Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I - 20

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si scoprirà la man dei Napoletani che guidava que' pericolosi amici su
per l'Adriatico, a fine di gittarli addosso ai Longobardi e di sviarli
sempre dalla costiera occidentale. Al quale effetto occorrendo
procacciar loro un porto nel lato orientale della Sicilia occupato dai
Bizantini, si comprenderà di leggieri come la repubblica di Napoli
aiutasse i Musulmani all'assedio di Messina; se pur non fu dessa che lo
consigliò.
Andò a questa impresa con l'armata, correndo l'anno dugentoventotto
dell'egira (9 ottobre 842 a 28 settembre 843), Fadhl-ibn-Gia'far della
tribù di Hamadân; il quale, sbarcato in sul porto, cominciò a stringere
la città insieme coi Napoletani che già gli avean chiesto l'accordo,
scrive Ibn-el-Athîr. Sparse Fadhl sue gualdane per la campagna; ma nè
quei guasti, nè i frequenti e gagliardi assalti dei Musulmani, valsero a
sbigottire i Messinesi, eroica gente in tutti i tempi. Alfine, il
capitan musulmano, mandata una parte de' suoi a girar dietro i monti e
salir da quello che sovrasta alla città, presentò la battaglia, sì
com'ei solea fare, dalla marina; attirò a quella parte tutte le forze
del presidio: e in questo l'altra schiera irrompeva in città dall'alto;
feriva alle spalle i difenditori; li scompigliava; e Messina era
presa.[533] Pur non leggiamo che Fadhl vi abbia sparso molto sangue. Il
medesimo anno cadde in poter dei Musulmani un'altra città che
Ibn-el-Athîr chiama Meskân, o Miskân;[534] importante al certo, poich'ei
ne fe' menzione; ma non ritrovo tal nome appo i geografi antichi, nè
altrove. Se si leggesse Mihkân, che veggiamo in Edrisi, risponderebbe ad
Alimena; la quale è terra in sito assai forte, a cavaliere su la riva
del Salso e in su la strada che mena da Palermo nel Val di Noto
valicando le Madonie a Caltavuturo: sentieri alpestri, tinti di molto
sangue in quelle guerre.[535]
E veramente non tardava lo esercito di Palermo ad assaltare
il Val di Noto. Espugnovvi dell'ottocento quarantacinque le rôcche
di Modica,[536] città antica, le quali così al plurale sono ricordate
nella cronica di Cambridge; e ciò mostra che parecchi castelli
difendessero i poggi frastagliati da due burroni, ov'oggi siede
la città. Forse l'anno medesimo, i Musulmani capitanati da
Abu-'l-Aghlab-Abbâs-ibn-Fadhl-ibn-Iakûb-ibn-Fezâra, ebbero a combattere
un esercito in quella provincia. Par che alla morte di Teofilo (20
gennaio 842) la ristorazione del culto delle immagini, savio
provvedimento poichè tanto lo sospiravano i popoli, abbia dato
riputazione alla reggenza dell'imperatrice Teodora appo i Siciliani.
Scorgiamo, in fatti, da uno scritto contemporaneo[537] il bollor delle
passioni che destò in Sicilia la festa della Ortodossia, istituita in
quell'incontro, da far quasi dimenticare che i Musulmani occupavano
mezza l'isola e guastavano l'altra metà. La reggenza, alla quale mancò
la virtù ma non il ticchio della guerra, volendo usar quello zelo
popolare, apprestò allora un esercito per la Sicilia. Mandovvi le
milizie del tema di Kharsiano, così detto da una città dell'Asia Minore,
le quali si davan vanto d'essere le più valenti dell'Impero;[538] ma
fecero prova contraria in questo incontro. Venute alle mani con Abbâs
nelle campagne, cred'io, di Butera, furono rotte con grandissima strage:
nove o diecimila uomini uccisi, combattendo no, ma fuggendo; perocchè i
Musulmani, vogliosi di esagerare l'agevolezza di lor vittoria, ebber
fronte di dire che tre soli credenti vi avessero incontrato il
martirio.[539]
D'allora in poi non lasciaron tranquilla quella regione. Andati l'anno
dugentotrentadue dell'egira (27 agosto 846 a 15 agosto 847) all'assedio
di Lentini, antica e notissima città, Fadhl-ibn-Gia'far, il vincitor di
Messina, che li capitanava, trovò modo di terminar presto la impresa.
