Storia della Repubblica di Firenze v. 1/3 - 26
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contentavano del vivere civile; ma angariavano i meno potenti,
e poca stima facevano de’ magistrati. Popolane tutte le civili
quiete. Plebee tutte le altre. Le prime due avevano parte nel
governo, l’ultime no. Governavano la Repubblica queste due
sorti di famiglie, valendosi nello stesso tempo d’uffiziali
forestieri, ottimo rimedio alle passioni de’ particolari cittadini
nell’amministrazione della giustizia. Il supremo Magistrato in
principio fu quello de’ Quattordici; a questo poi succedè quello
de’ Priori. Gli uffiziali forestieri erano due, la Podestà e ’l
Capitano. Il governo riguardava le cose di dentro e quelle di
fuori della città. Dentro amministrar la giustizia, provveder le
cose necessarie al mantenimento, e consigliar della pace e della
guerra: fuori, difendersi da’ nemici, o offenderli. La Podestà fu
antichissima in Firenze: dicono che cominciò l’anno 1202. Trovasi
molto prima, ed è quella che ne’ tempi moderni chiamossi per
nome mascolino, il Podestà, e così chiameremola noi. Il Capitano
cominciò l’anno 1250 con nome di Capitano di Popolo, chiamossi
dopo Capitano della Massa de’ guelfi, l’anno 1279 Capitano di
Firenze e Consigliere di pace, e nel 1282 fugli aggiunto il titolo
di Difensore dell’arti ed artefici. L’elezione di questi due
uffiziali o rettori i primi tre anni fu rimessa nel Pontefice,
perchè egli eleggesse persone non appassionate per Parte guelfa,
nè per ghibellina, e desiderosi di conservar la pace, e perchè
eglino avessero forza di farlo fu pagato a ciascheduno di loro
cinquanta cavalieri armati, e cinquanta fanti, e per lo primo anno
per esser più sospettoso, cento degli uni e cento degli altri. Nel
resto del tempo sei mesi avanti il loro principio, per i Consigli
del Comune si eleggevano gli elettori del Podestà, per quelli del
popolo quelli del Capitano, nè furono mai gli stessi elettori se
non per caso, perchè ora furono i Priori soli, ora in compagnia di
due o più per sesto, talvolta con tutte le Capitudini, alcun’altra
delle sette maggiori solamente, ed alle volte avvenne se bene di
rado, che i Priori non v’intervennero. Ciascheduno degli elettori
proponeva il soggetto ch’egli voleva. Non doveva essere il proposto
del dominio nè di luogo vicino a 50 miglia, d’età d’anni 36
almeno, guelfo, cavaliere o dottore e nobile o signore, nè suddito
d’alcun principe. Andavano a partito separatamente, e i quattro
di più favore si intendevano essere eletti secondo la graduazione
de’ voti. Eleggevasi un ambasciatore, che portava la elezione,
se il primo accettava, quella degli altri svaniva, se rifiutava,
andava al secondo, dopo al terzo ed al quarto, finchè uno di loro
accettasse; e non trovandosi, si eleggevano altri quattro. Doveva
l’eletto dopo che la presentazione dell’elezione gli era fatta,
avere accettato in termine di due giorni, da indi in là s’intendeva
avere rifiutato. Accettando dovea ottenere dalla sua patria
promessa autentica di non concedere rappresaglia contro il Comune
di Firenze, o alcun suddito di esso, o per salario, che non gli
fosse pagato, o per condennazione, che al sindacato gli fosse fatta
o per qualsivoglia altra causa. Aveva da essere in Firenze quindici
giorni avanti a quello che doveva pigliare l’uffizio con tutta la
sua famiglia per informarsi degli statuti della città: e quindici
ne dovea stare dopo, che tanti erano quelli del sindacato. Subito
arrivato dovea o nel Consiglio del Comune, o in Parlamento pubblico
giurare sopra il libro degli Statuti serrato l’osservanza di tutti
insieme con tutta la sua famiglia; ed il Capitano giurava di più di
procurare per quanto potesse il mantenimento della pace e la difesa
dell’Arti. La famiglia del Potestà s’intendeva allora così. Sette
giudici, tre cavalieri, diciotto notai e dieci cavalli, tra cui
quattro armigeri, e teneva venti berrovieri. Quella del Capitano,
tre giudici, due cavalieri, quattro notai e otto cavalli, la metà
armigeri, ed avea nove berrovieri. I giudici, notai e berrovieri
si mutavano, quelli del Podestà al principio di luglio, quelli del
Capitano al principio di novembre; dovevano i nuovi venire allora
in Firenze, i vecchi partirsene, ognuno di loro sodava per sè e
suoi di starsene al giudicato nel sindacato. La famiglia d’alcun
di loro non doveva essere dello Stato, nè di Toscana. Il salario
del Potestà e della sua famiglia era per tutto il tempo lire 6000,
quello del Capitano 2500. I berrovieri avevano lire tre il mese.
Abitava il Potestà nel palazzo del Comune; il Capitano in quello
del Popolo: cominciava questo l’ufficio il primo di maggio, quello
il primo di gennaio; durava l’ufficio loro un anno: l’uno e l’altro
cognosceva delle cause civili e criminali.
Il Podestà cognosceva tutte le cause criminali; deputava tre de’
suoi giudici per vederle, chiamavansi i giudici de’ malefizi:
ognuno di loro abbracciava due sesti: ciascheduno faceva le cause
denunziategli, non poteva alcuno denunziare a altro giudice di
quello del suo sesto, il reo seguitava il foro dell’attore: i
forestieri denunziavano a quel giudice più loro piaceva. Nelle
cause leggieri non potevano pigliare accuse, se non dall’ingiuriato
o suo parente: nelle gravi da ognuno: l’accusa doveva essere
soscritta dall’accusatore, altrimenti era nulla. Non si poteva
procedere per inquisizione, se non in caso che l’ingiuriato e
suoi parenti richiesti, che accusassero, non volessero, e se il
richiederli fosse stato molto incommodo. L’accusatore giurava di
proseguire l’accusa, e davane mallevadore per soldi 100. Il reo
era citato a spesa dell’attore, se non compariva nel termine, era
citato per bando con riservo di tempo, secondo la qualità della
causa, della persona e del luogo; se compariva dopo il termine,
ma avanti la condennazione pagando soldi 12 per il bando, era
libero da esso. Era il reo esaminato, e se delle cose non sapeva
scusarsi, rimaneva convinto, nè più poteva difendersene: scrivevasi
l’esamine, ed assegnavasegli dieci giorni di tempo a difendersi;
del resto i testimoni convincevano, ma sei giorni si avea di tempo
a riprovarli, dopo i quali 25 ne aveva il giudice a esaminare e
conferire la causa col Podestà ed altri giudici, e quelli finiti,
altri cinque a dar la sentenza. Il Capitano aveva nel criminale la
cognizione solamente delle violenze, estorsioni e falsità, e de’
maleficj commessi nella sua corte e palazzo, quando però ancora di
queste non era data prima querela al Podestà, ma se il Podestà non
dava la sentenza fra 30 giorni, poteva pur conoscerle il Capitano,
e alla cognizione di esse deputava uno de’ suoi giudici.
I contumaci si condannavano e bandivano, pagavasi taglia a chi
pigliava banditi, e chi ne pigliava o appostava in modo che alcuno
ne venisse nelle forze del Comune, se era in simile o minor bando,
era cancellato senza spesa. I nomi di tutti si registravano in
due libri, l’uno stava appresso il Podestà, l’altro appresso i
Priori. Concedevaglisi alcuna volta salvo condotto, per andare
a stare in esercito, alcun’altra tacitamente si comportavano. I
Priori de’ popoli erano tenuti a dare in nota i beni de’ banditi
che erano ne’ loro popoli, e per il Comune erano fatti guastare.
Chi voleva difenderne alcuno col pretendere che fosse suo, dovea
depositare lire 500 o più o meno a piacimento del Potestà. Se i
contratti che per tale effetto produceva erano trovati fittizi,
perdeva il deposito fatto. Le cause civili nella prima istanza
erano conosciute per i giudici dei sesti. Ogni sesto aveva la sua
Corte ed il Giudice. I Giudici erano cittadini Dottori. Ogni sei
mesi si mutavano. Di salario avevano lire 25, in tutto il tempo.
Appellavasi al giudice delle Appellazioni, che era forestiero
e dottore. Di salario aveva lire 500, stava in uffizio un anno.
L’appellazione doveva esser fatta fra due giorni dalla sentenza
data, presentata fra otto dall’interposta appellazione, proseguita
in 20 e sentenziata fra 15, utili, se però il tempo non fosse
prorogato dalle parti. Se la sentenza del Giudice dell’Appellazione
era conforme alla prima, era finita la causa, se no, aveva appello
al Podestà, che la faceva vedere per i suoi quattro Giudici
collaterali, e la sentenza loro stava ferma nè aveva appello. Le
cause civili, che cognosceva il Capitano erano le spettanti alla
gabella, all’estimo e simili.
Uno dei giudici del Capitano era deputato sopra la Camera e
gabella, rinvenire le ragioni e far pervenire in comune quello
gli fosse stato occupato, e fare che le rendite delle gabelle,
che allora tutte si vendevano, legittimamente si facessero ed i
denari da’ compratori fossero pagati; l’altro Giudice era posto
a riscuotere le condennazioni, libre o imposizioni fatte per il
Comune di Firenze. Facevansi ogni volta che n’era il bisogno,
imponevansi ad ognuno secondo l’estimo delle sostanze: l’estimo
facevasi ordinariamente ogni tre o quattro anni.
Gli uffizi de’ Cavalieri, tanto di quelli del Podestà, quanto
di quelli del Capitano erano l’andare attorno con i berrovieri
cercando chi contraffacesse agli Statuti, nè senza la presenza
de’ cavalieri in molti casi si poteva catturare, in difetto loro
supplivano de’ Notai, de’ quali era il proprio ufizio l’aiutare i
Giudici, a’ quali n’era assegnato certo numero per ciascuno.
Il supremo Magistrato de’ Quattordici, chiamato così dal numero
degli uomini, era composto di guelfi, ghibellini e neutrali,
partecipandone ciascuna parte per rata del suo numero. Eleggevansi
per quelli che erano stabiliti per i Quattordici vecchi e per i
Richiesti. Tre se ne facevano per il sesto d’Oltrarno, tre per San
Piero Scheraggio, per essere i maggiori, di tutti quattro gli altri
sesti due per ciascuno: l’ufizio loro era solo di un mese. A questo
l’anno 1283, succedè quello de’ Priori delle Arti, che un anno
avanti essendo stati eletti con certa autorità, fu dipoi nel mese
di maggio data loro tutta la medesima, che avevano i Quattordici,
e questi del tutto spenti, tenendosi fino all’anno 1286, lo stesso
modo nell’eleggergli, che si faceva già i Quattordici e da quel
tempo al 1292 furono eletti per i Priori vecchi, e per le dodici
Capitudini maggiori. Dovevano essere matricolati in alcuna delle
sette Arti maggiori e guelfi; divieto avevano due anni, durava
l’ufizio loro due mesi. Abitavano nel palazzo pubblico, le spese
e la servitù avevano dal Comune. Tre giorni della settimana
davano udienza pubblica, il lunedì, mercoledì e venerdì. A
nessuno potevano parlare, fuorchè di negozi pubblici, a’ quali
almeno dovevano essere presenti i due terzi di loro, nè etiam
con i parenti loro più stretti potevano ragionare, non essendo
però compresi in questa proibizione il loro Notaio, e famigli. Il
Notaio si eleggeva da loro per il tempo che stavano in uffizio, il
quale scriveva tutti gli atti e deliberazioni fatte da loro. Sei
cittadini erano eletti per le sette Capitudini maggiori a sindacare
i Quattordici e’ Priori; sei per i Consigli del Comune a sindacare
il Podestà; sei per quelli del Popolo a sindacare il Capitano:
quasi tutti gli altri ufiziali erano sindacati per il Giudice delle
Appellazioni.
Mille fanti della Città erano eletti per il Podestà e Capitano
e Quattordici, per conservazione e difesa degli uffizi loro, e
per alcuni per i Richiesti; dugento n’erano eletti per Oltrarno;
Borgo e San Pancrazio avevano il bianco di sopra, il rosso di
sotto; in quello d’Oltrarno era dentro un ponticello rosso. In
Borgo una capretta nera; in San Pancrazio una branca di lion
rosso. Gli altri tre avevano il rosso di sopra, il bianco sotto.
Nel rosso di San Piero Scheraggio era un carretto azzurro. In
Porta San Piero le chiavi gialle; in quello di Duomo il tempio
di San Giovanni. Mutavansi i Gonfalonieri ogni anno del mese
di marzo: i gonfaloni erano dati loro nel Parlamento pubblico.
Doveano essere presti alla volontà del Podestà e Capitano; se nel
medesimo tempo l’uno e l’altro gli comandava, quelli de’ primi
tre sesti obbedivano al Capitano, gli altri al Podestà. Doveva
ogni gonfaloniere ch’era chiamato far la massa alla chiesa pel suo
popolo; e chi non vi compariva era condannato in lire 25. Nessuno
poteva servire per sostituto, fuorchè i medici e dottori, e chi
aveva più di 60 anni. Ognuno doveva aver dipinto in tavolaccio e
l’altre sue armi dell’insegne del suo sesto. Quando erano chiamati
i mille, gli altri non potevano muoversi, nè far ragunata d’uomini
armati, massime i grandi, fuorchè fra loro vicini e nello stesso
vicinato. Questi tre uffizi maggiori. Quattordici o Priori, Podestà
e Capitano governavano quasi il tutto insieme con i Consigli.
I Consigli erano di più sorti; di Richiesti o Savi, del Cento
speciale e generale del Capitano o del Popolo, e generale di 300,
e speciale di 90, del Podestà Comune. Quello dei Richiesti, o Savi
non durava più d’una sessione, ed era di quel numero e di quella
qualità di cittadini che pareva a’ due rettori forestieri, ed a’
Quattordici o Priori che tutti intervenivano in esso. Proponeva
il Podestà; trattavasi di negozi di guerra, sentivansi gli
ambasciatori, rispondevasi loro, e finalmente in esso si decidevano
tutti i principali negozi. Ciascheduno diceva il parer suo, e
vinceva quello che era favorito per la maggior parte passando la
metà: se alcuno non arrivava a tal numero rimettevasi il negozio ad
altro simile Consiglio e con maggiore o minor numero di Richiesti,
o ne’ tre uffizi maggiori solamente, secondochè si vinceva. Se si
trattava di guerra eranvi ancora chiamati i Capitani della guerra;
se di fare imposta nella città, le Capitudini delle Arti o tutte o
parte, ed il partito si faceva segreto.
