La plebe, parte II - 23

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magistrato che non lascia scorgere sulla sua fisionomia impressione
alcuna che gli faccia la difesa d'un imputato. A quelle ultime parole di
La Cappa alzò gli occhi e mosse le rughe del volto come se stesse per
parlare. Bastò codesto perchè il barone s'interrompesse e si atteggiasse
alla mossa d'un riverente ascoltatore.
— Ho molto piacere, disse il marchese, ch'Ella abbia fatta questa
_démarche_, perchè siccome identico affatto è il motivo della mia
venuta, spero che in due riusciremo di meglio a convincere il nostro
amico il Governatore, di arrendersi al nostro desiderio.
La Cappa rimase attonito che nulla più. Temette un istante che quella
fosse una canzonatura; ma il carattere del marchese non permetteva di
fare una simile supposizione, e l'aspetto della sua fisionomia la
escludeva senz'altro. Il barone volle esclamare, volle mostrare il suo
stupore, ma ebbe timore di far peggio e non seppe che tacere.
Il Governatore fu egli a parlare:
— Che? Diss'egli. Vieni anche tu per farmi lasciar andare quei due
miseruzzi di liberali? Ma tu non sai che essi hanno sul loro conto ben
peggio dello scandalo di ieri sera.....
— So tutto: riprese Baldissero. Vengo adess'adesso da Barranchi, il
quale mi ha detto ogni cosa....
— E non ostante ciò tu vorresti?
— Io vorrei esaminar teco se ci sieno proprio gli elementi di una
colpabilità che meriti trarre alla rovina due giovani ed alla
disperazione le loro famiglie. Che se non ci fossero, vorrei
persuaderti, e son certo verresti da te medesimo in questa persuasione,
essere il meglio, ammonitili, rimandarli senz'altro alle case loro.
Il barone, al trovare un così potente ausiliario alla missione che gli
aveva data sua figlia cui gli stava pur tanto a cuore di contentare, si
rallegrò tutto.
— S. E. parla proprio da quell'uomo che è: diss'egli con un'ammirazione
non scevra di piacenteria. Io sono perfettamente del suo avviso. Una
buona lavata di testa, come si suol dire, a quei capi scarichi, la
minaccia che se ci ricascano, vedranno il sole di Fenestrelle e _les
renvoyer_... Ecco tutto!.... E mi pare superfluo procedere a nuovi
arresti, gettare altre inquietudini nella città....
Baldissero si volse al Governatore domandando:
— Si tratterebbe forse di arrestare ancora degli altri?
— V'è un certo medico, rispose il Governatore, che mi pare molto
impeciato in tutto codesto, quel cotal dottor Quercia che dicono la
_coqueluche_ delle signore..... Qui il barone La Cappa s'interessa molto
per lui.....
— Mi consta, disse vivamente il padre di Candida, che gli è un
buonissimo suddito di S. M. ed affezionato al Governo..... Mio genero il
conte di Staffarda ne può far fede.
Il Governatore tornò a sogghignare a fior di labbra; ma il marchese con
quella serietà che gli era abituale disse al barone:
— Stia tranquillo La Cappa. Io spero, anzi credo che non sarà il caso
d'altri arresti nè di simili altri provvedimenti qualunque. Non è vero?
Il Governatore, a cui era diretta quest'ultima domanda, chinò il capo e
fece spalluccie.
— Non desidero di meglio, rispose, ma l'affare mi par più serio di
quello che tu creda. E se ti piace gettar gli occhi su queste prove.....
Accennava egli colla mano i libri sequestrati a Francesco, le carte
trovate nello stipo di Maurilio, e i rapporti dei delegati della
polizia.
— Volentieri: disse il marchese alzandosi da sedere per avvicinarsi allo
scrittoio sul cui piano erano le carte additale.
La Cappa avvisò che non gli restava altro da fare che andarsene. Aveva
ricevuto la quasi sicurezza che il dottor Quercia non sarebbe stato
inquietato, e gli tardava recare alla figliuola la notizia del suo
successo diplomatico. Prese commiato; nessuno disse pure una parola per
trattenerlo, ed egli si partì.
— Eccoti prima di tutto il rapporto di un agente che è fra i più zelanti
ed accorti, un certo Barnaba: così disse il Governatore, porgendo una
carta al marchese, il quale si diede a leggerla con ogni attenzione.
