La plebe, parte II - 03

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la quale invano si sforzava di frenare le lagrime ed i singhiozzi.
— Prendete, bevete questo po' di caffè caldo: diceva la ragazza colla
sua voce così dolce e simpatica; ciò vi renderà un po' di calore in
corpo.
— Grazie, grazie: balbettava la misera coi denti che le mozzicavano le
parole battendo insieme. Che Dio ne le rimeriti!
Maria s'accorse che Paolina aveva i piedi nudi entro scarpe rotte, in
cui liberamente entrava da tutte parti l'umido della strada; ricordò in
quel momento come suo padre mezz'ora innanzi si fosse dato sollecito
pensiero di sapere s'ella era ben difesa dalla sua calzatura contro
l'umido della neve, sentì intorno ai suoi piedini il caldo dei suoi
stivaletti impellicciati, e non potè a meno che stabilire una specie di
confronto, onde la sua anima pietosa rimase vivamente commossa; senza
dire nè un nè due, fu in un salto nella sua camera, e tornò correndo con
un paio di stivalini da inverno, i quali, per fortuna, essendo troppo
larghi pei suoi piedi, poterono accogliere quelli abbastanza piccoli
eziandio di Paolina.
— Lasciate stare quelle orribili ciabatte: disse la buona fanciulla; e
mettete questi calzari.
La pezzente rifiutò dapprima, esitò, poi ubbidì, ringraziando commossa,
e, nel vedere così buone madre e figliuola, accogliendo nel cuore un po'
di speranza che avrebbe potuto conseguire il fine per cui era venuta, ed
aveva insistito affine di essere introdotta presso la signora Teresa.
Fu quest'essa che, allorquando Paolina parve un po' riconfortata dal
calore della fiamma e da quello della bevanda, e la emozione di lei si
fu alquanto calmata, le disse:
— Or via, buona donna, diteci che cosa vi è capitato e che cosa possiamo
fare per voi.
Paolina stette silenziosa un momento a capo chino, quasi le mancasse il
coraggio; e poi con evidente sforzo cominciò a parlare: ma noi capiremo
meglio le triste condizioni di quella disgraziata, se tornando indietro
d'un passo, ci rifacciamo al momento in cui, la sera innanzi, ella
usciva dalla bettola di Pelone, traendo seco pur finalmente, dopo molti
sforzi, il marito ubbriaco.


CAPITOLO III.

Andrea si era lasciato condurre a casa dalla moglie, la quale ne aveva
dovuto faticosamente sorreggere il passo barcollante. L'aria aperta e il
freddo vento della notte avevano giovato alquanto a rischiarare
all'ubbriaco la mente dai fumi del vino, e due idee le stavano innanzi
precise e distinte: quella de' suoi figliuoli e della moglie che
pativano, e quella dei torti ch'egli aveva verso di loro; onde
barellando nel suo camminare sostenuto alla moglie, di tratto in tratto
sparava una bestemmia, mandava un singhiozzo, faceva un atto di
disperazione e borbottava colla lingua grossa ed impacciata:
— I miei figli!... Pane ai miei figli!... Sono un miserabile!
Così camminando, stiracchiato, a scossoni, a zigzag, fermandosi ogni
tratto, in un tempo triplo di quel che sarebbe occorso, giunsero pur
finalmente alla casa che abitavano, la quale, come sappiamo già, era una
di quelle possedute da messer Nariccia il bigotto usuraio, e quella
appunto in cui abitava egli stesso, e in cui Maurilio aveva passati quei
tristi giorni che gli abbiamo udito narrare a Giovanni Selva.
Il signor Nariccia era troppo avaro per rischiarare pur d'un lumicino
l'andito e le scale della casa e approfittava dell'incuria municipale,
che a quel tempo non imponeva siffatto obbligo ai padroni, per lasciar
rompere il naso ai suoi inquilini finchè l'abitudine li avesse
guarentiti contro tale pericolo.
