Storia della Repubblica di Firenze v. 1/3 - 32

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loro. (Lib. III, rubr. 86, pag. 302.) È da vedere pure la rubr. 90
del lib. III dello stesso _Statuto Fiorentino_, tom. I, pag. 304,
la quale dichiara nullo e soggetto a gravi pene qualunque contratto
pel quale sieno trasferiti diritti reali o personali di servitù, di
fedeltà o di omaggio o di qualsiasi giurisdizione, eccetto però al
Comune di Firenze. I secolari potevano dalla Chiesa fare acquisto di
tali diritti, purchè aboliscano immediatamente ogni obbligazione di
vassallaggio. Qualunque persona, università o popolo si obbligasse
nell’avvenire a servitù o che ad altri la prestasse, s’intenda che
abbia perduto la guardia e protezione del Comune di Firenze, nè a
lui si mantenga diritto e giustizia, e possa da ognuno essere offeso
impunemente nella persona e negli averi, come i ribelli e gli sbanditi.
— Vedi anche i _Capitoli del Comune di Firenze_, loc. cit.
[178] Alcuni uomini del Valdarno l’anno 1294 chiedono essere liberati
_ab omni hominitia et coloneria et ascriptitia conditione_ e _ab omni
nexu fidelitatis_; alla quale erano stati ricondotti dalla famiglia
dei Pazzi dopo la battaglia di Montaperti, per forza _et per metum_,
e con arsioni ed ammazzamenti: i Priori decretarono la libertà di
cotesti uomini, e pei Consigli fu approvata. (Estratto dagli _Spogli_
di VINCENZIO BORGHINI, pubblicato dal P. Ildefonso nelle _Delizie degli
Eruditi_, tom. VIII, in fine.) — Abbiamo Atti pubblici dove il Comune
di Firenze dichiara spettare a lui la tutela dei _poveri_ e _deboli_ e
degli _impotenti_.
[179] _Quis dominatur apennini? alma domus Ubaldini_; avrebbe detto
l’imperatore Federigo II.
[180] _Cronaca_, lib. X, cap. 202.
[181] DELFICO, _Storia di San Marino_.
[182] «La guerra di Mastino voleva il mese più di venticinquemila
fiorini d’oro che andavano a Vinegia, senza le spese opportune che
bisognavano di qua al nostro Comune, che le più volte senza quelli di
Lombardia avevano al soldo più di mille cavalieri, senza quelli che
erano alla guardia delle terre e castella che si tenevano per lo nostro
Comune.» (G. VILLANI, lib. XI, cap. 91.)
[183] G. VILLANI, lib. XI, cap. 114.
[184] G. VILLANI, lib. XI, cap. 139.
[185] «Il popolo era da’ grandi nelle faccende private oppressato; i
grandi avevano le leggi e la ordinazione della Repubblica tutta contra
sè diretta.» (DONATO GIANNOTTI, _Della Repubblica Fiorentina_, lib. I,
cap. V, pag. 83.)
[186] G. VILLANI, lib. XI, cap. 119.
[187] Abbiamo nel _Giornale Storico degli Archivi Toscani_, vol.
VI, pubblicati ed illustrati dal signor Cesare Paoli i documenti
dell’Archivio di Stato relativi al Duca d’Atene. Quello segnato nº
213 alla pag. 231 contiene le accuse contro ai Venti, ma la sentenza è
mozza e apparisce poi rivocata.
[188] G. VILLANI, lib. XII, cap. 1, 2, 3.
[189] Vedi _Archivio Storico_, tom. XVI, parte II, pag. 532. — Donato
Velluti, cronista non dispregevole, era stato de’ primi Priori creati
dal Duca, e aveva seco grande entratura; ma quando s’accorse ch’egli
andava a tirannia, si tenne in disparte: nel corso poi della sua
Cronaca, ogni volta che gli avvenga di nominare il Duca, non lo fa mai
con ingiuriose parole, mostrando piuttosto usare prudenza, ma poi non
essergli troppo avverso.
