La plebe, parte II - 18

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— Come scrive bene la mia Ester!.... Il padre è un ignorantone; sì,
appena è se di tutti questi segni ne sa capire qualche cosa; ma la sua
figlia volle che imparasse tutto quello che può convenire alla più ricca
e nobil giovane. Le sue mani hanno dita incantate, che fanno tutto ciò
che vogliono, e la sua mente è ricca di tutte le più utili cognizioni
del mondo.... Ed è ricca! Oh oh ricca più di quanto si credono
gl'imbecilli che gridano dietro a me: al vecchio avaro, al sordido
usuraio; quell'ignorantone di suo padre ha saputo agglomerare dei
milioni....
Pronunziò quest'ultima parola con voce più sommessa, quasi temendo che
anima viva la udisse.
— Sissignori, dei milioni: ripetè come per convincere l'incredulità di
qualcheduno.
Si fregò di nuovo con vivo soddisfacimento le mani, poi fattosi alla
botola ed apertala chiamò sua figlia.
— Ester, vieni qui sopra, subito.
La fanciulla non tardò a mostrare la sua bella faccia melanconica nella
camera di suo padre. Questi che l'attendeva in capo alla scala, tornò a
chiudere con attenzione la botola, poi prese per mano la figliuola e la
trasse con sè nell'altra stanza. Colla mestizia della giovane faceva
strano contrasto la lieta animazione che regnava sulla asciutta
fisionomia del vecchio.
— Vieni: diss'egli, conducendo Ester innanzi alla cassi aperta; vieni,
riconfortati, rallegrati anche tu, figliuola mia, delizia mia, nella
vista delle mie ricchezze,.... delle nostre ricchezze. Occhio umano
fuori che il mio ed il tuo non le vede, e spero che non le vedrà mai.
Gli sciocchi fanno ad indovinare: «Oh il vecchio Jacob ha un buon
gruzzolo di denari, ha un tesoro nascosto nella cantina.» Stupidoni! Sì,
che c'è; e nascosto così bene che nessuno lo saprà mai trovare; ed il
mio gruzzolo ed il mio tesoro sono tali, che voi non v'immaginate pure
la metà.... Ah ah! Gli è un bel gusto invero sapere che si è più ricchi
di tutti que' superbi che vi pongono il piede sul collo; e quando vi
oltraggiano, e quando vi fanno un sopruso, dirsi qui, nel fondo del
cuore: «Animale che sei, mi leccheresti la suola delle scarpe se ti
aprissi il mio scrigno; ma di tutto il mio denaro tu non avrai nulla, e
nessuno avrà nulla, no, neppure un centesimo, ed io invece seguiterò a
succiarne da tutti....» Mi chiamano appunto vecchia sanguisuga d'un
usuraio. (Ruppe in una secca risata). E mi chiamano a dovere! Vorrei
succhiarli tutti fino all'ultimo quattrino. Essi ci hanno proibito di
acquistare e di possedere. Mentre per gli altri il lavoro, mercè il
risparmio, genera la proprietà; per noi nulla, a loro concetto, avrebbe
dovuto farci uscire dalla classe dei proletarii. Hanno creduto così
rinserrarci a perpetuità nell'inferno della miseria. Stolti! Stolti!
Mille volte stolti! La ricchezza essi la vedevano soltanto consolidata
nella proprietà immobiliare; e noi ne abbiamo creata un'altra più
maneggevole, più potente, e — merito maggiore — che si nasconde, che
scappa alla loro avidità, che s'insinua dapertutto, che per mezzo del
più ratto soddisfacimento delle passioni dominerà quanto prima il mondo
e loro stessi... e già li domina senza che se ne avvedano. Invano
tentarono privarcene colle confische, colle pressioni, cogli esigli,
colle torture. Noi la portammo nascosta con noi dovunque, come portavamo
la nostra legge, lo spirito della nostra razza, e la speranza
dell'avvenire assicuratoci dai nostri profeti. Della miseria a cui ci
volevano condannare, noi ritenemmo le apparenze, la resistenza alle
privazioni, la tenacia, l'odio rivestito d'umiltà; e ne fummo forti al
doppio. L'oro, la leva dell'universo, è in mano d'Israele! Ci
trasmettiamo di generazione in generazione i tesori e il còmpito
avviluppando lentamente il mondo nelle maglie d'una rete che nulla potrà
rompere. Un giorno saremo padroni del credito, saremo padroni del
mercato, saremo padroni della società. A me mio padre lasciò un tesoro
che basterebbe a comprare i più bei palazzi di Torino; io questo tesoro
l'ho raddoppiato...
