Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I - 22

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loro alla giornata delle Forche Caudine, ove scontratisi l'ottocento
quarantatrè i due rivali longobardi, Siconolfo sbaragliò i Beneventani
con grandissima strage. L'aiutavano bensì i Cretesi nelle scorrerie
ch'ei più vaste assai fece dopo questa vittoria; onde ridusse Radelchi
alle due sole città di Siponto e Benevento.[619]
Narrasi che tornando a Salerno Siconolfo ed Apolofar, dopo alcuna di
queste fazioni, messisi per diletto a spronare a gara i cavalli, il
principe volle mostrar nuova prodezza della gente germanica all'altro
che piccino era della persona, ma destro, animoso e baldanzoso. Smontati
al palagio, mentre salivano per le scale, Siconolfo lo levò di peso per
un braccio, e ripostolo tre gradini più su, lo abbracciò e baciò, per
addolcire o aggravare tal insolenza. E il Musulmano, quando la rabbia
gli permesse di parlare, proruppe esser finita da quel dì ogni amistade
tra lui e Siconolfo: lo giurò per Allah; nè scuse valsero a ritenerlo
che con tutti i suoi non se ne tornasse a Taranto. Di lì manda ad
offerirsi a Radelchi; corre a Benevento; fa cavalcar sue gualdane alla
volta di Salerno: le quali giunsero al fiume Tusciano, come
s'addimandava, ad otto miglia verso mezzodì; e lasciarono in quelle
parti terribile memoria del nome di Apolofar. Del quale aneddoto io non
veggo perchè si debba dubitare; stando bene quel villano scherzo a un
principe longobardo che si tediava già dei Cretesi, non avendone più
bisogno. Il Cronista poi racconta la fine di Apolofar: segnalatosi per
gran valore nella difesa di Benevento; preso a tradigione da Radelchi;
impavido e altero, sì che sputò in faccia al traditore pria di andare
alla morte.[620]
La tradizione popolare che troviamo in questa cronica, se pur aggiunse
qualche bel colpo di lancia, qualche arguto detto, qualche drammatica
commozione, non alterò la importanza degli avvenimenti. Taranto fu
abbandonata di certo dai Cretesi; leggendosi negli annali arabi di
Sicilia che i Musulmani la rifornissero di presidio l'anno ottocento
quarantasei: il che ben s'attaglia con l'episodio di Apolofar, assediato
in quel tempo entro Benevento. L'altra compagnia di Berberi e Arabi
d'Affrica che tenea Bari e aiutava Radelchi, si mantenne, ma non si
segnalò, dal quarantatrè al quarantasei, tacendone in questo tempo gli
scrittori cristiani; e allora appunto veggiamo la colonia di Sicilia
travagliarsi nell'assedio di Messina e nell'aspra guerra di Val di Noto;
onde non potea mandare rinforzi in terraferma. Mancandovi dunque quelle
armi che l'ottocento quaranta e il quarantadue erano parute sì
terribili, i due principi longobardi continuarono rabidamente a
straziarsi, ma senza frutto; che nè Siconolfo avea possa di espugnare
Benevento, nè Radelchi di ripigliare la provincia.
Con novello furore i Musulmani assalivano l'Italia meridionale
l'ottocento quarantasei. Insuperbiti per aver tagliato a pezzi
l'esercito bizantino (a. 845) in Sicilia, spinsero agli assalti, con
evidente unità di disegno, le forze della colonia siciliana e
dell'Affrica. Le prime si mostrarono a un tempo sul mare Ionio e sul
Tirreno: da una parte poneano grosso presidio a Taranto,[621] dall'altra
si afforzavano al capo della Licosa che termina a mezzodì il golfo di
Salerno; e occupavano Ponza, nè curavansi ormai se spiacesse ai
Napoletani. Perchè, non temendosi più nel Tirreno i Bizantini, e non
contandovi per anco le bandiere di Pisa e di Genova, signoreggiavano
quel mare la confederazione di Napoli e la colonia di Palermo, con forze
non disuguali, con interessi comuni e interessi contrarii: fieri amici
che avean riguardo, non paura l'un dell'altro; tenean la mano all'elsa
della spada, e talvolta la sguainavano, ma presto tornavano in pace.