Tutti gli altri Consigli duravano un anno, eleggevansi i
consiglieri per i tre uffizi maggiori e per alcuni Richiesti di
ciaschedun sesto. Per quello del 100 erano eletti 20 consiglieri
per Oltrarno, 20 per San Piero Scheraggio, in tutti gli altri
sesti quindici per ciascuno. Del Consiglio speciale del Popolo o
Capitano, che con altro nome si chiamava di Credenza, erano sei
consiglieri per ogni sesto e del generale venticinque; ragunavansi
in San Piero Scheraggio l’uno e l’altro nel medesimo tempo:
ritiravansi da una parte della Chiesa quelli del generale, il
negozio era proposto nello speciale, vinto in esso, si proponeva di
nuovo nel generale, intervenendovi ancora quelli dello speciale:
di tutti e due Proposto n’era il Capitano. I consiglieri erano
popolani in quelli del Comune, ch’erano due, sebbene quasi un solo
in essenza, trovandosi rarissime volte essersi ragunati disgiunti.
I consiglieri erano grandi e popolani, per il generale di 300
eranne eletti cinquanta per sesto, per lo speciale di 90, quindici;
ragunavansi nel palazzo del Comune e Proposto n’era il Podestà.
Chi era d’un Consiglio non poteva essere dell’altro, nè insieme
potevano essere padre e figliuolo e fratelli carnali. Divieto si
aveva un anno dal deposto ufizio. Non era di essi chi non aveva
almeno 25 anni. Ne’ Consigli del Podestà sempre intervennero nelle
cose gravi le Capitudini delle sette Arti maggiori solamente sino
all’anno 1286, da indi in qua delle dodici, che sempre intervennero
in quelli del Capitano.
Non potevasi proporre in questi Consigli, se non quello ch’era
ordinato per i Quattordici, o Priori, i quali tutto esaminavano
fra di loro, e trovando il negozio di che si trattava utile e
necessario al Comune, commettevano al Podestà e Capitano che lo
proponessero ne’ Consigli. I consiglieri avevano a essere nel
luogo deputato avanti che il Proposto del Consiglio si rizzasse
per proporre, nè potevano partirsi senza sua licenza, finchè non
fosse letta la riforma, e fatto il partito sopra l’approvazione di
essa; non potevano consigliare o arringare fuorchè sopra la cosa
proposta: nissuno poteva rizzarsi per consigliare, o arringare,
sinchè il primo arringatore non avesse finito. Non potevasi dar
fastidio o impedire alcuno arringante o consulente; nè potevasi
alcuno rizzare in Consiglio, o dire o consigliare alcuna cosa
se non nel luogo solito e ordinato a consigliare. Ne’ Consigli
del Comune non potevano essere più di quattro arringatori, senza
licenza del Podestà: negli altri non se ne vede numero certo. Il
partito ne’ Consigli si faceva in due modi o palese e scoverto, o
segreto; il palese si faceva a sedere e rizzarsi, il segreto colle
palle: il sedere e rizzarsi facevasi immediatamente l’uno dopo
l’altro. Le palle si mettevano in un bossolo di due corpi, l’uno
rosso e l’altro bianco; il sedere e la parte rossa del bossolo
favoriva, il rizzarsi e la parte bianca disfavoriva. Nel consiglio
del Cento facevasi segreto, nello speciale del capitano prima
palese e poi segreto, nel generale palese solamente, in quelli del
Podestà palese ed alcuna volta segreto, ed in tutti si vinceva per
la metà e uno poi almeno; fuorchè nel derogare agli Statuti, che
questo in tutti i Consigli si dovea vincere per i quattro quinti.
Per il Consiglio del Cento si potevano statuire lire 100 il
mese, le quali i Priori a piacer loro, senza stanziamento d’altro
Consiglio che di questo, potevano spendere, non eccedendo però lire
25 per partita. I Consigli del Popolo per sè soli eleggevano gli
elettori quasi di tutti gli ufiziali.
Quelli del Comune eleggevano i Sindachi, quando n’era il
bisogno per gli affari pubblici, commettevano le Imbreviature
o Protocolli dei Notai morti, emendavano i danni de’ fuochi e
de’ guasti; stanziavano le spese piccole di lire 100 a basso di
quella sorte però che secondo gli Statuti si potevano stanziare e
deliberavano d’alcune altre cose di non molta importanza; tutti
gli altri stanziamenti, provvisioni e riforme dovevano vincersi
per tutti i Consigli, passando per ordine dell’uno e dell’altro
ed ancora quelle cose che si trattavano per il consiglio de’ Savi
o Richiesti, per gli quali il popolo dovesse essere aggravato o
con ispese o con altro. Se quello che era proposto in un Consiglio
non si vinceva, non si poteva di nuovo proporre in esso, finchè
non fossero mutati i Priori, a tempo de’ quali era stata fatta
la proposta. Nel medesimo giorno non poteva esser proposto ne’
Consigli del Comune quello ch’era stato proposto nel Consiglio del
Popolo.
Eravi ancora il Parlamento generale o Consiglio pubblico, nel quale
intervenivano i tre maggiori uffizi. Tutti gli altri Consigli e
le dodici Capitudini ragunavansi in Santa Reparata ogni due mesi,
quindici giorni dopo l’entrata de’ nuovi Priori, facevasi alla
presenza di tutto il popolo, erane capo il Podestà. Era lecito
ad ognuno del numero delle capitudini o de’ consoli proporre
tutto quello ch’egli avesse stimato essere benefizio del Comune.
Esaminavansi dopo le proposte da’ Priori se niuna ve ne conoscevano
buona o da potersi fare proponendola altra volta ne’ Consigli
minori e doveasi vincere come l’altre provvisioni e riforme.
Le riforme e provvisioni e deliberazioni de’ Consigli erano
distese e scritte a’ libri e rogati de’ sindacati, e le procure
che occorrevano farsi per il Comune di Firenze dal notaio delle
Riformagioni, il quale doveva essere della provincia di Lombardia
di là dal Reno, ma non del luogo donde fosse il Podestà o Capitano.
Eleggevasi per il Consiglio del Comune, e durava l’uffizio suo un
anno, ma poteva essere raffermato.
Le Capitudini delle Arti erano ventuna, oggi, le chiamiamo Consoli.