Urtando qua e là colle spalle nelle cantonate, coi piedi negli scalini,
colla testa negli spigoli delle pareti, guidato, tirato, sorretto dalla
moglie, Andrea era oramai pervenuto al terzo piano vociferando le più
salate bestemmie di questo mondo, fra cui ricorreva sempre il
ritornello: I miei figli, sono un miserabile.
Giusto al terzo piano, l'ubbriaco inciampò, e la moglie, troppo debole
per sostenerlo, non potè impedire ch'egli andasse a battere con tutto il
peso della sua abbandonata persona, contro un uscio, il quale suonò come
percosso da una catapulta.
E qui dalla bocca di Andrea irritato giù una filza di bestemmie e
d'imprecazioni.
— Accidenti al padrone di casa!.... Che il diavolo si porti quel ladro
avaro, sanguisuga della onesta gente, che non mette manco la miseria di
un lumino su questa sua scala maledetta di questa casa del demonio che
vorrei profondasse fino giù al fin fondo dell'inferno!...
Paolina aveva bel dire: — Zitto, zitto Andrea, non dir così, vieni,
andiamo su: — ed aveva bel tirarlo pel braccio; l'ubbriaco non si
muoveva di un punto e gridava ancora più forte.
Ora quell'uscio contro cui il marito di Paolina era precipitato con
tanto impeto, metteva niente meno che nel quartiere abitato da Nariccia
medesimo; ed ecco — vista tremenda per Paolina — aprirsi in quella
l'uscio fatale e comparire il signor Nariccia in persona con una lucerna
in mano.
— Che cos'è questo chiasso? Cominciò egli a dire con tutta la severa
imponenza di cui era capace. Che cos'è questa temerità di percuotere in
tal modo contro l'uscio della mia abitazione? Che cosa sono queste
sconcie impertinenze che andate sbraitando?
Paolina volle dire alcune parole di scusa.
— È inutile che cerchiate di negare; ho udito tutto, e se non fosse del
debito che ho di buon cristiano di perdonare, ve la vorrei far pagare
cara e salata...
Andrea era rimasto sovraccolto al primo apparirgli del padron di casa;
ma poi tosto, ripigliando quella certa famigliarità che hanno con
chicchessia gli ubbriachi, diceva a sua volta:
— Scusi.... Perdoni..... sa! Quello che ho detto, l'ho detto.....
ecco..... perchè..... corpo d'un accidente..... gli è la verità.....
— Vieni, vieni: s'affrettava ad interrompere Paolina. Non teniamo qui
dell'altro il signor Nariccia a questo freddo.
— Lasciami stare: rispondeva Andrea, respingendo la mano della moglie:
voglio parlare..... voglio spiegarmi..... Ecco! Qui è maledettamente
scuro come in una caverna dì briganti..... non fo per dire.... Non ci si
vede la punta del proprio naso.
E Paolina a soggiungere:
— Non abbiamo urtato apposta nel suo uscio; mio marito s'è inciampato
e.....
— Ecco! Interrompeva l'ubbriaco. Mi sono inciampato. Non è già ch'io non
istia ritto sulle mie gambe..... Tutt'altro! Sfido qualunque, io!...
Sono un miserabile..... sì, va bene... ma non sono punto ubbriaco.....
Dunque se ho risicato di rompermi la cassa de' corni contro i chiovoni
di ferro di quel maledetto uscio lì, non l'ho fatto apposta..... Sono un
miserabile, è vero, ma non l'ho fatto apposta... Ecco!
— Apposta o non apposta: interruppe bruscamente Nariccia; a me poco
importa. Del resto opportunamente mi venite innanzi, chè ho da parlarvi,
e giusto pochi momenti sono mi son preso l'incomodo di salire fino alla
vostra soffitta. E ciò che ho da dirvi, è detto in due parole. Voi mi
dovete sei mesi d'affitto: o pagatemeli domani, o doman sera dormirete
in altra casa e non più certo nella mia.