[190] G. VILLANI, lib XII; _Marchionne di Coppo Stefani_, lib. VIII;
MACHIAVELLI, lib. II, in fine; AMMIRATO, lib. IX; _Cronaca Senese_ di
ANDREA DEI presso il Muratori, tom. XV, pag. 108. — Abbiamo citato la
serie dei documenti relativi al Duca d’Atene tratti dall’Archivio di
Stato. In questa, oltre gli Atti del suo Governo, sono quelli della
Renunzia, e i negoziati che la Repubblica ebbe poi col Re di Francia e
col Papa e co’ Re di Puglia, i quali tenevano la parte del Duca.
[191] _Deliz. Erud._, tom. XIII, pag. 207.
[192] G. VILLANI, lib. XII, cap. 18 e segg. — MARCHIONNE STEFANI. —
LIONARDO ARETINO. — MACHIAVELLI.
[193] G. VILLANI, lib. XII, cap. 23.
[194] Nelle _Delizie degli Eruditi_ del P. Ildefonso, tom. VII, pag.
290, è la supplica di un ser Belcaro di Bonaiuto Serragli da Pogna, il
quale, sebbene fosse di famiglia grande, chiede essere di popolo egli
ed i suoi, come _debiles et impotentes_. — Il tomo XIII della stessa
pregevole collezione contiene da pag. 199 fino al fine molti originali
Documenti di Provvigioni fatte dalla Repubblica, sia nella prima
Riforma del vescovo Acciaiuoli e dei Quattordici per la quale erano
riabilitati i grandi, sia nella rinnovazione delle Leggi contro ad
essi e degli Ordini di giustizia nel mese d’ottobre 1343 e nell’ottobre
1344.
[195] Il Malespini vidde salire al tempo suo per le ricchezze i Bardi,
i Frescobaldi, i Mozzi ed i Rossi che egli distingue dagli antichi
grandi. Recenti erano pure i Cavalcanti; e forse non di vecchia data
gli Adimari _venuti su di piccola gente_, come scrive l’Alighieri.
[196] «Molto rincararono i lavoratori, li quali erano, si potea
dire, loro i poderi, tanto di buoi, di seme, di presto e di vantaggio
voleano.» MARCHIONNE STEFANI, tom. XIII, pag. 143. — «I lavoratori
delle terre volevano tutti i buoi e tutto seme, e lavorare le migliori
terre e lasciare l’altre. — Le fanti e i ragazzi della stalla volevano
il salario, il meno dodici fiorini l’anno, e i più esperti diciotto
e ventiquattro: così le balie e gli artefici minuti manuali volevano
tre cotanti che l’usato. — Il Comune avendo bisogno, e perchè vedeva
essere il popolo ingrassato ed impoltronito, raddoppiò la gabella del
vino alle porte, ed alzò quella del grano e del sale e della carne.
Non vollero più fare provvisione pubblica di grano, cessando il lavoro
dell’edifizio d’Orsanmichele a tal fine destinato; ma invece ordinarono
che tutto il pane vendereccio si facesse dal Comune, e si vendesse
a caro prezzo; e quale fornaio ne volesse fare, pagasse ogni staio 8
soldi di gabella.» (M. VILLANI, lib. I, cap. 57.)
[197] Il dar mallevadore era ai magnati imposto dagli Ordinamenti di
giustizia.
[198] Il numero dei battezzati darebbe, secondo i calcoli d’oggi,
oltre a centocinquanta mila anime di popolazione alla città, compresi
i borghi e le parrocchie le quali andavano a San Giovanni: ognuno però
vede come fosse fallace il modo del registrarli. Pare stia bene il
conto delle ottocento moggia la settimana per novanta mila bocche. Gli
ottanta mila uomini da arme, cioè da quindici a settanta anni, potevano
bene essere l’anno 1336 nel contado e distretto, il quale allora
comprendeva non piccola parte, com’è detto, della Toscana.
[199] Vedemmo già come tutte le lane ed altre cose de’ re d’Inghilterra
venissero in mano di mercanti fiorentini, in compenso dei danari che a
lui somministravano per la guerra. — Si noti ancora come l’industria,
tenendo qui pure l’usate sue vie, mentre s’ampliava e raffinava,
andasse stringendosi in minore numero di mani.
