Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I - 39

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succeduto a costui Ahmed-ibn-Ia'kûb-ibn-Modhâ-ibn-Selma, che secondo
questo scrittore “non visse a lungo, sendo morto il 258.” Il _Baiân_,
tomo I, p. 109, dopo Mohammed-ibn-Khafâgia porta un Ahmed-ibn-Ia'kûb,
fratello dello emiro della Gran Terra; ma non va più oltre nella
genealogia, e il dice morto il 258, e sostituitogli il figliuolo Hosein.
Abulfeda, _Annales Moslemici_, anno 257, porta anche surrogato
direttamente a Mohammed-ibn-Khafâgia Ahmed-ibn-Ia'kûb.
Tra questa discrepanza di compilatori, sembra che il Nowairi, più
diligente nelle inezie, abbia notato tre governatori, trascurati da
Ibn-el-Athîr e dal _Baiân_ per essere rimasi in uficio brevissimo tempo;
e che l'Ibn-Ia'kûb, di cui Nowairi non dà il nome proprio, sia appunto
l'Ahmed di quegli altri due, come notai di sopra. Debbo aggiungere che
stando strettamente alle lezioni dei compilatori tre varie famiglie
avrebbero tenuto in men d'un anno il governo della Sicilia, quelle cioè
di Ia'kûb-ibn-Fezâra, di Ia'kûb-ibn-Abd-Allah, e di Ia'kûb-ibn-Modhâ; ma
è più probabile che vi sieno errori nei nomi o salti nelle genealogie.
Dubito inoltre della lezione di Ibn-el-Athîr, perchè Ibn-Abbâr,
che in questa materia fa più autorità, parla (MS., fog. 35 recto)
di un Ia'kûb vivuto nel tempo di cui trattiamo e figliuolo di
Modhâ-ibn-Sewâda-ibn-Sofiân-ibn-Sâlem, di Sâlem, dico, padre di Aghlab e
avolo del fondatore della dinastia. Ia'kûb era dunque cugino di Kafâgia
emiro di Sicilia. Era stato anco uomo di molto séguito a corte del
principe aghlabita Mohammed-ibn-Aghlab di cui già si parlò, e i suoi
discendenti furono detti, da lui, _Ja'kûbîa_ “Giacobini:” nome che allor
non portava pericolo. Mi pare probabilissimo che l'Ahmed nominato da
Ibn-el-Athîr sia stato figliuolo di costui, e Modhâ non figliuolo di
Selma, ma bisnipote di quel Sâlem progenitor comune di questa famiglia e
degli Aghlabiti.
[663] _Baiân_, l. c.; Nowairi, l. c.
[664] Nowairi, l. c., lo chiama erroneamente Abd-Allah-ibn-
Mohammed-ibn-Ibrahim-ibn-Aghlab, facendolo supporre discendente
in linea retta dal fondatore della dinastia; quando ei non
era che figliuolo del figlio del costui fratello. Chiarisce tale
genealogia Ibn-Abbâr, MS., fog. 35 recto, il quale dà anche: 1º l'anno
della elezione al governo di Sicilia, corrispondente a quello del
Nowairi; 2º la notizia de' suoi meriti letterarii e degli oficii
esercitati prima e dopo del governo di Sicilia; e 3º i versi che
indirizzò a un intimo amico, dolendosi di doverlo lasciare, quando fu
promosso a tal governo.
[665] Nowairi, l. c.
[666] Veggansi qui appresso i nomi del capitano di Sicilia al tempo che
fu presa Siracusa, e degli altri che gli succedettero per venti anni.
Perciò è manifesto errore di Nowairi che l'Abbissinio reggesse la
Sicilia per ventisei anni continui. Al più si potrebbe credere deposto
verso l'876, e rieletto verso l'896, quando Ibn-el-Athîr fa menzione del
suo nome.
[667] Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo II, fog. 86 recto; _Baiân_, tomo I, p.
109.