Si tacque un istante e mandò quel suo soffio affannoso che gli era
solito.
Ester ascoltava tutte queste parole colla testa china, senza dare il
menomo segno d'interessamento. Jacob le prese il mento fra il pollice e
l'indice della sua mano destra e le fece sollevare il viso.
— Ebbene, soggiunse, che cosa ne dici, Esteruccia mia? E perchè non ti
rallegri? Hai capito quel che ti ho detto? Sei pur capace di apprezzare
le mie parole tu?
La fanciulla rivolse il suo sguardo alquanto peritoso sul padre e disse
esitando:
— Pensavo una cosa.
— Che cosa?
— Quelle ricchezze così sotterrate a che cosa servono? Anche per chi le
possiede, se non ne trae utilità di sorta, non sono elleno come se non
esistessero?
Jacob arretrò d'un passo coll'aspetto d'uno spiacevole stupore.
— Ecchè? Sei tu, figliuola mia, che mi parli in questo modo? A che cosa
servono? Dio d'Abramo! Servono ad averle; servono a farcene beare colla
loro vista, a darcene il diletto di maneggiarle in segreto, di vedersele
aumentare giorno per giorno; servono che ciò che abbiamo in nostro
potere noi, siamo certi che è tanto di sottratto agli altri... Oh che
non sei del mio sangue se non capisci codesto!.... Per la pietra di
Oreb! Oh sentiamo un po' a che cosa pensi tu ch'esse avrebbero da
servire?
Ester, in presenza della faccia eccitata di suo padre, non si sentì il
coraggio di parlare.
— Di' su, di' su: comandò il vecchio.
— Pare a me: disse allora la giovane timidamente: che il denaro non sia
che la rappresentazione dei beni e dei diletti del mondo, un mezzo per
procurarseli....
— E vorresti procurarteli, privandoti del denaro? Proruppe Jacob, lo
sguardo sfavillante di sdegno. Ma, per la grandezza dell'Eterno! chi ha
potuto far penetrare in te queste false idee speciose?
La prese per un braccio e glie lo serrò con una forza di che non si
sarebbe creduto capace il suo piccolo corpo.
— Con chi hai parlato?
— Con nessuno, con nessuno: rispose affrettatamente Ester atterrita.
Il padre ne lasciò il braccio e disse coll'accento d'una vera emozione:
— Tu non sai qual dispiacere mi hai dato con queste poche tue parole.
Non pronunziarne di simili mai più!.... Voglio sperare — sì, lo credo
anzi — che tu non sei conscia della loro importanza e le hai dette per
giovanile leggerezza soltanto; ma esse mi hanno fatto travedere un
pericolo, cui non ho creduto possibile sinora, ma il quale, se
esistesse, guai!.... il pericolo che, spento me, i miei tesori possano
andar dispersi, che tu non che continuare l'opera mia, quando io non sia
più, empiamente la distrugga. Se ciò avesse da essere, Ester, guarda!
preferirei gettare i miei tesori nel più profondo abisso..... e quanto a
te, preferirei che tu non fossi nata.....
— Padre! Esclamò la fanciulla tendendo le braccia supplichevoli.
Arom prese un accento dolcereccio e che voleva essere affettuosamente
persuasivo:
— Tu non le dirai mai più queste cose, non è vero? E ti guarderai ben
bene eziandio dal pensarle, neh Esteruccia mia? Sai se ti voglio bene!
Sei la pupilla degli occhi miei. Anche per te io mi sono rallegrato
molte volte di avere raccolto tanto tesoro. Tutto questo, mi sono detto,
rimarrà a mia figlia. Te — te sola al mondo — ho fatto partecipe di
tutti i miei segreti; ti ho aperta sempre l'anima mia dinanzi — come il
mio scrigno — e ti ho lasciato vedere per entro. Ho voluto che fin da
giovanetta tu gustassi l'impareggiabile diletto di possedere e di saper
di possedere. Ho sperato, anzi ho creduto che le mie idee passassero in
te, che la mia anima informasse al suo stampo la tua. Tu sei il sangue
dei mio sangue, sei la carne della mia carne; devi continuare tuo padre
nell'esistenza terrena, come io ho continuato il mio, il quale aveva già
dal suo attinto propositi e carattere, e così via via, per generazioni e
generazioni. Ma se tu mancassi alla mia speranza, se tu mancassi al tuo
dovere; oh te lo affermo, io ti strapperei dal mio cuore, come si
strappa un membro guasto dal corpo, io riconoscerei che tu non sei
generata dall'anima mia, non ti avrei più qual figlia; e quand'anche
fossi morto, la mia maledizione, che affido nelle mani dell'Eterno, ti
colpirebbe come ingrata e spergiura.....
— Oh! non dite così, padre: tornò ad esclamare la giovane, più pallida e
più turbata di prima. Non badate a quelle mie parole... Dissi a caso...
senza rifletterci.....
— Va bene, va bene: continuava il padre; ti credo, mi piace crederti.
Mia figlia non può nutrire colpevoli desiderii... Ad ogni modo
ascoltami. Se sei degna di me, mi comprenderai. Vi hanno per l'uomo
godimenti materiali e godimenti ideali. Quelli soddisfano il corpo,
questi lo spirito; i primi sono volgari, son bassi, son vili; gli altri
son nobili, sono i soli degni di esseri eletti. La nostra razza, prima e
più nobile di tutte, manifesta la sua supremazia nel suo idealismo...
Ora anche nel godimento del denaro vi è questa distinzione, e non si
contentano della parte migliore quelli che hanno scelto le soddisfazioni
materiali. Spendendo il denaro, io non posso avere che questo o quel
diletto particolare, concreto, transitorio, consumato il quale nulla più
mi resta in mano; conservandomi l'oro invece, appunto perchè esso è la
rappresentazione di tutti i beni del mondo, io continuo a possedere in
potenza tutte le cose rappresentate, ogni delizia dell'universo; non lo
immaterializzo, non lo impiccolisco in cosa particolare, ma ne godo in
modo ineffabile, astrattamente, idealmente, perpetuamente, senza
soluzione di continuità.
I suoi occhi brillavano per una strana voluttà, le sue mani tremavano
per commozione. Ester rimaneva immobile, il capo chino, pallida e muta.
Povera Ester! Come diversamente intonata da quella del padre era in quel
tempo l'anima sua!
Fino ad una data epoca, ella aveva vissuto della vita di suo padre,
aveva pensato, voluto, desiderato col pensiero, colla volontà, coi
desiderii di lui. Il sangue che le correva nelle vene si commuoveva,
come quello di chi glie l'aveva dato, allo aspetto dell'oro; aveva ella
udito, fin da quando primamente potè intendere parola, magnificar sempre
e tanto quella ricchezza di cui sì accuratamente si nascondeva il
possedimento che, senza comprendere ben bene che cosa essa fosse, senza
domandarsi menomamente allora a che cosa servisse, aveva posto ancor
ella nel denaro un culto devoto. Jacob aveva avuto allora nell'anima
della figlia un'appendice, per così dire, della propria. Quindi non
esitava punto, innanzi ad essa, a manifestare il suo pensiero ed a
ricorrere le proprie azioni ed a ripetere i proprii disegni, come fa
l'uomo che parla a se stesso e con sè. Le orecchie della giovinetta
avevano udito quello che nissuna creatura vivente non aveva dovuto e non
dovrebbe saper mai.
Allevata in mezzo alle privazioni poco men che della miseria, sapendo
ciò nulla meno che il suo piede calpestava immensi tesori che sarebbero
stati, che eran suoi, Ester aveva accresciuta da ciò quella forza di
volontà che già aveva recata dalla natura, aveva concentrato e
rinvigorito ancora un carattere ardente e risoluto, a cui dava novello
rincalzo la dissimulazione, ed aveva acquistata una certa persuasione di
potere quasi di sicuro conseguire ciò che volesse, quel dì che
potentemente volesse.
Un giorno era avvenuto, nella monotonia invariabile della sua esistenza,
un fatto semplicissimo che pure aveva posto in lei il germe d'una
interna, compiuta rivoluzione. Un nuovo elemento era entrato nell'anima
sua, il quale doveva svolgersi a poco a poco, ingrandirsi, diventar
predominante e passar quindi sopra ed innanzi a quegli altri pochi ed
aridi affetti che la occupavano dapprima. La sua esistenza erane stata
come divisa in due. Il primo periodo tutto silenzio e tenebre;
un'indifferenza accompagnata da un assopimento dell'anima. Il secondo un
risveglio, una luce nella notte interiore, la rivelazione d'un Dio sopra
un misterioso Sinai dell'affetto e del pensiero; l'accensione d'una lava
che si comprimeva sotto le sembianze dell'antica apatia.
Questo fatto così fatalmente efficace era stata la comparsa in quella
stanza terrena dove Ester soleva lavorare, di Gian-Luigi.
La figliuola di Jacob non aveva allora che quattordici anni, e fino a
quel punto l'assopimento dell'anima e del corpo l'avevano mantenuta in
una apatia che non era, ma quasi poteva uguagliare la innocenza che
ignora. Però sotto quell'indifferenza il precoce sviluppo del fisico e
l'audace natura dell'intelletto preparavano celatamente le materie
infiammabili della passione. Nel suo sangue era il germe dell'ardore
orientale della sua razza. Nella sua bellezza come nella sua natura
c'era la tremenda potenza di voluttà della Sunamite.
La bellezza non era ancora apparsa agli occhi suoi sopra nessun volto
d'uomo, da nessun occhio di giovane aveva visto raggiare quel baleno di
sguardo che penetra nell'anima; una lusinga, una provocazione, una
fiamma. Gian-Luigi aveva nella persona la venustà d'una statua greca,
nella fierezza del sembiante l'autorità d'una supremazia data dalla
natura, nei modi l'agiatezza elegante del gran signore, negli occhi neri
il fascino seduttivo di cui Mefistofele aveva armato Fausto contro la
povera Margherita. Quella prima volta, Ester non l'aveva visto che pochi
minuti, poichè il padre erasi affrettato ad allontanarla; ma
l'impressione era tuttavia stata in essa viva e profonda. Più tardi,
frequenti volte era avvenuto che il giovane comparisse in quella
squallida dimora; e lo faceva con quell'aria di padronanza che a lui era
naturale e cui, verso il vecchio ebreo, erano tante le ragioni a
giustamente attribuirgli. Ester, partendo, mandata di sopra dal padre
sempre sospettoso, scambiava con lui uno sguardo; e quello sguardo era
una confessione, era poco meno che una promessa, cui Gian-Luigi non era
tale da lasciar cadere inefficace.
Un giorno, parecchi mesi prima dell'epoca in cui si svolge il nostro
racconto, Jacob aveva dovuto recarsi a Genova per gli affari suoi, e
Gian-Luigi lo sapeva. Il vecchio ebreo contava sulla fedeltà di Debora,
obliando come l'oro vinca fedeltà ben più salde che non quella d'una
vecchia fante, specialmente di tale che era invecchiata in mezzo a gente
che avaramente idoleggia il denaro. Gian-Luigi comprò la serva e fu
l'amante di Ester. Da quel giorno, per costei cominciò una esistenza di
tormenti indicibili. Ella sapeva quanta ferocia si nascondesse sotto la
finta mansuetudine di suo padre; ella conosceva l'odio accanito contro i
cristiani che contenevasi nella debolezza di quel vecchio; — e il suo
amante era un cristiano! Nessuna speranza adunque di lieta conclusione
all'amor suo, fuorchè in una sventura, il pensare soltanto alla quale,
non che desiderarla, era una colpa: voglio dire la morte del padre.
Questi le aveva detto infinite volte la onnipotenza della ricchezza; ed
Ester si sapeva assai ricca. Quella tanta quantità di oro accumulato
avrebbe potuto far superare ogni ostacolo. Sì; ma fra quell'oro e lei
c'era il padre... Ella scacciava con raccapriccio siffatte idee, e si
abbandonava alla fiducia dell'ignoto. Una fiata un leggier barlume di
speranza era balenato alla misera fanciulla. Jacob, secondo che soleva
di frequente, magnificandole quelle ricchezze che aveva raccolte e la
potenza loro, era uscito in queste parole:
— Tutto questo sarà tuo... Bisogna cercarla col lanternino una
principessa che ne abbia altrettanto. Tu potresti volere a tuo sposo non
so chi, che l'avresti vinta.
— E voi, padre: diss'ella palpitando: voi mi lasciereste sposare
quell'uomo che desidererei?
— Certo che sì: rispose il padre colla sua finta bonarietà.
L'anima della giovane si allargò nella subita invasione d'una speranza
piena di gioia.
— Perchè, soggiungeva il vecchio, sono più che persuaso come tu non
desidereresti se non tale che a te ed a me convenisse pienamente. Voglio
dire un israelita del mio stampo, che la pensi come penso io, che sia
capace di fare quel che faccio io, e che sapendo continuare la mia
opera, sia degno effettivamente di diventarmi figliuolo.
Ester chinò il capo e non parlò più.
Dal momento poi in cui si era accorta d'esser madre, per la figliuola di
Jacob s'accrebbero a mille doppi i tormenti, le paure, le angoscie
crudeli dell'animo. Gian-Luigi inoltre aveva di molto diminuita la
frequenza delle visite che le faceva nelle assenze del padre; e la
infelice ragazza s'accorgeva pur troppo che questa era una diminuzione
d'amore; se pure mai aveva meritato questo nome sublime, il sentimento
che aveva tratto quel seduttore ad abusare dell'imprudente abbandono di
Ester.
— Tu mi hai capito bene, figliuola mia, non è vero? Dopo una pausa
riprendeva Jacob in quel colloquio con sua figlia, il quale aveva luogo
innanzi alle ricchezze della cassa di ferro spalancata. Tu, per essere
degna figliuola di tuo padre, per corrispondere al tanto affetto ch'e'
ti porta, tu amerai l'oro di quel vero amore con cui deve essere amato,
con quel giusto amore che si merita; tu odierai i cristiani con quel
vero e giusto odio che si meritano.
Ester si riscosse, impallidì e tacque.
— Un giorno penserò a darti un compagno che corrisponda alle ragionevoli
esigenze tue e mie; un compagno che s'immedesimi in noi e nei nostri
disegni e propositi, che mi aiuti quando io sia stanco affatto e
impotente..... Oh! non sarà tanto presto. Io mi sento forte e robusto, e
qui dentro ho un vigore nella volontà, che non accenna a venir manco. Tu
altresì sei tanto giovane ancora!.... D'altronde non sarà mica il primo
venuto a cui vorrò dare questo tesoro di bellezza, di istruzione e di
virtù.....
Accarezzò il mento della figliuola che rimase impassibile e fredda come
una statua.
— Il più bel fiore d'Israele, senza contare le sue ricchezze. Voglio che
sia un israelita su cui si compiaccia l'occhio dell'Eterno e lo spirito
dei nostri padri.... e che conosca per bene le ragioni del nostro
commercio.
Ester, come fastidiata da siffatto discorso, interruppe:
— Devo dunque scrivere sul libro dell'avere questi guadagni del giorno?
Diss'ella.
— Sì, e scrivi le nuove cifre sulle polizze dei sacchetti.
La giovane si pose all'opera; il padre, guardando di sopra la spalla di
lei seduta seguitò cogli occhi la penna che rapidamente tracciò quelle
cifre che occorrevano; poscia libri e sacchetti furono riposti nella
cassa, questa venne chiusa accuratamente, e le chiavi nascoste dove
erano prima.
— Ah! Esclamò allora Jacob soffregandosi di nuovo le mani: ecco una
mattinata che è andata bene. Mi sento appetito. Andiamo a mangiare la
minestra che ci ha preparato Debora.


CAPITOLO XVI.

Il dottor Quercia era aspettato dalla contessa di Staffarda e i
domestici senza indugio gli aprirono le porte che conducevano nel
riposto gabinetto di lei.
Candida lo accolse con un freddo saluto, fece affrettarsi la cameriera
che finiva la delicata ed importante opera della pettinatura e la
congedò sollecitamente.
— Voi avete ricevuto il mio biglietto, contessa? Domandò il giovane
appena fu solo con lei.
— Sì: rispose la donna con asciutto contegno; ma il laconismo di esso mi
ha spiegato poco e mi ha fatto pensar molto. Spero che voi ora mi
chiarirete di tutto.
— Certo! Son persuaso che voi tuttavia avrete fatto ciò di cui vi
pregavo.
— Esattamente. Ho parlato a mio marito ed ho scritto a mio padre.
— Che cosa disse il conte?
— Che si sarebbe recato subito dal generale Barranchi.
— Bravo conte! E il barone La Cappa?
— Mi rispose questo bigliettino.
Prese sopra la tavoletta una cartolina ripiegata e la porse a Luigi.
Questi lesse le parole seguenti:
«Qual interessamento prendi tu per quei due giovani scapati? Io li
conosco di nome e so che appartengono a quella impertinente razza di
liberali che non è male corregger di quando in quando con qualche buona
strigliatina. Lascia un poco che la Polizia tenga per alcuni giorni a
temperare all'ombra il cervello esaltato di questi giovinotti, e non vi
sarà male nessuno. Prima di recarmi a disturbare S. E. il Governatore,
aspetto che tu insista, se lo crederai opportuno, nella tua domanda.»
Un amaro sogghigno si dipingeva sul volto di Luigi mentr'egli veniva
leggendo la letterina del padre di Candida.
Questa intanto con uno sguardo fisso che avreste detto corrucciato,
quasi ostile, esaminava la fisionomia del giovane. La pallidezza delle
guancie, la livida riga che ne disegnava le occhiaie, l'espressione di
abbattimento doloroso che aveva il suo volto, dinotavano come non
fossero state ore di riposo per lei quelle che avevano tramezzato fra il
ballo della notte e quell'abboccamento.
— Cospetto! Disse Luigi con ironia, quando ebbe finito di leggere. Il
signor barone, vostro padre, è più realista del Re e più poliziesco
della Polizia.....
— Signor Dottore: interruppe seccamente la contessa: vi prego di non
dimenticare che parlate a me, di mio padre.
Luigi alzò vivamente il capo a guardare in viso la donna, come stupito e
dell'osservazione e dell'accento con cui era fatta. Vide quella certa
ostilità a suo riguardo, che ho detto, negli occhi di lei, e ne cercò
fra sè la possibil cagione. Le pupille dei due giovani stettero un
istante fisse le une nelle altre; poi, come sempre le avveniva, come
avveniva a tutti, la donna dovette abbassare le sue innanzi al bagliore
di quelle di lui. Egli intanto aveva trovato la ragione del segreto
corruccio di Candida; s'era ricordato del dialogo che aveva avuto con
essa la notte, in quel salotto dell'_Accademia Filarmonica_, dove la
marchesa di Baldissero aveva poi superbamente e indirettamente
ripigliata e sermoneggiata la contessa Langosco. Sorrise: studiò un
momento qual mezzo avesse da prendere per vincere siffatta ostilità, e
decise attenersi alla dolcezza, perchè, rifacendosi a parlare, scelse
nella sua voce le note più soavi e simpatiche onde tanta efficacia egli
poteva avere sul cuore altrui.
— Ah! io sono ben lontano dal voler dir cosa che possa offendere tuo
padre, e dispiacere a te: diss'egli prendendo alla contessa una mano e
baciandogliela con amoroso ardore.
Quella voce, alla povera donna innamorata, fu come una tenera carezza in
sull'anima; a quel bacio sulla destra un brivido di sensazione
dolcissima le corse tutti i nervi. Pure levò via la sua mano di mezzo a
quelle e di sotto le labbra di Luigi.
— Che cosa credete dunque che io debba fare? