uno spione a porre i Musulmani entro la fortezza per alpestre
sentiero noto a lui solo, Khafâgia mandovvi il figliuolo; il quale del
mese di sefer dugento cinquantacinque (19 gennaio a 17 febbraio 869),
cautamente appressavasi; poi, restando addietro egli e il grosso delle
genti, mandava fanti spediti con la guida, che salsero a Taormina,
secondati dalla fortuna finchè ebbero animo e prudenza. Si impadronirono
d'una porta coi bastioni attigui, aspettando Mohammed che dovea venire a
tal ora, ed avea lor comandato stessero raccolti senza dar mano al
saccheggio. Ma que' non volendo lasciar altrui le primizie di sì ricca
città, si sparsero a far prigioni e preda; scoprirono ch'erano un pugno
d'uomini; onde i cittadini, risentendosi dal primo stupore, li
cominciarono a incalzare: e l'ora intanto era scorsa, nè comparivano le
bandiere di Mohammed. Però temendo non il nemico gli avesse intercetto
il cammino, gli entrati in Taormina si tennero spacciati; diersi alla
fuga; e s'imbatterono nei compagni quando la città era richiusa e
fallito il colpo: nè altro partito a Mohammed restò che di tornarsi in
Palermo.[592]
Già la vittoria seguiva la disciplina, passava dal musulmano campo al
greco. Poco appresso il fatto di Taormina, di rebi' primo del medesimo
anno (18 febbraio a 19 marzo 869), Khafâgia movea sopra Tiracia, com'io
leggerei in Ibn-el-Athîr, e risponderebbe a quella che poco appresso fu
chiamata Randazzo.[593] Non si sa ch'ei la espugnasse. Mandata intanto
fortissima schiera, col figliuolo, a Siracusa, l'esercito cristiano uscì
a incontrarla; si combattè fieramente d'ambo le parti; quando, caduto
nella mischia un de' più valenti guerrieri musulmani, gli altri dier
volta: inseguiti da' Greci e perduta molta gente, rifuggironsi al campo
di Khafâgia. Il quale a rifarsi dell'onta marciò con tutto lo esercito a
Siracusa; guastò il contado, pose l'assedio alla città; ma accorgendosi
che gagliardamente la si difendesse, levato il campo, riprese la via di
Palermo. Fece alto in riva al Dittáino, la notte del primo regeb; e
innanzi l'aurora (15 giugno 869), mentre ognuno rimontava a cavallo per
riprendere la marcia, un Berbero del giund, per nome Khalfûn-ibn-Ziâd
della tribù di Howâra, lo trafisse d'una lancia a tradimento, e a spron
battuto si fuggì a Siracusa. Recarono il cadavere di Khafâgia-ibn-Sofiân
a Palermo, ove fu onorevolmente seppellito;[594] la cui fama chiarissima
rimase tra i Musulmani d'Affrica per le vittorie guadagnate sopra i
Bizantini.[595]
Nel compianto della colonia tacque per poco la gelosia, sì
che rifecero in luogo dell'ucciso il figliuolo di lui, Mohammed;
e il principe d'Affrica lo confermò, com'era usanza, col diploma
e col dono delle vestimenta d'uficio.[596] Pure non è indizio di
tranquillità che Mohammed, sì infaticabile nelle guerre del padre,
promosso che fu al sommo grado nella colonia, si rimanesse in Palermo,
mandando con le gualdane Abd-Allah-ibn-Sofiân; il quale andò a
distruggere le ricolte in quel di Siracusa, e altro non fece.[597]
Così anco l'anno dugento cinquantasei che seguì (8 dicembre 869
a 27 novembre 870) non fu segnalato altrimenti che per una
impresa marittima. Perocchè alquante navi affricane, capitanate da
Ahmed-ibn-Omar-ibn-Obeid-Allah-ibn-el-Aghlab, avevano occupato Malta
l'ottocento sessantanove; ma, andati i Bizantini alla riscossa,
stringeano d'assedio il presidio musulmano. Mohammed mandovvi allora