[668] _Theophanes continuatus_, lib. V, cap. LXIX, p. 309. Portando con
anacronismo l'assedio di Siracusa dopo le vittorie del capitano
bizantino Nasar in Sicilia ed in Calabria, lo scrittor palatino comincia
il capitolo così: “I Barbari Cartaginesi, per la sconfitta che avean
toccato, temendo che l'armata romana non li assaltasse in casa loro,
allestirono anch'essi molte navi; e com'e' seppero che in primavera non
fossero uscite le forze imperiali, credendole distolte da altra guerra,
mossero con lor navilio alla volta di Sicilia. Giunti alla capitale
dell'isola (cioè Siracusa), la cinsero d'assedio.” Le sconfitte dei
Musulmani d'Affrica, alle quali si allude, non erano al certo quelle
date da Nasar, che seguirono dopo la espugnazione di Siracusa.
[669] Ancorchè gli scrittori musulmani non parlino di forze mandate
dall'Affrica, si può creder questo alla _Continuazione di Teofane_. Si
vedrà in appresso, per testimonianza del _Baiân_, che in questo tempo
erano ritenuti prigioni in Palermo, senza dubbio per comando di
Ibrahim-ibn-Ahmed, due suoi congiunti.
[670] Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo II, fog. 104 verso; e MS. di Bibars (che
è copia d'Ibn-el-Athîr) nella Biblioteca di Parigi, Ancien fonds arabe,
nº 669, fog. 43 recto. Leggo chiaramente in quest'ultimo MS., e con poco
dubbio nel primo, il nome di Rametta.
[671] Ibn-el-Athîr, l. c., dice “occupato alcun sobborgo” di Siracusa.
La _Continuazione di Teofane_, lib. V, cap. LXIX, p. 309, similmente
porta dato il guasto “alla campagna ed ai sobborghi” (τὴν κώραν καὶ τά
προάστεια.)
[672] Veggasi il capitolo III del presente Libro.
[673] _Cum turris juxta mare, ad ipsum portum majorem ædificata, ubi
dextrum cornu (κέρας) oppidi protenditur_ ec. Così nella versione di M.
Hase. La penisola d'Ortigia è bislunga. Quel dei lati maggiori che
guarda a ponente mette fuori due braccia, l'uno dei quali dritto verso
mezzodì, e ristringe l'entrata del porto maggiore; l'altro, storcendo in
su verso Maestro, forma l'istmo. Il lato di ponente che risponde al
porto maggiore va detto dunque fronte della città; e l'istmo, ala o
corno dritto.
[674] L'istmo è largo circa un ottavo di miglio siciliano, ossia da 186
metri.
[675] Ἑλέπολις, nel testo. Si sa da Ammiano Marcellino ch'era una
tettoia di assi, coperta di vimini e argilla, congegnatovi sotto una
trave armata di ferro da percuotere il muro. Risponde perciò al montone,
gatto, ec., come si chiamò dalla foggia del ferro che stava in cima alla
trave. Veggasi il _Thesaurus linguæ græcæ_, di Enrico Etienne, edizione
di Hase e Dindorf, tomo III.
[676] Χελώνη, tettoia minore che gli antichi faceano talvolta con gli
scudi. Qui pare quel che poi si chiamò mantelletto per proteggere gli
artefici che lavoravano a scalzare il muro.
[677] Teodosio Monaco, l. c.
[678] Teodosio dice soltanto che una parte della torre sul porto grande
e indi un pezzo della cortina crollassero pei tiri dei mangani. Ciò non
potea avvenire se i proietti non correano per curva assai lieve, da
potersi chiamare linea retta ove non si parli tecnicamente. Delle
macchine servite dai Saraceni di Lucera feci menzione nella _Storia del
Vespro Siciliano_, capitolo X, p. 226, e nota a pag. 228, ediz. Le
Monnier. Gli altri esempii ai quali ho accennato, occorrono nella
presente Storia.
[679] Ibn-el-Athîr, l. c.
[680] Βραχιόλιον. Teofane, nella _Chronographia_, usa questa voce, prima
in significato di braccialetto propriamente detto, ossia ornamento del
braccio (tomo I, p. 225 e 491); e poi (p. 541), di fortificazione
attenente alla Porta d'oro di Costantinopoli, negli assalti che diè
l'armata musulmana nel famoso assedio del 673. Il testo di Teodosio dice
nel presente luogo: Τὰ ὰμφὶ τοῖν λιμένοιν τείχη, ἂ δη βραχιόλια
ὺνομάζουσιν; e la versione di M. Hase: _Mœnia circa utrumque portum quæ
brachiolia vocant_. Parmi che τείχη si debba prender qui nel senso di
fortificazione in generale, e ὰμφὶ di _presso_ piuttosto che _intorno_.