Dopo la presa di Ponza, Sergio console di Napoli vi approdò con le sue
navi e quelle di Gaeta, Amalfi e Sorrento; scacciò i Musulmani da
quell'isola e dalla Licosa. Rifuggitisi in Palermo, i Musulmani
tornarono con più forte armata, occuparono il castel di Miseno sì presso
a Napoli,[622] e pur non furono sturbati. Probabil è che l'armata
andasse ad accompagnare gli stormi di barche usciti in questo tempo
dall'Affrica per venire sopra Roma.
Superate agevolmente le fortificazioni che pochi anni innanzi Gregorio
IV avea fatto costruire ad Ostia, del mese di agosto gli Affricani
giugneano alla città eterna. Non osando assalirla, dettersi a
saccheggiare le basiliche di San Pietro e di San Paolo, poste in quei dì
fuor le mura: ma lo stuolo che spogliava la chiesa di San Paolo,
affrontato dai contadini, fu scemato orribilmente, e tutto l'esercito
s'ebbe indi a ritrarre. Marciò verso lo Stato di Benevento, ove potea
trovare i suoi fratelli d'Affrica e di Sicilia; depredò per via Fondi;
del mese di settembre, si pose all'assedio di Gaeta: e qui fu visto
valorosamente combattere contro gli Infedeli Bertario, poi fatto abate
di Monte Cassino. A Gaeta sopraggiunsero da un lato le genti di
Lodovico, chiamate in fretta dopo l'assalto di Roma; dall'altro, Cesario
figliuolo del console di Napoli, con l'armata napoletana e amalfitana. E
i Musulmani, andati incontro ai Franchi, rupperli in uno agguato il
dieci novembre; e ne faceano sterminio, se non era per Cesario che
sbarcò co' suoi. Intanto un'altra schiera che era giunta a un dipresso a
cinque miglia dalla badia di Monte Cassino, ardendo chiese e monasteri,
fu rattenuta, dicesi, dalle acque del Carnello, ingrossate per subito
rovescio di pioggia: miracolo di San Benedetto, come rivelò in sogno
all'abate un altro santo dell'ordine. E il santo nulla disse del pro'
Cesario, quel desso che avea fatto tornare addietro i Musulmani; e
postosi indi con l'armata nel porto di Gaeta, salvò anco questa città
senza combattere, come nota Giovanni Diacono. Perchè, innoltrandosi il
verno, e non potendo le barche affricane reggere all'aperto; i capitani
pattuirono con Cesario che li raccettasse nel porto, giurando di non far
male, e, abbonacciato il mare, tornarsene in Affrica. Cesario se ne
fidò; quelli mantenner la fede: ma poi perirono la più parte nel
viaggio, non senza sospetto di un altro miracolo.[623]
Rifulse di nuovo a capo a tre anni (849) la virtù di Cesario, insieme
con quella di Leone Quarto papa. Assai più forte stuolo di Affricani
s'era adunato in Sardegna per ritentare l'assalto di Roma; mentre Leone
dava opera a chiuder di mura le basiliche degli Apostoli e i sobborghi
di quella parte: e con liberalità, con indefessa vigilanza, con
processioni, benedizioni, esorcismi, riscaldava le immaginazioni dei
cittadini. Nè eran finiti per anco i lavori, quando, saputa la mossa dei
nemici, la confederazione napoletana, non volendoli a niun patto padroni
di quel mare, mandava l'armata a Ostia; il papa vi sopraccorreva con
soldati di Roma; ed accettava l'aiuto, non prima d'avere interrogato
Cesario se venisse amico o nemico: tanto eran sospetti nelle altre parti
d'Italia que' legami della repubblica di Napoli coi Musulmani! Sincerato
dell'intento, il pontefice passava a rassegna gli Italiani di quelle
varie città che non sapeano d'avere una medesima patria: e lor venia
ricordando, invece di questo, la fratellanza del cristianesimo, i
miracoli degli Apostoli, la comune speranza in Dio. Poi celebrò la