In quel rapporto erano esposti i fatti che abbiamo visto svolgersi, ed
esposti colle tinte più scure che potessero aggravarne il significato.
Il principale argomento per la colpabilità dei giovani incriminati, la
prova più significante era l'allegata identità del cantante Medoro
Bigonci col rivoluzionario ed esule romano Mario Tiburzio.
Quando ebbe letto, il marchese rimase un poco riflettendo, mentre il
Governatore lo stava guardando con una cert'aria interrogativa che
pareva dire:
— Eh? che ne dici? Ho io ragione sì o no?
Il marchese ripiegò lentamente il rapporto di Barnaba, e porgendolo
all'amico, disse con posata gravità:
— Sì certo, questo può esser molto..... e può esser nulla. Provato che
quel Bigonci sia un segreto agente del partito rivoluzionario, le
attinenze di quei giovani ed i loro convegni con esso acquistano una
grave presunzione di colpa; ma ciò rimane egli provato? Vi ha qualche
cosa che lo dimostri oltre l'allegazione di questo agente?
— A dire il vero, rispose il Governatore, finora una prova positiva non
si ha tuttavia.... ma si avrà. Quel cotale non si è ancora potuto
arrestare.... ma lo arresteremo; ed allora....
— Intanto si è fatta la perquisizione nell'alloggio di questo Bigonci e
dei suoi compagni, non è vero?
— Sì: ed ecco il rapporto dell'altro agente detto il Rosso.
— Presso il signor Benda non fu trovato nulla di veramente grave....
— Che? Mi burli? E questi libri incendiari? E quella carta che il Selva
con tanta arte ed audacia giunse a distruggere? Non sono tutte queste
cose l'indizio dei mali propositi di codesta gente?
— Sì, ma non una prova d'una congiura, d'un vero cominciamento di atti
criminosi. Di quella carta, poichè fu distrutta, non possiamo al giusto
misurare il valore, e sopra semplici congetture io sento che si deve
andare adagio a procurar la rovina di tanti poveri giovani e delle loro
famiglie. Nella supposizione di quel Barnaba, d'una vera cospirazione,
qualche cosa che la riguardasse, corrispondenze od altro, avrebbe dovuto
trovarsi presso i supposti congiurati; ebbene quali documenti furono
sequestrati che valgano a fondare l'accusa?
— Documenti positivi... veramente no; ma quanto basta per rivelare le
tendenze, i concetti e la temerità di quella si può dire congrega. Da
questo scartafaccio (e pose la mano sopra il manoscritto di Maurilio)
apparisce come l'ispiratore di questa gente abbia da dirsi un certo
giovinastro senza nome e senza famiglia, un antico vaccaro inurbatosi
non so come, che ha studiato a casaccio non so dove nè per che mezzi, ed
ha manifestato in questo zibaldone un amalgama di teorie audacissime e
di dottrine sovversive, di tentativi letterari e di aspirazioni
politiche, di versi e di prose, un piccolo Rousseau in erba o qualche
cosa di simile con declamazioni alla Mazzini. Tofi ha avuto la buona
ispirazione di far arrestare anche questo Maurilio...
Siffatto nome fece dare in un sussulto il marchese di Baldissero.
— Maurilio! Esclamò egli con voce non priva di emozione. E' si chiama
con questo nome?
Tutta notte era stato presente alla sua memoria quel funesto caso della
sua vita, in cui un Maurilio era stato vittima della sua spada;
l'immagine di quest'uomo ucciso dalla sua mano, gli era comparsa più
viva e spiccata del solito nelle tristi fantasticaggini della sua
veglia; quel nome gli aveva suonato come una rampogna sotto la volta del
cranio pronunziato dalla sua coscienza; ed ora egli, questo nome non
comune, mai più trovato riunito alla personalità d'un uomo vivente, lo
udiva frammisto a quel viluppo d'incidenti a cui la tracotanza di suo
figlio obbligava lui stesso a prender parte. Una specie di superstiziosa
emozione lo prese, quasi un presentimento: che non a caso, che non
invano quel nome suonasse al suo orecchio in tal circostanza, e
l'individuo che lo portava gli si parasse innanzi nel suo cammino.
— Parlami di costui: soggiunse egli vivamente. Chi è questo Maurilio?
Donde viene? Che fa? Quale il nome del suo casato?