E veramente quelle due voci si trovano talvolta adoprate in questi
significati; e basta guardare una pianta topografica, e considerare che
il porto grande gira da sette miglia, per capacitarsi che non si tratti
di muro intorno intorno.
[681] Χρυσίνος. Ho posto il nome che dettero a questa moneta gli
occidentali. Il valsente in peso di metallo, spessissimo alterato, è di
13 lire incirca.
[682] Νομίσμα, voce usata nello stesso significato di χρυσίνος.
[683] Τέτανος.
[684] Ὁς ὰσκὸν.
[685] Così è da supporre, leggendosi nel testo: καὶ τούτοις πολυμερῶς
διατρήσασα; e nella versione di M. Hase: _multis ex partibus
terebratos_.
[686] Colpiti di ήμιπληξία, dice il testo qui al certo inesatto, poichè
“emiplessia” significa “paralisia di un lato.” Fin qui mi riferisco
sempre alla epistola di Teodosio.
[687] Georgius Monachus, _De Basilio Macedone_. § 11, p. 843.
[688] _Theophanes continuatus_, lib. V, cap. LXIX, LXX, p. 309 seg.
[689] Se meritasse maggiore fiducia la traduzione latina che pubblicò il
Gaetani di certi versi di Teodosio indirizzati a un Beato Sofronio, che
pare sia l'arcivescovo di Siracusa, si potrebbe affermare che il grosso
dell'esercito musulmano si fosse ridotto alle stanze nell'inverno. Ma
come farvi assegnamento, se la narrazione in prosa non ne parla, e se la
traduzione dei versi è del tenor seguente?
_Genus Ismael ascendit_
_Syracusanorum in urbem,_
_Ambitu ambiens hanc;_
_Aggressus devicit_ (devicitur?)
_Dolose supervenit extemplo_
_Per annum etiam navigavit_
_Post decem autem menses excidit_
_Obsidio urbem_.
[690] Sappiamo da Ibn-el-Athîr che l'assedio di Siracusa fa cominciato
da Gia'far-ibn-Mohammed, governatore dell'isola; e leggiamo nel _Baiân_,
dopo la espugnazione di Siracusa, che costui fosse ucciso in Palermo lo
stesso anno 264. Da un'altra mano, Teodosio chiama il capitano dello
esercito vincitore _Busa amiræ Chagebis filius_, e lo dice diverso
dall'emiro supremo ch'era in Palermo, al quale fu condotto il narratore
insieme con gli altri prigioni. Attagliandosi l'una all'altra coteste
due testimonianze, possiamo stare a quelle, e mettere da parte il
Nowairi che ne discorda. Costui nella storia di Sicilia non parla della
espugnazione di Siracusa. In quella d'Affrica, pubblicata de M. De Slane
in appendice a Ibn-Khaldûn, _Histoire des Berbères_, p. 425, attribuisce
la vittoria ad Ahmed-ibn-Aghlab; forse senz'altra ragione che di
supporlo in quel tempo governatore della Sicilia, come abbiam notato nel
presente capitolo.
Quanto al nome del vincitor di Siracusa, che Teodosio non poteva
ignorare, mi par che vada letto Abu-l'sa, figliuolo dell'_hâgeb_ ossia
ciambellano di Ibrahim-ibn-Ahmed; poichè le due lettere latine ch sono
trascrizione ordinaria della greca χ, come questa dell'_ha_, 6ª lettera
dell'alfabeto arabico, con la quale comincia la voce _hageb_; e le
lettere _g_ e _b_ similmente rispondono alle arabiche. È maraviglia a
trovare sì intatta quella parola passata per mano di varii copisti e
d'un traduttore; poichè di questo squarcio il testo greco si è perduto.
Debbo qui avvertire, per render testimonianza al vero, che M. Famin,
nella _Histoire des Invasions des Sarrazins en Italie_, Paris 1843,
della quale è uscito solo il primo volume, e la quale avrò poche altre
occasioni di citare, ha colto nello stesso segno mio, tirando a un
altro. La voce _Châgeb_ gli parve corruzione del nome patronimico di
Mohammed-ibn-Kohreb; e ne disse le male parole a Teodosio, anche per
aver chiamato costui emiro, e conchiuse doversi correggere il nome
_Mouça fils de l'émir Khareb_; cioè Mohammed-ibn-Kohreb, che per caso si
trova appunto lo hâgeb del principe aghlabita in questo tempo.