Risapendo che i cittadini avessero chiesto soccorso al patrizio il quale
si chiudea con le genti a Siracusa o a Castrogiovanni, e che quegli
avesse ordinato con essoloro uno assalto da prendere in mezzo i
Musulmani, Fadhl ritorse lo stratagemma contro il nemico. Mandato ad
accender fuoco per tre notti sopra un monte a vista della città, chè tal
segnale era ordinato per annunziare la venuta del patrizio al quarto dì,
il capitano musulmano lasciò poche genti sotto Lentini; pose le altre in
agguato; e commise alle prime che alla sortita dei cittadini facessero
sembiante di fuggire verso l'agguato. E al quarto dì i Lentinesi,
armatisi popolarmente per andare a sicura vittoria, la credettero
guadagnata ad un soffio, quando videro i Musulmani volger le spalle:
onde tutti si posero a inseguirli; nè rimase in città uom che potesse
combatter bene o male. Trapassato il luogo delle insidie, i fuggenti
rifan testa; le altre schiere avviluppano i Cristiani; li mettono al
taglio della spada: e pochissimi ne camparono in città. Pertanto questa
s'arrese, non guari dopo, salve le persone e gli averi.[540]
Tornò infelice al paro una fazione tentata l'anno appresso (16 agosto
847 a 3 agosto 848) da dieci salandre bizantine, che ponean le genti a
terra nella cala di Mondello ad otto miglia da Palermo, per dare il
guasto al contado, scrive Ibn-el-Athîr; aggiungendo che, smarrita la
via, delusi se ne tornarono alle navi. Dal qual cenno chiunque conosca i
luoghi scorgerà un disegno di maggior momento che mera scorreria. Tra i
golfi di Mondello e di Palermo s'innalza tutto solo in una vasta pianura
e sporge in mare il Pellegrino: monte di bizzarra forma, di quindici o
venti miglia di giro; ed ha una salita aspra ma praticabile in faccia a
Palermo, un'altra più malagevole assai verso libeccio, poi due o tre
sentieri arrisicatissimi; e il resto scosceso, tagliato come a piombo:
su l'alto si stendon pianure; ricchi pascoli per ogni luogo; nè mancan
acque di pozzi e cisterne. Quivi par si fosse accampato per tre anni
Amilcare Barca, nella prima guerra punica, fronteggiando le legioni di
Roma. Quivi i Bizantini avrebbero potuto similmente, a voglia loro,
tener sicuro un picciol nodo di soldati o nudrire un esercito;
minacciando Palermo, ch'è a manco di due miglia dalla parte di scirocco.