[200] I panni francesi ed altri venivano a Firenze per le finiture;
l’arte del cimare e quelle che servono a dare ai panni l’ultima
perfezione, altrove erano sconosciute; e da principio i Fiorentini
mandavano in Fiandra dei lavoranti per conto loro che mantenessero
il segreto. Venivano anche i panni a tingersi in Firenze, essendo
quest’arte sempre ivi molto accreditata, massime per l’uso del guado
o indaco, il quale serve anche a fermare il color nero e a dargli
lucentezza: della tintura con l’oricello abbiamo detto in altro luogo.
Qui è notabile come dal Villani non si tenga conto dell’arte della seta
che in Firenze era antichissima; vero è bensì quest’arte essere giunta
al colmo nel secolo susseguente, quando l’arte della lana cominciò
invece a decadere.
[201] Gli speziali ebbero questo nome perchè oltre alle medicine
smerciavano anche le spezierie delle Indie.
[202] E credo io fossero più, tanti se ne legge di continuo andati
chi in qua chi in là per traffici, ed i cambiatori mettevano banchi in
molte parti d’oltremonte e d’oltremare, e Avignone ne tirava a sè non
pochi, ed a Lione erano case di Fiorentini, ed a Bruggia nella Fiandra
più anni rimase lo stesso Giovanni. Ai quali se poi si aggiungano
quelli che andavano in signoria di fuori, potestà o giudici, e che
menavano seco gran seguito o famiglia; e il frequentare le università
fino a quella di Parigi, ed il muoversi di luogo in luogo che facevano
i religiosi; poi le frequenti ambasciate, e quello stesso vagare dei
soldati mercenari che fu cagione di tanti mali; si vedrà come fosse
continuo a quei tempi il conversare dei Fiorentini con molte città
d’Italia e fuori.
[203] Fu posta quando si edificava il terzo cerchio della città,
continuata poi fino ai giorni nostri, e gravosissima, perchè andava
fino al sette e tre quarti per cento, facendosi però le stime molto
all’agevole. Gravava disegualmente la Toscana, avendo più luoghi
pattuito nella dedizione l’andare esenti da quella tassa; privilegi che
cessarono quando nel 1814 fece ritorno il principato non come antico e
restaurato, ma col diritto della conquista.
[204] Oltre al segnare l’oro e l’argento, sembra che le paci tra’
cittadini avessero a guarentigia e solennità il suggello del Comune; il
che si fa credere anche per un luogo del Velluti, pag. 29: «Venne poi
il Duca d’Atene e ribandì gli sbanditi e costrinse ognuno a far pace;
onde i consorti e noi, essendo costretti, rendemmo pace; la quale è
sotto grandissime pene, fortificate poi per riformagioni di Comune con
altre gravissime pene: e non si trova quasi niuna poi essere rotta,
e chi l’ha rotta si è stato diserto; onde per questa cagione e per lo
comandamento di mio padre e sua maladizione si è molto da guardare; che
se alcuno discendente di loro vivesse, non fosse tocco, se non vuole
sè e altrui disertare.» Il segno dei beni in pagamento poteva essere
necessario a quei contratti che hanno nome di Anticresi, nei quali i
beni essendo ceduti al creditore per certo tempo, non si fa luogo alla
voltura; se pure non fosse divietato quel contratto, com’è pei canoni
della Chiesa, e che il divieto si osservasse.
[205] Ivi erano grani depositati da cittadini, i quali pagavano per la
custodia e per gli attrazzi; e il grano sparso rimaneva a benefizio del
Comune.
[206] Erano penali che dovevano pagare i connestabili che fossero
trovati in difetto d’uomini rispetto al numero pel quale erano stati
condotti e riscuotevano gli stipendi. — Soccorse in questo come in
più altri luoghi a noi l’amicizia del signor Cesare Guasti, e a lui ne
rendiamo le debite grazie.
[207] Nei libri del 1347, per citar quelli più vicini al tempo del
Villani, si trovano versamenti fatti ai Camarlinghi della Camera
dal Camarlingo delle Stinche: _de denariis ad ejus manus perventis_.
(Archivio centrale di Stato.)
[208] Voleano che i più facoltosi del contado dimorassero nella città,
dove davano minore sospetto.
