Storia della Repubblica di Firenze v. 1/3 - 02

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dei Frescobaldi, poi a quelle dei Bardi, che infino sono
espugnate e vanno a sacco. — Una radunata di malandrini
rubatori, dalle milizie del Potestà è percossa e gastigata.
— Nuova riforma: passa il Governo dal grasso popolo negli
artefici. — Effetti della cacciata dei Grandi. — 1348.
Peste in Firenze e sue conseguenze.
_Capitolo_ V. — DELLA CITTÀ E STATO DI FIRENZE. — ENTRATE
E SPESE DEL COMUNE 248
Morte di Giovanni Villani. — Contado e Distretto; Fortezze. —
Popolazione; consumi. — Scuole. — Chiese e conventi,
spedali. — Fondachi, numero dei panni, Arte della lana e
Arte di Calimala, Cambiatori. — Signorie forestiere,
giudici, ufiziali. — Ville intorno a Firenze. — Entrate e
spese del Comune.
_Capitolo_ VI. — GUERRA CON L’ARCIVESCOVO DI MILANO. —
TRATTATO CON L’IMPERATORE CARLO IV. — IL MAGISTRATO DI
PARTE GUELFA. — ALBIZZI E RICCI. [AN. 1349-1358.] 258
Recuperazione di Colle, di San Gemignano, di Prato: strage
dei Guazzalotri: accordo con Pistoia, nella quale mettono
guardia. — Potenza di Giovanni Visconti arcivescovo di
Milano: rompe guerra ai Fiorentini ed entra nel Mugello. —
Nuova condizione dei Ghibellini in Toscana. — Carlo IV,
imperatore debole, tratta in segreto coi Fiorentini. — I
Veneziani e il Papa s’accordano a fare scendere
l’Imperatore in Italia. — Carlo IV, coronato in Monza,
viene a Pisa. — 1355. Trattato pel quale i reggitori di
Firenze sono fatti vicari imperiali: nè a lui nè
all’Imperatrice è permesso di entrare nella città. — Carlo
IV, coronato in Roma, torna in Allemagna. — Prevalenza
negli uffici delle Arti minori e nelle città di nuovi
uomini venuti di fuori: consorterie, sètte, scioperi degli
artefici. — Il Magistrato di Parte guelfa. Come ivi
dominassero gli ottimati. — Della esclusione dei Ghibellini
si fa un’arme contro alla parte popolare; arbitrio
tirannico di cui s’investe quel Magistrato; pronunziano
senza forma di giudizio divieti di accettare ufficio, ai
quali danno nome di ammonizioni. Di qui nasce la contesa
tra gli Albizzi e i Ricci.
_Capitolo_ VII. — LA GRAN COMPAGNIA. — GUERRA CO’ PISANI. —
SECONDA VENUTA DI CARLO IV IN ITALIA. — IL MAGISTRATO
DI PARTE GUELFA: AMMONIZIONI. [AN. 1358-1374.] 291
Milizie straniere in Italia, la gran Compagnia. Questa
volendo dalla Romagna passare in Toscana (1358), è rotta
dai villani dell’Appennino. — I Fiorentini per lungo
contrasto co’ Pisani si adoprano a richiamare i commerci a
Talamone, e mettono in mare galee armate. — Volterra viene
in signoria della Repubblica. — Guerra con Pisa [1362]. —
Morte di Piero da Farnese, capitano dei Fiorentini:
Pandolfo Malatesta sospettato. — I Pisani vengono fin sotto
le mura di Firenze: poi avendo una compagnia inglese mutato
bandiera, si fa pace [1364]. — Urbano V, e Carlo IV in
Italia [1369]: potenza di Bernabò Visconti. — San Miniato
viene in potestà della Repubblica. — Niccola Acciaiuoli
Gran Siniscalco del regno di Napoli, sospettato in Firenze.
— Leggi che rafforzano l’arbitrio del Magistrato di Parte
guelfa. — Piero degli Albizzi. — I Ricci perdono lo Stato.