Ciascheduna di esse aveva il Gonfalone entrovi la divisa della
sua arte. Erano sottoposte al Difensore o Capitano obbligati
a difendere l’uffizio suo, e seguirlo con arme e senza a sua
richiesta, giuravanlo in mano sua, e nelle loro era giurata
l’osservanza di questo da tutti i loro sottoposti. Eleggevano le
sette Capitudini maggiori ogni sei mesi due signori della Zecca;
uno era de’ mercatanti di Calimala, e l’altro di quelli del Cambio
e due saggiatori dell’oro e dell’argento. I Signori avevano cura
che non si coniasse se non buona moneta, e che la forestiera non
buona non corresse; e però la libra pisana e la lucchese inferiori
alla fiorentina, erano sbandite, siccome ogni moneta piccola di
Toscana, e’ fiorini più leggieri d’un grano si tagliavano. Le
medesime sette Capitudini insieme con i Priori eleggevano sei
cittadini e un uffiziale forestiero sopra l’abbondanza delle
vettovaglie. Chiamasi l’uffiziale il Giudice, i cittadini i sei
della Biada; l’uffizio de’ cittadini durava due mesi, sei quello
del Giudice; facevano questi condurre grano di diverse parti, il
più di Romagna e di quello di Siena. Ne’ tempi di gran carestia
per non aggiungere afflizione agli afflitti, facevansi ferie
per le cause civili. Dodici danai per ogni staio di grano era
dato dal Comune a chi ne conduceva a vendere in Firenze di fuori
dello Stato; e chi ne conduceva più d’una soma era sicuro per il
viaggio e per sei giorni di stanza, per debiti suoi privati e per
rappresaglie, che fossero concedute contro la sua Comunità. Il
fare rappresaglie era un sequestrare e rattenere tutti gli effetti
pubblici e privati di una Comunità e le persone. Concedevansi
le rappresaglie contro quelle Comunità, che non amministravano o
si pretendeva che non amministrassero giustizia, o al Comune di
Firenze o suoi sudditi, e se fra certo tempo non era soddisfatto
il creditore, convertivasi l’equivalente in uso suo. Da questo
ne nascevano molti inconvenienti e molti disastri nel negoziare,
facendo l’una Comunità rappresaglia contro l’altra. Per sfuggirle
emendava il Comune di Firenze il danno che pativa alcun forestiero
di rubamenti fattigli nella città o contado; i denari però erano
pagati, non trovandosi il delinquente, da quella Comunità o popolo
nel quale era seguito il delitto. Ma se pure contro il Comune di
Firenze erano concedute per causa privata, erano i principali
obbligati a dar soddisfazione; se per pubblica si veniva agli
accordi, e satisfacevasi, e molte volte usavasi mettere una
gabella sopra le robe de’ Fiorentini che passavano per quella
Terra, che faceva la rappresaglia, finchè fosse satisfatto a quel
debito. I danari che si pagavano o riscuotevano per il Comune di
Firenze, passavano tutti per mano de’ camarlinghi della Camera,
i quali erano tre; stavano in ufizio due mesi, e proponevano ne’
Consigli gli stanziamenti da farsi per le spese occorrenti. Tutti
i pagamenti facevano con il consiglio di due dottori fiorentini
a questo eletti ogni due mesi, chiamati avvocati del Comune,
registravasi il tutto ne’ libri pubblici per il notaio della
Camera, l’uffizio del quale durava quanto quello de’ Camarlinghi.
Per i fatti della guerra eleggevansi per i rettori e’ Quattordici
o Priori e per i Richiesti per quel tempo, ed in quel numero che a
loro pareva, alcuni cittadini de’ principali con nome di Capitani
di guerra. Provvedevano questi le cose necessarie per la guerra,
intervenivano ne’ Consigli che appartenevano ad essa, e facendosi
esercito, parte di loro andavano e parte ne rimanevano nella
città; finito il loro uffizio non s’eleggevano altri, se non era
il bisogno. Chiamavansi questi nei tempi più moderni i Dieci della
guerra. In difetto loro era solito concedersi per i Consigli balía
ed autorità al Podestà. Capitano e Priori sopra la fortificazione
della città, sue castella e contado sopra il condurre soldati
e sopra ogni cosa spettante a guerra per un tempo determinato.
Negli eserciti comandava il Capitano generale della guerra, ch’era
forestiero e signore, ed eleggevasi solo quando n’era il bisogno
per quel tempo che pareva agli elettori. Il modo dell’elezione
era il medesimo di quello del Podestà e Capitano. Conduceva seco
un numero di cavalieri e di fanti espresso nella sua condotta.
Fra i cavalieri ne dovevano essere alcuni di corredo. Pagavansi
al Capitano generale della guerra tutti i danari, tanto dello
stipendio suo quanto de’ soldati condotti da lui. Ogni soldato
dell’esercito gli era sottoposto, due o più de’ Capitani di guerra
andavano con esso con titolo di suoi consiglieri, che insieme con
lui il tutto deliberavano. Davasegli un notaio pagato dal Comune,
che scrivesse tutto quello che gli occorreva. Non essendo Capitano
generale di guerra e bisognando cavalcare, per capo della cavalcata
o esercito andava il Podestà, non potendo egli, il Capitano del
Popolo o Capitani di guerra. Cavalcata ed andata si chiamava quella
dove non si spiegavano i padiglioni, esercito dove si spiegavano.
Alcuno de’ giudici de’ malefizi del Podestà andava in esercito
per amministrare giustizia. I Connestabili e Capitani di fanti
e di cavalli erano condotti per i sindachi del Comune, con quel
numero di soldati che avevano in ordine. La rassegna de’ soldati
facevasi ogni mese, o quando pareva a’ consiglieri, alla presenza
del Capitano, per nome e cognome. Gli eserciti erano composti di
mercenarii, ausiliari e sudditi, di fanti e cavalieri. I fanti
erano pavesari, balestrieri, arcieri e lancieri. I cavalieri erano
o alla leggiera o alla grave, ogni soldato a cavallo chiamavasi
cavaliere; di corredo addimandavansi quelli di dignità fatti da’
principi e signori. Gli ausiliari erano pagati da chi li mandava. I
mercenarii e sudditi dal Comune. I cavalli mercenarii alla leggera
avevano fiorini cinque il mese, quelli alla grave nove o poco
più o meno. Ne’ sudditi non era altra cavalleria che quella delle
cavallate. Le cavallate s’imponevano a chi più aveva il modo, e a’
Guelfi ed a’ Ghibellini ordinariamente per un anno; per tutto il
tempo avevano da 40 fiorini a 50. Imponevasi ordinariamente da 500
fino in 2000, secondo i bisogni; a chi era imposto cavallata era
obbligato a tenere un cavallo armigero non di maggior prezzo di
fiorini 70 nè di minore di 35, con esso doveva andare in esercito
quando gli era comandato, o mandarvi altri in suo luogo; per ogni
giorno che cavalcava aveva soldi 15, se era cavaliere di corredo
o giudice 20. I cavalli tanto degli stipendiati, quanto delle
cavallate si bollavano del bollo della città e stimavansi alla
presenza degli uffiziali del Comune, del Capitano e de’ soldati;
se il cavallo si guastava, moriva, o era ferito, o ammazzato in
servizio del pubblico, mandatane la fede tra cinque giorni a’
Capitani di guerra, gli era pagato la valuta del danno, s’era
guasto, se morto, dell’intiero prezzo; finchè non gli era emendato
non era obbligato a ricomprarne di nuovo, e la paga gli correva
come se l’avesse avuto, e dopo pagato aveva tempo alcuni giorni
a provvedersene. Non poteva un cavallo essere emendato più d’una
volta, e per questo gli emendati si contrassegnavano. Per arrolare
ed assegnare i soldati e stimare i cavalli, erano eletti ogni
anno sei cittadini. Negli eserciti generali andavano le cavallate
di tutti i sesti. Nelle imprese minori andavano d’un sesto solo,
o di più alla disposizione del consiglio de’ savi o Richiesti e
de’ capitani di guerra, e l’uno e l’altro ogni tanti giorni si
cambiavano. L’esercito generale si bandiva più giorni avanti, e due
o tre prima che si muovesse si cavavano l’Insegne e Gonfaloni di
Firenze, e spiegati appendevansi ad un luogo vicino alla città e