A ponente avrebbero signoreggiato la fondura di Mondello, in oggi
paludosa ma coltivata; la quale fu mezza tra pantano e lago nel secolo
ottavo; dal nono al duodecimo fu laguna profonda abbastanza da poterlesi
dare il nome di _Marsa-t-tîn_ ossia _porto-fangoso_ che troviamo in
Edrisi; e tre secoli innanzi l'era volgare era stato capace porto da
contenere l'armata di Amilcare: tanto si è ritirato il mare, per
alluvione o per sollevamento del suolo, in quello e altri punti della
costiera. Il Pellegrino poteva occuparsi solamente per un colpo di mano
dalla scala di libeccio: poichè, a tentare l'altra, sarebbe stato
presentare battaglia a tutto l'esercito musulmano di Palermo. Però la
fazione era audace, non temeraria; e però, non trovata la via, i
Bizantini lasciarono ogni speranza e precipitosamente si ritrassero alle
navi. Salparono anche a furia; e in una tempesta che si levò perderon
sette salandre delle dieci.[541]
Guasti adunque i campi della Sicilia in ogni estate dai Musulmani, e
l'ottocentoquarantadue anco dalle cavallette,[542] si patì
dell'ottocento quarantotto una fame sì cruda, da farsene ricordo tra
tante calamità.[543] E forse fu quella carestia che domò Ragusa, forte
castello in Val di Noto, surto o appellato, sotto la dominazione
bizantina, col medesimo nome della notissima città di Dalmazia. I
valorosi abitatori di Ragusa in Sicilia scossero poi sovente il giogo
musulmano; ma del quarantotto si arresero senza battaglia al tristo
patto di abbandonare tutta la roba ai vincitori; i quali ne presero
quant'ei si fidarono di portarne; e prima d'andar via abbatteron le
mura. Poi, del dugentotrentacinque dell'egira (25 luglio 849 a 13 luglio
850), piombarono ne' dintorni di Castrogiovanni; e dove posero taglie,
dove saccheggiarono, arsero, empierono di stragi le campagne; e impuni
si ridussero in Palermo.[544]
Quivi il dieci regeb dell'anno appresso (17 gennaio 851) mancò di vita
Abu-'l-Aghlab-Ibrahim, dopo sedici anni di governo. Senza uscire giammai
dalla capitale, Ibrahim tutto quel tempo avea condotto gagliardamente la
guerra per luogotenenti; disegnato con senno le imprese; dato
riputazione alle forze navali; infestato l'Italia meridionale; corso
l'isola da un capo all'altro; sì che i Cristiani appena vi si difendeano
nelle fortezze principali; e, un passo fuori da quelle, nè persona nè
roba stava sicura che non pagasse la taglia ai Musulmani. Meritò lode
non minore nelle cose della pace; leggendosi negli autori arabi, ch'ei
fortemente reggesse e con saviezza ordinasse la colonia: e attestanlo i
fatti; poichè posavano al tempo di Ibrahim que' pertinaci movimenti ne'
quali avea incontrato la morte Mohammed suo fratello: la tranquillità in
casa, la vittoria fuori, i grossi acquisti scompartiti con equità
attiravano novelle genti; onde presto crebbe lo esercito, o vogliam dire
il popolo musulmano di Palermo, che è lo stesso ragionando di quella
età. Nelle memorie dunque della Sicilia musulmana, il nome d'Ibrahim è
degno di andar congiunto con quello di Ased-ibn-Forât: due valorosi
vecchi; dei quali il giurista con impeto e furore principiò il
conquisto, e il guerriero col senno lo assodò.[545]
A costui succedette un uom ferocissimo, eletto dalla colonia,
Abu-l'Aghlab-Abbâs-ibn-Fadhl-ibn-Iacûb-ibn-Fezâra, chiaro per la
vittoria sopra i Kharsianiti dell'ottocento quarantasei. E incontanente
mandò gualdane che corsero il paese de' Cristiani; li ruppero in più
scontri sanguinosi; li avvilirono, dice l'autore del _Baiân_;[546] e
riportarono il bottino ad Abbâs, come scrivono altri annalisti:[547] il
che mostra che lo eletto esercitasse ogni ragione di supremo capitano,
senza aspettar beneplacito del principe d'Affrica. Questi riconoscendo
il diritto della colonia, o non potendo disdire il fatto, mandò tosto ad
Abbâs il diploma di elezione. Poi non si mescolò altrimenti nelle
faccende di Sicilia; se non che, alla espugnazione di Castrogiovanni, si
fece a scriverne lettere solenni ai califo, e gli presentò qualche fior
delle spoglie opime, avute come in cortesia dall'emiro di Sicilia.
Queste vane cerimonie avanzavano ormai della teocrazia musulmana sì
potente e accentrata; nè la Sicilia obbediva all'Affrica, più che questa
alla pontifical sede di Bagdad!