_Capitolo_ VIII. — GUERRA CON PAPA GREGORIO XI.
[AN. 1375-1378.] 318
Romagna recuperata al Patrimonio della Chiesa. — Mala
contentezza dei Fiorentini e animosità contro essi dei
Legati di Bologna: Giovanni Hawkwood condottiero inglese. —
Guerra contro al Legato. — Quali leggi gravassero i
cherici. Inquisizione. — Gli Otto della guerra. — Lega con
Bernabò Visconti; fanno ribellare le terre della Chiesa. —
Gregorio XI offre condizioni di pace, stornato dagli Otto.
— Interdetto pronunziato in Avignone contro a Firenze ed ai
Fiorentini in qualunque luogo dimoranti. — Eccidio di
Cesena fatto da Inglesi e da Brettoni soldati della Chiesa.
— Diligenza usata dagli Otto in quella guerra. — Gregorio
XI torna a Roma. — Negoziati presto rotti. — La Repubblica
fa riaprire le chiese in Firenze; confraternite, devozioni.
— Santa Caterina da Siena e sue lettere a Gregorio XI. —
Aperto dissidio tra gli Otto della Guerra e i Capitani di
Parte guelfa. — Congresso a Sarzana per la pace. — Morte di
Gregorio XI. — Firenze ottiene miti condizioni dal nuovo
papa Urbano VI.
_Capitolo_ IX. — LINGUA, LETTERE ED ARTI IN FIRENZE. —
PETRARCA, BOCCACCIO. [AN. 1322-1378.] 341
Come si formassero la lingua e il popolo di Toscana. — In
Italia il secolo che finiva nel 1300 fu quello dei grandi
fatti e delle grandi cose. — Importanza durante quel secolo
degli uomini dell’Italia media, che era la parte più
latina: la poesia e le lettere nacquero ivi religiose e
popolari; non si perderono in sottigliezze, ma seguitarono
il comun senso della umanità. Crebbero e si fecero
esemplari alla nazione per la finitezza della lingua e per
la maggiore estensione del pensiero. — Ma su’ dialetti
delle altre Provincie potevano poco, perchè la Toscana non
era centro da cui potesse venire a diffondersi per tutta
Italia un comun parlare. Quindi le incertezze e le contese
che sono antiche quanto la lingua. — Dante: suo libro De
Vulgari Eloquio. — La lingua illustre degli Italiani pareva
sempre che fosse il latino. I libri toscani usciti dal
popolo in tanto gran numero, poco erano conosciuti nel
resto d’Italia. Scarsa l’azione del pulpito, della tribuna,
del teatro. Quando si cominciò per tutta Italia a scrivere
libri in lingua volgare, l’autorità del parlare dei toscani
era venuta a ristringersi; parve da ultimo si perdesse
troppo in facezie e in bassezze. — Ma la poesia ebbe una
comune lingua. — Autorità somma esercitata in Italia dal
Petrarca, e a lui rimasta per le sue liriche: nella vita fu
egli italiano più che fiorentino. — Nel trecento abbassò il
livello degli animi e parve non rimanessero che gl’ingegni.
— Scrittori di prosa: Matteo Villani, frate Iacopo
Passavanti. — Virtù e vizi dello scrivere del Boccaccio,
che fu maestro sommo della lingua, ma la potenza di
scrittore guastò pel concetto falso ch’egli ebbe dello
stile, colpa dell’animo e dei tempi. — Santa Caterina da
Siena ebbe doti di grande scrittore. — Altri autori di
prose e poesie nella fine del trecento. — Studio pubblico
in Firenze. — La Scultura progrediva più della Pittura. —
Andrea Orcagna: edifizio d’Orsanmichele e Loggia sulla
piazza dei Signori.
APPENDICE DI DOCUMENTI.
