La plebe, parte II - 26

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sua il _medichino_, uscendo di quella casa colle tasche piene d'oro,
così la pensava seco stesso:
— Domenica sarà il giorno della gran crisi. La mi va bene, ed allora
Candida non avrà più bisogno de' suoi diamanti pel ballo di Corte, e
Nariccia avrò mezzo di fargli rendere quel tesoro e imporgli silenzio
senz'altro per tema di peggio; o la mi va male, ed allora, allora affè
un'oncia di piombo nella testa, e buona notte ai suonatori. S'aggiusti
chi resta.
Recossi in casa di fretta per riporvi i denari; e là trovò Romualdo, il
quale, dopo l'abboccamento con Massimo d'Azeglio, secondo le istruzioni
avute da Mario, era venuto a cercare di lui e impazientemente stava
aspettandolo.
Gian-Luigi lesse le poche parole scritte dall'emigrato romano, udì la
narrazione dell'arresto avvenuto di quest'ultimo fatta da Romualdo, e in
brevi detti promise si sarebbe adoperato a vantaggio dell'arrestato, ed
avrebbe di sicuro ottenuto non fosse provata la sua identità.
Romualdo partissi; Quercia ripose i denari avuti da Nariccia in un
cassettino segreto del suo stipo, trasse da quel luogo medesimo un
involto di letterine profumate, la cui calligrafia rivelava la mano
d'una donna, e con esse s'avviò alla casa della _Leggiera_.
La cortigiana era scesa allor'allora da letto ed avvolta in una
magnifica veste di lana di Persia ovattata e foderata di seta color di
rosa, stava sdraiata mollemente nella calda e voluttuosa atmosfera dello
stanzino riposto, dove non accoglieva che gl'intimi amici.
Noi sappiamo già che un alto personaggio era stato a toglierla dal dorso
nudo del cavallo nel circo per allogarla in quella sontuosità di
appartamento nell'onorevole qualità di sua _mantenuta_. Questo alto ma
poco stimabile personaggio era un Principe appartenente ad una famiglia
regnante in Italia, il quale viveva allora alla Corte del Re di
Sardegna, seminando di tollerati scandali il severo e bigotto ambiente
della Reggia di Carlo Alberto; Principe di animo poco nobile e di
costumi corrottissimi, che traditore alla causa della patria ed a Carlo
Alberto suo benefattore nel tempo della guerra dell'indipendenza, messo
di poi sopra un trono grande come un guscio di castagna dalla riazione
del 1849, si divertiva a far da piccolo Tiberio, o meglio da Alessandro
Farnese sui suoi sudditi, finchè cadde estinto senza lagrime di nessuno
sotto il coltello di un regicida.
Non era lungo tempo che l'augusto e spregevole personaggio erasi partito
dall'alcova della cortigiana, quando il _medichino_, del quale i servi
conoscevano i privilegi, era lasciato entrare liberamente nel gabinetto
dell'antica amazzone da circo equestre.
Al vedere il giovane, la donna mandò un gridolino di gioia e si sollevò
alquanto sui cuscini con cui rifiancava la sua abbandonata persona sopra
il sofà.
— Ma bravo, ma bravissimo! Esclamò essa battendo insieme le mani. T'è
proprio nata un'idea felice a venir qui in questo momento... Ho avuto
una lunga conferenza, troppo lunga, col _Prince charmant_ (così chiamava
essa il Duca che sciupava intorno a lei i denari dei contribuenti), e mi
ha stanca colla sua nullità principesca. Ho le ganascie che mi dolgono
dagli sbadigli rientrati; mi sento bisogno di rifarmi un poco lo
spirito, l'umore..... e il resto: e tu sei l'uomo apposta.
Lo sguardo provocatore e il sorriso procace accompagnavano acconciamente
le folli parole.
Ma l'aria preoccupata di Gian-Luigi e la sua seria risposta non si
acconciarono al tono con cui la _Leggera_ aveva incominciato il
colloquio.