Abbâs continuò impetuosamente la guerra. Condusse ei medesimo l'esercito
il dugento trentasette (4 luglio 851 a 21 giugno 852), affidando lo
antiguardo al suo congiunto Ribbâh-ibn-Iakûb, che sempre segnalossi per
gran valore, e resse poi la Sicilia. Abbâs dapprima assalì
Caltavuturo,[548] forte rôcca nella giogaia delle Madonie, com'abbiam
detto; dove per certo aveano osato i Cristiani far testa, poichè Abbâs
dava il guasto al contado, ammazzava i prigioni presi in questa correria
e tornavasene alla capitale. A primavera (852), sopraccorso in quel di
Castrogiovanni, lo depredò e arse, senza poter tirare a battaglia il
patrizio bizantino che capitanava il presidio; onde senza intoppi
cavalcò gran tratto di paese, e riportonne moltissimi prigioni, non
uccisi questa fiata, ma venduti.[549] Poi sendo già venuta la state, ed
entrato l'anno dugento trentotto dell'egira (22 giugno 852 a 10 giugno
853), montò su l'armata per andare a fare una vendetta, di cui si
parlerà a suo luogo.[550] Tornò in autunno.[551] Alla nuova stagione,
senza uscire di Sicilia, battè i contadi di Castrogiovanni, Catania,
Siracusa, Noto, Ragusa; tagliando gli alberi, ardendo le mèssi, facendo
prigioni, spargendo scorridori d'ogni intorno; e presa Camerina, o gli
abituri che ritenean quel classico nome, si arrestò sotto Butera, in
giugno o luglio; poichè di due diligenti cronisti l'uno pone coteste
fazioni nell'anno dugento trentotto in cui cominciarono; l'altro nel
trentanove in cui finirono (11 giugno 853 a 31 maggio 854).
Fu Butera forte città nei tempi musulmani; splendida e famosa nei
feudali, sì che diè titolo al primo pari del reame fino alla riforma del
mille ottocento quarantotto, nella quale il parlamento siciliano abolì
la paría ereditaria. Cotesto nome geografico non apparisce innanzi il
nono secolo; nè fabbriche o altri avanzi mostran abitato il luogo in età
più antica, e mutatone soltanto il nome sotto i Bizantini. Siede la
città in cima ad un colle, a poche miglia dal mare e dal fiume Salso;
domina il fertil paese che gli antichi addimandavano Campi Geloi: in
guerra, è naturale rifugio di quella popolazione agricola; in tempi di
servaggio, albergo dei suoi oppressori. Par che alle prime scorrerie dei
cavalli musulmani in Val di Noto i villici più fiate si fossero
rifuggiti in quella rôcca. Ma quest'anno ottocento cinquantatrè, Abbâs,
vedendoli affollare al solito covile, pensò coglierveli a un tratto di
rete: assediò strettamente Butera oltre cinque mesi; alfine pattuì coi
terrazzani che gli consegnassero cinque o sei mila capi, scrivon le
croniche, come se fossero capi d'armento; e l'esercito traendosi dietro
tanta torma di schiavi tornossene in Palermo.[552]
Ignoriamo or noi se orrenda necessità abbia sforzato a questo accordo
tutti gli assediati, o se i borghesi, per salvar la roba, abbiano
avviluppato con qualche nero tradimento gli inquilini delle campagne,
lor fratelli in Cristo, ospiti, o noti per lunga consuetudine, e li
abbian dato schiavi al nemico risguardandoli come animali d'altra razza:
chè il cristianesimo prima del decimottavo secolo non era sì scrupoloso
in fatto di uguaglianza. Quanto ai vincitori, il Dio di Maometto assai
più esplicitamente loro abbandonava in anima e in corpo tutti gli uomini
di religione diversa; non che que' seimila villani. Perciò gongolando di
gioia se li divisero i coloni di Palermo, con l'altro bottino. E parmi
evidente che fossero molto ricercati gli schiavi nella colonia per
coltivare le terre del Val di Mazara. Perocchè Abbâs-ibn-Fadhl, in tutto
il tempo che resse l'isola, pose indistintamente taglie di danari e di
uomini alle terre che si calavano agli accordi,[553] e talvolta ricusò
la moneta, e volle più tosto gli uomini.[554]
E non cessò di affliggere la Sicilia ogni anno, con saccheggi,
cattività, arsioni di mèssi, rovine di edifizii, che i cronisti ripetono
noiosamente, per lo più senza nominare i luoghi. Così l'anno dugento
quaranta dell'egira (1 giugno 854 a 20 maggio 855); così quel d'appresso
(21 maggio 855 a 8 maggio 856); nel quale dippiù leggiamo che Abbâs
stette per tre mesi in uno altissimo monte, donde mandava scorridori