messa; comunicò i guerrieri con le proprie mani; e, preparandosi ad ogni
evento, se ne tornò a Roma. Avvistatesi intanto a Ostia le barche
affricane, i nostri corsero alle navi con doppio ardire; appiccarono la
zuffa; e poteron credere in vero ad aiuto soprannaturale, quando, non
decisa per anco la sorte della battaglia, levossi una tempesta che
sbaragliò gli Infedeli, non usi la più parte al mare, montati su triste
barche; mentre gli induriti navigatori di Napoli, d'Amalfi, di Sorrento,
di Gaeta, su lor provati legni non se ne moveano. Indi orribile la
strage dei Musulmani, annegati, trafitti, sbalzati a terra, ove i baroni
romani li pigliavano e li impiccavano; anche i preti osavano metter loro
le mani addosso per incatenarli. Leone ornò di loro spoglie le chiese di
Roma; fe' lavorare i prigioni alla fabbrica delle mura; e riportonne una
gloria che pochi altri papi han saputo meritare.[624]
Non andò guari che Lodovico Secondo, figliuol di Lotario, presa la
corona imperiate (850) vivente il padre, cominciava in persona a
combattere i Musulmani dell'Italia meridionale, contro i quali poi si
travagliò circa venticinque anni. Tra lo assalto di Roma e la sconfitta
d'Ostia, gli ausiliari di Benevento non avean dato respitto al vicin
paese. Capitanavali un Massar, come lo chiamano gli scrittori cristiani,
l'indole generosa del quale par che ripugnasse al suo reo mestiere.
Narrasi che in una scorreria di otto dì, l'autunno dell'ottocento
quarantasei, uscito di Benevento, ei desse il guasto al monastero di
Santa Maria in Cingla e a quel di San Vito presso Isernia; abbattesse il
castel di Telese; e si spingesse fino a Monte Cassino, Aquino ed Arce,
depredando e struggendo ogni cosa, fuorchè il Monastero Cassinese: ove,
non che far offesa, non lasciò afferrare al proprio cane un'oca dei
frati, gli corse dietro con lo scudiscio, gliela trasse di bocca, e
piantossi alla porta del monastero, perchè non vi entrassero gli altri
seguaci suoi, men docili del cane. Questa forse fu lealtà verso Radelchi
che non amava a nimicarsi l'abate di Monte Cassino. Ma di giugno del
quarantasette, squassata da' tremuoti tutta la provincia e fatta Isernia
un mucchio di rovine, consigliando altri a Massar che usasse la
occasione di saccheggiare quella città, rispose: “Il Signor del creato
fa sentir quivi sua collera; e dovrò io aggravarla? No; non andrò!”[625]
Egli o altro condottiero, questo medesimo anno, scorrea predando infino
a Roma con Saraceni e Mori, come una cronica tedesca denota gli Arabi e
i Berberi.[626] Ma quelle triste masnade, quali che si fossero i capi,
non distingueano amici e nemici, maltrattavano a Benevento anco i
nobili; flagellavanli con le strisce di cuoio, dice Erchemperto, come
vili schiavi.[627]
Pertanto Radelchi avea a temere che i suoi un dì non lo abbandonassero:
i popoli gridavano da ogni parte; i frati incalzavano; e i piccioli
intenti politici di que' piccioli Stati mezzo independenti, che aveano
mantenuto la guerra, ora portavano a cessarla perchè si uscisse di tanto
strazio. Di più tornava comoda a tutti la divisione dell'antico Stato di
Benevento; unico modo oramai di concordia: piaceva ai principi di Capua
che si voleano spiccare da Salerno, e poco appresso il fecero; piaceva
ai Napoletani che più non temeano dei Longobardi sì divisi, e pensavano
a guardarsi dei Musulmani. La pratica della divisione fu condotta da
Guido duca di Spoleto, francese, congiunto di Siconolfo; barattiere,
dicono i cronisti, che trasse danaro a Radelchi e al cognato, ed