Andrea e Paolina rimasero sbalorditi.
— Gesummaria! Esclamò la donna stringendo le mani e levandole
supplichevolmente verso il padrone di casa. Oh buon signore, abbia
compassione di noi!..
Ma Nariccia fulminando d'uno sguardo velenoso la povera donna col destro
de' suoi occhi birci, mentre col sinistro saettava l'oscurità del vuoto
della scala, interruppe fieramente:
— Io non sono un buon signore, io! Sono un ladro, un avaro, una
sanguisuga dell'onesta gente. L'avete gridato voi....
— Signore....
— L'ha gridato vostro marito.
— S'accerti....
— Niente. Non voglio sentir più nulla, non voglio dir più niente. Avete
udita la mia volontà. Basta!
E richiuse con fragore l'uscio ferrato, dietro il quale si sentì il
rumore dei chiavistelli ch'egli tirava e dei catenacci che faceva andare
a posto.
— Ah cane d'un cane peggiore d'ogni cane: si diede ad urlare Andrea
scaraventando con tutta la sua forza dei pugni contro le imposte
dell'uscio, saldo come macigno. Gli è così che si tratta la povera
gente? Sulla strada e' ci vuol mettere.... Accidenti! Sulla strada i
miei figli.... Sciagurato! Che sì che se ti prendo per quel cravattino
bianco.... forca e tenaglie!... ti faccio schizzar fuori quegli occhi
guerci....
La moglie lo pregava a tacere, a venir via di lì, lo tirava con tutta la
sua forza, gli tappava colla sua mano la bocca; ma l'ubbriaco
resistendo, aggrappandosi al muro, puntando i piedi al suolo seguitava
pur tuttavia a gridare colla voce rauca, avvinazzata, di cose parecchie.
— Sono un miserabile io, sì, è giusto... Ma mia moglie, giuraddio!... ma
i miei figli, sacramento!... Cacciarmeli sulla strada? Oh no, oh no, oh
no!
E giù nuovi pugni contro l'uscio e nuove imprecazioni contro il padron
di casa.
La moglie riuscì pur finalmente a levarlo di lì; e contrastando,
inciampando, borbottando, Andrea pervenne alla fine sin nella soffitta
abitata dalla miserissima famiglia. Là dentro regnavano un'oscurità non
rotta che dal riflesso bianco della neve sui tetti vicini ed un silenzio
che pareva di tomba. I bambini, dopo aver aspettato, dopo aver pianto,
dopo aver chiamato invano durante l'assenza prolungatasi della madre,
avevano ceduto alla debolezza della età e del digiuno, e s'erano
addormentati. L'occhio di Paolina, esercitato a quella tenebrìa, li
vide, appena fu essa entrata, giacere tutti quattro sul loro strammazzo,
l'uno accosto all'altro, come raccolti in un gomitolo, scaldandosi a
vicenda e sorreggendosi, le piccole testine reclinate come fiori
appassiti, le gambe ripiegate, immobili come tanti piccoli cadaveri.
La povera madre trasse un sospiro e benedisse in cuor suo la pietà del
Signore; dormendo, i bambini almanco non sentivano più il tormento della
fame. Oh! avessero potuto dormir così tutta notte, fino a che il domani
ella fosse riuscita a procacciarsi un po' di pane per essi! Come
avrebb'ella ottenuto codesto? Non lo sapeva, ma confidava nella Madonna,
confidava nell'efficacia di quelle preghiere in cui avrebbe consumata
tutta la notte.
Ma sperare che i bambini potessero non venir desti era un fare i conti
senza l'oste, o per dir meglio senza l'ubbriaco.
Andrea, sempre barcollante, cominciò per urtar malamente in un zoppo
trespolino che trovavasi fra i pochissimi e poverissimi mobili ond'era
composta la masserizia di quella soffitta, e quindi giù una filza di
bestemmie a sfogo del suo dispetto.
— Accendi il lume, Paolina, gridava il marito: oh che io ho da camminare
allo scuro come i gatti?
— Il lume? Rispose la donna con doloroso accento, pure ammorzando il
suon della voce. Non ce no ho di lume.
— Che? Non ce ne hai?
— No, nè olio, nè candela.
— Vanne a prendere.
Paolina mandò un sospiro che somigliava ad un gemito.
— Se avessi qualche denaro avrei comprato del pane pei nostri figli che
dormono digiuni da questa mattina.
L'ubbriaco portò le mani con atto macchinale alle tasche del panciotto,
che sapeva vuote pur troppo.
— E non ho manco un soldo da darti! Si mise a gridare, cacciando un
pugno a quel trespolo contro cui aveva urtato, ed al quale ora
sorreggevasi. Oh! sono un miserabile!...
— Taci, taci: disse la donna: non isvegliare almanco i bambini.....
Ma il male era già fatto. I figliuoli al rumore avevano aperto gli
occhi, ed a quell'incerto barlume vedendo le ombre di due persone,
sollevandosi sul misero giaciglio, intirizziti dal freddo, si posero a
dire tutti insieme colla voce piagnolosa:
— Sei tu, babbo, sei tu, mamma? Ci avete portato da mangiare?
— Ho fame, ho tanta fame.
— Mamma, mamma, sono tutto ingranchito..... Ho male.... ho fame....
E il più piccino, senza formar parola, ricorse tosto al più eloquente
linguaggio del pianto, nel quale tosto tosto gli tennero bordone anco
gli altri.
Paolina fu presso di loro sollecita, carezzevole, amorosa ad acchetarli,
a dir loro fra i baci tante ragioni per cui dovessero aver pazienza e
dormire tranquilli per allora e che era troppo tardi in quel momento per
trovar da comprar cibo, e che al domattina avrebbero avuto di sicuro
pane e companatico e tante tante leccornie. Ma sì! ventre affamato non
ha punto orecchi, dicono i Francesi, e i bambini seguitavano a
domandare, piangere e strillare della più bella.
Andrea piantato a mezzo la soffitta si dava sempre più del miserabile a
piena bocca e dei pugni nella testa a piene mani.
La povera madre, mercè le buone parole e le carezze, la stanchezza loro
aiutando, riuscì pur finalmente a far azzittire i bimbi che ricaddero in
un sonno di abbattimento da chiamarsi quasi torpore; allora essa li
ricopri il meglio che le venne fatto con tutti quei pochi panni che
rimanevano alla loro miseria, affinchè sentissero meno il freddo di
quella notte invernale, e si rivolse ad acchetare eziandio il marito che
continuava a strapazzarsi coi più fieri oltraggi.
— Andrea, gli disse, a qual punto siamo ridotti tu il vedi.....
— Non parlarmi, non dirmi nulla, interruppe egli in cui sotto l'emozione
l'ebrietà andava alquanto dileguandosi. Tu non puoi movermi rampogna che
io non me ne faccia di peggiori.
— Nè io te ne farò pure alcuna. Te l'ho detto che non avrei pronunziato
un rimprovero..... Non è questo che ti voglio dire. Voglio anzi che tu
stesso ti calmi e prenda riposo perchè ne abbisogni, e domani, a mente
più fredda, penseremo ai casi nostri; e se tu, pentito come ti mostri,
avrai proprio fondato il proponimento di mutar vita e di tornare quello
che eri una volta, io benedirò il Signore e la Madonna della Consolata
che ci avranno fatta la più bella grazia che potessimo invocare.
Lo prese amorosamente alle braccia, e con dolce violenza lo spinse verso
lo strammazzo che loro serviva da letto. Andrea riluttò debolmente e
borbottando, bofonchiando, esclamando, gemendo si lasciò coricare, e
dieci minuti non erano passati che, intorpidito dai vapori del vino,
egli faceva suonar la soffitta del suo robusto russare.