[209] Si è detto come i Fiorentini fino dal secolo XIII per grandigia
custodissero leoni ed altri animali rari, i quali venivano ad essi
d’Oriente; costumanza cittadina cessata non prima del passato secolo,
quando si venne a ricercare il perchè di ogni cosa. Un lione di marmo
che tra le branche teneva uno scudo con entro il giglio, e si chiamava
il Marzocco, era una sorta di emblema della Repubblica fiorentina,
imitato forse dal Leone di San Marco.
[210] Abbiamo (_Deliz. Erud_., tomo XII, pag. 349) una descrizione
delle Entrate e Spese tratta da questa del Villani, ma non però affatto
inutile pe’ confronti.
[211] PECORI, _Storia di San Gimignano_. — Nel libro già citato
dei _Capitoli del Comune_, pag. 288 e seg., abbiamo gli Atti
della dedizione che San Gimignano aveva fatta l’anno 1345, e altri
susseguenti. — Vedi un nostro Compendio dell’istoria di questa Terra,
nell’_Appendice_ Nº III.
[212] Intorno ai fatti dei Guazzalotri e di Prato vedi anche (per
quanto gli si debba credere) il frammento di Cronaca di Luca da
Panzano; _Giornale storico degli Archivi Toscani_, tomo V, pag. 61.
[213] Donato Velluti, Gonfaloniere di giustizia, ebbe grande mano in
tutta quella faccenda; e per l’inganno che v’era stato e il molto male
commesso, non trovò prete che lo assolvesse; finchè tornato da Napoli
il vescovo Acciaiuoli, quattro anni dopo lo assolvè, pensando ch’era
stato a fine di bene, e perchè Firenze non andasse sotto tirannia.
(VELLUTI, _Cronaca_.)
[214] Aveano ordinato un anno innanzi le cose spettanti al governo
della Valdinievole; intorno a che vedi il libro dei _Capitoli_, in più
luoghi.
[215] I Cronisti fiorentini tacciono di un soccorso di Senesi venuti
alla difesa della Scarperia, che primi entrarono nella terra. Questo
narra il senese Agnolo di Tura (_App_. Muratori, _Scriptor. Rer.
Ital._, tomo XV, col. 126, 127), il quale però aggiugne in onta
de’ Fiorentini cose che parvero incredibili al senese annotatore
Benvoglienti.
[216] Donato Velluti era in Siena ambasciatore per fare lega contro
al Visconti; «ma veggendo noi ambasciatori non essere sufficienti i
Comuni di Toscana a tanto uccello senza l’appoggio d’altrui, si ragionò
si mandasse al Papa, trattasse perchè l’Imperatore venisse in Italia:
di che rapportato il detto ragionamento in Firenze, quanto che nella
prima faccia fosse dubbioso e gravoso, purnondimeno veggendo l’appoggio
di Puglia essere debole, si prese di mandare al Papa.» Questi aveva
promosso l’elezione di Carlo IV, e di per sè era già inclinato a farlo
scendere in Italia.
[217] «Se alcuno guelfo divien tiranno, conviene per forza che diventi
ghibellino.» (MATTEO VILLANI.)
[218] Nelle campagne i nostri vecchi dicevano sempre: un Dio, un Papa,
un Imperatore; e non si tenevano obbligati alla milizia napoleonica,
perchè non era l’imperatore vero.
[219] «Essendo messer Ramondino Lupo da Parma capitano di guerra in
Firenze molto servitore dell’Imperatore, fece sentire all’Imperatore
de’ ragionamenti si faceano; di che l’Imperatore subitamente mandò un
suo ambasciatore, grande prelato, a Firenze» — «ed essendo deputati
certi nostri cittadini, tra’ quali io fui, a ragionare con lui, dopo
molti ragionamenti, si fecero certi capitoli ec.» (VELLUTI, _Cronaca_.)
[220] Il Corio narra come l’Arcivescovo essendo chiamato dal Papa in
corte, mandò innanzi un suo siniscalco a fare gli alloggi; il quale
pigliò in affitto quante case potè avere nella città d’Avignone,
e stalle da porvi molto gran numero di cavalli, dicendo sempre non
bastavano per la compagnia che l’Arcivescovo condurrebbe seco: parve
troppa ai cardinali, e fu pregato non si muovesse.