entrambi li giuntò: ma certo trattava utilissim'opera. Sendo impossibile
di compierla senza l'autorità e la forza dell'imperatore, a lui si
volsero gli uomini più gravi del paese: l'abate di Monte Cassino andò a
posta in Francia e agevolmente persuase Lodovico a venire. Calò senza
grosso esercito. Ito con le genti sue e del duca di Spoleto sotto
Benevento e minacciando l'assedio, Radelchi patteggiò sottomano. E una
notte, fatti pigliare proditoriamente Massar e i suoi Musulmani, li
mandò incatenati al campo di Lodovico; ove la vigilia della Pentecoste
li uccisero di sangue freddo a colpi di lancia, tutti, senza eccettuarne
il generoso Massar. Dopo il tradimento e la carnificina, che la
necessità fe' parere gesta sante, si fermò la pace tra Siconolfo e
Radelchi; si fe' il partaggio dello Stato in due principati, Benevento e
Salerno; e tra gli altri patti si stipolò che nè l'uno nè l'altro si
collegassero con Saraceni, nè raccettasserne, fuorchè quelli venuti
prima della guerra, se fatti e rimasi cristiani.[628]
Abbâs-ibn-Fadhl che combatteva in questo tempo i Cristiani di Sicilia,
non potendo ignorare l'atroce caso, andò l'anno appresso con l'armata;
sbarcato in terraferma, ruppe in sanguinosi scontri i Cristiani; mandò
le teste degli uccisi in Palermo, per mostrar ch'ei sapea vendicare il
sangue musulmano: e continuò il terribil duce a guastare i colti, correr
vittorioso le campagne, far prigioni per ogni luogo; coi quali tornossi
in Sicilia.[629] Taranto, sottrattasi già ai Musulmani, fu assediata da
loro e presa per fame, s'ignora se sotto altro condottiero innanzi il
fatto di Benevento, ovvero da Abbâs-ibn-Fadhl.[630] Costui partendo par
abbia lasciato possenti rinforzi in Puglia e in Calabria;[631] talchè,
rinforzati di questi o d'altri venturieri, i coloni di Bari continuavan
soli l'infestagione per moltissimi anni.
Il condottier di Bari, per nome Mofareg-ibn-Sâlem, usurpò autorità di
principe; prese, al dir degli annali musulmani, ventiquattro castella;
fabbricò in Bari una moschea cattedrale, e salì a tanto orgoglio che
volea tener lo stato a dirittura dal califo di Bagdad: ossia non
ubbidire a niuno. A questo effetto scrivea al governatore dell'Egitto
per gli Abbassidi uno squarcio d'ipocrisia musulmana: non sentirsi in
grazia di Dio egli, nè i suoi compagni, tenendo quella provincia senza
investitura legittima; scongiurare pertanto il pontefice che gliene
conferisse il governo, e facesselo uscire dal novero degli usurpatori.
Ibn-el-Athîr, che al certo trascrisse coteste parole da antiche memorie,
aggiugne che poi la gente di Mofareg sollevossi contro di lui; poi
l'uccise; poi morì il principe aghlabita Mohammed-ibn-Ahmed-ibn-Aghlab,
nel cui cenno biografico è inserito tutto quest'episodio di Bari; ed
altro ei non ne dice.[632] Mohammed salì sul trono in fin dell'ottocento
sessantaquattro, mancò di vita nei principii del settantacinque; nel
qual tempo appunto sappiamo liberato il Soldano dalle carceri di
Radelchi e tornato ai suoi, capitanati allora da un suo nemico ch'egli
avea bandito dalla colonia. Mofareg-ibn-Sâlem è ben dunque l'astuto
demonio di cui gli annali cristiani narran tante maraviglie, e di cui i
Musulmani tacquero la sconfitta e la prigionia. Il titolo di Sultano
ch'ei prese, o che gli davano i suoi seguaci in Italia, andava a capello
a quella dubbia sua potestà.[633] L'usurpazione spiega perchè i
Musulmani di Sicilia e d'Affrica l'abbandonassero quand'ei fu condotto
allo stremo dai Cristiani.