[691] Fo questo conto su quello degli uccisi quando fu presa la città.
[692] _Theophanes continuatus_, lib. V, cap. LXX, p. 511.
[693] Teodosio Monaco, l. c.
[694] _Die prima post vigesimam mensis maij, quarta vero ab eo die quo
murus corruit_; dice la versione pubblicata dal Gaetani. Ma quel quarto
giorno dopo la caduta del muro non risponde al conto fatto poco prima.
Perciò credo inesatta la versione, e che si debba intendere _quarta
feria_, ossia mercoledì, il giorno appunto della settimana che notano
concordemente la _Cronica di Cambridge_ e il _Baiân_.
[695] Questo nome non è dato da Teodosio; ma il Gaetani crede su buone
ragioni che così si chiamasse l'arcivescovo.
[696] La _Continuazione di Teofane_ nota espressamente che fossero
uccisi tutti i soldati, e fatti schiavi i cittadini.
[697] Teodosio.
[698] Questo passo si trova nella parte di cui è perduto il testo greco.
[699] Ibn-el-Athîr.
[700] Le autorità bizantine sono: Theodosii monachi atque grammatici,
_Epistola de expugnatione Siracusarum_, versione latina che fece un
monaco basiliano, per nome Giosafà, sopra un MS. del monastero del
Salvatore di Messina; e fu pubblicata dal Gaetani, _Vitæ Sanctorum
Siculorum_, tomo II, in appendice; poi dal Pirro, ec. Il MS. andò a male
con tanti altri, perduto nei monasteri di Spagna o sepolto nella
Vaticana, ove è da sperare che un giorno si trovi. Intanto abbiamo uno
squarcio del testo in un MS. di Parigi, il quale sventuratamente non
arriva nè anco a metà della epistola; ma capitò in ottime mani, poichè
M. Hase n'ha fatto una versione latina, e pubblicatala con l'originale
greco, in appendice alla _Leonis Diaconi Caloensis Historia_, Parigi,
1819; su la quale edizione fa ristampato a Bonn, il 1828. La
pubblicazione di M. Hase ci ammonisce a non fidarci troppo della prima
versione latina, che talvolta sbaglia il significato, e per lo più si
perde in parafrasi. — _Theophanes Continuatus_, lib. V, cap. LXIX, LXX,
p. 309, seg., oltre i cenni che si trovano in Georgius Monachus, _De
Basilio Macedone_, cap. XI, p. 843; Symeon Magister, _idem_, p. 691;
Nicetæ Paphlagonii, _Vita Sancti Ignatii_, presso Labbe, _Sacrosancta
Concilia_, tomo VIII, p. 1238.
Degli autori arabi ne trattano: Ibn-el-Athîr e Nowairi, ll. cc.;
_Baiân_, tomo I, p. 110; aggiungasi la _Cronica di Cambridge_, presso Di
Gregorio, _Rerum Arabicarum_, p. 42.
La data della espugnazione, il 21 maggio, si trova al paro in Teodosio
nella _Cronica di Cambridge_, e nel _Baiân_. L'anno 878 è determinato da
queste ultime due autorità. Manifesto l'errore di coloro che, seguendo
la _Continuazione di Teofane_, han detto presa Siracusa l'880.
[701] I titoli di queste due elegie sono stati rinvenuti dal dotto
ellenista siciliano Pietro Matranga. Veggasi _Spicilegium Romanum_, tomo
IV, Romæ, 1840, p. xxxix.
[702] I cronisti musulmani affermano precisamente che l'esercito
vincitore andasse via da Siracusa dopo due mesi. Teodosio scrive essere
rimaso prigione per trenta dì; nel qual tempo i Musulmani ardeano e
guastavano la città: e poi mandarono lui e gli altri prigioni in Palermo
sotto la scorta dei negri; ma non che marciasse con tutto lo esercito.
Queste due testimonianze perciò non si contraddicono punto.
[703] _Solarium_, nella versione; manca il testo greco.
[704] _Demosterium_; certamente il testo portava δεσμωτήριον.