[221] MATTEO VILLANI, lib. III, cap. 7.
[222] Scrivono che uno degli ambasciatori dicesse a Carlo, che
promoveva sempre novelle difficoltà: _Voi filate molto sottile_. (M.
VILLANI, lib. III, cap. 30.)
[223] Nelle istruzioni agli ambasciatori (Libro di _Consulte_,
nell’Archivio di Stato) è ingiunto loro di fermarsi a conferire
dovunque fosse il detto Patriarca, e «dirgli ogni cosa.» — Questo
abbiamo dalla cortesia del signor Luigi Passerini, che tanto sa delle
cose nostre.
[224] M. VILLANI, lib. III, cap. 86.
[225] Nelle edizioni di Matteo Villani si legge quattromila, che sono
troppi. Ranieri Sardo, _Cronaca Pisana_ (_Archiv. Stor._, VI, par. 2),
dice essere venuti con l’Imperatrice mille cavalieri, e indi qualche
altro centinaio mandati dai Signori di Lombardia.
[226] «A noi pareva che al Patriarca bastassero duemila fiorini
d’oro, al Cancelliere trecento fiorini o poco più, ec.» (_Istruzioni
agli ambasciatori_; Archivio di Stato.) — Un documento _in forma
brevis_ (stampato con altri spettanti a quel fatto dal signor Giuseppe
Canestrini: _Archiv. Stor._, Appendice VII, pag. 406) dà facoltà agli
ambasciatori di essere larghi di doni ai ministri e consiglieri di
Carlo IV, e questi si vede che accettarono _grato animo_.
[227] «La moneta, che dare gli si dee per via di censo per anno,
vorremmo che fosse la minore quantità che si potesse; e piuttosto
una quantità determinata, che discendere a censo di 26 danari per
focolare.» (_Archiv. Stor._, Appendice VII, pag. 405.) Nelle istruzioni
agli ambasciatori si trova pure: «Offerte generali farete, non
obbligatorie; — dicano con quanta difficoltà si è qua ottenuto di
condiscendere alle modificazioni nuovamente fatte.»
[228] Testo del Trattato (vedi _Appendice_ Nº IV.) — E nelle istruzioni
agli ambasciatori: «in quella parte dove toccate delle terre le quali
volontariamente si sono sottomesse a questo Comune, che non le vuole
confermare, operate almeno quanto potete che ci faccia suoi vicarii,
allegando che ha fatto il simile a molti altri.»
[229] A’ nove di marzo, undici giorni avanti alla conclusione, si vede
ch’erano alle rotte e discorrevano già d’armarsi; più giorni innanzi
Niccolò Alberti aveva proposto si cercasse aiuto dal Papa e dal Legato
della Romagna. (Libro di _Consulte_, nell’Archivio di Stato.) Matteo
(lib. IV, cap. 73) sgrida i reggitori del non avere fatto abbastanza
fondamento sul Papa, il quale aveva già stipulato con l’Imperatore che
nello scendere in Italia mantenesse governo libero in Firenze. Aggiugne
il Villani che le lettere papali, di cui potevano i Fiorentini valersi,
rimasero in Cancelleria per non avere gli ambasciatori pagato i trenta
fiorini d’oro che ci volevano per la spedizione.
[230] Donato Velluti accenna con parole molto espresse ad una promessa
la quale al tempo dell’imperatore Carlo IV sarebbe stata _fatta ai
Grandi intorno al fatto degli uffici e degli schiusi guelfi_; promessa
cioè di modificare gli Ordinamenti di giustizia, e le esclusioni dai
magistrati. I Velluti erano antichi grandi, ma l’affermazione di Donato
non poteva essere in tutto senza fondamento, e qualche cosa dovette ai
grandi essere almeno fatta sperare, a Pisa, forse dagli ambasciatori.