I. Breve di Clemente IV, de’ 25 marzo 1266, al cardinale
Ottaviano degli Ubaldini per l’assoluzione
della città di Firenze e di alcuni cittadini
dalle scomuniche incorse quando era sotto la
dipendenza del re Manfredi 373
II. Discorso intorno al Governo di Firenze dal 1280
al 1292; d’incerto autore 378
III. Istoria compendiata di San Gimignano 389
IV. _PROTESTATIO FACTA PER SINDICOS COMUNIS FLORENTIE
DOMINO KAROLO ROMANORUM REGI_ 398
_CAPITULA CONCORDIE INTER DOMINUM KAROLUM ET COMUNE
FLORENTIE_ 399
V. Matteo Villani; e il Ghibellinesimo in Firenze 404
VI. Provvisione del 27 gennaio 1371 dall’Incarnazione 415
VII. Discorso d’autore incerto, scritto l’anno 1377 _Del
principio e di alcuni notabili del Priorato_ 420
NOTA INTORNO AI MALESPINI 425
NOTA INTORNO AL METODO DELLA CRITICA A PROPOSITO
DELLA STORIA DI DINO COMPAGNI 434
NOTA CIRCA ALL’ATTO DI PROMISSIONE TRA I CONSOLI DI
FIRENZE E GLI UOMINI DI POGNA 441


STORIA DELLA REPUBBLICA DI FIRENZE.


LIBRO PRIMO.


CAPITOLO I.
ORIGINE DI FIRENZE.

Narrare l’istoria della città di Firenze distesamente dai suoi primordi
male potremmo, e non sarebbe dell’assunto nostro, per la incertezza
o per la oscurità dei fatti, e perchè tardi questa città pigliò un
carattere che la distinguesse tra molte in Italia. Non è dubbio che
Firenze, chiamata da prima, come alcuni credono, o Villa Arnina o
Camarzo, fosse nel suo cominciamento una borgata dell’etrusca Fiesole.
Questa, dal monte sulla cui vetta sedeva, inviava con l’estendersi dei
traffici i suoi mercanti giù nel piano, emerso dalle acque poichè il
fiume Arno, rotte altre chiuse che lo impedivano, si fu aperta una via
tra i massi della Golfolina: quindi l’origine di Firenze. Cresciuta
pei coloni che vi stanziarono, soldati di Silla o più veramente di
Ottaviano Cesare allora triumviro, in breve pel nuovo sito e per
l’agiato luogo ebbe numero d’abitatori e decoro di edifizi, così da
essere annoverata tra le buone colonie che Roma avesse in Italia.
Sappiamo da Tacito come, regnando Tiberio, udisse il Senato gli oratori
dei Fiorentini, i quali ottennero che la Chiana non fosse voltata a
metter foce nell’Arno portando ruina d’inondazioni alla città loro.[1]
Il circuito di un anfiteatro tuttora apparisce disegnato dalle vie che
certo furono della edificazione prima; ebbe il Campidoglio ed hanno le
Terme nomi derivati dai tempi romani.
Caduto l’Impero per la invasione dei barbari, fu la Toscana prima
soggetta come le altre provincie ai re Goti, sinchè poi divenne
campo a quella guerra che a discacciarli d’Italia fu combattuta dai
Greci. Ma non è vero che Totila nei monti di Fiesole fosse sconfitto
ed ucciso: in quei luoghi Stilicone, agli 8 d’ottobre dell’anno 405,
avea debellato Radagasio, il quale con grande accozzaglia di barbari
d’ogni gente era disceso in Italia;[2] ed in memoria di quel giorno
i Fiorentini celebrarono la festa di santa Reparata, cui dedicarono
quello che poi fu il loro maggior tempio. Di Totila è vero che le sue
armi nell’anno 542 assediarono Firenze, difesa da Giustino luogotenente
dell’imperatore Giustiniano.[3] Ricadeva essa poco di poi sotto alla
dominazione dei Goti, insintanto che Narsete non ebbe nell’anno 552
vinto ed ucciso Totila, e indi posto fine al regno Gotico in Italia. Da
tuttociò avvenne che più tardi, scambiando i fatti e il nome di Totila
con quello del più famoso tra i barbari, fosse creduto che Attila
avesse distrutta Firenze, e Carlo Magno la rifacesse. Tradizioni così
sformate ebbero corso lungamente presso gli storici anche più solenni,
e a noi le trasmisero gli antichi cronisti, ambiziosi d’annestare
gli oscuri fatti ai nomi più illustri e quasi a mitici personaggi:
compongono esse la leggenda dell’istoria.