Il Sultan di Bari non tardava a correr la Puglia e la Calabria; far
ladronecci per ogni luogo; occupare qua e là castella; e osò spinger sue
gualdane infino a Napoli ed a Salerno. Allor l'abate di Monte Cassino
chiamò di nuovo l'imperatore Lodovico, che venne in Puglia; volle
ragunare le forze dei principati longobardi; fu lasciato pressochè solo,
per sospetto ch'ei non prendesse lo stato ai Cristiani al par che ai
Musulmani: donde fatto un vano tentativo sopra Bari, borbottando se ne
tornò di là dalle Alpi (853); ed ebbe a vedere anco un feudatario
contumace rifuggirsi appo il Sultano.[634] Il quale indi a ripigliare
l'infestagione dello Stato di Benevento; e questo non trovò altro riparo
che di venire ai patti coi Musulmani; pagar tributo; dare ostaggi.
Voltosi il Sultano alle altre provincie, diè il guasto a' contadi di
Capua e Conza e alla regione intorno Cuma, Pozzuoli e il Lago di Patria,
detta a quel tempo Leboria o Liburia, il qual nome si estese a poco a
poco a una provincia, e mutossi in Terra di Lavoro.[635] Infine i
Musulmani si vennero a porre in Campo di Napoli, come si addimandavano
gli orti tra porta Capuana e il Sebeto;[636] dove furon fatte orribili
stragi (a. 860?): il Soldano, dice un contemporaneo, sedea su mucchi di
cadaveri, e come uno schifoso cane tra quelli mangiava. Riducendosi a
casa da questa correria, fu per cadere in uno agguato. Tra tanti paesi
che avea desolato dall'uno all'altro mare, si trovarono due valorosi
feudatarii, i gastaldi di Telese e di Boiano, che osarono ritentar la
fortuna delle armi; trassero secoloro il duca di Spoleto a forza di
preghiere e di danari; e con gran possa di gente appostarono lo stuolo
nemico, verso il tramonto del sole, presso Bari. Salutar consiglio
pessimamente eseguito, sclama il cronista Cassinese. Il Soldano,
addandosi di loro, soprastette e si ordinò prontamente alla zuffa. I
Longobardi e i Franchi, morti di sete, stracchi del cammino,
sparpagliati e impazienti assalivano. I Musulmani, raccolti in una sola
schiera, li ruppero, li tagliarono a pezzi ed entrarono in Bari. Dopo
questa vittoria il Sultano, incolpando di rotta fede i Beneventani,
battè di nuovo lor contadi; non lasciò terra illesa fuorchè le grosse
città; occupò Telese, Alife, Sepino, Boiano, Isernia, Canosa, Castel di
Venafro; saccheggiò San Vincenzo in Volturno, donde rifuggitisi i frati
in luogo sicuro, lor prese tremila monete d'oro, minacciando d'ardere il
monistero; e passò a Capua, traendosi dietro le carra piene di preda, e
le torme di bestiame e prigioni. Mutò indi il campo a Teano. Quivi,
mandatogli da Monte Cassino un Reginaldo diacono, fermò il riscatto di
quella badia per altre tremila monete di oro; e si volse contro il
castel di Conza che dicono abbia assediato per quaranta giorni. Queste
ultime incursioni seguiano tra l'autunno dell'ottocento sessantacinque e
la fine dell'inverno del sessantasei. Delle precedenti invano si
cercherebbe a determinare le date, poichè i cronisti nè segnano gli
anni, nè osservano l'ordine degli avvenimenti.[637] Certo egli è che per
quattordici anni quella bella parte d'Italia fu preda di qualche
migliaio di ladroni musulmani. L'amistà della colonia siciliana non
liberò Napoli dal Sultano di Bari, che avea spezzato ogni legame con gli
Aghlabiti, come sopra si disse. Il principe di Salerno si schermì quanto
potea, praticando col Sultano, onorando gli ambasciatori suoi; che fino
ne alloggiò nelle case del vescovo, e attaccò indi una briga con questi
e col papa.[638]
Ogni pagina della nostra storia, dalla caduta dell'impero romano in qua,
ripete lo stesso insegnamento: pur non fu mai sì flagrante la vergogna
di questa miseranda divisione in cento sminuzzoli di Stati, che allor
quando l'Italia si confessò impotente a scacciare il Sultano di Bari.