— Mia cara, diss'egli colle sopracciglia aggrottate: io mi trovo in
gravissime circostanze, in cui si decide o la mia perdita assoluta, od
uno splendido trionfo... E tu puoi aiutarmi.
Zoe sorse di scatto, e fu presso a lui, fattasi seria essa pure,
mettendogli una mano sulla spalla e fissandolo coll'ardente pupilla del
suo occhio d'un grigio verzigno.
— Si tratta di quell'impresa, di cui tu mi hai confidato i propositi e
mi hai divisato in nube le fila?
— Sì.
Gli occhi della donna s'illuminarono d'una strana fiamma, vivace ed
intensa.
— Tu sai che per essa io sono pronta a dare tutto che posseggo e tutta
me stessa... Tu sai che gli è appunto per quei tuoi disegni che tu
piacesti supremamente all'anima mia, che vincesti il mio fiero disprezzo
degli uomini, che mi hai legata a te corpo ed anima, e per sempre; tu
sai che per ciò, più che per ogni altra cosa, io che non ho amato mai
nulla, ti ho amato e ti amo..... Parla, comandami, ed io farò tutto
quello che vuoi.
— La Polizia pare aver avuto qualche sentore dell'opera nostra; ha posto
gli artigli sopra alcuni che senza saperlo lavorano pel nostro successo,
me stesso circonda di certe fila di cui sembrami tenti farmi intorno una
rete da impigliarmivi. Qualche sospetto incomincia ad esser nato che il
misterioso capo di quella schiera di ribelli alla società onde si
spaventano i sonni dei felici gaudenti dell'oggi, possa esser io, perchè
un accorto esploratore viene frequentando la taverna di Pelone, e quel
medesimo, ne son certo, ha proceduto all'arresto di coloro che t'ho
detto, e tutt'oggi me lo trovo pertinace seguitatore tra i piedi.
Venendo da te, qui sotto le tue finestre, l'ho trovato ancora, come
segugio che attende la cacciagione alla posta. Tutto m'indica, e più
d'ogni altra cosa l'istinto, che quello è un pericoloso e risoluto
nemico di cui bisogna sbarazzarci.
Gian-Luigi s'accostò alla finestra e rimosse la tendolina per guardare
nella strada sottoposta.
— Ed eccolo ancora là, soggiunse, i suoi occhi grifagni fissi
precisamente sulle tue finestre.
Zoe accorse ancor ella presso i vetri ed appoggiandosi con mossa amorosa
a Gian-Luigi, guardò nella strada di sopra la spalla di lui. Vide la
tenebrosa figura di Barnaba che sotto la tesa del cappello saettava
quelle finestre di occhiate sinistramente espressive.
Nel vedersi guardato dai due giovani, l'agente poliziesco sussultò,
abbassò gli occhi e la testa, e lentamente si mosse come per
allontanarsi di là.
Ma la _Leggera_ nel vedere quell'uomo aveva fatto un certo moto ancor
essa che non isfuggì all'acume osservativo del _medichino_.
— Che fu? Diss'egli, piantando i suoi occhi in quelli della donna. Tu
conosci quel cotale? Zoe ruppe in una risatina che era perfettamente
naturale e sincera.
— No: diss'ella; ma la mia vanità femminile ha or ora ricevuto un
buffetto. Quello che tu mi riveli per un poliziotto io l'ho preso per un
innamorato, vedendolo da parecchi giorni girarmi intorno alla lontana e
covare con isguardi accesi la mia dimora.
— Da parecchi giorni tu dici? domandò Quercia.