Bene è da credere che Firenze, per quell’assedio e per l’oppressione
recata dai barbari, patisse allora decadimento. Quindi è che nei due
secoli della dominazione longobarda, e pure in quelli altri due che
furono dopo Carlo Magno, non che essere a capo delle città di Toscana,
io dubito che fosse annoverata tra le primarie: e Lucca fu sede a un
Ducato longobardo, poi residenza prescelta sovente dai Marchesi di
Toscana; e Pisa, già illustre, s’accresceva pe’ commerci, e grande
aveva potenza sul mare. Per tale guisa i fatti di questi Marchesi,
comunque in Italia d’assai grande nome dal nono secolo al duodecimo,
non appartengono propriamente all’istoria di Firenze; la quale città
ne apparisce quasi che oscura per tutto quel tempo. Nè durante quello
è grande notizia di cose che spettino alla Chiesa fiorentina; intorno
alla quale giova dire che, recato assai di buon’ora il Cristianesimo in
Toscana, Firenze ebbe Vescovi nel quarto secolo; ed in sulla fine di
questo, il più insigne tra essi, Zenobio; nel cui tempo sant’Ambrogio
legato seco in amicizia, venuto in Firenze, consacrava quivi, com’è
tradizione, la Basilica di San Lorenzo. Di più altre Chiese edificate e
Badie fondate innanzi al mille, poco è da dire: fino al qual tempo la
serie dei Vescovi fiorentini è spesso interrotta; si vede la Diocesi
pigliare nome dal Battisterio o antico tempio di San Giovanni, e pare
confondersi alle volte con quella di Fiesole. Ma dopo quell’êra di
universale risorgimento ebbe principio la grandezza cui più tardi
sursero la città e il popolo di Firenze: il che ne porge ora occasione
a investigare sommariamente di quali schiatte e per quale modo il nuovo
popolo si formasse, per quindi giugnere meglio preparati ai fatti che
in breve sarà nostro obbligo di narrare.
Nei lunghi contrasti, che dagli antichi tempi noi sappiamo avere
Firenze avuto con Fiesole, ravvisa ciascuno le necessità di guerra
che sempre furono tra le città e le rôcche, tra’ popolani mercati e
gli alti luoghi dove annidavano le signorie castellane o i vicari
dell’Imperatore. L’antica schiatta che in sè avendo ricevuto e
conservato l’impronta romana, pigliò aspetto e nome di schiatta latina,
tendeva incessantemente a segregarsi dalla nuova che solo dalle armi
avea signoria; e il vinto popolo italiano, cui null’altro rimaneva che
il mercatare e il coltivare, si riduceva in comune, ponendo una sorta
d’assedio ai castelli, e a sè facendoli tributarii per la necessità
che i violenti sempre ebbero degli industriosi, e così gradatamente
soverchiandoli con la ricchezza che vien dal sapere, prima d’essere
potenti a dominarli con le armi. A questo modo per tutta Italia, ma
più che altrove nella Toscana, l’antica gente a poco a poco venne a
prevalere sulle nuove, le quali rimasero o mescolate o cancellate
in mezzo al popolo che sorgeva. I nostri autori hanno grande cura
di ricongiungere le memorie della città loro a quella di Roma, di
cui Firenze si chiamò figlia, e dicono come fosse in tutto edificata
a imitazione di quella. Ricordano Malespini distingue gli uomini
dell’antico popolo da quelli di schiatta longobarda, ma questi confonde
sovente con gli altri che molto più tardi seguitarono gl’Imperatori.