Il Governatore aveva notato la viva impressione provata dal suo amico,
ed a questo affollarsi di vivaci domande piene di curioso interesse,
rispose non senza stupore:
— Che ardore metti tu per questo cotale? Che cosa ti può interessare in
quel miserabile plebeo?...
Il marchese con un turbamento nei tratti del volto, tanto più notabile,
quanto più era ordinariamente composta ad impassibile dignità la sua
fisionomia; il marchese pose una mano sul braccio dell'amico e disse a
voce bassa ma improntata di profonda emozione:
— Ah! quel nome!..... Maurilio!..... Tu non lo ricordi quel nome?.... A
me si è impresso con incancellabili caratteri nel mio cervello, e non vi
sarà obliterato che dalla morte.... E ancora!....
Il Governatore guardava il suo compagno coll'aria stupita di chi a mezzo
un grave discorso ode proporsi ad un tratto il rompitesta d'un enimma;
stava per interrogare sè stesso, se il marchese non avesse dato di
volta.
Baldissero gli strinse più forte il braccio e continuò col medesimo,
anzi con più turbato accento:
— Era una mattina d'inverno anche quella.... Non la ricordi?.... Eravamo
giunti a Milano la sera prima, tu, Castelletto ed io; tu e Castelletto
foste a cercarlo...
Il Governatore si percotè colla mano la fronte.
— Ah! mi ricordo: esclamò egli, come si fa quando le parole vi sfuggono
di forza dalle labbra: quel povero Valpetrosa.....
Baldissero proseguiva:
— Ci scontrammo fuori Porta Romana; la neve copriva tutta la
campagna.... come oggi.... Egli si avanzò verso di noi, e non disse che
queste parole: «Se mi uccidete, vi raccomando mia moglie, — poichè ella
è mia moglie! — ed il mio figliuolo che sta per nascere...»
Il Governatore lo interruppe:
— Via, via, non è il caso di andare a rivangare tutte queste dolorose
memorie. Tu non hai da farti il menomo rimprovero. Ti sei regolato come
ogni uomo d'onore avrebbe fatto in tua vece, e tuo padre te ne ha
benedetto. Sua moglie l'hai tutt'altro che dimenticata ed essa ti ha
perdonato.....
— Ciò forse le ha accorciata la vita.....
— Eh no, per Dio!... Basta non pensiamo a codesto.....
— E il figlio?
— Il figlio di quell'infelice mi hai detto tu stesso che è morto appena
nato, quando tu eri già tornato in Ispagna.....
— Così mi disse mio padre.
— E quello che tuo padre ti disse ti conviene crederlo..... E poi non ci
fu frammischiato in quell'affare quel vostro intendente o segretario,
Nariccia?
— Sì.
— E non ti affermò ancor egli la morte del neonato?
— Pienamente.
— Dunque tu non avevi altri obblighi verso la memoria di quell'uomo.....
Capisco che l'udir questo nome il quale nei nostri paesi è affatto raro,
possa evocarti quei certi ricordi, ma non è neppure da pensarsi che il
presente Maurilio abbia alcuna attinenza con quello là. Maurilio
Valpetrosa apparteneva ad una famiglia di Milano, e questo è un misero
trovatello dei nostri campi.
— Un trovatello? Esclamò con qualche interesse il marchese.
— Sì: da se stesso egli si denominò per Maurilio Nulla. To', dà
un'occhiata a questa specie di professione con cui egli cominciò questo
quaderno di suoi scarabocchi, e vedrai.
Il marchese tolse in mano lo scartafaccio e lesse, scritte sulla prima
pagina, le parole seguenti:
«Chi sono io? Non so. Che cosa io pensi, che cosa io voglia, a che cosa
tenda l'agitazione di anima e di spirito che sì spesso mi domina e mi
sprona e mi tormenta, non so nemmanco.
Se la sapienza dell'uomo, come dissero i Greci, pone la sua prima base
nel conoscer se medesimo, oh quanto sono io lontano pur dal
cominciamento di essa!
Tuttavia havvi in me, sento in me, alcuna cosa che, quantunque non
sappia definirla, mi pare la parte migliore di me. È desso il mio
pensiero? È la intelligenza? È qualche cosa di comune a tutti gli altri?
oppure è speciale all'esser mio?