Impotente perchè le armi servivano a uccidere nemici più odiati che i
Saraceni, e tagliavan, sì, quando v'era sangue italiano da versare:
poc'anzi Benevento contro Salerno; ed or Napoli contro Capua, Capua
contro Salerno, e Capuani tra sè medesimi, e il vescovo principe di
Capua contro i figli del proprio fratello. Non potendo dunque gli
sciagurati fidarsi l'un dell'altro, ebbero ricorso per la terza fiata
allo imperatore Lodovico; del quale sapeano che li volesse mettere sotto
il giogo; ma sembrò pericolo più lontano. Riportata ch'ebbero la
vittoria sotto le insegne imperiali, scacciarono Lodovico; poi
riassaltati dai Musulmani lo richiamarono; ed egli sempre acconsentiva,
sperando che nell'altalena un dì gli verrebbe fatto di coglierli: se non
che la vita non gli bastò; e d'altronde i Bizantini a tempo rimessero il
piè in Italia per dar nuovo alimento alla discordia. Questi fatti
generali, mutati i nomi, durarono in Italia per molti secoli, forse
durano ancora: e però è debito di cittadino, quantunque volte il possa,
di squadernarli innanzi gli occhi di tutti, perchè sempre più se ne
vegga la laidezza. Ripiglio adesso i particolari della guerra.
Per un editto assai rigoroso, di che abbiamo il testo, Lodovico
appellava al servizio militare tutti i vassalli d'Italia (866); veniva a
Monte Cassino (867); sforzava Capua, che già tentennando avea ritratto
le genti dall'esercito imperiale; mostravasi nelle altre città primarie,
Salerno, Amalfi, Benevento; a Napoli no, poichè il vescovo lo pregò,
dice un cronista, che non amareggiasse i cittadini con l'autorità
imperiale; ed egli acquetovvisi e dissimulò, non potendo sforzare.
Ragunate e ordinate così le milizie del paese, fatti venir anco rinforzi
di Lorena, marciò contro il Sultano di Bari; e fu sconfitto. Scrive
Reginone, monaco tedesco, che dopo segnalate vittorie i guerrieri di
Lorena se ne tornassero alle case loro, menomati da epidemia e dai morsi
delle tarantole: caso probabile il primo; l'altra, fola che gli
oltramontani ripeterono nell'undecimo secolo per palliar diffalte
somiglianti. Questa di Lodovico è da apporsi alla tattica dei Musulmani,
che meglio di lui sapeano la guerra spicciolata. Ma presto ei l'apparò.
Ritrattosi a Benevento il dicembre del sessantasette, uscì alla nuova
stagione; arse e guastò i contadi che ubbidivano ai Musulmani; snidolli
da Matera per tagliare gli aiuti di Taranto a Bari; occupò dal lato
opposto Canosa; ei si pose tra i monti a Venosa col grosso de' suoi; e
guadagnato a poco a poco il territorio in due anni di travagli, prese ad
assediare la città e batter le mura con macchine. L'assedio fu
interrotto varie fiate; e occorse del sessantanove che, ritraendosi
Lodovico a Benevento, il Sultano uscì addosso alle ultime schiere de'
suoi; lor prese gran numero di cavalli, e andò a saccheggiare il
santuario di San Michele al Monte Gargano. Poscia lo imperatore,
chiestogli aiuti da' Cristiani di Calabria e proffertogli giuramento di
fedeltà e tributo, egregiamente usava la occasione: vi mandava poche
forze che ne raccogliean molte nel paese. Così in Calabria furono
sconfitti tre emiri; tra i quali un Cincimo, che teneva Amantea, volendo
vendicare i suoi, assaltò i Cristiani; fu ricacciato in città; e
uscitone di nuovo per tentare un colpo di mano sopra il campo di
Lodovico, questi prevenne e ruppe gli assalitori.[639] Nondimeno,
vedendo che era niente ad assediare Bari se non si impedissero le
vittovaglie e gli aiuti dalla parte del mare, si collegò con Basilio
Macedone.