Descrive minutamente le famiglie ch’erano grandi al tempo suo, e dove
andarono a posarsi quando vennero a città: ma le più care e la sua
propria cerca derivare, non da origini tedesche, bensì da Fiesole o
da Roma: taluni appella grandi baroni, e questi sarebbero i Tedeschi;
di molti più afferma che erano antichissimi gentili uomini signori
di ville e di castella nei luoghi loro; il che fa credere gli tenesse
come antichi abitatori e proprietari del suolo istesso. Chi scoprisse
alcuna cosa circa le origini e la schiatta e le possessioni di quelle
famiglie che furono grandi nella città o nel contado, saprebbe assai
dell’istoria nostra.
Dove racconta il Malespini quella pretesa riedificazione di Firenze
che per Carlo Magno si sarebbe fatta, aggiugne che «i Fiesolani e i
Conti vicini, stretti amici de’ Longobardi, si mettevano a contrasto e
non la lasciavano rifare;[4]» parole notabili, non per il fatto in sè
stesso che alla critica non reggerebbe, ma perchè a noi lasciano assai
bene intravedere quali tradizioni dominassero nel popolo Fiorentino
e quali origini si attribuisse. I Fiesolani non si contrapponevano
a che Firenze si rifacesse perchè distrutta non era, ma sibbene agli
incrementi di essa; e tutti quei Conti nemici a Firenze nei tempi del
Malespini, per nulla esistevano a quelli di Carlo Magno. Ma qui si
vede come l’etrusca Fiesole, occupata dagli invasori che vi si erano
afforzati, facesse parte co’ signori dei vicini castelli, e come il
popolo delle città italiche dovesse riacquistarsi il proprio terreno
contro a’ signori Longobardi o Franchi o in altro modo Germanici venuti
in Italia con gl’Imperatori. In tale conflitto il nome di Carlo Magno
rimaneva alto e riverito per avere egli assai rinnalzata la gente
latina, e quindi Firenze non è maraviglia che lo avesse in luogo di
secondo fondatore. Giovanni Villani dà ragione delle parti che a suo
tempo dividevano Firenze dall’essere i Fiorentini usciti da due popoli
diversi tra loro e per antico nemici sempre come erano i Romani ed
i Fiesolani. Cotesto pensiero gli deve certo essere caduto in mente
dall’avere Catilina posto il campo presso a Fiesole; donde poi nacque
la storiella del re Fiorino e della regina Belisea. Ma pure in cotesto
pensiero è qualcosa in cui si nasconde un vero sentito dagli antichi
nostri, sebbene avvenisse a loro di frantenderlo e guastarlo per la
ignoranza dei fatti e per gli abbagli della fantasia. Catilina con
l’andare a porsi tra gli Appennini cercava, precorrendo pazzamente
a Giulio Cesare, unire a sè i popoli che odiavano Roma col sollevare
le antiche italiche schiatte le quali contro essa avevano combattuto
la guerra sociale. Di questi popoli uno era quello di Fiesole città
etrusca, e quindi avversa prima ai Romani e indi ai Fiorentini
ch’erano in parte figliuoli dei Romani per la colonia ivi posta, e
molto ambivano chiamarsi tali. Dove la prepotenza di Roma inviava de’
suoi a porre una colonia, metteva un seme d’inimicizie perenni tra
gli uomini della città trasformata e più tra questa e gli abitatori
dei luoghi vicini, cui la colonia aveva dato dei nuovi padroni. Le
terre che furono a questi assegnate, un empio soldato le aveva rapite
all’uomo di cui portavano il nome; l’antico italiano era ridotto a
mendicare nei dolci suoi campi il pane che aveva egli medesimo fatto
crescere, o fuggiva la patria occupata da genti straniere. Io credo
le molte colonie romane sparse in Italia fossero cause non infrequenti
del guerreggiarsi l’una con l’altra le città vicine, diverse di razza
e spesso divise per odii antichi i quali più tardi parevano essere
obliati.[5]
Ma nei contrasti pei quali si venne dipoi a formare il nuovo popolo
italiano, la razza etrusca e la latina stavano insieme contro ai
germani invasori, i quali avevano posto sede negli alti luoghi
fortificati. Questi però in Toscana ebbero minor possa, perchè le
colline sottoposte e i piani anticamente impaludati avendo bisogno di
opere assidue che gli rendessero produttivi, tentavano poco i nuovi
uomini a fermarvisi o più scarsamente ne alimentavano la potenza: e
così avvenne che il nuovo popolo di Toscana avesse mistura più scarsa
che altrove di sangue trasfuso dai vincitori longobardi o eruli o goti.
Del che si aggiunge un’altra ragione, a mio credere, potentissima. La
Toscana, sebbene offra la dritta linea a chi accede inverso Roma, poco
fu battuta dalle guerre, e si rimase come in disparte. Annibale prese
con suo danno la via di Toscana, mal conoscendo la geografia: ma fatto
esperto, chiamò il fratello a morire sul Metauro, che è la via piana
benchè più lunga; cosicchè poi fu prescelta sempre alle invasioni ed
alle guerre; e i Romani con l’aprire il passo del Furlo, confermarono
alla Toscana le condizioni che la natura le aveva fatte, e per le
quali, e per il suolo magro ed alpestre, rimase ella più quieta sempre
e segregata e meno tocca dalle invasioni che altra qualsisia parte
della Penisola. Il fatto stesso e per le stesse cause, scrive Tucidide
che avvenisse nell’Attica, dove l’antica schiatta degli abitatori si
rinnovò poco, e azione più debole fu esercitata dai sopravvenuti dei
quali si forma la parte dei nobili.
Intorno al mille, o quando che sia, troviamo che molti Fiesolani
erano scesi ad abitare in Firenze facendo insieme co’ Fiorentini un
popolo solo; tantochè raccomunarono l’arme delle due città, e fecero
allora l’arme dimezzata vermiglia e bianca: il vermiglio con entrovi
il giglio bianco era l’antica arma dei Fiorentini, e il bianco era dei
Fiesolani che vi avevano una luna di colore azzurro. Sarebbe ciò, a
detta dei nostri storici, avvenuto quando per tradimento e per sorpresa
i Fiorentini concorsi a Fiesole in grande numero sotto apparenza di
celebrarvi la festa di santo Romolo, avrebbero l’anno 1010 presa quella
città e poi distrutta, salvo la Rôcca e il Vescovado. Ma noi crediamo
più alla mescolanza dei due popoli che alla servitù dell’uno, trovando
Fiesole caduta in mano dei Fiorentini molti anni poi. Nè in quei primi
dopo al mille Firenze nè altre città italiche molto s’arrischiavano ad
ampliarsi oltre quei confini che a ciascuna di esse avevano posti gli
editti imperiali.


CAPITOLO II.
LA CONTESSA MATILDE. — AMPLIAZIONI DEL CONTADO. — PRIME ZUFFE
CITTADINE. — LEGA TRA LE CITTÀ DI TOSCANA. [AN. 1050-1215.]