ogni dì a battere il contado di Castrogiovanni, e torme di cavalli per
ogni lato dell'isola. Da ciò è manifesto che si tratti dell'Artesino, il
quale giace a tramontana di Castrogiovanni, discosto poco più d'otto
miglia; l'Artesino dalla cui sommità vien visto grandissimo tratto della
Sicilia come in carta geografica a rilievo: e di là poteva il fier
capitano abbracciare con lo sguardo la configurazione del paese; notar
le principali catene di montagne; affisare su questa e quell'altra vetta
le fortezze non espugnate per anco, e giù le ubertose pianure ove fosse
da far preda. Forse da quel sito, egli o altro condottiero, immaginò la
divisione della Sicilia in tre valli, come poi si chiamarono, i cui
limiti si intersecavano non lungi dallo Artesino. Il medesimo anno Abbâs
mandava con l'armata un Ali suo fratello; il quale corseggiando raccolse
anch'egli e menò in Palermo gran torma di schiavi. Poi la state del
dugento quarantadue (9 maggio 856 a 28 aprile 857) Abbâs condusse in
persona un esercito più forte dell'usato; espugnò cinque castella di cui
non sappiamo altrimenti i nomi. Del quarantatrè (29 aprile 857 a 17
aprile 858), nella _sâifa_ come chiamavano la guerra di state, venutogli
fatto di tirare a battaglia il presidio di Castrogiovanni, lo ruppe; e
passò oltre a desolare le campagne di Siracusa, Taormina, e altre città.
Indi pose il campo ad una fortezza, ch'altri scrive El-Kasr-el-Gedîd,
ossia il Castel Nuovo; altri, con lievissima variante ortografica,
Kasr-el-Hedîd, che suona il Castello del Ferro; e io credo, per la
importanza sua, sia Gagliano, nominata dal Beladori che vivea di questo
tempo a Bagdad. Gagliano fu rôcca di momento nelle guerre siciliane del
medio evo; e serba oggi il nome con vestigia di formidabili
fortificazioni di natura e d'arte. Assediolla Abbâs per due mesi; a capo
dei quali, profferta da' terrazzani una taglia di quindicimila dinâr, o
vogliam dire da dugento diciassettemila lire, la ricusò; strinse
tuttavia il castello, ed ebbelo alfine a patti che le fabbriche fossero
distrutte, che uscissero liberi sol dugento cittadini; gli altri
rimanessero schiavi: e infatti menosseli in Palermo, e li vendè.[555] Lo
stesso anno si arrese Cefalù la quale fu anco smantellata; ma andarono
liberi tutti i cittadini: patto men tristo secondo i tempi; accordato da
Abbâs, com'egli è manifesto, perchè Cefalù, stando in sul mare, non si
potea di leggieri ridurre per fame.[556]
Più fortunosi eventi segnalavano l'anno dugentoquarantaquattro
dell'egira (18 aprile 858 a 6 aprile 859). La state, uscivano a un tempo
di Palermo l'esercito condotto da Abbâs e l'armata da Ali suo fratello:
de' quali il primo depredò, senza trovare ostacolo, i contadi di
Castrogiovanni e Siracusa, e fece ritorno in Palermo. Ali trovossi nei
mari di Creta, non per assaltare la colonia musulmana com'altri ha
pensato; ma forse accadde che scorrendo le costiere di Puglia, ove
aspramente combatteano Musulmani e Cristiani, egli avesse preso a
inseguire per lo Adriatico legni bizantini, o i venti lo avessero
trasportato sì lungi. S'avvenne in quaranta salandre bizantine il cui
capitano era detto il Cretese, e potrebbe essere quel medesimo Giovanni
che resse il Peloponneso nell'ottocento ottantaquattro,[557]
soprannominato il Cretese, forse dopo questa battaglia, per vezzo di
romaneggiare e mancanza di più segnalate vittorie. Il Cretese,
combattendo con Ali nella state dell'ottocento cinquantotto, perdea
dapprima dieci navi con tutte le ciurme; poi, rappiccata la zuffa e
voltata la fortuna, egli diè una sanguinosa rotta ai Musulmani, lor
prese dieci navi: e Ali con gli avanzi dell'armata si ridusse nel porto
di Palermo.[558]
Sopravvenuto in questo il verno, e andata, com'era usanza, una seconda
gualdana nel contado di Castrogiovanni a spigolar bottino e prigioni,
riportò tra gli altri in Palermo un uomo di molta nota in sua
nazione.[559] Abbâs comandava di metterlo a morte, ardendo tuttavia di
rabbia per lo caso dell'armata, ovvero infingendosene per cavar più
grosso riscatto; o fu che quel gentiluomo nulla valea nel mercato delli
schiavi, se povero e tristo egli era della persona come dell'animo.