Sento così di frequente un bisogno immenso, irrefrenabile di effonder
l'anima mia!.... A chi? A nessuno che mi si presenti colle sembianze
d'uomo. In faccia ad un mio simile il mio labbro si rinserra
sdegnosamente muto, e mi pare che una mano di gelo si imponga come
coperchio a rinchiudere il cuore tumultuante.
Nella campagna solitaria ove conducevo al pascolo la giovenca, parlavo
alla natura, e la natura parlava a me; sentivo la sua gran voce, ora
soave come la carezza del zeffiro, che mi aleggiava sulla fronte, ora
terribile come il muggito della bufera che scuoteva le quercie... Qui in
città la gran voce tace per lasciar cinguettare il brulichio degli
uomini.
Conviene ch'io parli a me stesso. Uscendo dall'interna chiostra
formolate in parole, le audacie del mio pensiero, i sogni della mia
fantasia, per fermarsi su questo pezzo di carta, sarà come se i
lineamenti dell'anima ad uno ad uno venissero a riflettersi in uno
specchio che ne conservasse l'impronta. A poco a poco i tratti si
aggiungeranno ai tratti, l'immagine — forse — ne riuscirà discernibile,
e l'anima riconoscerà se stessa.
«Chi sono io? Mi ridomando. È il gran problema che incombe sulla vita di
tutti gli uomini. Per me si è fatto più crudo, più spiccato, più
imminente, direi, avendo voluto... (chi? Debbo dire il caso? o la
Provvidenza? o la malvagità degli uomini?)... avendo voluto la mia sorte
ch'io qui sulla terra fossi, in mezzo ad una razza umana organata a
famiglie, senza famiglia, senza legami di sangue, senza protezione di
parentela e di nome.
«La prima volta che mi ferì il nome di bastardo sputatomi sulla faccia
dalla Giovanna incollerita, non capii che cosa volesse dire quella
parola, ma sentii che era un termine d'ignominia ond'era espressa cosa
cui la gente faceva mia vergogna. Non mi sdegnai, non risposi, fuggii a
nascondermi.
«Ora ch'io incomincio a gettar giù queste parole sulla carta, colla mano
tremante, colla testa in tumulto, colla dolce e profonda emozione con
cui si deve parlar d'amore la prima volta, con cui si inizia una segreta
corrispondenza con cara persona a cui tutto si crede dovere e poter dire
di noi; ora io conto intorno a diciott'anni di vita... Ah non so
nemmanco di sicuro da quanto tempo il destino mi ha balestrato a soffrir
sulla terra! Sono diciott'anni che un uomo mi raccolse abbandonato; ma
quanti giorni avessi allora di esistenza — forse mesi, forse già un anno
— non mi si disse mai, non lo seppe neanco chi non mi lasciò morir sulla
via.
«In questi diciott'anni, dolorosissimi avvenimenti avvicendarono la mia
combattuta esistenza: ma più gravi e più numerosi travagli e mutazioni
si fecero nell'anima mia, in quell'essere interno che non so definire,
dove tante idee s'intralciano e tanti diversi affetti si scambiano. Gli
è i risultamenti di questo interno travaglio che io qui voglio
registrare, per me — per me solo — a dar conto a me stesso dell'uso del
mio ingegno, della mia volontà, dell'effetto di quegli studi saltuarii,
abborracciati, ma cui è pur gran ventura che la sorte mi abbia concesso
e mi conceda tuttavia di fare.
«Le leggi del mondo fisico e quelle del mondo morale; le leggi
dell'organismo sociale come quelle dell'organismo del corpo umano; la
vita della terra che ci sostiene, ugualmente che la vita della schiatta
umana, delle masse dei popoli e degl'individui mi sembrano concentrarsi
e concertarsi in una grande unità, di cui la mia mente troppo debole, e
i miei studi troppo incompiuti, non possono darmi tuttavia la forza di
abbracciare il complesso, ma che travedo, trasento e perseguo, quasi per
istinto, traverso tutti i fatti dell'esistenza, dai moti della mia anima
rinchiusa nella carcere del corpo a quelli dei mondi nello spazio
infinito.
«Di questo travaglio analitico dell'intelligenza che si affanna alla
ricerca della gran sintesi, scriverò le espressioni e le fasi in queste
carte per conchiuderle il giorno in cui la morte mi faccia immota la
mano, o per troncarle il dì, in cui un diverso apprezzamento me le
faccia conoscere inutili e forse anco puerili.»