Le guerre che arsero tra ’l Sacerdozio e l’Impero travagliarono con
danno minore la Toscana di quello facessero intorno ad essa nelle
più vicine provincie d’Italia. Firenze, che molto era dopo l’anno
mille cresciuta di popolo e ricca di traffici e poco tinta di sangue
germanico, aderiva sin d’allora alla parte della Chiesa. Quindi
troviamo questa città prescelta sovente a dimora di quei Pontefici che
nella contesa di già cominciata furono sovente esclusi da Roma. Così
avvenne che Vittore II morisse in Firenze l’anno 1057, dopo avervi due
anni prima tenuto un Concilio; e vi morivano pure Stefano IX, l’anno
1058, e tre anni dopo Niccolò II, se non ci inganna l’affermazione
di alcuni scrittori.[6] Venuta dipoi questa città in retaggio con
tutta Toscana alla contessa Matilde, e tosto accesa la grande guerra,
stette Firenze volonterosamente per Gregorio VII. Laonde bene le
avvenne l’anno 1081 d’essersi novellamente ricinta di mura: il primo
cerchio comprendeva quell’angusto spazio che è tra ’l Duomo e l’Arno
e tra le vie che ora conducono al ponte di Santa Trinita e a quello
di Rubaconte, fin dove però non aggiugneva interamente; nè vi era
per allora che il solo Ponte Vecchio, ed oltre al fiume non abitava
che povera gente. I borghi già empivano il secondo cerchio quando
l’imperatore Arrigo IV, nell’andare contro Roma attendatosi fuori della
città presso Cafaggio dove ora è la chiesa dei Servi,[7] diede alla
terra molte battaglie; ma dopo esservi stato più tempo e adoperatosi
invano, «perchè la città era forte e bene murata e i cittadini bene in
concordia,» e (aggiugnamo noi) per la potenza delle armi della contessa
Matilde, se ne levò a modo di sconfitta.[8] Durava la guerra molti
anni poi, ma la Toscana poco n’era scossa, vivendosi sotto all’impero
di una donna che i suoi Stati reggeva con mano sicura; e dominatrice
potentissima di quelle regioni per cui si stendono gli appennini,
faceva in questi impedimento alle armi tedesche.
Risedeva ella ordinariamente in Lucca, sebbene tenesse corte alcune
volte anche in Firenze. Questa città dicono gli antichi scrittori
avere negli ultimi anni di Matilde cominciato a muover guerre contro
ai vicini signori. Infino dal 1107 avrebbe il Comune pubblicamente
ordinato di allargare il contado di fuori ed accrescersi la
signoria.[9] Vero è che in quell’anno furono ad abbattere il castello
di Monte Orlandi di qua da Signa, che si teneva da un ramo dei possenti
conti Cadolingi di Fucecchio: poi subito, al dire di quelli autori,
essendosi i Pratesi «ribellati» ai Fiorentini, questi andativi «per
Comune» gli avrebbono vinti e disfatto il castello di Prato; dov’erano
discesi uomini che prima in sul Monte erano fedeli dei conti Guidi, ma
per danari si ricomperarono. Distrussero l’anno 1113 un altro vicino
castello dei Cadolingi, del quale scrivono che «facea guerra alla città
cui lo avea ribellato il Vicario dell’Imperatore» che stava co’ suoi
Tedeschi in San Miniato: fu egli quivi ucciso, e il castello preso e
disfatto. Ma noi teniamo in questi racconti essere alquanto di boria
cittadinesca. Viveva Matilde, della quale noi sappiamo ch’ella era
di persona a quell’assedio di Prato l’anno 1107;[10] nè la guerra dei
Vicari imperiali e dei Conti che aderivano ai Tedeschi, appelleremmo
ribellione contro al popolo di Firenze, nè i Fiorentini possiamo
credere la combattessero come stato libero, nè che avessero decretata
insino d’allora la distruzione dei castelli. Bene erano le armi di
questo popolo già valenti, e Matilde le adoprava contro a’ suoi nemici,
ella che in Toscana molto promuoveva le libertà comunali: potrebbe in
quell’anno 1107 avere essa ampliato il contado di Firenze ed alla città
commesso le prime battaglie, che pure l’istoria dovea registrare.