l'esercito di Sicilia; il cui arrivo i nemici non aspettarono: e così a'
ventinove agosto ottocento settanta, rimanea quell'isola in poter della
colonia siciliana.[598]
Pochi mesi appresso, a' tre di regeb del dugento cinquantasette secondo
l'egira (27 maggio 871), Mohammed-ibn-Khafâgia era assassinato nel
palagio; in pien giorno, da' suoi servi eunuchi; i quali occultarono il
misfatto infino al dì seguente, per aver agio a salvarsi. La fuga li
scoprì; onde furono inseguiti, presone alcuni e messi a morte.[599] Indi
la colonia eleggea capitano Mohammed-ibn-Abi-Hossein; ne scrivea in
Affrica, ed era disdetta dal principe aghlabita; il quale commesse il
governo a Ribbâh-ibn-Ia'kûb-ibn-Fezâra, delle cui gesta in guerra è
occorso parlare, come anco della elezione e deposizione del suo fratello
Ahmed l'ottocento sessantadue. Ma, come se il caso prendesse a mantenere
gli agitamenti della colonia quando posavano i raggiri e le tradigioni,
Ribbâh moriva tra non guari, di moharrem dugento cinquantotto (17
novembre a 16 dicembre 871).[600] Seguillo alla tomba, nel mese di sefer
(17 dicembre 871 a 15 gennaio 872), il suo fratello Abd-Allah, eletto
wâli della Gran Terra, il continente cioè d'Italia, che i Musulmani
aspramente infestavano ormai da trent'anni.[601]


CAPITOLO VIII.

Innanzi l'impresa di Ased-ibn-Forât i Musulmani aveano piratescamente
assalito le costiere occidentali della Penisola, come si narrò nel primo
libro. Le varie fortune degli eserciti in Sicilia a volta a volta poi
rigettavano in terraferma qualche mano di avventurieri, o troppo audaci
in lor correrie, o disperati dopo alcuna sconfitta, o costretti a
fuggire per furor di parti; i quali, battezzatisi per necessità,
stanziarono, com'è probabile, presso Amalfi e Salerno: e rimaneanvi, nè
cristiani nè musulmani, fino all'ottocento cinquanta.[602] Forse vissero
ai soldi di quei piccoli Stati che si rubacchiavano a vicenda; forse
furon mezzani alla repubblica napoletana, quando si volse a chiedere
aiuto in Sicilia l'ottocentotrentasei.
In questo tempo la colonia di Palermo, assestata dal savio e forte
Ibrahim-ibn-Abd-Allah, avvezza ormai a fazioni navali e fatta amica dei
Napoletani, incominciò in ben altra guisa a infestare la terraferma.
Consigliata, o no, da' Napoletani, assaltò la costiera dell'Adriatico,
l'ottocento trentotto, credo io, ma non trovasi data nella cronica. Ciò
che ne sappiamo è, che i Musulmani improvvisamente occupavano Brindisi;
che Sicardo principe di Benevento vi sopraccorrea con grosse torme di
cavalli; e che pugnossi fuor la città. I Musulmani si affidarono a uno
stratagemma adoperato già nelle guerre di Sicilia. Scelto il luogo che
parve opportuno, vi scavaron fosse, le coprirono di sarmenti e di terra,
e appressandosi l'esercito nemico, si chiusero nelle mura. Un dì,
appresso il pranzo, irrompon fuori con grande schiamazzo e fragor di
stromenti; attirano il nemico nelle insidie; e quivi, dando la carica i
cavalli di Sicardo e traboccando nei fossati, grande numero di
Beneventani, Salernitani, e altre genti rimasero morti sul campo. Poi,
come i Longobardi s'armavano a furia per ogni luogo apprestandosi a
vendicare questa strage, i Musulmani, fitto fuoco a Brindisi, tornarono
con l'armata in Sicilia. Tanto narra l'Anonimo Salernitano che visse
alla fine del secolo seguente, e pur merita fede in questo caso, avendo
avuto alle mani tanti ricordi municipali, ignoti a cronisti più antichi