Il marchese lesse queste pagine con attenzione e non senza meraviglia.
— Un giovane in quelle condizioni, a quell'età, che scrive e pensa di
tali cose, diss'egli, non è fatto ordinario. È in lui la stoffa d'un
uomo di vaglia.
— Per ora, disse il Governatore, c'è un demagogo. Leggi qui a questo
punto ed a quest'altro..... se pure hai pazienza, e vedrai quali idee
sovversive della società e fin anco della religione bollano in quel
cervello esaltato.
Baldissero scorse cogli occhi le pagine che gli additava il suo
interlocutore e che erano state segnate colla matita rossa dal
Commissario di polizia.
— Leggerò molto volentieri, rispose di poi, queste cose che assai
m'interessano; vuoi tu lasciarmi recar meco per ciò questo scartafaccio?
— A piacer tuo: disse il Governatore chinando la testa con moto di
gentile condiscendenza.
In quella fu recato al Governatore un biglietto del conte Barranchi.
— Aspetta, disse il Governatore, dissuggellando la carta, a Baldissero
che pareva apprestarsi a partire: questa lettera ha forse riguardo al
caso di cui tu t'interessi.
— Ed è così infatti; soggiunse dopo letto quanto scriveva il comandante
della polizia; odi ciò che dice Barranchi:
«Caro Governatore,
«Quel tal Medoro Bigonci venne arrestato ancor egli; ma l'impresario del
Teatro Regio protesta che, essendosi ammalato il primo baritono, se lo
si priva ancora di codestui, egli non potrà più tenere aperto il teatro,
e quindi nemmanco darci la solenne rappresentazione di domenica sera, a
cui deve intervenire S. M. colla Corte in gala.
«Mio nipote San-Luca che conosce tutta la gente teatrale, è venuto qui
ad assicurarmi che questo Bigonci è nient'altro che un artista di canto
che sarà vittima d'una somiglianza, ma che egli metterebbe pegno
qualunque cosa che pensa tanto alla politica quanto al Gran Turco.
«Il Commissario mi riferisce che nelle sue risposte quel Bigonci si
contenne in modo — naturalmente negativo — da non poter nulla dedurne a
suo carico, e che mostrò certe lettere e certi ricapiti onde sarebbe
provata la sua vera identità come cantante.
«Le scrivo subito queste cose, caro Governatore, perchè sapendo come i
Baldissero padre e figlio desiderino la sollecita liberazione di uno dei
compromessi, Ella veda se vi ha modo di contentarli. Io non oserei
prendere su di me tanta risponsabilità; ma se V. E. mi vi incoraggia con
una sola parola, io darò senza ritardo gli ordini di rilascio per quel
Benda, a favore del quale anche a Lei sarà andato a parlare il marchese
di Baldissero.
«Mi creda, ecc.»
— Ebbene? interrogò il marchese quando ebbe udito la lettura di questo
biglietto. Che cosa conti di fare?
Il Governatore esitò un momentino.
— Primo impulso, e quello che seguirei più volentieri, sarebbe di
contentarti senza ritardo; ma tu capirai le considerazioni che me ne
trattengono.... Il ministero dell'interno è in una specie di gara con
noi militari. Se diamo passata a certe cose, farà comparire agli occhi
di S. M. che noi non siamo abbastanza vigilanti od abbastanza oculati.
Abbiamo ancora la disgrazia che il marchese di Villamarina passa colla
nomèa di velleità liberali, ed essendo egli ministro della guerra, si
crede che i militari per andargli a genio sieno più disposti a
tolleranza di quel che converrebbe... Certo io non posso essere
sospetto, ma pure....
Baldissero lo interruppe con un grave sorriso:
— No, il menomo dubbio non può nascere sul tuo conto di tepidezza
nell'affetto alla monarchia e nello zelo del tuo ufficio, e spero che un
sospetto di simil natura non debba nemmeno poter colpire me stesso.
Comprendo la forza delle considerazioni che ti trattengono, e non cerco
altrimenti di smuoverti dalla tua determinazione. Esaminerò io stesso di
meglio la cosa, poichè tu me lo concedi, e quando io mi confermi nella
mia persuasione che non vi sia in tutto codesto che imprudenza
giovenile, sfogo di liberalismo rettorico e nissun vero attentato contro
il legittimo Governo, allora ne parlerò io stesso di proposito al Re.
— E sarà il meglio che potrai fare: disse il Governatore.
Tese a Baldissero la destra e soggiunse:
— Spero che tu non l'avrai meco per ciò?
Il marchese gli strinse la mano con amichevole effusione.
— Che dici? Potresti pur pensare una cosa simile? A luogo tuo, io non
avrei fatto diversamente da quello che tu.
Baldissero si partì dal Governatore, accompagnato da quest'esso sino
all'anticamera.
A muovere San-Luca a recarsi da suo zio il generale dei Carabinieri per
testimoniare in favore di Bigonci era stato quell'amico e compagno di
Maurilio e di Selva, che chiamavasi Romualdo.
Assente per sua fortuna nel momento in cui facevasi la perquisizione ed
arrestavasi Maurilio nella casa del pittore Vanardi, Romualdo,
rientrando, vedeva scolpito sulla faccia spaventata di Antonio
l'annunzio che gravi novità erano intravvenute, ed udiva dalle vivaci,
colorite ed interminabili chiacchere della signora Rosa tutti i
particolari dell'avvenimento.
Romualdo avvertiva tosto tutta la rilevanza di questo fatto; il ritardo
di Selva nel tornare a casa gli faceva inoltre temere che ancor egli
fosse caduto negli artigli della Polizia, e capiva abbastanza che alcun
sospetto era nato intorno alla congiura — e fosse pure soltanto un
sospetto! — e che l'arresto di Mario, quando foss'egli conosciuto per
chi era realmente, importava la rovina di tutti i loro audaci disegni
patriotici, la perdita della libertà, e fors'anco della vita, per i
coraggiosi giovani cospiratori. Le fucilazioni d'Alessandria non erano
ancora tanto lontane che la loro memoria non legittimasse il timore di
nuove condanne a morte.
Metteva quindi il cervello alla tortura per cercar modo di trovare, se
non un mezzo di salute, uno spediente che riparasse almeno in parte la
minacciata rovina. Vanardi, sgomentito sino nell'imo fondo dell'anima,
proponeva scappar subito così lontano che non si potesse veder più
spuntare da nessuna parte sull'orizzonte il pennacchio prepotente e il
candido budriere d'un carabiniere del re di Sardegna; col qual mezzo
egli faceva anche quest'altro guadagno di mettere la salvaguardia d'una
distanza non facilmente superabile fra sè e i suoi creditori, che
incominciavano a tormentarlo.
Ma Romualdo non era a salvar sè che pensava soltanto, gli era a salvar
gli amici e l'impresa. Non potendo fermare la sua risoluzione su partito
alcuno, al buio com'egli si trovava delle circostanze che avevano
cagionato l'arresto, Romualdo determinò di andare attorno per la città
in busca di informazioni dalla voce pubblica, e di cercare intanto
sollecitamente di Mario, del quale importava saper le novelle e col
quale urgeva massimamente concertare il modo di governarsi.
Questi arresti e la perquisizione erano evidentemente dei fatti che si
attaccavano alla comparsa nella sera precedente di quel personaggio
sospetto cui Mario venendo aveva trovato nel camerino della portinaia e
dal quale il congiurato s'era accorto essere stato seguito cautamente su
delle scale. Sarebbe stato assai bene avere dalla portinaia alcuna
informazione in proposito, e Romualdo pensò che niuno era al mondo più
atto a codesto che la moglie di Antonio, la buona, vivace e ciarliera
signora Rosa; ma, come un'idea ne mena un'altra, questo gli fece
avvisare come fosse assai probabile che alle ciarle appunto della
signora Rosa con _madama_ la portinaia si andasse debitore dei sospetti
e della visita della Polizia.
Romualdo parlò di proposito, a questo riguardo, alla brava donna,
mettendole innanzi tutto il danno che ciarle imprudenti potrebbero
cagionare; Antonio, il marito di lei, rincarò la dose, strepitò che la
era stata di certo quella benedetta linguaccia a comprometterli nei suoi
eterni pissi pissi, or con questa, or con quella delle donnacole della
casa, che intanto la Rosa poteva andar lieta e superba che aveva messo
in sull'orlo dell'abisso suo marito e la famiglia e gli amici del
marito, e chi sa ancora se poteva evitarsi il capitombolo nel
precipizio! e certo se una sola ciarlatina veniva tuttavia ad accrescere
l'imprudente, involontaria delazione, la era una spinta da non potersi
più parare in nessun modo dalla catastrofe.
La Rosa rimase a tutta prima sbalordita; ma la non era donna da
abbandonarsi così agevolmente per vinta. Protestò fermo e forte che Ella
non aveva detto nulla, non aveva scoperto nulla di nulla, perchè di
fatto non la sapeva neppure una briciola di quanto e' venivano
maneggiando nei loro segreti convegni; che ad ogni modo le sue ciarle
erano sempre le più innocenti del mondo, perchè la era donna abbastanza
di senno per sapere quello che si ha da dire e quello che si ha da fare
e che non sarebbe stato per suo fatto mai che nè la concordia d'una
casa, nè la pace d'una famiglia, nè la sicurezza di nessuno avrebbe da
rimanere compromessa; e qui, scambiando parte ed eloquenza, passava da
difenditrice di sè medesima ad accusatrice d'altrui: e che gli era un
grave torto far di questi nasconderelli ad una moglie che, come lei, si
meritava stima e fiducia dal marito; e che la testa sulle spalle la
aveva ancor essa e dentrovi due dita di cervello, forse più che non
altri; e che a dare un consiglio ci valeva tanto bene che, forse e senza
forse, s'ella avesse saputo di che si trattava e le avessero dato retta,
non si troverebbero ora in quel bello spineto; e qui voltando, come dice
Dante, il discorso per punta a suo marito, soggiunse: che gli era in lui
un gravissimo torto, come padre di famiglia, quello di cacciarsi in
queste mattane, e per delle bubbole d'idee sconclusionate rovinare in un
amenne moglie e figli e tutta la baracca.
Antonio era così avvilito dell'animo che non aveva più bastante vigore
da contrapporsi alle invettive ed alle conclusioni della moglie, alla
quale in cuore la paura gli faceva dar la ragione; Romualdo giudicò
rettamente che per finirla bisognava dar passata a quello sfogo e non
contrastar menomamente alle concitate di lei deduzioni.
— Mia cara signora Rosa, diss'egli: tutto questo sta bene, ma ora, a
pigliarla comunque, gli è di quel senno di poi di cui sa che son piene
le fosse e che serve ad un bel niente. Lasciamo stare quello che è stato
e pensiamo a quello che è. S'Ella ci sa spillar fuori dalla portinaia
alcuni particolari sull'uomo di ieri sera, la ci può giovar molto.
La Rosa si acquetò di subito. La cosa era troppo grave e la toccava
troppo da vicino, perchè non le dèsse tutta l'importanza; ella era poi
di cuore inclinata a fare il maggior bene che potesse anche a chi gli
era indifferente, figuriamoci poi ora che erano in ballo così ponderosi
suoi interessi! Inoltre la buona donna aveva sì fatto la brava in
presenza del marito e di Romualdo che la rimproveravano, ma in fondo
della sua coscienza c'era pure una vocina che le veniva dicendo come
tanto tanto innocenti non fossero di questi effetti le chiacchere tenute
colla portinaia, e il rimorso ch'ella ne sentiva si aggiungeva a
stimolarne lo zelo.
— Lasciate fare a me: diss'ella racconciandosi un poco e in fretta in
fretta i panni dattorno. In due salti sono giù dalla portinaia, e non
sono chi sono se in cinque minuti non le ho tratto il filo della
camicia.
Entrò pochi secondi dopo nel camerino della portinaia, dove le comari
del quartiere erano in numero completo e vivissimamente impegnate in
ciarle che s'incrociavano senza soluzione di continuità sull'importante
argomento dei fatti straordinarii avvenuti quella mattina nella casa.
Era colà la gran cuffiona della comare Marta, la lingua più affilata e
meno temperante — a detta di monna Ghita, che pure non si lasciava
passare nessuna davanti in codesto, — di tutto il quartiere; c'era la
bocca sdentata e il mento lanuginoso della Polonia, la rivenditrice di
pignatte e di pentole che stava di faccia: chi non c'era delle brave
pettegole del pian terreno di quella strada? Le dicerie che avevano
corso in quello scambio di supposizioni e di fiabe erano d'una
fenomenale assurdità. I giovani erano stati arrestati tutti; le cagioni
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