Il marito e i figliuoli di Paolina dormivano; ma non dormiva essa, la
povera donna. Non prese nemmanco posto sullo strammazzo; ben sapeva che
il sonno non sarebbe venuto alle sue pupille stanche, inaridite, quasi
direi consumate dal pianto. Accoccolata presso il giaciglio dei suoi
figliuoli, stette lì intirizzita, tremando, battendo i denti tutta
quella ghiaccia notte d'inverno. E non era il freddo soltanto a
tormentare quel povero corpo! L'infermità che in lei avevano prodotto le
privazioni, gli affanni d'ogni fatta le veniva, quasi potrebbe dirsi ora
per ora, consumando la vita. Il colpo che quella sera medesima il marito
ubbriaco le aveva dato nel petto, avevale accresciuto il dolore e
l'affanno del respiro e la tosse penosa. A volta a volta sentiva sotto
l'impeto di questa tosse il suo debole stomaco contrarsi in tale spasimo
che pareva volesse scoppiare; e l'infelice se lo comprimeva colle mani
gelate e convulse. E ancora a quei momenti l'assaliva il timore che la
sua tosse così forte giungesse a svegliare i bambini, e quindi a
richiamarli al sentimento del loro bisogno che non si poteva soddisfare,
alle lamentazioni ed al pianto. Si sforzava perciò a frenarla quella
penosissima tosse, e non poteva, e ad altro non riusciva che ad
accrescere il proprio soffrire.
E non era nulla ancora il patimento fisico appetto a quello morale
ond'era travagliala l'anima sua! Come provvedersi il giorno di poi da
sfamare i figli suoi? E se ciò non avesse conseguito, che sarebbe stato
di loro? O Dio! Essa vedeva il pallido spettro della fame tendere sulle
bionde teste de' suoi piccini l'adunco artiglio. Avrebb'ella dunque
dovuto vederli morire? E col padrone di casa come la si aggiustava? In
che modo procacciarsi da soddisfarlo? Che cosa escogitare da commuovere
quelle ferree viscere da usuraio? Nella sua fantasia delirante, con
acuto spasimo nel cervello, che pareva il tagliuzzio di finissime
lancette, si formava l'immagine di quello che sarebbe avvenuto. Ella
vedeva se stessa e i suoi figli abbandonati sulla via, senza tetto,
sopra il cumulo della neve, e soffiando sulle loro membra appena se
ricoperte, sulle loro carni allividite, soffiando con aspra intensità il
rovaio.
Di sè poco le importava: oh! se essa sola avesse potuto soffrire, e con
ciò togliere a quei tormenti i figli, la carne della sua carne!... Ma
gli era questi esseri supremamente diletti ch'ella vedeva contorcersi
nel dolore, che udiva gemicolare nell'agonia!.....
Donne felici e liete di beltà e di ricchezza, che siete nate e vivete
nel prospero ambiente degli agi; mogli e figliuole di arricchiti, a cui
le avventurate speculazioni del marito e del padre mettono in potere le
enormi somme che vi costano i vostri abiti, le vostre trine, i vostri
scialli, i vostri diamanti; non pensate voi mai, in mezzo al tripudio
d'una festa, che in quello stesso momento forse — e senza forse —
qualche povera madre in una diserta soffitta piange e s'affanna per non
aver pane da dare ai suoi figli, per non aver calore da sgranchirne i
gracili corpi, per non avere un obolo che ne assicuri il domani?
Oh! pensateci qualche volta!