— Sì, forse un mese... L'ho creduto un adoratore cui le povere fortune
fanno timido... E poi quella figura, a dirti tutto, mi metteva in un
certo pensiero, non so perchè. Non mi ricordo aver avuto nulla mai da
spartire con un simile individuo, eppure le sue sembianze non mi riescon
nuove. Occupavo alcuni momenti delle mie ore più noiose a cercare di
scavar fuori dalla massa dei tanti ricordi del mio passato, se, come,
quando e dove avessi visto codestui o qualcuno che gli rassomigliasse;
non ci sono mai riuscita, e certo per la buona ragione che di sicuro non
ho mai avuto la menoma attinenza con lui. Ora tu hai soffiato sopra
tutti i miei castelli di carte. È un poliziotto che ci fa da
esploratore. Il malanno lo colga...
— Sì; e bisogna che noi aiutiamo il malanno a far quest'opera buona...
Sediamo, Zoe, ed ascoltami.
La _Leggera_ tornò a sdraiarsi abbandonatamente sul lettuccio da sedere;
Gian-Luigi si gettò sopra una poltrona che era lì presso; ma si ridrizzò
tosto con un brusco movimento nel sentire un oggetto sopra le molle
elastiche del seggiolone; si volse a guardare, vide una cosa
lucicchiante e la prese in mano.
— Che cos'è codesto? Diss'egli, sollevando un collare che brillava di
diamanti. Cospetto! Il gran collare dell'Ordine dell'Annunziata in casa
tua!
Zoe ruppe in una gran risata.
— Gli è il mio _Prince charmant_ che ne fa sempre qualcuna delle sue con
quella testuccia che ha un cervello da passerotto. Ieri sera è venuto
qui dopo il ballo dell'Accademia in tutta l'imponenza della sua _tenuta
di gala_, per abbacinarmi collo sbarbaglio della sua montura e delle sue
decorazioni; e partendo ha dimenticato il collare[8].
[8] Quest'episodio è affatto storico. Buona parte dei miei
lettori lo ricorderà tuttavia.
— Va benissimo: disse allora Gian-Luigi che si compiaceva a fare mandar
riflessi sotto la luce dalle gemme e dall'oro di quel collare ch'egli
maneggiava con un sogghigno sulle labbra tra di scherno, tra di
cupidigia, tra di disprezzo. Ecco un bellissimo pretesto che ci porge il
caso, mercè la augusta smemorataggine di quella meschinissima Altezza
Reale, perchè tu abbia quanto prima un nuovo colloquio con lui. Puoi
fargli domandare un momento d'udienza, e portandogli il suo collare.....
La _Leggera_ interruppe crollando le spalle con una mossa molto
irriverente pel suo principesco amante.
— Che io mi scomodi per andare da quel capo d'assiuolo?... Mai più!...
Gli scriverò che venga di nuovo, e subito a casa mia per udire
urgentissime cose che ho da dirgli, e il babbuino sarà felice di avere
da me un secondo abboccamento... Non gli dirò che trattasi di riprendere
quel giocattolo, perchè sarebbe capace di mandarmi qualcheduno de' suoi
ufficiali a ritirarlo, o di lasciarmelo qui senza crucciarsene
dell'altro.
Il _medichino_ seguitava a maneggiare quella collana colla medesima
espressione che ho detto poc'anzi nella sua fisionomia.
— Sì, un giocattolo; diss'egli come parlando a sè stesso; ma un
giocattolo che rappresenta la potenza, la dignità, l'autorità
nell'ordine com'è oggidì organato della gerarchia nella società umana.
Derisione della sorte, e ingiustizia dell'assetto presente delle cose!
Queste supreme insegne a cui cadono in preda per favore della nascita e
per privilegio di sangue? Ad un miseruzzo dall'anima imbelle e dalla
mente pusilla, che è una caricatura d'uomo ed una parodia di essere
ragionevole! Guardatelo da lontano quel _mannechino_ nella pompa della
sua divisa ricamata e degli abbaglianti ordini cavallereschi che
gl'ingemmano il petto, vi parrà qualche cosa di degno della riverenza
umana; avvicinatelo e superate per esaminarne il valore quella
suggezione che ispira, per l'abitudine tiranna della ragione, l'altezza
del grado, vedrete sotto la pelle del leone la natura del somaro;
grattate quella vernice lucente onde si ammanta e troverete sotto di
essa l'ignobile ceppo di legno innalzato dallo scherno oltraggioso del
caso sui gradini del trono all'ammirazione della gente.... E intanto in
quella massa di esseri pensanti che sta umile, povera e soggetta, che
vive nel nulla, cui ingoia il nulla, e viene e passa e si discioglie
come la goccia d'acqua nell'immenso mare, fra quegli esseri oppressi
sempre, condannati sempre, che hanno torto sempre, per cui esiste il
dovere soltanto, e il diritto non mai, quanti per cuore, per animo, per
intelletto, più degni e capaci!....
Palleggiò ancora un istante nella mano quel gingillo d'oro tempestato di
gemme, come se lo volesse soppesare, e poi lo gettò sopra un vicino
tavolo con atto tra d'impazienza e tra di disdegno.
— Bah! non pensiamo a codeste miserie... Ecco ciò di cui ho bisogno tu
discorra ed ottenga promessa dal tuo scimmiotto di Principe che faccia
sollecitamente.
Come avete indovinato, quello di cui intendeva Gian-Luigi era la
liberazione di Maurilio, Giovanni e Francesco, e l'affermazione che
Medoro Bigonci non aveva nulla di comune con Mario Tiburzio.
— Non basta, soggiunse di poi il _medichino_, bisogna che S. A. ci tolga
eziandio dai piedi l'inciampo di quel poliziotto. Io costui l'ho già
raccomandato ad uno de' miei uomini, ed alla prima occasione avrà il
fatto suo; ma egli mi par furbo, sta sulle guardie, ed ha molti modi da
sfuggire alle mani di Graffigna che può agire soltanto con assai
prudenza. Un giorno o l'altro quel demonio di Graffigna saprà pur
coglierlo; ma frattanto sarebbe utilissimo che un comando dall'alto, una
disposizione d'uffizio lo scartasse dai nostri piedi. Tu mi capisci? Il
tuo Principe può valerci anche a codesto.
— Capisco: disse la cortigiana con atto e sembiante molto riflessivi; ma
gli è il modo di entrare in codesto discorso che non so trovare, e la
ragione per interessare a far ciò l'indolenza di quell'egoista.
— Il modo?.... Una bella donna ha da essere imbarazzata per la guisa di
far cascare il suo discorso saltuario più qua o più là?.... La
ragione?... Un tuo capriccio è la migliore di tutte; e la minaccia d'un
temporaneo ostracismo dal tuo _boudoir_ lo renderà invincibile.
Zoe percosse le mani una coll'altra in aria di trionfo.
— Ho trovato di meglio, e son sicura del fatto mio. Il _Prince charmant_
si è lamentato meco più volte che al Re fossero state narrate certe sue
più impertinenti scappatelle e le relazioni che ha meco, per cui il Re
gli viene regalando di tanto in tanto qualche buona ripassata. Dirò che
il rivelatore di cotali segreti è questo poliziotto.... come si chiama?
— Barnaba.
— Il quale da parecchi dì sta spiando intorno alla mia casa. Sii pur
certo che il Principe non glie la perdonerà, maligno com'è sotto la sua
leggerezza e nullaggine, e saprà aggiustarlo egli per le feste.
— Sta bene. L'hai pensata proprio a dovere. Allora scrivi subito e
sollecita la venuta del tuo Principotto.
La _Leggera_ si fece accostare un tavolierino su cui era un elegante
_buvard_ con elegantissimo calamaio, e scrisse di fretta alcune righe
sopra un fogliolino di carta profumato.
Quand'ebbe finito, disse a Gian-Luigi suonasse il campanello, ed alla
cameriera che si presentò diede ordine il bigliettino scritto
allor'allora fosse tosto recato al suo indirizzo.
— Levatemi di qui questo tavolino: soggiunse ella di poi alla cameriera
che stava per partire.
— No: disse Gian-Luigi, il quale, mentre Zoe scriveva, era stato dietro
di lei guardando con una strana espressione di curiosità la mano della
donna a tracciare le parole sulla carta: no, lasciate pur lì quel
tavolino e ritiratevi.
La cameriera uscì e Zoe levò sul volto del _medichino_ uno sguardo
interrogativo.
— Ho bisogno che tu mi scriva ancora due parole: un nome, al basso d'un
pezzo di carta.
Zoe sollevò vivamente la testa e guardò entro gli occhi il suo compagno
— il suo complice.
— Un nome! Diss'ella. Il mio?... Che cosa vuoi tu fare del mio nome?
Gian-Luigi atteggiò le labbra ad un diabolico sogghigno.
— Non è il tuo: rispose. Hai tu un nome, povera creatura che appartieni
al par di me alla schiera dei derelitti?... Il tuo è un nome d'accatto,
simile a quello che si dà al cane od al cavallo dal padrone che l'ha
comperato, e cui domani il capriccio d'un altro padrone può cambiare....
Io intendo un vero nome, reale, autorevole, cui la sciocchezza comune è
usa di rispettare, con cui si possono coprire onte, vizi e magagne
maggiori di quelli a cagion de' quali affettano i sedicenti onesti del
mondo di avere a schifo la povera plebe.
— Qual nome? Domandò con sollecita curiosità la cortigiana.
— Quello della contessa di Staffarda.
La _Leggera_ mandò un'esclamazione e stette lì mirando intentivamente
nel volto Gian-Luigi. Questi trasse da un portafogli un quadrilatero
oblungo di carta e mettendolo spiegato innanzi alla donna, soggiunse
accennando col dito l'angolo a destra del foglio:
— Qui scriverai queste parole: Candida Langosco contessa di Staffarda,
nata La Cappa.
Zoe appoggiò i due gomiti al tavolino che aveva dinanzi, e sostenendo
alle mani il suo mento, disse con voce quasi sommessa e lentamente
pronunziando:
— Questo pezzo di carta ha da servire per una cambiale?
— Per un _pagherò_ che devo dare a _Macobaro_.
— E la firma della contessa?...
— Deve starci a rincalzo della mia.
— Perchè non l'hai domandata alla contessa medesima?
— Perchè il suo concorso l'ho già ottenuto in altro modo, e conosco il
proverbio che troppo tirando si strappa.
— Ma io non ho la scrittura uguale a quella della contessa.
— Tu hai una calligrafia che molto facilmente può imitare quella di
qualsiasi altra donna; e tanto più la scrittura della contessa. Ti
osservavo poc'anzi appunto mentre scrivevi e mi son venuto confermando
appieno in quella opinione che avevo venendo qui, che cioè tu valessi a
rendermi molto bene questo servizio.
— Ancora, per imitare quel modo di scrivere, converrebbe avessi sotto
gli occhi un esemplare...
— L'ho recato. Eccoti, le lettere della contessa. E trasse fuor di tasca
l'involto che aveva preso nel segreto cassettino del suo stipo.
La _Leggera_ afferrò avidamente quel pacco, lo sciolse e, presa a caso
una lettera, si diede a leggerla con un impertinente sorriso sulle
labbra.
Povera Candida! Se essa avesse saputo mai in quel momento che le segrete
espansioni dell'amor suo confidate in una carta che avrebbe dovuto esser
sacra al suo indegno amante, che le più calde manifestazioni della sua
sciagurata passione, erano abbandonate in preda allo scherno profanatore
d'una cortigiana!
— Anzi, continuava quello sciagurato giovane in cui le sfrenate passioni
avevano oramai cancellata ogni delicatezza del senso morale, queste
lettere fo conto di lasciarle in deposito presso di te. Possono avvenire
molte circostanze in cui elleno diventino un'arma atta a salvarmi da
qualche precipizio, entro il quale mi capiti di cadere, e di cui essendo
io posto nell'impossibilità di servirmi, tu dovresti valerti a mio
vantaggio..... In altro momento ti spiegherò più particolarmente la
cosa..... Ora veniamo a quei che più preme..... Questa tua firma mi deve
ottenere cinquanta mila lire.
Zoe lasciò andare di mano la lettera della contessa e riprendendo quella
mossa che aveva poco anzi, tornando a fissare il suo acuto nel cupo
sguardo di Gian-Luigi, disse, pesando bene sulle parole:
— Ma questo è un _falso_ che mi domandi?
Il _medichino_ crollò impazientemente le spalle:
— Ebbene sì: diss'egli con ruvido accento: è un _falso_..... Hai tu
paura?
La cortigiana stette immobile e silenziosa, guardando fisso il giovane
nella stessa maniera.
— Ne prendo io tutto il carico: soggiunse Gian-Luigi. Se anco la cosa
venisse scoperta, chi mai giungerebbe a pur sospettare che tu sei stata
a scrivere quel nome? Io ti giuro che non parlerò.
Zoe non disse molto, ma staccò dal mento, cui sosteneva con ambe le
mani, la destra, e presa la penna intinta d'inchiostro, sopra un foglio
di carta, che aveva vicino, si pose sbadatamente a tracciar dei
caratteri, come fa chi prova una penna prima di accingersi a scrivere.


CAPITOLO XXI.

Il signor Nariccia quella mattina si sentiva male per davvero. Partitosi
da lui Gian-Luigi, conchiuso l'altro contratto per cui era venuto il
gioielliere X, rimasto solo, l'usuraio aveva proprio capito che il
_medichino_ gli aveva parlato da maledetto senno, e che la sua salute
era, se non già colpita, seriamente minacciata da un grave malore. Volle
riconfortarsi l'animo di quel modo con cui soleva eziandio rallegrarsi
il cuore il vecchio Arom, come sogliono fare tutti questi avidamente
cupidi dell'oro, posseduti dall'accanita ed implacabile ed insaziabile
passione dell'avarizia: nel riporre entro il suo forziere i diamanti
recatigli da Gian-Luigi e i gioielli del signor X, dopo essersi chiuso
ben bene a chiave nella sua camera, si compiacque a vagheggiare i mucchi
d'oro lucente monetato che dormiva serrato in sacchetti a tiro della sua
mano.
Un sorriso di trionfante soddisfazione veniva alle labbra anche a lui,
nel rivedere e ricorrere le sue ricchezze; ma tratto tratto una stretta
del malanno che si veniva preparando nel suo organismo lo faceva star
lì, gli mandava una rapida vicenda di caldo e di gelo per tutto il
corpo, gl'impediva il rifiato e gli copriva d'una pallidezza cadaverica
le guancie. E' si appoggiava con una mano allo scrigno aperto,
coll'altra si premeva il cuore che o sospendeva o raddoppiava il
battito, e lasciava svanire la vampa non senza un vivo sgomento
nell'animo pauroso e codardo.
— Davvero che ci ho qualche cosa che non ho avuto mai: diceva egli a sè
stesso. Il dottor Quercia ha ragione, e farei molto bene a dargli
retta.... Salassi e sanguette no: codesto costa subito un occhio della
testa; ci vogliono chirurgo, flebotomo e che so io..... E poi quanto
tempo mi ruba, condannandomi ad ammuffire in letto! No, no, non se ne fa
nulla; ma quella medicina che mi ha scritto il dottore?.... Se non
costasse di molto.... Potrei provarla; tanto più che la non mi toglie ai
miei affari; ma quei maledetti speziali fanno pagare così caro le loro
droghe!.... E poi; che abbia proprio da diventare malato, io che sono
sempre stato bene?.... Non mi sento più così forte e robusto come un
tempo, è naturale; ma sono ancora in buona età; vivo parcamente, non ho
vizi di sorta: e perchè avrei da ammalarmi?
Parve restar persuaso da queste buone ragioni che una malattia per lui
era impossibile; e si mise con più alacrità a maneggiare il suo denaro.
— Quest'anno i miei guadagni furono ancora maggiori degli anni scorsi,
ma non sono tuttavia quello che possono essere, quello che vorrei... Ho
camminato bene, sono giunto ad un bel risultamento, gli è vero: quando
penso che sono venuto a Torino, or sono trent'anni, misero, scalzo, con
trenta soldi in saccoccia, sapendo appena leggere, scrivere e far di
conti, ed ora!....
Diede un'occhiata al suo scrigno e sorrise.
— Sì ora sono padrone di una bella sostanza; ma non mi basta ancora. Ci
ha tuttavia di quelli che ne possedono di più di me, e vorrei essere
innanzi a tutti. Ah se tutti i giorni facessi i guadagni che ho fatto
questa mattina! Con cinquanta mila lire avere un valore di 200 mila!...
Perchè l'ho, questo valore, l'ho nelle mani e son certo — quasi certo
almeno — che non mi si toglie più. Che bravo Quercia! come il Signore mi
ha favorito a voler che io conoscessi quello sciupadenari che sa così
bene spennare le sue ricche amanti... a mio profitto! Mai più, mai più
egli avrà cinquanta mila lire da restituirmi alla ventura settimana; e
se la famiglia della contessa vorrà riavere i suoi diamanti, oh oh la
discorreremo...
Prese un libro di sue ragioni in cui soleva scrivere le sue partite del
dare e dell'avere, e fra le somme sborsate registrò quella delle 50 mila
lire date a Gian-Luigi. Nel tracciare questa cifra, pareva colpito da
una nuova e bizzarra idea.
— La somma di 50 mila lire, diss'egli, mi è sempre stata favorevole e di
buon augurio. I miei primi guadagni che mi apersero la strada della
fortuna, quali furono? Le cinquanta mila lire che mi diede quel povero
Maurilio Valpetrosa per suo figlio e le altre cinquanta mila che mi
diede il vecchio marchese di Baldissero per farlo scomparire; e se la mi
andava bene ne avrei preso altre cinquanta mila dalla contessa di
Castelletto per ritrovarlo di nuovo....
A questo punto s'interruppe e diede in una scossa.
— Ritrovarlo!... E se fosse ora ritrovato in quel giovane in cui
s'incontrò la _Gattona_?
Appoggiò il gomito al forziere che aveva tuttavia aperto dinanzi e
sostenne la fronte colla mano in una profonda meditazione.
— Oibò! Diss'egli poscia crollando le spalle. Codesto è quasi
impossibile. Quel bambino fu smarrito senza che mai nessuno pensasse a
battezzarlo col nome di suo padre, e quanto a quel bottone di livrea che
potrebbe essere stato di Stracciaferro, esso indicherebbe piuttosto che
si tratta dell'altro ragazzo... E poi perchè alcun altro non potrebbe
avere un simile bottone? Bisognerà che parli ancor io colla _Gattona_
per averne il cuor netto.
Fu interrotto in questi suoi pensamenti che molto lo preoccupavano da un
pugno che senza riguardi e con violenza impaziente percoteva nell'uscio
richiuso.
— Ehi signor Nariccia; gridava traverso la porta la voce aspra di
Dorotea. La viene o non viene a far colazione? È passata l'ora da più di
venti minuti.
— Vado, vado: rispose l'avaro affrettandosi a chiudere con ogni cura il
suo forziere: e poscia, aperto l'uscio della camera, si recò nella
cucina dov'egli soleva fare i suoi pasti, senz'altro bisogno di stanza
apposita da pranzo.