quivi si faceva la massa. I soldati a piè del contado erano eletti
per gli vicari, ed eranne loro capi; i vicari erano de’ migliori
cittadini di Firenze. Eleggevansi per i Priori capitani di guerra
e Richiesti, quando occorreva per quel tempo che si credeva che
fosse per bisognare, mandavasene in tutte le provincie principali
dello Stato, o solo in quello che pareva a’ medesimi elettori. I
vicari avevano soldi 30 il giorno, i fanti 4, i guastatori 3. Se
le cavallate di tutti i sesti andavano in esercito, alcuni de’
fanti del contado restavano a guardia della città sino al ritorno
e poca stima facevano de’ magistrati. Popolane tutte le civili
quiete. Plebee tutte le altre. Le prime due avevano parte nel
governo, l’ultime no. Governavano la Repubblica queste due
sorti di famiglie, valendosi nello stesso tempo d’uffiziali
forestieri, ottimo rimedio alle passioni de’ particolari cittadini
nell’amministrazione della giustizia. Il supremo Magistrato in
principio fu quello de’ Quattordici; a questo poi succedè quello
de’ Priori. Gli uffiziali forestieri erano due, la Podestà e ’l
Capitano. Il governo riguardava le cose di dentro e quelle di
fuori della città. Dentro amministrar la giustizia, provveder le
cose necessarie al mantenimento, e consigliar della pace e della
guerra: fuori, difendersi da’ nemici, o offenderli. La Podestà fu
antichissima in Firenze: dicono che cominciò l’anno 1202. Trovasi
molto prima, ed è quella che ne’ tempi moderni chiamossi per
nome mascolino, il Podestà, e così chiameremola noi. Il Capitano
cominciò l’anno 1250 con nome di Capitano di Popolo, chiamossi
dopo Capitano della Massa de’ guelfi, l’anno 1279 Capitano di
Firenze e Consigliere di pace, e nel 1282 fugli aggiunto il titolo
di Difensore dell’arti ed artefici. L’elezione di questi due
uffiziali o rettori i primi tre anni fu rimessa nel Pontefice,
perchè egli eleggesse persone non appassionate per Parte guelfa,
nè per ghibellina, e desiderosi di conservar la pace, e perchè
eglino avessero forza di farlo fu pagato a ciascheduno di loro
cinquanta cavalieri armati, e cinquanta fanti, e per lo primo anno
per esser più sospettoso, cento degli uni e cento degli altri. Nel
resto del tempo sei mesi avanti il loro principio, per i Consigli
del Comune si eleggevano gli elettori del Podestà, per quelli del
popolo quelli del Capitano, nè furono mai gli stessi elettori se
non per caso, perchè ora furono i Priori soli, ora in compagnia di
due o più per sesto, talvolta con tutte le Capitudini, alcun’altra
delle sette maggiori solamente, ed alle volte avvenne se bene di
rado, che i Priori non v’intervennero. Ciascheduno degli elettori
proponeva il soggetto ch’egli voleva. Non doveva essere il proposto
del dominio nè di luogo vicino a 50 miglia, d’età d’anni 36
almeno, guelfo, cavaliere o dottore e nobile o signore, nè suddito
d’alcun principe. Andavano a partito separatamente, e i quattro
di più favore si intendevano essere eletti secondo la graduazione
de’ voti. Eleggevasi un ambasciatore, che portava la elezione,
se il primo accettava, quella degli altri svaniva, se rifiutava,
andava al secondo, dopo al terzo ed al quarto, finchè uno di loro
accettasse; e non trovandosi, si eleggevano altri quattro. Doveva
l’eletto dopo che la presentazione dell’elezione gli era fatta,
avere accettato in termine di due giorni, da indi in là s’intendeva
avere rifiutato. Accettando dovea ottenere dalla sua patria
promessa autentica di non concedere rappresaglia contro il Comune
di Firenze, o alcun suddito di esso, o per salario, che non gli
fosse pagato, o per condennazione, che al sindacato gli fosse fatta
o per qualsivoglia altra causa. Aveva da essere in Firenze quindici
giorni avanti a quello che doveva pigliare l’uffizio con tutta la
sua famiglia per informarsi degli statuti della città: e quindici
ne dovea stare dopo, che tanti erano quelli del sindacato. Subito
arrivato dovea o nel Consiglio del Comune, o in Parlamento pubblico
giurare sopra il libro degli Statuti serrato l’osservanza di tutti
insieme con tutta la sua famiglia; ed il Capitano giurava di più di
procurare per quanto potesse il mantenimento della pace e la difesa
dell’Arti. La famiglia del Potestà s’intendeva allora così. Sette
giudici, tre cavalieri, diciotto notai e dieci cavalli, tra cui
quattro armigeri, e teneva venti berrovieri. Quella del Capitano,
tre giudici, due cavalieri, quattro notai e otto cavalli, la metà
armigeri, ed avea nove berrovieri. I giudici, notai e berrovieri
si mutavano, quelli del Podestà al principio di luglio, quelli del
Capitano al principio di novembre; dovevano i nuovi venire allora
in Firenze, i vecchi partirsene, ognuno di loro sodava per sè e
suoi di starsene al giudicato nel sindacato. La famiglia d’alcun
di loro non doveva essere dello Stato, nè di Toscana. Il salario
del Potestà e della sua famiglia era per tutto il tempo lire 6000,
quello del Capitano 2500. I berrovieri avevano lire tre il mese.
Abitava il Potestà nel palazzo del Comune; il Capitano in quello
del Popolo: cominciava questo l’ufficio il primo di maggio, quello
il primo di gennaio; durava l’ufficio loro un anno: l’uno e l’altro
cognosceva delle cause civili e criminali.
Il Podestà cognosceva tutte le cause criminali; deputava tre de’
suoi giudici per vederle, chiamavansi i giudici de’ malefizi:
ognuno di loro abbracciava due sesti: ciascheduno faceva le cause
denunziategli, non poteva alcuno denunziare a altro giudice di
quello del suo sesto, il reo seguitava il foro dell’attore: i
forestieri denunziavano a quel giudice più loro piaceva. Nelle
cause leggieri non potevano pigliare accuse, se non dall’ingiuriato
o suo parente: nelle gravi da ognuno: l’accusa doveva essere
soscritta dall’accusatore, altrimenti era nulla. Non si poteva
procedere per inquisizione, se non in caso che l’ingiuriato e
suoi parenti richiesti, che accusassero, non volessero, e se il
richiederli fosse stato molto incommodo. L’accusatore giurava di
proseguire l’accusa, e davane mallevadore per soldi 100. Il reo
era citato a spesa dell’attore, se non compariva nel termine, era
citato per bando con riservo di tempo, secondo la qualità della
causa, della persona e del luogo; se compariva dopo il termine,
ma avanti la condennazione pagando soldi 12 per il bando, era
libero da esso. Era il reo esaminato, e se delle cose non sapeva
scusarsi, rimaneva convinto, nè più poteva difendersene: scrivevasi
l’esamine, ed assegnavasegli dieci giorni di tempo a difendersi;
del resto i testimoni convincevano, ma sei giorni si avea di tempo
a riprovarli, dopo i quali 25 ne aveva il giudice a esaminare e
conferire la causa col Podestà ed altri giudici, e quelli finiti,
altri cinque a dar la sentenza. Il Capitano aveva nel criminale la
cognizione solamente delle violenze, estorsioni e falsità, e de’
maleficj commessi nella sua corte e palazzo, quando però ancora di
queste non era data prima querela al Podestà, ma se il Podestà non
dava la sentenza fra 30 giorni, poteva pur conoscerle il Capitano,
e alla cognizione di esse deputava uno de’ suoi giudici.
I contumaci si condannavano e bandivano, pagavasi taglia a chi
pigliava banditi, e chi ne pigliava o appostava in modo che alcuno
ne venisse nelle forze del Comune, se era in simile o minor bando,
era cancellato senza spesa. I nomi di tutti si registravano in
due libri, l’uno stava appresso il Podestà, l’altro appresso i
Priori. Concedevaglisi alcuna volta salvo condotto, per andare
a stare in esercito, alcun’altra tacitamente si comportavano. I
Priori de’ popoli erano tenuti a dare in nota i beni de’ banditi
che erano ne’ loro popoli, e per il Comune erano fatti guastare.