[231] Il Diario del Graziani perugino (vedi _Archiv. Stor. Ital._, tomo
XVI, parte 1ª, pag. 176) aggiugne tra i patti: «Nella città de Fiorenza
debiano continuo tenere uno offiziale per lo Imperatore, el quale
officiale sia sopra alle appellazione, e che debia avere la mitade de
tutte glie bande che entreronno in Comuno.» Tuttociò è manifestamente
falso, ma si pone a mostrare le gelosie per cui gli scrittori d’una
città si compiacevano abbassare le altre, fossero anche le più amiche.
[232] _Archiv. Stor._, Appendice, vol. VII, pag. 405. — Nelle
istruzioni agli ambasciatori (Archivio di Stato): «Il sacramento pareva
troppo largo, ma si farebbero riserve innanzi al giuramento; e quando
fossero autenticate per lettere di Cancelleria, basterebbe perchè
il sacramento non avesse più vigore.» Abbiamo il testo delle riserve
autenticate per lettere di Cancelleria, e confermate il giorno avanti
a quello del trattato dalla persona dello stesso Imperatore in Pisa,
com’era chiesto in Firenze. — Vedi lo stesso _Appendice_, vol. IV, in
principio.
[233] Ranieri Sardo (Cronaca citata), narrati i fatti di Carlo in Pisa,
lo accomiata con queste parole: _Iddio gli dia delle derrate ha date a
noi_. — Vedi anche le _Istorie Pisane_ di Raffaello Roncioni. (_Archiv.
Stor._, tomo VI, parte I.)
[234] _De Imperatore habeo hæc nova: quod die dominica proxime elapsa
applicuit Cremonam, et ibi extra portam retentus fuit per duas horas et
ultra; et interim multum examinate fuerunt gentes sue, quarum tercia
pars forte intrare potuit civitatem cum eo et sine armis, et relique
remanserunt extra cum omnibus armis: et die sequenti ivit Sunzinum,
ubi valde plus retentus fuit similiter extra portam, cum simili
examinatione et receptione dictarum suarum gentium: postea transivit
per territorium Pergami per Valcamonicam et per Voltolinam versus....
Sueviam in Alamannia, semper cum magna festinantia, absque quo aliqua
vice esset visitatus vel visus ab aliquibus dominis Mediolani: die
et nocte equitans ut in fuga_. (Lettera alla Signoria, da Ferrara 27
giugno 1355; in _Archiv. Stor._, Appendice, vol. VII, pag. 408.)
[235] VELLUTI, _Cronaca_.
[236] MATTEO VILLANI, lib. IV, cap. 70-75.
[237] Vedi _Appendice_, Nº V.
[238] MARCHIONNE DI COPPO STEFANI, nelle _Deliz. Erud_., tomo XIII,
pag. 112.
[239] MATTEO VILLANI, lib. IV, cap. 69.
[240] GIOVANNI VILLANI, lib. XII, cap. 72. — E MATTEO VILLANI, lib. II,
cap. 2. «Ogni vile artefice della comunanza vuol pervenire al grado del
priorato e de’ maggiori uffici del Comune, ove s’hanno a provvedere
le grandi e gravi cose di quello, e per forza delle loro capitudini
vi pervengono; e così gli altri cittadini di leggiere intendimento e
di novella cittadinanza, i quali per grande procaccio e doni e spesa
si fanno a’ temporali di tre in tre anni agli squittini dal Comune
insaccare: è questa tanta moltitudine, che i buoni e gli antichi e
savi e discreti cittadini di rado possono provvedere a’ fatti del
Comune, e in niuno tempo patrocinare quelli, che è cosa molto strana
dall’antico governamento dei nostri antecessori e dalla loro sollecita
provvisione. E per questo avviene, che in fretta e in furia spesso
conviene che si soccorra il nostro Comune, e che più l’antico ordine e
il gran fascio della nostra comunanza e la fortuna governi e regga la
città di Firenze, che il senno e la provvidenza de’ suoi rettori. Catun
intende, i due mesi che ha a stare al sommo ufficio, al comodo della
sua utilità, a servire gli amici o a disservire i nemici col favore del
Comune, e non lasciano usare libertà di consiglio a’ cittadini.»
[241] Frammento di _Cronaca_ stampato nella edizione di Donato Velluti.
Firenze, 1731, pag. 148.
[242] Rubr. 10 degli _Ordinamenti di Giustizia dell’anno 1293_.