[705] Si celebra il 10 del mese di dsu-'l-haggi, che quell'anno cadde
nel 12 agosto 878, secondo il conto degli astronomi musulmani, e il 13,
secondo il conto comune.
[706] _Ex iis qui populo præerant_. Qualche _fakîh_ o _sceikh_.
[707] _Non enim hoc fas esse_, leggiamo nella versione latina. I
Musulmani d'altronde non fecero mai sagrifizii umani, come par che
pensasse Teodosio; e la legge risparmiava la vita ai preti cristiani.
[708] Tutto ciò da Teodosio, l. c.
[709] _Chronicon Cantabrigiense_, presso Di Gregorio, _Rerum
Arabicarum_, p. 43, dice venuto a posta un che ricomprò i prigioni di
Siracusa l'anno 6393. Il Rampoldi, _Annali Musulmani_, an. 886, al
solito senza citare, scrive che fossero riscattati 4253 prigioni che si
trovavano “nel solo ergastolo di Siracusa,” e quasi altrettanti al
Kairewân. Ma Siracusa era distrutta; i prigioni condotti in Palermo,
come dice Teodosio, che dovea saperlo; e il numero non potea essere
stato sì grande, che il quinto appartenente al governo sommasse ad
ottomila e più, quanti si dice che ve ne fossero tra Kairewân e lo
ergastolo di Sicilia. Perciò la compilazione orientale, da cui il
Rampoldi par che abbia cavato quelle cifre, o è favolosa o erronea.
[710] Il Gaetani, non trovando altra memoria di loro, chè la _Cronica di
Cambridge_ per anco non si conoscea, e volendo accrescere il catalogo
dei martiri siciliani, suppone che Sofronio e i compagni fossero morti
per la Fede.
[711] _Baiân_, tomo I, p. 110. Quivi non leggonsi i gradi della
parentela con Ibrahîm-ibn-Ahmed, ma si argomentan dai nomi. Traduco a
caso il soprannome, ch'è scritto senza vocali, onde si potrebbe leggere
_Kherg-er-ro'ûna_, “Nugolo di pazzia.” ed è suscettivo d'altre lezioni e
interpretazioni. Nel Baiân quest'omicidio è scritto dopo la presa di
Siracusa. Ma ciò non prova che accadesse dopo: e le conseguenze del
misfatto, riferite dal _Baiân_ tutte nello stesso anno, fan supporre o
ammazzato Gia'far nei principii, ovvero che l'autore non osservi
rigorosamente la cronologia.
[712] _Baiân_, l. c. Quivi si legge Hosein-ibn-Riiâh. Correggo Ribâh per
essere famiglia illustre della colonia, e per trovarsi appo Nowairi un
Hosein-ibn-Ribâh governatore della Sicilia nell'872, come si è detto a
p. 391.
[713] _Baiân_, tomo I, p. 110.
[714] Chronicon Cantabrigiense, presso Di Gregorio, _Rerum Arabicarum_,
p. 15. Il nome nel MS. si trova senza punti diacritici, fuorchè su
l'ultima lettera; ma credo che gli editori si fossero bene apposti nel
supplire i punti che mancano. Va trascritto Khrîsâf. Il diploma del XII
secolo al quale alludo, si legge in Pirro, _Sicilia Sacra_, p. 390. Nata
contesa intorno i confini di un podere nel territorio di Cagliano, re
Ruggiero, il 1142, deputò a deciderla un conte Simone e il famoso
Giorgio di Antiochia; i quali intesero varii notabili, e tra gli altri
un Crisafi di Troina. Fa anco menzione di questa famiglia il Bonfiglio,
autore messinese del XVII secolo, e dà lo stemma gentilizio di quella,
presso Burmanno, _Thesaurus Antiquit. Siciliæ_, tomo IX, p. 117. Un
marchese Crisafi e un suo fratello, cavaliere gerosolimitano, usciti di
Messina per cagion della rivoluzione contro gli Spagnuoli e rifuggiti in
Francia, segnalaronsi dopo il 1691, sotto le bandiere francesi,
nell'America settentrionale. Dei quali il cavaliere, audace uom di
guerra e di stato, si dice sia morto di crepacuore non vedendosi punto
rimeritato dalla corte di Francia; e l'altro governò il distretto delle
_Trois Rivières_, come si legge in Charlevoix, _Histoire de la nouvelle
France_, tomo II, p. 95 seg. Questa famiglia, dopo mille anni di
nobiltà, si è estinta in Messina, come mi si dice, verso il 1840.
[715] L'autore è anonimo. La leggenda fu tradotta dal gesuita siciliano
Fiorito, sopra un MS. greco del monastero del Salvatore di Messina.
Pubblicò questa versione il Gaetani, _Vitæ Sanctorum Siculorum_, tomo
II, p. 63, seg., e l'hanno ristampato i Bollandisti, _Acta Sanctorum_,
17 agosto.
[716] Epistola di Giovanni VIII papa, di nº CCXL, data il 19 nov. 879,
presso Labbe, _Sacrosanta Concilia_, tomo IX, p. 184. Il Muratori,
_Annali_, an. 880, confonde questa vittoria con l'altra che siamo per
narrare, significata da papa Giovanni a Carlo il Calvo per una epistola
del 30 ottobre 880, nº CCLV (stampato per errore CCXLV).
[717] _Theophanes continuatus_, lib. V, cap. LIX-LX-LXI, p. 298, seg.
Queste fazioni e le altre dell'armata bizantina in Sicilia e Calabria
son riferite innanzi la espugnazione di Siracusa. Ma l'anonimo
compilatore confessa (cap. LXXI, p. 313) non esser punto certo della
cronologia. Io l'ho corretto con la scorta delle autorità musulmane e
italiane che citerò nelle note seguenti.
[718] _Theophanes continuatus_, lib. V, cap. LXII, p. 303. Che sia la
stessa armata veduta da Elia nel porto di Palermo mi par supposizione
necessaria.
[719] _Baiân_, tomo I, p. 110.
[720] La _Continuazione di Teofane_ dà il solo nome Nasar. Nella _Vita
di Santo Elia_ l'ammiraglio è chiamato Basilio Nasar; ma dubito che il
nome di Basilio sia quello dell'imperatore, aggiunto a Nasar per errore
del MS. o della versione. Nasar è nome semitico. Da ciò, e dall'avere
l'ammiraglio chiesto rinforzi di Mardaiti, argomento che appartenesse a
questa gente, così chiamata dagli Arabi perchè si ribellò da loro. Erano
Cristiani del Libano, della setta che si addimanda Maronita.
[721] Di questa sconfitta dell'armata musulmana d'Affrica e di Sicilia
abbiamo testimonianze diverse, che non è difficile a mettere d'accordo.
La _Continuazione di Teofane_, l. c., cap. LXII, dà il numero delle navi
africane; il tempo vagamente e con errore; il luogo anche vagamente; ma
dice che il nemico scorresse i mari di Cefalonia e Zante, e che Nasar
uscisse da Modone, e tornassevi dopo la vittoria, e poi, chieste
istruzioni a Basilio, venisse in Palermo. La epistola di Giovanni VIII,
del 30 ottobre, 19ª indizione (dal 1º sett. 880 al 31 ag. 881), dando a
Carlo il Calvo le nuove dei Greci e Ismaeliti, dice: _quia Græcorum
navigia in mari Israelitarum victorisissime straverunt phalanges_; ed è
evidente che debbasi leggere _Ismaelitarum_. Nella _Cronica di
Cambridge_, presso Di Gregorio, _Rerum Arabicarum_, p. 43, troviamo:
“L'anno 6388 (1º settembre 879 a 31 agosto 880), i Bizantini presero le
navi dei Musulmani in un luogo che s'addimanda Ellada.” Questa voce
precisamente si legge, nel MS. con la l raddoppiata e la _d_ con un
punto diacritico, con la quale per lo più gli Arabi trascrivono la _d_
greca o latina, perchè la loro _d_ senza punto si confonde spesso con la
nostra _t_. Ellade è appunto il nome del _tema_ della Grecia propria,
che stendeasi dall'uno all'altro mare, compresavi l'isola di Negroponte,
che sta a levante, ma non Cefalonia e Zante, che giacciono a ponente; e
confinava a settentrione col _tema_ di Tessalonica, a mezzodì con quello
del Peloponneso. Tal nome è scritto ordinariamente dai Bizantini Ἑλλάς,
all'accusativo Ἑλλάδα, con le medesime lettere e accento della
trascrizione arabica. Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo II, fog. 109 verso; e.