Ma un'altra immagine eziandio appariva alla fantasia o, dirò meglio,
alla memoria dell'infelice, una lieta immagine, ma pur tuttavia non
meno, anzi forse più dolorosa ancora della prima: la visione della
quieta felicità d'un tempo, ora da parecchi anni perduta. Paolina
rivedeva se stessa ricca dell'amore, dell'onestà, dell'abile lavoro di
suo marito, felicemente orgogliosa de' primi suoi nati; allora il fiore
della salute rallegrava le sue fresche guancie, ed anco il fior della
bellezza, s'ella aveva da credere allo specchio ed agli sguardi ed alle
susurrate parole con cui la salutavano sul suo passaggio i giovani
signori ch'ella non curava; allora la sua mite anima non sapeva che cosa
fosse amarezza e il suo sorriso e la sua canzone erano i più allegri del
mondo. La si rivedeva al cader del giorno seduta presso la finestra
della pulita cameretta, dar gli ultimi punti nel suo cucito, aspettando
il ritorno di Andrea, e cullando col piede il bambino — fresco, roseo
che pareva un amorino. Poi Andrea rientrava; il lavoro era finito anche
per lei, i panni si gettavano in tutta fretta nella cesta, ed ella
scattando da sedere si slanciava al collo di lui a dargliene il bacio
del ritorno. Il marito divideva i suoi baci fra lei e il figliuolo: poi
questo nutrito del latte materno si riaddormentava sorridente in mezzo a
loro....
E quei tempi erano iti, e non sarebbero tornati mai più!
Paolina ricordò Marcaccio, il tristo amico d'Andrea, che era venuto a
tôrre quest'ultimo ai suoi più sacri doveri, e un odio immenso assalse
quella povera anima infelice.
Lunga, tremendamente lunga fu quella fredda notte insonne alla moglie di
Andrea; ma pur finalmente ebbe fine ancor essa. Appena un po' di luce
diurna si fu messa in quella nuda soffitta pei cristalli della finestra,
molti dei quali erano sostituiti da fogli di carta, Paolina svegliò il
marito che dormiva tuttora del sonno pesante dell'ebbrezza. I bambini
dormivano eziandio, aggruppati ancora tutti insieme, per riscalducciarsi
l'un l'altro sotto i diversi panni che la madre aveva rammontati su di
loro. Erano pallidi pallidi e livide avevano le occhiaie affondate in
cui stavan chiuse le palpebre; e quella dubbia luce del crepuscolo e il
biancolastro riflesso della neve dai tetti circostanti accrescevano
ancora quel pallore e quella lividezza. L'aspetto loro era tale da
serrare il cuore d'un estraneo non che d'una madre.
Andrea, svegliato, si stirò, mandò un'esclamazione che si convertì in
isbadiglio, e levandosi a sedere di mala voglia sul suo strammazzo,
disse con lingua ancora impacciata per la cotta presa la sera innanzi:
— Che cosa c'è? È già dì?... Brrrr! Fa un freddo indemoniato questa
mattina..... Non hai tu più manco una scheggia di legna da fare un po'
di fiammata?
Paolina non rispose altrimenti che scuotendo desolatamente la testa.
— Ebbene, potevi lasciarmi dormire: riprese il marito con accento di
rimbrotto ed oscurandosi nell'aspetto: almanco non avrei sentito così
presto il freddo. Perchè svegliarsi? perchè alzarsi? Non ho dove andare
a lavorare io; meglio dormire. Potessi dormire per sempre!
— Più sottovoce: disse la moglie mestamente, pianamente, ma con un certo
accento di comando: più sottovoce per non destare i bambini. Loro sì che
bisogna lasciarli dormire, perchè non tornino da svegli a sentir la
fame, essi che non possono e a cui non tocca provvedere ai loro bisogni:
ma noi... noi che dobbiamo pensare e fare..... noi si conviene non
dormire.
— Ah! Esclamò Andrea recandosi le mani alla fronte, come per
raccogliervi le idee.
La memoria degli avvenimenti della sera innanzi glie ne tornò a quel
punto: ma le impressioni che egli ne aveva ricevute erano state così
annebbiate dai vapori dell'ebbrezza, ch'e' non sapeva se quelle erano
vaghe reminiscenze di sogni oppure ricordi veri di fatti.