Ma non crediamo noi che debba essa tener conto di un certo trattato
pel quale nell’anno 1102 i Consoli di quella città si sarebbero fatti
promettere dagli abitatori del castello di Pogna in Val d’Elsa di far
guerra e pace a volontà loro, e non ingerirsi nelle cose di Semifonte;
essi all’incontro promettendo di aiutare e difendere i Pognesi, e fare
loro amministrare giustizia in Firenze dal Console, eccetto che contro
all’Imperatore o suoi Nunzi. Noi queste cose non possiamo credere,
perchè messe fuori bene cinquecento anni dopo,[11] nulla rinvenendosi
che accenni a questo negli scrittori più antichi; perchè i Fiorentini
il loro Stato non allargarono se non più tardi; perchè nel castello di
Pogna troviamo che pochi anni dopo avessero giurisdizione certi nobili
di contado, dai quali poi venne ai conti Alberti di Mangona; perchè la
contessa Matilde e prima e dopo del 1102 teneva placiti in Firenze,
il che non ammette in questo Comune tanto esercizio di sovranità;
perchè del castello di Pogna non è parola negli scrittori fiorentini
prima del 1184, nè le guerre contro a Semifonte cominciarono se non
verisimilmente anche più tardi.[12] Queste cose ora messe in chiaro
quanto a noi sembra, veniamo ai fatti che abbiamo certi.
La grande Contessa moriva nel 1115 ed il nome di lei rimase caro in
Firenze, tanto che molte donne anche di artigiani per quattro secoli
si chiamavano Contessa o Tessa. Due anni dopo troviamo un fatto che
non possiamo tenere tutto per favola, benchè abbellito dalle fantasie
degli scrittori e colorato delle passioni di quei tempi in cui fu
narrato. Lo riferiamo con le parole stesse del Villani; perchè il
linguaggio è storia pur esso, e a noi giova mantenerlo ogni volta che
ne venga illustrazione ai concetti ed al racconto più evidenza. «Negli
anni di Cristo 1117 i Pisani fecero una grande armata di galee e di
navi e andarono sopra l’isola di Maiolica che la teneano i Saracini.
E come fu partita la detta armata di Pisa, i Lucchesi per comune
vennero a oste sopra Pisa per prendere la terra. I Pisani, avendo
la novella, presero per consiglio di mandare loro ambasciadori a’
Fiorentini, dei quali erano in quei tempi molto amici, e pregarongli
piacesse loro venire a guardia della città. I Fiorentini accettarono
di servirgli; per la qual cosa il Comune di Firenze vi mandò gente
d’arme assai a cavallo e a piede, e posersi ad oste di fuori dalla
città; e per onestà delle loro donne non vollero entrare in Pisa, e
mandarono bando che nullo non entrasse nella città sotto pena della
persona. Uno v’entrò, sì fu condannato a impiccare. E’ Pisani vecchi
ch’erano rimasti in Pisa, pregando i Fiorentini che per loro amore
gli dovessero perdonare, questi non vollero consentire; ma i Pisani
contradissero, e pregarono che almeno in su il loro terreno nol
facessero morire: onde segretamente i Fiorentini dell’oste feciono a
nome del Comune di Firenze comprare un campo di terra da un villano,
e in su quello rizzarono le forche e feciono la giustizia. E tornata
l’oste de’ Pisani dal conquisto di Maiolica, renderono molte grazie a’
Fiorentini, e domandarono quale segnale del conquisto volessero, o le
porte di metallo o due colonne di porfido ch’aveano recate e tratte di
Maiolica; i Fiorentini chiesero le colonne, e’ Pisani le mandarono in
Firenze coperte di scarlatto. E per alcuno si disse che, innanzi che le
mandassero, per invidia le feciono affuocare; e le dette colonne sono
quelle che sono diritte dinanzi a San Giovanni. Per questo allora si
disse, che i Fiorentini erano ciechi.[13]» Così di mezzo alla carità
stessa noi vediamo spuntare quegli odi che doveano ardere tra le due
città.
La rôcca di Fiesole, che era tenuta da certi gentili uomini o
cattani della città stessa, cadea per assedio l’anno 1125 in mano dei
Fiorentini. E questi nel 1135 abbatterono il castello di Montebuoni,
che dava nome alla famiglia dei Buondelmonti; i quali, per essere
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