Chi voleva difenderne alcuno col pretendere che fosse suo, dovea
depositare lire 500 o più o meno a piacimento del Potestà. Se i
contratti che per tale effetto produceva erano trovati fittizi,
perdeva il deposito fatto. Le cause civili nella prima istanza
erano conosciute per i giudici dei sesti. Ogni sesto aveva la sua
Corte ed il Giudice. I Giudici erano cittadini Dottori. Ogni sei
mesi si mutavano. Di salario avevano lire 25, in tutto il tempo.
Appellavasi al giudice delle Appellazioni, che era forestiero
e dottore. Di salario aveva lire 500, stava in uffizio un anno.
L’appellazione doveva esser fatta fra due giorni dalla sentenza
data, presentata fra otto dall’interposta appellazione, proseguita
in 20 e sentenziata fra 15, utili, se però il tempo non fosse
prorogato dalle parti. Se la sentenza del Giudice dell’Appellazione
era conforme alla prima, era finita la causa, se no, aveva appello
al Podestà, che la faceva vedere per i suoi quattro Giudici
collaterali, e la sentenza loro stava ferma nè aveva appello. Le
cause civili, che cognosceva il Capitano erano le spettanti alla
gabella, all’estimo e simili.
Uno dei giudici del Capitano era deputato sopra la Camera e
gabella, rinvenire le ragioni e far pervenire in comune quello
gli fosse stato occupato, e fare che le rendite delle gabelle,
che allora tutte si vendevano, legittimamente si facessero ed i
denari da’ compratori fossero pagati; l’altro Giudice era posto
a riscuotere le condennazioni, libre o imposizioni fatte per il
Comune di Firenze. Facevansi ogni volta che n’era il bisogno,
imponevansi ad ognuno secondo l’estimo delle sostanze: l’estimo
facevasi ordinariamente ogni tre o quattro anni.
Gli uffizi de’ Cavalieri, tanto di quelli del Podestà, quanto
di quelli del Capitano erano l’andare attorno con i berrovieri
cercando chi contraffacesse agli Statuti, nè senza la presenza
de’ cavalieri in molti casi si poteva catturare, in difetto loro
supplivano de’ Notai, de’ quali era il proprio ufizio l’aiutare i
Giudici, a’ quali n’era assegnato certo numero per ciascuno.
Il supremo Magistrato de’ Quattordici, chiamato così dal numero
degli uomini, era composto di guelfi, ghibellini e neutrali,
partecipandone ciascuna parte per rata del suo numero. Eleggevansi
per quelli che erano stabiliti per i Quattordici vecchi e per i
Richiesti. Tre se ne facevano per il sesto d’Oltrarno, tre per San
Piero Scheraggio, per essere i maggiori, di tutti quattro gli altri
sesti due per ciascuno: l’ufizio loro era solo di un mese. A questo
l’anno 1283, succedè quello de’ Priori delle Arti, che un anno
avanti essendo stati eletti con certa autorità, fu dipoi nel mese
di maggio data loro tutta la medesima, che avevano i Quattordici,
e questi del tutto spenti, tenendosi fino all’anno 1286, lo stesso
modo nell’eleggergli, che si faceva già i Quattordici e da quel
tempo al 1292 furono eletti per i Priori vecchi, e per le dodici
Capitudini maggiori. Dovevano essere matricolati in alcuna delle
sette Arti maggiori e guelfi; divieto avevano due anni, durava
l’ufizio loro due mesi. Abitavano nel palazzo pubblico, le spese
e la servitù avevano dal Comune. Tre giorni della settimana
davano udienza pubblica, il lunedì, mercoledì e venerdì. A
nessuno potevano parlare, fuorchè di negozi pubblici, a’ quali
almeno dovevano essere presenti i due terzi di loro, nè etiam
con i parenti loro più stretti potevano ragionare, non essendo
però compresi in questa proibizione il loro Notaio, e famigli. Il
Notaio si eleggeva da loro per il tempo che stavano in uffizio, il
quale scriveva tutti gli atti e deliberazioni fatte da loro. Sei
cittadini erano eletti per le sette Capitudini maggiori a sindacare
i Quattordici e’ Priori; sei per i Consigli del Comune a sindacare
il Podestà; sei per quelli del Popolo a sindacare il Capitano:
quasi tutti gli altri ufiziali erano sindacati per il Giudice delle
Appellazioni.
Mille fanti della Città erano eletti per il Podestà e Capitano
e Quattordici, per conservazione e difesa degli uffizi loro, e
per alcuni per i Richiesti; dugento n’erano eletti per Oltrarno;
Borgo e San Pancrazio avevano il bianco di sopra, il rosso di
sotto; in quello d’Oltrarno era dentro un ponticello rosso. In
Borgo una capretta nera; in San Pancrazio una branca di lion
rosso. Gli altri tre avevano il rosso di sopra, il bianco sotto.
Nel rosso di San Piero Scheraggio era un carretto azzurro. In
Porta San Piero le chiavi gialle; in quello di Duomo il tempio
di San Giovanni. Mutavansi i Gonfalonieri ogni anno del mese
di marzo: i gonfaloni erano dati loro nel Parlamento pubblico.
Doveano essere presti alla volontà del Podestà e Capitano; se nel
medesimo tempo l’uno e l’altro gli comandava, quelli de’ primi
tre sesti obbedivano al Capitano, gli altri al Podestà. Doveva
ogni gonfaloniere ch’era chiamato far la massa alla chiesa pel suo
popolo; e chi non vi compariva era condannato in lire 25. Nessuno
poteva servire per sostituto, fuorchè i medici e dottori, e chi
aveva più di 60 anni. Ognuno doveva aver dipinto in tavolaccio e
l’altre sue armi dell’insegne del suo sesto. Quando erano chiamati
i mille, gli altri non potevano muoversi, nè far ragunata d’uomini
armati, massime i grandi, fuorchè fra loro vicini e nello stesso
vicinato. Questi tre uffizi maggiori. Quattordici o Priori, Podestà
e Capitano governavano quasi il tutto insieme con i Consigli.
I Consigli erano di più sorti; di Richiesti o Savi, del Cento
speciale e generale del Capitano o del Popolo, e generale di 300,
e speciale di 90, del Podestà Comune. Quello dei Richiesti, o Savi
non durava più d’una sessione, ed era di quel numero e di quella
qualità di cittadini che pareva a’ due rettori forestieri, ed a’
Quattordici o Priori che tutti intervenivano in esso. Proponeva
il Podestà; trattavasi di negozi di guerra, sentivansi gli
ambasciatori, rispondevasi loro, e finalmente in esso si decidevano
tutti i principali negozi. Ciascheduno diceva il parer suo, e
vinceva quello che era favorito per la maggior parte passando la
metà: se alcuno non arrivava a tal numero rimettevasi il negozio ad
altro simile Consiglio e con maggiore o minor numero di Richiesti,
o ne’ tre uffizi maggiori solamente, secondochè si vinceva. Se si
trattava di guerra eranvi ancora chiamati i Capitani della guerra;
se di fare imposta nella città, le Capitudini delle Arti o tutte o
parte, ed il partito si faceva segreto.
Tutti gli altri Consigli duravano un anno, eleggevansi i
consiglieri per i tre uffizi maggiori e per alcuni Richiesti di
ciaschedun sesto. Per quello del 100 erano eletti 20 consiglieri
per Oltrarno, 20 per San Piero Scheraggio, in tutti gli altri
sesti quindici per ciascuno. Del Consiglio speciale del Popolo o
Capitano, che con altro nome si chiamava di Credenza, erano sei
consiglieri per ogni sesto e del generale venticinque; ragunavansi
in San Piero Scheraggio l’uno e l’altro nel medesimo tempo:
ritiravansi da una parte della Chiesa quelli del generale, il
negozio era proposto nello speciale, vinto in esso, si proponeva di
nuovo nel generale, intervenendovi ancora quelli dello speciale:
di tutti e due Proposto n’era il Capitano. I consiglieri erano
popolani in quelli del Comune, ch’erano due, sebbene quasi un solo
in essenza, trovandosi rarissime volte essersi ragunati disgiunti.
I consiglieri erano grandi e popolani, per il generale di 300
eranne eletti cinquanta per sesto, per lo speciale di 90, quindici;
ragunavansi nel palazzo del Comune e Proposto n’era il Podestà.
Chi era d’un Consiglio non poteva essere dell’altro, nè insieme
potevano essere padre e figliuolo e fratelli carnali. Divieto si
aveva un anno dal deposto ufizio. Non era di essi chi non aveva
almeno 25 anni. Ne’ Consigli del Podestà sempre intervennero nelle
cose gravi le Capitudini delle sette Arti maggiori solamente sino
all’anno 1286, da indi in qua delle dodici, che sempre intervennero
in quelli del Capitano.
Non potevasi proporre in questi Consigli, se non quello ch’era
ordinato per i Quattordici, o Priori, i quali tutto esaminavano
fra di loro, e trovando il negozio di che si trattava utile e
necessario al Comune, commettevano al Podestà e Capitano che lo
proponessero ne’ Consigli. I consiglieri avevano a essere nel
luogo deputato avanti che il Proposto del Consiglio si rizzasse
per proporre, nè potevano partirsi senza sua licenza, finchè non
fosse letta la riforma, e fatto il partito sopra l’approvazione di
essa; non potevano consigliare o arringare fuorchè sopra la cosa
proposta: nissuno poteva rizzarsi per consigliare, o arringare,
sinchè il primo arringatore non avesse finito. Non potevasi dar
fastidio o impedire alcuno arringante o consulente; nè potevasi
alcuno rizzare in Consiglio, o dire o consigliare alcuna cosa
se non nel luogo solito e ordinato a consigliare. Ne’ Consigli
del Comune non potevano essere più di quattro arringatori, senza
licenza del Podestà: negli altri non se ne vede numero certo. Il
partito ne’ Consigli si faceva in due modi o palese e scoverto, o
segreto; il palese si faceva a sedere e rizzarsi, il segreto colle
palle: il sedere e rizzarsi facevasi immediatamente l’uno dopo
l’altro. Le palle si mettevano in un bossolo di due corpi, l’uno
rosso e l’altro bianco; il sedere e la parte rossa del bossolo
favoriva, il rizzarsi e la parte bianca disfavoriva. Nel consiglio
del Cento facevasi segreto, nello speciale del capitano prima
palese e poi segreto, nel generale palese solamente, in quelli del
Podestà palese ed alcuna volta segreto, ed in tutti si vinceva per
la metà e uno poi almeno; fuorchè nel derogare agli Statuti, che
questo in tutti i Consigli si dovea vincere per i quattro quinti.
Per il Consiglio del Cento si potevano statuire lire 100 il
mese, le quali i Priori a piacer loro, senza stanziamento d’altro
Consiglio che di questo, potevano spendere, non eccedendo però lire
25 per partita. I Consigli del Popolo per sè soli eleggevano gli
elettori quasi di tutti gli ufiziali.
Quelli del Comune eleggevano i Sindachi, quando n’era il
bisogno per gli affari pubblici, commettevano le Imbreviature
o Protocolli dei Notai morti, emendavano i danni de’ fuochi e
de’ guasti; stanziavano le spese piccole di lire 100 a basso di
quella sorte però che secondo gli Statuti si potevano stanziare e
deliberavano d’alcune altre cose di non molta importanza; tutti
gli altri stanziamenti, provvisioni e riforme dovevano vincersi
per tutti i Consigli, passando per ordine dell’uno e dell’altro
ed ancora quelle cose che si trattavano per il consiglio de’ Savi
o Richiesti, per gli quali il popolo dovesse essere aggravato o
con ispese o con altro. Se quello che era proposto in un Consiglio
non si vinceva, non si poteva di nuovo proporre in esso, finchè
non fossero mutati i Priori, a tempo de’ quali era stata fatta
la proposta. Nel medesimo giorno non poteva esser proposto ne’
Consigli del Comune quello ch’era stato proposto nel Consiglio del
Popolo.
Eravi ancora il Parlamento generale o Consiglio pubblico, nel quale
intervenivano i tre maggiori uffizi. Tutti gli altri Consigli e
le dodici Capitudini ragunavansi in Santa Reparata ogni due mesi,
quindici giorni dopo l’entrata de’ nuovi Priori, facevasi alla
presenza di tutto il popolo, erane capo il Podestà. Era lecito
ad ognuno del numero delle capitudini o de’ consoli proporre
tutto quello ch’egli avesse stimato essere benefizio del Comune.
Esaminavansi dopo le proposte da’ Priori se niuna ve ne conoscevano
buona o da potersi fare proponendola altra volta ne’ Consigli
minori e doveasi vincere come l’altre provvisioni e riforme.
Le riforme e provvisioni e deliberazioni de’ Consigli erano
distese e scritte a’ libri e rogati de’ sindacati, e le procure
che occorrevano farsi per il Comune di Firenze dal notaio delle
Riformagioni, il quale doveva essere della provincia di Lombardia
di là dal Reno, ma non del luogo donde fosse il Podestà o Capitano.
Eleggevasi per il Consiglio del Comune, e durava l’uffizio suo un
anno, ma poteva essere raffermato.
Le Capitudini delle Arti erano ventuna, oggi, le chiamiamo Consoli.