A capo d'una lunga tavola presso l'affumicata parete era posta una
tovaglia che un tempo si poteva supporre essere stata bianca, ma che ora
aveva un colore indefinibile, ornata di grossolani rammendamenti ed
anche di qualche strappo non ancora rappezzato: sopravi erano posti un
tondo della più infima maiolica sverniciato, incrinato e scrostato, una
servietta del colore della tovaglia, rotolata e legata da una
cordellina, una fetta larga due dita di pane da soldato, un bicchiere
dal vetro opaco, una caraffa con acqua d'un vetro ugualmente sporco, una
forchetta di ferro con un coltello dal manico di legno rozzo, senza
vernice ed una saliera di vetro rotta da una parte.
Appena vide entrare nella cucina il suo padrone, Dorotea prese in una
credenza un piatto di terra grossolana, lo scoperchiò d'un altro
piattello che ci stava sopra e lo pose in mezzo la tavola: era
un'insalata di radiche.
Nariccia sedette sopra una seggiola dal piano di legno, innanzi al
desco, spiegò sulle sue ginocchia la servietta sporca, fece il segno
della croce e borbottò alcune parole di preghiera, poi prese il piatto
di terra, e colla forchetta si fece calare nel tondo che aveva dinanzi
un poco di quelle radiche in insalata.
— Mentre la mangia codesto, disse Dorotea, io le farò cuocere l'uovo.
L'usuraio fece un cenno affermativo colla testa.
Sul focolare, in mezzo ad un mucchietto di cenere, stavano quattro
carboni accesi, con sopravi due piccoli bastoni i cui capi non si
toccavano e che facevano salir su una riga sottile di fumo leggero
leggero. Al di sopra pendeva per la catena un ramino con dell'acqua.
Dorotea raccostò alquanto i due pezzi di legna, ci soffiò sopra e mise
dentro l'acqua un uovo.
Nariccia frattanto aveva ritagliato in tante liste la fetta di pan nero,
e poi, preso colla forchetta un pizzico di quelle radiche, aveva provato
a mangiare. Ma il boccone gli pareva insipido e sentiva una ripugnanza
ad inghiottire che nulla più. Tentò ancora una volta, e poi lasciata
andare la forchetta sulla tovaglia, tirò in là dinanzi a se il piatto, e
disse con voce dolente e piagnolosa:
— Questa roba non mi va giù. E sì che le radiche mi piacciono più d'ogni
altra cosa; e mi fanno anche bene alla salute.....
Sentì il rumore del soffietto, con cui Dorotea cercava di rianimare il
fuoco.
— Che cosa fate? Domandò egli ritrovando nuovamente di botto la voce e
l'accento che gli eran soliti.
— La vede bene: rispose Dorotea, senza nemmanco voltarsi; le faccio
cuocere il suo uovo.
— Disgraziata! Non posso trangugiare nemmanco un boccone, e voi mi
sciupate la legna a farmi cuocer l'uovo! Toglietelo subito dal fuoco.
— Ma ora non gli è nè cotto nè crudo, questo uovo.....
— Non importa. Finirete di farlo cuocere un'altra volta e sarà
buonissimo la stessa cosa..... Ma non tenete acceso un momento di più
quel fuoco, oggi che la legna è così cara.
La fantesca, borbottando fra i denti, fece a senno del padrone. Questi
colla sua forchetta rimise nel piatto di terra le poche radiche onde
s'era servito; poi s'alzò da sedere per tornare nella sua stanza; ma nel
muovere il primo passo un capogiro lo assalì di nuovo, e dovette tenersi
alla tavola, chè gli pareva di dover cadere.
Allora tornò a ricordarsi della ricetta che gli aveva scritto il dottor
Quercia.
— Bisognerà proprio che mi decida a prendere quella medicina..... Purchè
non costi tanto caro!... Dorotea, soggiunse ad alta voce, venite qui
meco che voglio mandarvi a fare una commissione.
— Eh! un momento: rispose brusco la vecchia serva: io non ho da
mangiare? Mi si misura già tanto a spilluzzico questo gramo nutrimento;
vorrebbe adesso addirittura che ne facessi senza?
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