— Che cos'è dunque avvenuto? Diss'egli quasi esitante. Aiutami un po' a
ricordarmene, Paolina. Ieri sono uscito di qua mezzo disperato per
andare a cercar lavoro e pane pei bambini.
— E non sei tornato più: disse amaramente la moglie: e noi abbiamo
passato eterne ore ad aspettarti invano, i piccini piangendo, io non
sapendo più a che santo votarmi per farli acchetare.
Un'ombra di confusione passò sulla fronte di Andrea.
— Che cosa vuoi? Riprese egli, non senza impaccio. Ho girato mezza città
per trovar lavoro; ho battuto a un centinaio di porte, e sempre
inutilmente. Ero disperato. Non osavo ricomparirvi dinanzi per dirvi:
non ho nulla, non ho trovato nulla, non vi ho portato nulla. Giravo
senza saper più dove batter del capo, quando ho trovato Marcaccio.
Una fiamma passò negli occhi di Paolina.
— Ed io, non vedendoti tornare, ho indovinato tutto: interruppe ella.
Quando la sera fu venuta corsi all'osteria di Pelone. Sapevo che mentre
noi spasimavamo qui, tu eri colà.....
— Paolina! Esclamò il marito con accento di profonda vergogna,
abbassando la testa.
La moglie si arrestò; guardò con occhio pietoso la vergogna del marito
ed ebbe la generosità di non dir più che queste parole:
— E là ti ho trovato.
Andrea allora ebbe come un barlume di memoria che nella taverna era
avvenuto qualche cosa fra sè e la moglie; gli tornò ad un tratto preciso
il ricordo del modo crudele con cui egli l'aveva trattata, del colpo
violento datole da lui, della caduta di essa. Levò gli occhi in volto a
Paolina, come per vedere in quello se ciò era vero. L'aspetto, lo
sguardo, il mesto sorriso medesimo cui abbozzarono le labbra scolorate
della donna gli dissero eloquentemente che sì. Non si parlarono in quel
punto, ma si compresero ambedue: eravi il più profondo pentimento
dall'una parte, il più generoso perdono dall'altra.
Andrea mandò un'esclamazione soffocata e nascose nelle sue mani la
faccia.
Paolina lo lasciò un istante alla sua meditazione; quindi, mettendogli
dolcemente una mano sulla spalla, riprese a parlare.
— Ma non è del ieri che dobbiamo ora occuparci, gli è dell'oggi che ci
si presenta più terribile che mai. Tu non hai mezzo alcuno nè speranza
alcuna di trovar lavoro e guadagni.....
Il marito scosse dolorosamente la testa.
— Ai bambini conviene assolutamente dar pane...
Andrea levò con impeto la testa, contratti spaventosamente i lineamenti
del viso.
— E l'avranno: esclamò egli: l'avranno..... dovessi rubarlo.
Paolina gli mise una mano sulla bocca.
— Oh taci!
Vi fu il silenzio d'un minuto; un penoso silenzio in cui non si udiva
che l'affannoso respiro della povera Paolina.
Fu questa a ravviare il discorso.
— Il padron di casa, diss'ella abbassando ancora la voce, ha minacciato
mandarci via se non gli paghiamo entr'oggi la pigione.
— Gli è dunque vero anche codesto? Esclamò Andrea, il quale erasi
lusingato sino allora di aver solamente sognata una sì brutta novella.
La moglie curvò il capo in segno di dolorosa affermazione.
— Alla croce di Dio! Proruppe l'uomo. Tu vedi bene che non c'è più
scampo alcuno per noi!
— Forse sì che c'è ancora: rispose Paolina. Ho pensato a codesto tutta
la notte, ed ho pregato Iddio, ho pregato tanto che spero non ci
mancherà il suo aiuto.
Andrea scosse le spalle in modo che dinotava nutrir egli assai poca
fiducia in quell'aiuto supremo.
— Il signor Nariccia, continuava la donna, è un uomo religioso.
— È un impostore.
— Ah! non giudichiamo male del prossimo. Pregandolo in nome di Gesù
Cristo, chi sa che non si pieghi a concederci un po' di respiro. Egli va
tutte le mattine al Carmine ad udire la prima messa detta da padre
Bonaventura, che è suo confessore, e che ha una grande influenza su di
lui. Ho pensato dunque d'andar io pure colà, di raccomandarmi a padre
Bonaventura di pregare lui messer Nariccia per le cinque piaghe ad
averci compassione.
— E fa pur così, poichè te n'è nata l'idea: disse il marito con tono di
scoraggiamento; ma non fondarci su molte speranze, chè il cuore di
messer Nariccia è di bronzo, e l'anima di quel gesuita è più nera della
sua sottana... Del resto poi, mettiamo pure che la tua Madonna del
Carmine faccia il miracolo d'intenerire quei sassi, sarebbe già molto,
ma ciò non darebbe ancora per oggi, nè per l'avvenire il pane ai nostri
figliuoli.
— Anche a ciò ho pensato. Dopo la messa del _Carmine_ andrò al palazzo
del marchese di Baldissero....
— Ah! il marchese; disse Andrea con esitazione. Egli ha protestato che
non ci avrebbe mai più dato soccorso nessuno.... Egli ti strapazzerà,
povera Paolina.... Egli ti dirà un mondo di male de' fatti miei.
— Il marchese è di cuore così generoso, che, non ostante tutte le sue
minaccie di non sovvenirci più in nulla, quando sapesse le tristi nostre
condizioni, pur tuttavia non mancherebbe di aiutarci. Ma però ho pensato
di non rivolgermi a lui..... Duole anche a me sentire a dir male de'
fatti tuoi... e non poterti difendere.... C'è in quella casa una
angelica creatura, la quale non può a meno d'aver pietà di noi:
madamigella Virginia; ed ho pensato di parlare a lei.
— Sì, sì: disse Andrea con vivace premura che provava quanto più gli
piacesse che se ne parlasse alla signorina che non allo zio marchese;
sì, rivolgiti a madamigella Virginia. Oh ella non ti respingerà di
sicuro. Anco se messer Nariccia non volesse menomamente cedere alle tue
preghiere, come son sicuro pur troppo che avverrà, da quella brava
signorina potrai avere, per poco che tu sappia fare, fin anco i denari
della pigione.
— Non ne dubito. Ma questo, anche succedendo, come speriamo, se ci trae
dalle tremende strette del momento, non ci salva ancora per l'avvenire.
— È vero: disse il marito con voce appena intelligibile, curvando più
basso di prima la testa.
— Codesta salute, per noi, continuava la donna, non può venirci da altri
che da te. Sei tu che hai da restituire nelle condizioni d'un tempo la
tua famiglia, tornando, come già un tempo, al lavoro.
Andrea non osò ancora levare il capo, nè lo sguardo verso sua moglie.
— Ma se di lavoro non posso trovarne a niun modo: diss'egli con voce
soffocata.
— Ne troveresti cambiando costumi. Sei tu ben deciso a cessare da questo
modo di vita che ha tratto a sì mal passo la tua famiglia?
— Oh sì: rispose il marito.
— Posso io sicuramente prometterlo per te?
— Certo.
— Ebbene, dopo che sarò stata al palazzo Baldissero, correrò
all'officina Benda.
— Ah! il sig. Benda è un uomo ostinato: mi ha già scacciato due volte
dai suoi lavoratoi, non mi riprenderà più la terza.
— Anche colà mi rivolgerò alle donne della casa. La moglie e la
figliuola del signor Benda sono due pietose creature ancor esse.
— Puoi provare: disse Andrea scoraggiatamente: e se riuscirai tanto
meglio.
— Non muoverti dunque di casa fin ch'io ritorni. Se i bambini si
svegliano, prometti loro che alla mia venuta avranno cibo. Di certo non
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