Fattosi costui ad Abbâs con patrizia disinvoltura, “Lasciami la vita,”
gli disse, “e darotti un avviso che fa per te.” “Qual è?” domandogli
l'emiro, trattol da solo a solo; e il traditore a lui: “Ti darò in mano
Castrogiovanni. In questo verno,” proseguì, “tra coteste nevi il
presidio non aspettandosi assalti, sta a mala guardia; talchè, se vuoi
mandar meco una parte dell'esercito, saprò io farla entrare in
Castrogiovanni.” Abbâs assentiva. Trascelti mille cavalli e settecento
uomini da piè dei più valenti, li spartì in drappelli di dieci uomini;
pose un capo su ciascun drappello; apprestò segretamente ogni altra
cosa; e capitanando egli stesso le genti, uscì nottetempo dalla
capitale. Scansò, com'ei pare, la solita via di Caltavuturo, aspra e
difficilissima il verno, la quale corre quasi in filo da Palermo a
Castrogiovanni su la dirittura di sirocco levante; e seguì l'altra più
lunga e agevole che mena a Caltanissetta, città a sedici miglia a
libeccio dalla insidiata rôcca. Leggendosi che lo stuolo musulmano
sostasse a una stazione dalla montagna del lago,[560] del lago Pergusa
per certo, lontano cinque miglia a mezzodì da Castrogiovanni, si dee
supporre la fermata a Caltanissetta ovvero a Pietraperzia, terra vicina.
Rimasovi come in agguato col grosso delle genti, Abbâs mandava a
compiere la più ardua parte della fazione Ribbâh, con una mano di
fortissimi eletti tra que' forti: i quali mossero senza strepito al far
della notte, recando seco loro legato il traditore cristiano; che Ribbâh
sel facea camminare dinanzi, nè gli levava gli occhi d'addosso. È
manifesto che volendo tentar la salita dond'era più difficile e però men
guardata, la schiera di Ribbâh doveasi indirizzare alla costa
settentrionale del monte di Castrogiovanni, dal qual canto torreggia la
rôcca: e che Abbâs dovea cavalcar poche ore dopo, alla volta del lago
Pergusa per montare a Castrogiovanni dalla parte meridionale ov'era il
sobborgo; e scoprirsi quando Ribbâh fosse padrone della rôcca. Così par
ch'abbian fatto gli assalitori. Ribbâh, cominciato a inerpicarsi per
l'erta come accennava il prigione, trovò una roccia stagliata; vi
appoggiò le scale apparecchiate a quest'effetto; e si trovò alfine sotto
la cittadella, cominciando a far l'alba. Ora fatale a tante fortezze
assediate, parendo passato il pericolo con la notte: e così le scolte
della rôcca si eran date al sonno. Il traditore menò allora i Musulmani
alla bocca d'un aquidotto che s'apriva sotto le mura;[561] dove ad uno
ad uno si imbucarono, e rividero il cielo ch'eran già dentro la
fortezza. Si avventano impetuosi su i Bizantini; uccidono chiunque lor
si para dinanzi; e schiudon la porta. Abbâs allora spronò a traverso il
sobborgo; entrò nella rôcca che appena spuntava il sole, all'ora della
prece mattutina dei Musulmani, il quindici scewâl dugentoquarantaquattro
e ventiquattro gennaio ottocento cinquantanove dell'era cristiana. A
niuno de' soldati cristiani si perdonò la vita. Figliuoli di principi,