di lui. Il fatto non mi sembra identico con quel che riferisce Giovanni
Diacono, l'aiuto cioè dei Musulmani alla città di Napoli assediata da
Sicardo. E veramente le circostanze di coteste due fazioni non possono
stare insieme; e disconvengono anco i tempi, dovendo porsi l'aiuto di
Napoli l'ottocento trentasei, e il combattimento di Brindisi poco
innanzi la morte di Sicardo.[603]
Tra questa sconfitta e la morte, il tiranno beneventano ottenne singolar
favore dal cielo, dicono i cronisti narrandoci tuttavia le orribilità
sue: assassinii, stupri, tradimenti, ruberie, carnificine. Avendo
appreso che la superstizione potesse far ammenda dei delitti, Sicardo
mandava a cercare per ogni luogo ossami di santi; spesso a rubarne: e
n'avea raccolto un tesoro, quando gli capitò alle mani una reliquia
miracolosissima, s'altra mai ne fu. Le navi longobarde che giravan le
isole dando la caccia ai Saraceni, l'ottocento trentotto, approdate a
Lipari, trovaron bello ed intero il corpo di San Bartolommeo, che chiuso
in uno avel di marmo era venuto a galla dalle foci del Gange alle isole
Eolie; dove riconosciuto, e come no? ebbe culto e altari, finchè i
Musulmani non guastarono ogni cosa. In più lieve barca viaggiarono le
reliquie da Lipari a Salerno, onde poi furono tramutate a
Benevento.[604] Barca, credo io, non del navilio di Sicardo, che o non
n'ebbe mai, o non avrebbe osato mandarlo sì presso alla Sicilia; ma
piuttosto dei mercatanti della costiera i quali venissero a trafficare
coi Musulmani, prendere a baratto il bottino delle chiese, e vendere
schiavi italiani.[605] Perciò mi sembra notevole il fatto, e perciò l'ho
ricordato.
Stanchi alfine di quella insolente tirannide, i cittadini di Benevento
uccisero Sicardo (839); e, lasciato Siconolfo fratel suo nella prigione
ove egli l'avea messo, esaltarono un Radelchi, ch'era dei primarii
oficiali dello stato. All'incontro, Salerno, Capua e altre città, per
procaccio, com'e' parmi, de' grossi feudatarii longobardi che mal
soffrivano la dominazione di Benevento, gridarono principe Siconolfo,
testè liberato dai suoi partigiani. La successione disputata portò a
guerra civile, che forte incrudelì mescolandovisi i Musulmani. I quali,
al saper quelle discordie, fatto un general movimento, dice l'Anonimo
Salernitano, piombarono su la Calabria.[606] E prima que' di Sicilia,
non aspettata pur la primavera, occuparono Taranto; e si trovarono a un
tratto signori dell'Adriatico. Perocchè Venezia, sollecitata l'anno
innanzi da Teofilo ch'era ormai costretto a mendicare cotesti aiuti,
s'era mossa a gagliardo sforzo, tra le lusinghe dello imperatore, i
danari che vi recò il patrizio Teodosio, e il sentire già in pericolo la
navigazione sua: avea armato sessanta legni da guerra. Veleggiando,
com'e' pare, alla volta di Sicilia, s'imbatteano a Taranto nell'armata
musulmana; la quale uscita a combattere, li ruppe con orribile strage:
dicono gli annali de' Veneziani che tutta lor gente vi restasse morta o
presa. Nell'inseguire i fuggenti, spinsersi i Musulmani infino
all'Istria; addì trenta marzo ottocento quaranta saccheggiarono e arsero
Osero nell'isola di Cherso; saltarono su la riva opposta, sbarcarono
alle foci del Po presso Adria, ma senza frutto; ad Ancona fecero
prigioni e poser fuoco alle case; e poi, incrociando alle bocche
dell'Adriatico, presero molte navi mercantili di Venezia reduci di
Sicilia e d'altre regioni.[607] Intanto su la punta della penisola avean