MS. di Bihars, fog. 49 recto, anno 266 (22 agosto 879 a 10 agosto 889),
riferisce la battaglia ne' mari di Sicilia; presa la più parte delle
navi musulmane, e salvatisi gli avanzi in Palermo. Il _Baiân_, tomo I,
p. 110, dice portata la guerra dal governatore di Sicilia ai Bizantini,
che fecero uscire 140 navi; scontratesi le due armate; prese le navi
della musulmana; e passati i vincitori a Palermo. Ciò nel 266.
Finalmente la _Vita di Santo Elia_ dà allestita l'armata in Palermo
contro Reggio al tempo dello imperatore Leone; mandato da costui Basilio
Nasar con 45 navi; ito Santo Elia di Palermo a Taormina ed a Reggio, ove
confortò i cittadini che non fuggissero, e Nasar che fidasse nella
vittoria; uscito Nasar contro i Musulmani, cui ruppe, messe in fuga,
affondò in mare, o fe' prigioni. In questa narrazione può star la data
dell'880, poichè Leone, che regnava solo quando fu scritta la biografia,
era già associato al padre innanzi l'880, e probabilmente, come lo
accennai di sopra, il nome di Basilio nel testo va aggiunto a quel di
Leone, e non dato come nome di battesimo di Nasar. Però non han luogo le
conghietture cronologiche del Gaetani, op. c., p. 68, e dei Bollandisti,
vol. c., p. 483. Quanto al luogo della battaglia, o fu confuso nella
memoria di Elia che vecchio narrava questi casi, o dalla penna
dell'agiografo, ovvero seguì un novello scontro di 45 navi bizantine con
gli avanzi dei Musulmani, che uscissero di Palermo, vedendosi assaliti
nelle case loro.
Dopo il detto fin qui, i fatti mi sembrano provati abbastanza. Così
anche la data, non ostante una difficoltà che non voglio tacere, cioè
che Giovanni VIII avesse differito sino al 30 ottobre a significare a
Carlo il Calvo una sì importante sconfitta dei Musulmani seguita nei
primi di agosto. Ma questa data di agosto 880 calza sì bene con tutte le
memorie; e d'altronde le comunicazioni tra la Sicilia e Roma erano sì
incerte, e sopratutto sì poca la voglia di papa Giovanni a dare quella
nuova, a Carlo, dal quale sollecitava sempre aiuti contro i Musulmani,
che ben si possono supporre passati due mesi e mezzo. Infine è da
considerare che il papa non scriveva apposta quest'avviso, ma per
incidenza, e rispondendo a Carlo il Calvo che gli avea domandato, forse
maliziosamente, che si dicesse dei Greci e dei Saraceni.
[722] _Theophanes continuatus_, lib. V, cap. LXIV, p. 304-305. L'obolo
rispondeva a 1/210 del bizantino, ossia circa 0,06 di lira italiana.
[723] Ibn-el-Athîr, l. c.
[724] Si confrontino: _Theophanes continuatus_, l. c., e _Baiân_, tomo
I, p, 110.
[725] Non mi par dubbio che la divisione di quei legni sottili vi
rimanesse dopo la partenza di Nasar. Il porto dovea essere Termini o
Cefalù; poichè le schiere si spingeano su la parte delle Madonie che sta
a cavaliere a quella spiaggia.
[726] Si confrontino: Leonis Grammatici, _Chronographia_, p. 258, e
Georgii Monachi, _De Basilio Macedone_, cap. XX, p. 845. Secondo
quest'ultimo ho soppresso il nome di Musulice, che Leone dà anche a
Euprassio, e che sembra nome del capitano che gli succedette.
[727] Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo II, fog. 25 recto, e MS. di Bibars, fog.