aggiugne la cronica, furon fatti prigioni; e donzelle patrizie coi loro
gioielli; e il rimagnente del bottino chi il potea contare? Immantinente
Abbâs inaugurava una moschea; facea drizzarvi la ringhiera; e salitovi
il prossimo venerdì, il dì della unione, come il chiamano i Musulmani
sapendo da' lor teologi che un tal giorno si fossero uniti insieme gli
elementi del mondo, il feroce condottiero, tra le fresche stragi e 'l
pianto delle vittime e gli eccessi dei vincitori, arringava i suoi:
umile ed empio, riferiva ad Allâh la vittoria di Castrogiovanni.[562] La
quale si noverò tra le più notabili di quel tempo:[563] e tanta fu
l'allegrezza dei Musulmani, che, obbliando lor gelosie di Stato, lo
emiro di Sicilia mandava spoglie opime al principe aghlabita d'Affrica;
e questi trascegliea donne e fanciulli prigioni per farne presente al
pontefice di sua setta a Bagdad.[564]
Sparso intanto il nunzio tra le popolazioni cristiane dell'isola,
soggette o no ai Musulmani, le quali per trent'anni avean guardato alla
rôcca di Castrogiovanni come a pegno di liberazione, alla prima n'ebber
tale uno spavento che gli Arabi si affrettavano a scrivere avvilito e
conculcato in quella stagione il politeismo di Sicilia. Ma succedendo
allo sbigottimento sensi più generosi, venne fatto ai Siciliani di
tirare a uno sforzo di guerra lo imperatore Michele terzo; involto
com'egli era tra crapule, libidini, scempie buffonerie, raggiri di corte
e gare di prelati. Della quale impresa tacciono i cronisti bizantini,
preoccupati al tutto di quelle brutture; e se ne troviam ricordo, è dato
dagli Arabi: però, breve ed incerto. I preparamenti sembran degni di
Michele l'Ubbriaco. Fatte venire le soldatesche di Cappadocia, com'io
leggerei; gittate su trecento salandre; date a capitanare a un patrizio:
che altro mancava a ripigliar la Sicilia? Posero a terra a Siracusa,
nell'autunno del medesimo anno ottocentocinquantanove, o nella state del
sessanta: e par che tosto movessero accompagnate dall'armata, verso la
costiera settentrionale. Perchè Abbâs, al dire d'Ibn-el-Athîr, uscì di
Palermo ad incontrare il nemico; lo combattè, lo ruppe, lo inseguì fino
alle navi, gliene prese cento, fe' orribile macello degli uomini; e de'
suoi perdè tre soli, uccisi di saette, aggiugne l'annalista,[565]
ricantando la stessa fola della vittoria sopra i Kharsianiti. Pur è
notevole che tal vanto dei vincitori, certo argomento dell'altrui viltà,
si dica in quelle due sole sconfitte di eserciti venuti d'oltremare; non
mai nei combattimenti contro i Cristiani di Sicilia.
Ai quali non mancò il cuore in questo incontro. Perchè veggiamo
sollevarsi al primo comparire dei rinforzi bizantini, e non piegare
facilmente il collo dopo la sconfitta loro, molte castella dell'isola:
Platani, Caltabellotta, Caltavuturo, ricordate di sopra, e inoltre
Sutera,[566] una terra che non so se vada letta Ibla, Avola o
Entella,[567] Kalat-Abd-el-Mumîn,[568] e altre di cui non si dicono i
nomi; che tutte avean già promesso obbedienza e tributo ai Musulmani.