Ciascheduna di esse aveva il Gonfalone entrovi la divisa della
sua arte. Erano sottoposte al Difensore o Capitano obbligati
a difendere l’uffizio suo, e seguirlo con arme e senza a sua
richiesta, giuravanlo in mano sua, e nelle loro era giurata
l’osservanza di questo da tutti i loro sottoposti. Eleggevano le
sette Capitudini maggiori ogni sei mesi due signori della Zecca;
uno era de’ mercatanti di Calimala, e l’altro di quelli del Cambio
e due saggiatori dell’oro e dell’argento. I Signori avevano cura
che non si coniasse se non buona moneta, e che la forestiera non
buona non corresse; e però la libra pisana e la lucchese inferiori
alla fiorentina, erano sbandite, siccome ogni moneta piccola di
Toscana, e’ fiorini più leggieri d’un grano si tagliavano. Le
medesime sette Capitudini insieme con i Priori eleggevano sei
cittadini e un uffiziale forestiero sopra l’abbondanza delle
vettovaglie. Chiamasi l’uffiziale il Giudice, i cittadini i sei
della Biada; l’uffizio de’ cittadini durava due mesi, sei quello
del Giudice; facevano questi condurre grano di diverse parti, il
più di Romagna e di quello di Siena. Ne’ tempi di gran carestia
per non aggiungere afflizione agli afflitti, facevansi ferie
per le cause civili. Dodici danai per ogni staio di grano era
dato dal Comune a chi ne conduceva a vendere in Firenze di fuori
dello Stato; e chi ne conduceva più d’una soma era sicuro per il
viaggio e per sei giorni di stanza, per debiti suoi privati e per
rappresaglie, che fossero concedute contro la sua Comunità. Il
fare rappresaglie era un sequestrare e rattenere tutti gli effetti
pubblici e privati di una Comunità e le persone. Concedevansi
le rappresaglie contro quelle Comunità, che non amministravano o
si pretendeva che non amministrassero giustizia, o al Comune di
Firenze o suoi sudditi, e se fra certo tempo non era soddisfatto
il creditore, convertivasi l’equivalente in uso suo. Da questo
ne nascevano molti inconvenienti e molti disastri nel negoziare,
facendo l’una Comunità rappresaglia contro l’altra. Per sfuggirle
emendava il Comune di Firenze il danno che pativa alcun forestiero
di rubamenti fattigli nella città o contado; i denari però erano
pagati, non trovandosi il delinquente, da quella Comunità o popolo
nel quale era seguito il delitto. Ma se pure contro il Comune di
Firenze erano concedute per causa privata, erano i principali
obbligati a dar soddisfazione; se per pubblica si veniva agli
accordi, e satisfacevasi, e molte volte usavasi mettere una
gabella sopra le robe de’ Fiorentini che passavano per quella
Terra, che faceva la rappresaglia, finchè fosse satisfatto a quel
debito. I danari che si pagavano o riscuotevano per il Comune di
Firenze, passavano tutti per mano de’ camarlinghi della Camera,
i quali erano tre; stavano in ufizio due mesi, e proponevano ne’
Consigli gli stanziamenti da farsi per le spese occorrenti. Tutti
i pagamenti facevano con il consiglio di due dottori fiorentini
a questo eletti ogni due mesi, chiamati avvocati del Comune,
registravasi il tutto ne’ libri pubblici per il notaio della
Camera, l’uffizio del quale durava quanto quello de’ Camarlinghi.
Per i fatti della guerra eleggevansi per i rettori e’ Quattordici
o Priori e per i Richiesti per quel tempo, ed in quel numero che a
loro pareva, alcuni cittadini de’ principali con nome di Capitani
di guerra. Provvedevano questi le cose necessarie per la guerra,
intervenivano ne’ Consigli che appartenevano ad essa, e facendosi
esercito, parte di loro andavano e parte ne rimanevano nella
città; finito il loro uffizio non s’eleggevano altri, se non era
il bisogno. Chiamavansi questi nei tempi più moderni i Dieci della
guerra. In difetto loro era solito concedersi per i Consigli balía
ed autorità al Podestà. Capitano e Priori sopra la fortificazione
della città, sue castella e contado sopra il condurre soldati
e sopra ogni cosa spettante a guerra per un tempo determinato.
Negli eserciti comandava il Capitano generale della guerra, ch’era
forestiero e signore, ed eleggevasi solo quando n’era il bisogno
per quel tempo che pareva agli elettori. Il modo dell’elezione
era il medesimo di quello del Podestà e Capitano. Conduceva seco
un numero di cavalieri e di fanti espresso nella sua condotta.
Fra i cavalieri ne dovevano essere alcuni di corredo. Pagavansi
al Capitano generale della guerra tutti i danari, tanto dello
stipendio suo quanto de’ soldati condotti da lui. Ogni soldato
dell’esercito gli era sottoposto, due o più de’ Capitani di guerra
andavano con esso con titolo di suoi consiglieri, che insieme con
lui il tutto deliberavano. Davasegli un notaio pagato dal Comune,
che scrivesse tutto quello che gli occorreva. Non essendo Capitano
generale di guerra e bisognando cavalcare, per capo della cavalcata
o esercito andava il Podestà, non potendo egli, il Capitano del
Popolo o Capitani di guerra. Cavalcata ed andata si chiamava quella
dove non si spiegavano i padiglioni, esercito dove si spiegavano.
Alcuno de’ giudici de’ malefizi del Podestà andava in esercito
per amministrare giustizia. I Connestabili e Capitani di fanti
e di cavalli erano condotti per i sindachi del Comune, con quel
numero di soldati che avevano in ordine. La rassegna de’ soldati
facevasi ogni mese, o quando pareva a’ consiglieri, alla presenza
del Capitano, per nome e cognome. Gli eserciti erano composti di
mercenarii, ausiliari e sudditi, di fanti e cavalieri. I fanti
erano pavesari, balestrieri, arcieri e lancieri. I cavalieri erano
o alla leggiera o alla grave, ogni soldato a cavallo chiamavasi
cavaliere; di corredo addimandavansi quelli di dignità fatti da’
principi e signori. Gli ausiliari erano pagati da chi li mandava. I
mercenarii e sudditi dal Comune. I cavalli mercenarii alla leggera
avevano fiorini cinque il mese, quelli alla grave nove o poco
più o meno. Ne’ sudditi non era altra cavalleria che quella delle
cavallate. Le cavallate s’imponevano a chi più aveva il modo, e a’
Guelfi ed a’ Ghibellini ordinariamente per un anno; per tutto il
tempo avevano da 40 fiorini a 50. Imponevasi ordinariamente da 500
fino in 2000, secondo i bisogni; a chi era imposto cavallata era
obbligato a tenere un cavallo armigero non di maggior prezzo di
fiorini 70 nè di minore di 35, con esso doveva andare in esercito
quando gli era comandato, o mandarvi altri in suo luogo; per ogni
giorno che cavalcava aveva soldi 15, se era cavaliere di corredo
o giudice 20. I cavalli tanto degli stipendiati, quanto delle
cavallate si bollavano del bollo della città e stimavansi alla
presenza degli uffiziali del Comune, del Capitano e de’ soldati;
se il cavallo si guastava, moriva, o era ferito, o ammazzato in
servizio del pubblico, mandatane la fede tra cinque giorni a’
Capitani di guerra, gli era pagato la valuta del danno, s’era
guasto, se morto, dell’intiero prezzo; finchè non gli era emendato
non era obbligato a ricomprarne di nuovo, e la paga gli correva
come se l’avesse avuto, e dopo pagato aveva tempo alcuni giorni
a provvedersene. Non poteva un cavallo essere emendato più d’una
volta, e per questo gli emendati si contrassegnavano. Per arrolare
ed assegnare i soldati e stimare i cavalli, erano eletti ogni
anno sei cittadini. Negli eserciti generali andavano le cavallate
di tutti i sesti. Nelle imprese minori andavano d’un sesto solo,
o di più alla disposizione del consiglio de’ savi o Richiesti e
de’ capitani di guerra, e l’uno e l’altro ogni tanti giorni si
cambiavano. L’esercito generale si bandiva più giorni avanti, e due
o tre prima che si muovesse si cavavano l’Insegne e Gonfaloni di
Firenze, e spiegati appendevansi ad un luogo vicino alla città e
quivi si faceva la massa. I soldati a piè del contado erano eletti
per gli vicari, ed eranne loro capi; i vicari erano de’ migliori
cittadini di Firenze. Eleggevansi per i Priori capitani di guerra
e Richiesti, quando occorreva per quel tempo che si credeva che
fosse per bisognare, mandavasene in tutte le provincie principali
dello Stato, o solo in quello che pareva a’ medesimi elettori. I
vicari avevano soldi 30 il giorno, i fanti 4, i guastatori 3. Se
le cavallate di tutti i sesti andavano in esercito, alcuni de’
fanti del contado restavano a guardia della città sino al ritorno
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