62 recto, sotto l'anno 368 (881-882), dice presa dai Musulmani una
fortezza “che i Greci aveano fabbricato di recente, e chiamatala la
Città del Re.” — “Di recente” qui si deve intendere l'880, perchè prima
erano vincitori e padroni i Musulmani in quelle parti. Quanto a Polizzi,
oltre il sito ch'è designato da tutte le fazioni di guerra dell'882,
accenna a quella città anco il nome, che necessariamente doveva esser
greco, Βασιλεόπολις, o soltanto Πόλις, e Pólis esattamente si
pronunziava nel XII secolo, come il prova la trascrizione arabica di
Edrisi. Però è caduto in errore il Wenrich, il quale, lib. I, cap. XI, §
96, p. 128, ha creduto di trovare la “Città del Re” in Castroreale,
senza riflettere che il nome non potea essere latino, e senza sapere che
Castroreale fu fabbricata dagli Aragonesi nel XIV secolo, come si scorge
dal Fazzello, deca I, lib. X, cap. I, e da Amico, _Lexicon
Topographicum_.
[728] Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo II, fog. 120 recto; e MS. di Bibars,
fog. 59 recto, anno 267; _Baiân_, tomo I, p. 111; e Ibn-abi-Dinâr, MS.
di Parigi, fog. 21 verso, con lo errore di Iliâs in luogo di Abbâs.
Questo nome patronimico è scritto El-Miâs in Ibn-Wuedrân, MS. § 6,
versione francese nella _Revue de l'Orient_, déc. 1853, p. 429.
[729] Ibn-el-Athîr, l. c.
[730] Confrontinsi: _Chronicon Cantabrigiense_, presso Di Gregorio,
_Rerum Arabicarum_, p. 43; e _Vita di Santo Elia da Castrogiovanni_,
presso Gaetani, _Vitæ Sanctorum Siculorum_, tomo II, p. 68, e presso i
Bollandisti, _Acta Sanctorum_, 17 ag., p. 483. Nella cronica si legge
sconfitto a Taormina Barsâs; la _Vita di Santo Elia_ dice Barsamius che
mi pare migliore lezione. Infatti il nome di _Barsemius_, trascrizione
del siriaco _Barsuma_, si trova in Mesopotamia dal secondo al quinto
secolo dell'era volgare, com'io l'ho accennato nelle note al
_Solwân-el-Mota'_, d'Ibn-Zafer, nota 44 al capitolo V, p. 336. Il
Wenrich, lib. I, cap. XI, § 96, dice uccisi 3000 Cristiani; e cita nella
nota 144 Ibn-el-Athîr. Così confonde questa fazione con quella che seguì
nell'882.
[731] Ibn-el-Athîr, l. c. Nel MS. si legge chiaramente _Bekâra_, che
parrebbe trascrizione di _Biccarum_, come troviamo scritto il nome
dell'odierna Vicari nei diplomi latini dell'XI secolo; ed è terra
lontana 30 miglia da Palermo, e circa la metà dalla spiaggia del
Tirreno. Ma in Edrisi il nome di Vicari è trascritto _Bikû_, che
risponde esattamente al Βοικὸς di un diploma greco dell'XI secolo,
pubblicato da Buscemi, _Giornale Ecclesiastico per la Sicilia_, Palermo
1832, tomo I, p. 212 e 213. Dippiù, Edrisi parla di un altro castello,
nelle vicinanze al certo di Gangi, terra a 14 miglia da Polizzi, il nome
del quale castello nella _Geographia Nubiensis_ è scritto _Mekâra_, così
anche nel MS. di Edrisi d'Oxford, e _Nakâra_ in uno dei MSS. di Parigi;
nell'altro, che è il migliore, _Bekâra_: varianti, tra le quali è da
preferirsi _Mekâra_, supponendosi con fondamento che fosse appunto
presso Gangi la _Imacara_ di Plinio e la _Megara_ di Tolomeo. Posto ciò,
rimane in dubbio se vada fatta ad Ibn-el-Athîr la stessa correzione di
_Mekâra_, ovvero debba supporsi che la cronica nella quale ei lesse
_Bekâra_, avesse così trascritto, in modo diverso da Edrisi, il nome di
_Biccarum_. È dubbio insignificante ed impossibile a sciorre, poichè
entrambi i siti di Vicari e di Gangi poteano essere occupati dai
Bizantini in quella impresa. D'altronde i nomi di Biccaro, Vaccaro,
Vico, Bica ec., doveano essere frequenti in Sicilia; e tanto più
facilmente si poteano confondere, quanto _bekkâr_ in arabico risponde al
greco βοιχὸς e all'italiano “boaro” e “vaccaro.”
[732] Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo II, fog. 123 recto; e MS. di Bibars,
fog. 62 recto, anno 268.
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