Abbâs sopraccorreva immantinente a gastigarle dell'anno
dugentoquarantasei (27 marzo 860 a 15 marzo 861). Fattoglisi incontro lo
esercito cristiano, accozzato forse da quei municipii, lo sbaragliò
Abbâs con molta strage; e passando oltre, pose l'assedio a
Kalat-Abd-el-Mumîn, ed a Platani. E indarno vi si affaticava, quando
seppe esser giunto, dice Ibn-el-Athîr, un altro esercito bizantino: gli
avanzi forse dei Cappadoci, ingrossati dalle milizie dell'isola; i quali
pare che marciassero lungo la costiera settentrionale sopra Palermo.
Contro costoro si volse Abbâs, lasciando lo assedio; valicò i monti;
trovò il nemico presso Cefalù; e dopo una zuffa ostinata, superatolo con
l'usato valore, malconcio lo rimandò a Siracusa. Egli, tornato in
Palermo, fece subito ristorare le fortificazioni di Castrogiovanni,
racconciare le case, e posevi un grosso presidio musulmano. Ciò mostra
che universale e di momento era stato lo sforzo de' Siciliani. Ma pare
che la seconda sconfitta dello esercito imperiale li abbia consigliato a
posare le armi: poichè non si intende più nulla di loro; e l'anno
seguente dell'egira (16 marzo 861 a 5 marzo 862) si vede Abbâs andare
spensierato a saccheggiar il contado di Siracusa, come solea prima della
presa di Castrogiovanni.
Al ritorno da questa scorreria, era giunto alle Grotte di Karkana[569]
quando si ammalò, e trapassò al terzo giorno, il tre giumadi secondo (13
agosto 861), dopo undici anni di continua guerra; chè non passò anno,
ripetono i cronisti, che la state o il verno, o in ambe le stagioni, non
corresse i paesi cristiani della Sicilia, e talvolta anco di Calabria e
di Puglia, ove pose colonie de' suoi. Seppellivanlo i Musulmani là dove
ei morì; ma non prima furono partiti, che i Cristiani, con vana
vendetta, esumarono e arsero il cadavere del crudel capitano, al cui
nome tremavano ancora.[570]


CAPITOLO VII.

Fin qui gli annali arabi ci hanno mostrato della storia uno scheletro
sì, ma non mutilo. Abbiam veduto la colonia di Palermo occupare alcuni
luoghi importanti nel centro e su la costiera settentrionale infino a
Messina; sforzare a tributo i paesi di mezzodì e levante, eccetto le
grosse città murate e qualche regione montuosa; e non parlandosi di
guasti nella maggior parte delle provincie odierne di Palermo e Trapani,
è da credere che i vincitori tenessero quei terreni. Senza dubbio vi
soggiornavano già in cittadi e castella: poco men che una trentina, come
si ritrae dal Beladori che vivea di quel tempo a corte di Bagdad.[571]
Rivolgendoci alle condizioni delle due società che si contendeano la
Sicilia, scorgiamo nell'una, oltre la virtù delle armi e la operosità,
anco l'accordo degli animi, che ben si mantenea quando il bottino e i
tributi, scompartiti con equità patriarcale, potean soddisfare alle
cupidigie. Dall'altro canto i Siciliani, avviliti dalle ubbíe monastiche
e dal dispotismo, non ripugnaron troppo al nuovo giogo, assicurato che
lor fu lo esercizio del culto, e, come credeano, il possedimento dei
beni; nè si vollero mettere a sbaraglio per diletto di pagare il tributo
all'imperatore di Costantinopoli, più tosto che ai Musulmani di Palermo.
Dei principati, poi, nel cui nome si combattea, quel d'Affrica aiutò la
colonia con lasciar fare: chè mite animo ebbero i primi successori di
Ziadet-Allah, e lieti vedeano passare in Sicilia e in Italia gli uomini
più turbolenti. Il Basso Impero al contrario facea troppo e troppo poco
in Sicilia! e intanto mostrava al mondo infino a che assurdità,
confusione e vergogna possa giugnere il despotismo. La devota
imperatrice Teodora (842-854) lasciò all'Impero tre nuovi flagelli: la
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