espugnato parecchi luoghi e lasciatovi presidio, come va interpretata la
frase degli annali arabici, che quest'anno dugento venticinque
dell'egira (11 novembre 839 a 29 ottobre 840) i Musulmani conquistavano
la Calabria.[608] Nel medesimo tempo osteggiarono la Puglia, ritraendosi
che Haiâ liberto di Aghlab, principe d'Affrica, assalisse Bari, ma ne
fosse respinto.[609] L'armata musulmana, l'anno appresso, mostrossi di
nuovo nel golfo del Quarnero, e di nuovo diè una sanguinosa rotta ai
Veneziani, presso l'isoletta di Sansego.[610] In coteste fazioni non
combatteron soli i coloni di Palermo. Per certo li rinforzava la gente
venuta d'Affrica in Sicilia l'ottocento trentanove;[611] e v'eran anco
quegli audacissimi corsari della colonia di Creta, che due anni appresso
si veggono stanziare a Taranto. Affricani, Siciliani, Cretesi erano la
più parte compagnie di ventura, come quelle accorse l'ottocento trenta
in Sicilia; disposti ad operare insieme in alcuna impresa di momento, e
far le minori ciascuno per sè. E però fondarono in terraferma le
picciole colonie independenti, di cui si farà ricordo. I condottieri
usurparon titolo di principi, che gli scrittori cristiani danno talvolta
per nome proprio: così senza dubbio Sultano; così Saba, che parmi
corruzione di _Sâheb_. Ed è il nome attribuito all'ammiraglio che
trionfò a Taranto.[612]
Ma Radelchi, condotto alla stremo da Siconolfo, che gli avea tolto la
Calabria e non poca parte di Puglia,[613] si gittò agli aiuti dei
Musulmani. Per Pandone gastaldo di Bari, fe' chiamare un di que'
condottieri per nome Khalfûn, uom berbero, liberto della tribù araba di
Rebi'a;[614] le cui genti Pandone fe' accampar lungo la marina e sotto
le mura. E una notte i Baresi, che abbastanza non se ne guardavano,
videro saltare in città quelle frotte scalze, mezzo ignude, male armate,
e i più di sole canne, scrissero i Cristiani,[615] maravigliati di
quelle lor lance, di canne indiane, sottili e salde come d'acciaro.
Saccheggiarono; uccisero chi resistea: Pandone tra gli altri fu gittate
in mare, perchè volea parlare sopra il diritto delle genti. Radelchi,
non potendo far altro, li lasciò padroni di Bari; se li tirò dietro; ed
espilò i tesori delle chiese per pagar loro gli stipendii. Mandolli una
volta con Orso suo figliuolo sopra il castel di Canne o di Canosa, chè
dubbio è il nome;[616] dove sopraggiuntili Siconolfo, li ruppe sì
fieramente che pochi ne camparono. Khalfûn, crepatogli il cavallo nella
fuga, salvossi a piè, a mala pena, entro Bari. Nondimeno, i Musulmani
agevolmente riforniti di gente, prendean aspra vendetta; scorrean
predando e guastando infino a Capua; e ardean la città, che fu
rifabbricata di lì a pochi anni al ponte del Casilino, non lungi
dall'antico sito.[617]
Donde Siconolfo avvisandosi, dice Erchemperto, di spezzare con un mal
conio il mal nodo dell'albero, chiamò contro gli Agareni libici di
Radelchi gli Ismaeliti spagnuoli di Creta, capitanati da un
Apolofar[618] che avea fermo le stanze a Taranto. Siconolfo li assoldò
con espilar le chiese peggio che non avesse fatto Radelchi: le due
generazioni di Musulmani a gara si godeano il denaro de' Cristiani amici
e la roba dei nemici; e mandavano a vendere in lor paesi i prigioni
d'ambo le parti. Tra loro non si sa che mai combattessero, o il fecero
come i nostri condottieri del decimo quinto secolo. Nè anco si parla di
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