Il quale non prima salito al trono (867), sapendo che i Musulmani, di
Taranto forse e di Creta, avessero preso alcune città in Dalmazia e
strettovi Ragusa, mandovvi il patrizio Niceta Orifa con cento salandre;
il cui arrivo i Musulmani non aspettarono.[640] Volendo cacciarli di lor
nidi su le costiere d'Italia, il Macedone richiese o accettò la lega con
Lodovico, che tenea la terra ed egli il mare. Cooperò egli dunque con
forze navali, sì sull'Adriatico e sì sul Tirreno, ove non n'era minor
uopo. Perchè Mohammed, figliuolo dello emiro di Sicilia Khafâgia, di
luglio dell'ottocento sessantotto, uscendo di Palermo con l'armata, era
ito ad assediare Gaeta; ove, sparse le gualdane nel territorio, e
fattovi grandissima preda, se ne tornò del mese d'ottobre.[641] In tal
modo la colonia di Sicilia par che gastigasse quella città dell'avere
ubbidito allo imperatore e aiutatolo forse con navi. Napoli, allo
incontro, sembrava in quel tempo Palermo o Affrica,[642] come leggesi in
una epistola attribuita allo imperatore Lodovico. I corsali di Palermo
che infestavan tutta la costiera, e specialmente gli Stati del papa,
trovavano a Napoli piloti pratici che li conducessero; vi comperavano
armi e vittovaglie per rivenderle a Bari ed a Taranto; inseguiti, si
rifuggiano nel porto di Napoli e uscian di nuovo a predare. Indarno
l'imperatore ammonì, il vescovo gridò e dolsonsi parecchi nobili
cittadini: chè il console di Napoli a Lodovico non badò; incarcerò il
vescovo e poi rilasciatolo lo costrinse a fuggire; e quanto ai suoi
nobili scrupolosi, li messe in prigione coi ferri ai piè. Lo stratego
Giorgio, inviato da Basilio con un'armatetta di salandre per assicurar
quelle spiagge facea quel che potea, ma era assai poco.
I Veneziani intanto si mossero, come e' seppero il nemico sgomberato di
Dalmazia, e forse diviso, e i Cretesi inseguiti da Niceta Orifa. Però il
doge Orso, sopraccorso con l'armata a Taranto, cancellava (867) con una
vittoria la sconfitta di sua gente del quarantadue. Due o tre anni
appresso, l'armata bizantina, rinforzata di Schiavoni, Croati, e navi
ragusee, pose a terra a Bari; diè qualche assalto; e presto si ritrasse
per discordia surta coi Franchi e Longobardi: accusando questi i
Bizantini di combattere per gioco; ed essi loro di star lì, un pugno di
uomini, sempre in sollazzi e conviti, e che così mai non avrebbero
espugnato la città. Niceta se ne bisticciò con lo imperatore; poi,
tornatosene a Costantinopoli, fe' attaccare un pettegolezzo diplomatico
tra Basilio e Lodovico: recriminazioni su la condotta della guerra;
cavilli su i titoli, se l'un dovesse chiamarsi imperatore dei Franchi o
imperator dei Romani, se all'altro fosse serbata la greca appellazione
di _basileo_; le quali futilità provan solo che l'accordo tra i due
potentati si dileguava nella certezza della vittoria. Lodovico tuttavia
con quel pugno di allegri combattenti entrò in Bari, per forza d'armi,
il due febbraio ottocento settantuno. Fecevi grande strage; dalla quale
il Soldano campò, perchè afforzatosi entro una torre, si arrese al
principe di Benevento, obbligato a lui, dicesi, per cagion della
figliuola, ch'era stata già in man del Soldano, come ostaggio o
prigione, e quegli l'avea guardato come figlia sua propria. Lodovico
lasciò genti che stringessero Taranto e le altre castella dei Musulmani
in Calabria; mandò a infestare il territorio di Napoli, dando voce di
volere spezzata quella sacrilega amistà con gli Infedeli; e parlava di
scendere tra non guari nelle Calabrie, di passare in Sicilia: il che
vuol dire ch'ei si proponea di cogliere i frutti della vittoria, regnar
di nome e di fatto nell'Italia meridionale.[643]
Lo zelo contro i Saraceni male occultava cotesti intendimenti di
Lodovico, compresi dai savii, evidenti anco al volgo, per la tracotanza
dei baroni oltramontani; gli aggravii; il dispregiare i Longobardi testè
loro compagni nella vittoria; la insolenza della stessa imperatrice,
della quale si racconta, rinfacciasse alle nobili donne di Benevento che
lor gente non sapea pur imbracciare lo scudo. Pertanto Lodovico,
abbandonato dagli Italiani, non potè stringere altrimenti i Musulmani
delle Calabrie. Dalle mormorazioni poi si passò alle trame. I principi
di Benevento e di Salerno s'inteser tra loro e con Napoli;
incoraggiandoli forse i capitani delle armatette bizantine; ed
aizzandoli, come la voce pubblica portò, il Sultano prigione.
Costui, per le qualità dello ingegno proprio, e per lo incivilimento
superiore di sua gente, abbagliava que' rozzi principi cristiani. Scrive
Costantino Porfirogenito,[644] che lo ascoltassero come oracolo in fatto
di medicina e veterinaria; ed uno scrittore italiano, che Adelchi,
gittatosi a cospirare contro l'imperatore, domandando consigli al
Musulmano, questi dapprima l'avvertisse: “Bada bene a quel che fai,
poichè i Musulmani san ch'io vivo ancora:” ma replicando il principe
aver parecchi complici, il Sultano conchiudea: “Quand'è così, compi il
disegno, e tosto: se no, sarai scoperto.” Narransi altri aneddoti: che
tutto il tempo ch'ei fu prigione, stavasene accigliato e tetro; ma un
dì, in presenza di Lodovico, diè in uno scoppio di risa, vedendo un
carro andare per la strada; e domandato della cagione, rispose: “Penso
alla fortuna degli uomini che gira come quelle ruote.” Aggiungono che
con suoi lacciuoli facesse credere a Lodovico cospirazioni dei
Longobardi, e a costoro colpi di stato dell'imperatore, sì che li messe
alle prese.[645] Tra cotesto v'ha al certo verità e bugie: nè la
dimestichezza di quei grandi col Sultano sembra inverosimile, quando
trent'anni di guerra, accordi, leghe, traffichi, avean dissipato molti
pregiudizii tra Musulmani e Cristiani in Italia. Il che ci torna anco da
altre parti. Un Musulmano d'Affrica, il quale parecchi anni innanzi era
stato per suoi negozii a Salerno, trovandosi in patria verso questo
tempo, abbordò un mercatante amalfitano, e domandatogli se conoscesse
Guaiferio principe di Salerno, e saputo di sì, lo trasse in disparte.
“Qui s'arma,” gli disse, “contro Salerno, tel giuro per lo figliuol di
Maria che voi adorate com'Iddio. Va tosto a ragguagliarne Guaiferio; e,
s'ei ti domanda da chi vien lo avviso, ricordagli che tal dì un
Musulmano sedea su la piazza di Salerno mentre il principe tornava dal
bagno; e il Musulmano gli chiese in cortesia il fazzoletto[646] ond'ei
s'avvolgea la testa; e il principe gliel donò incontanente,
rispondendogli così e così, e tornossene al palagio a capo scoperto.
Quel Musulmano son io.” Leggiam questo nella cronica dell'Anonimo
Salernitano, che suol affastellare episodii presi nella tradizione
popolare. Ma il caso ha apparenza di vero; tanto più che l'Anonimo dà il
nome dell'Amalfitano e del Musulmano: Fluro l'uno; l'altro Arrane, ch'è
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