(_Archiv. Stor._, Nuova Serie, tomo I, pag. 58.)
[243] _Giornale Storico degli Archivi Toscani_, vol. I, anno 1857. — Il
Comune di Firenze aveva in Roma anche nell’assenza del Pontefice tre
col titolo di protettori, ai quali nell’anno 1354 erano stanziati dal
Consiglio del Capitano e Popolo Fiorentino 480 fiorini d’oro. (Carte
del signor Giuseppe Canestrini a noi gentilmente comunicate.)
[244] Stando a Lapo da Castiglionchio (_Discorso_, ec.; Bologna, 1753,
in-4, pag. 128), in prima origine il Consiglio Generale sarebbe stato
di quaranta, grandi e popolani.
[245] _Statut. Flor._, tomo II, lib. 5, rubr. 5, pag. 491.
[246] _Statut. Flor._, tom. I, pag. 145; e _Statuto di Parte Guelfa_,
cap. 21, nel _Giornale Storico degli Archivi toscani_, vol. I.
[247] Nell’intervallo però tra il 1335 e il 58 i Capitani troviamo
essere ridotti a quattro, che due grandi e due di popolo. — Per
una riforma del 1323 i nuovi Capitani sarebbono eletti da quelli
che uscivano: coteste cose però variavano ad ogni tratto, e Lapo da
Castiglionchio dice che erano essi eletti dal maggior consiglio della
Parte e dal consiglio segreto dei 14. (Discorso, ec., pag. 128.)
Abbiamo pure una deliberazione del 1316, per la quale i Capitani
eleggono i cento consiglieri della Parte, dei quali sono ivi anche i
nomi. — Tutto ciò mostra come il governo della Parte guelfa mantenesse
le forme strette che si convengono ad un reggimento di oligarchi; e
tali erano essi veramente.
[248] Vedi cap. 16 degli _Statuti di Parte Guelfa_. «Come ogni anno
si spenda in possessioni e in case la maggior quantità di pecunia che
avere si potrà.»
[249] Parole che accennano a una esperienza lungamente fatta, e quindi
si deve gli ultimi capitoli di Giovanni credere opera di Matteo.
[250] G. VILLANI, lib. XII, cap. 72, 79, 93. — _Deliz. Erud._, tomo
XIII, pag. 314 a 28, e 339.
[251] VELLUTI, _Cronaca_, pag. 106.
[252] _Deliz. Erud._, tomo XIV, pag. 231.
[253] Giuravano, _devotis animis et curvatis capitibus_, fare ogni
cosa a conservazione dello stato e parte dei Guelfi, e _ad exterminium
æmulorum_.
[254] _Deliz. Erud._, tomo XIV, pag. 249.
[255] Alcune parole di Matteo Villani (lib. VIII, cap. 31) ci danno a
credere ch’egli stesso fosse di già segnato in quella lista.
[256] M. VILLANI, lib. VIII, cap. 31, 32, e MARCHIONNE STEFANI, lib.
IX, pag. 15.
[257] MARCHIONNE DI COPPO STEFANI, lib. IX, rubr. 665, pag. 8.
[258] La _Cronaca_ di Marchionne rimase inedita fino al passato secolo,
ma era nota nel cinquecento.
[259] _Cronaca_ di G. MORELLI.
[260] Avendo essi a quel tempo inimicizia co’ Mangioni loro vicini, gli
assalirono una sera dopo cena; ed una loro donna uccisero, che stava
sull’uscio a pigliare il fresco; pel quale misfatto ebbero bando dalla
città. E noi troviamo questi Bordoni immischiati prima con Corso Donati
e poi col Duca d’Atene: ma sapevano rendersi popolari, e nell’anno 1311
quella famiglia ebbe privilegio di esenzione dalle gravezze.
[261] _Cronica_, pag. 109.
[262] _Archivio_, detto Libro di _Consulte_. — In esse troviamo Piero
degli Albizzi e due Strozzi che andavano seco, dar voto tra gli altri
più qualificati cittadini a cui spettavasi per ufficio. Ma i loro nomi
stanno tra gli ultimi che abbiano luogo in que’ registri; e nei pareri
da essi dati nulla è di notabile, come in cosa giudicata, e dove pare
che le sentenze, l’una dall’altra poco difformi, non si dessero senza
circospezione.
[263] G. VILLANI, lib. XII, cap. 113.
[264] M. VILLANI, lib. III, cap. 89, e lib. IV, cap. 14 e seg.; e
GRAZIANI, _Cronache di Perugia_ (_Archivio Storico_, tomo XVI, parte
II); AMMIRATO, _Storie Fiorentine_.
[265] Di Landau, e dice lo Stefani ch’egli era del lignaggio di
Wittemberg.
[266] Leggere gli epitaffi o iscrizioni. — _Vita di Cola di Rienzo_,
scritta in dialetto romanesco da TOMMASO FORTIFIOCCA.
[267] M. VILLANI, lib. VIII, cap. 72 e seg.
[268] In Firenze l’arte della lana non lavorava per non avere più il
porto a Pisa. (_Cronaca Senese_ in MURATORI, _S. R. I_., tomo XV, pag.
170.)
[269] M. VILLANI, lib. VIII, cap. 37. — _Cronaca Pisana_ in MURATORI,
_S. R. I._, tomo XV; e _Cronaca_ di RANIERI SARDO in _Archiv. Stor._,
tomo VI.
[270] Di tale provvedimento scrive LEONARDO ARETINO (lib. VII): «Questo
certamente non fu altro che fare la propria e domestica moltitudine
diventare vile, vedendo altri difendere le sue sostanze, e loro non
imparassino a difendere sè medesimi e le loro patrie.» — MATTEO VILLANI
si lagna che fosse necessità in questa guerra empire le file con la
viltà delle _vicherie_, o milizie del contado.
[271] Erano prima venuti gli Ungheri in Italia per le guerre contro
la regina Giovanna di Napoli. Tornava poi contro a’ Veneziani il
re Lodovico l’anno 1356 fin sotto Trevigi. Del modo d’armarsi e di
campeggiare di quella nazione, della moltitudine dei cavalli e dei
cavalieri, e fin del vitto ch’essi usavano, è un bel ragguaglio in
MATTEO VILLANI (lib. VI, cap. 53-54).
[272] Era la Compagnia del Cappelletto famosa in quei giorni: poi
novera il Tronci le Compagnie dell’Aquila Bianca, dell’Aquila Balsana,
delle Chiavi, del Grifon Bianco, del Grifon Staccato, del Leone di
rissa, dei Pappagalli, del Pontedera, degli Spiedi, della Tavola
Rotonda ec. (_Annali Pisani_, an. 1357.)
[273] Quivi i soldati oltramontani ch’erano al soldo del Comune di
Firenze avevano prima disegnato un altro Spedale pei malati della loro
gente, come ne avevano uno in Pisa fondato da quelli che ivi dimorarono
dopo la morte di Arrigo VII. (PASSERINI, _Storia degli Stabilimenti di
Beneficenza_ ec., pag. 217.)
[274] MATTEO VILLANI, lib. XI, cap. 16.
[275] Vedi anche il frammento della Cronaca di messer LUCA DA PANZANO.
(_Giornale Storico degli Archivi Toscani_, tomo V, pag. 70.)
[276] ANTONIO PUCCI, che in ottave descrisse l’istoria di questa guerra
contro Pisa, quanto a Pandolfo n’esce con dire: _ch’egli ebbe animo
perfetto; e contra sua voglia, per non avere genti, dovette starsi
nelle castella; e che dipoi chiese licenza non senza cagione._ (Cantare
V, ottav. 30, 46. _Deliz. Erud._, tomo VI.) — Il Pucci fu autore anche
del _Centiloquio_, pubblicato dallo stesso P. Ildefonso, vol. III. IV,
V; ma non è altro che l’istoria di G. Villani rattratta in terza rima
con buona lingua e cattivi versi.
[277] F. VILLANI, continuazione del lib. XI di Matteo.
[278] Contro ad essi Urbano V l’anno 1366 stringeva lega, egli per
conto dello Stato della Chiesa, col Comune di Firenze e col popolo
Romano e più altre città e Signori d’Italia. Andarono a questo effetto
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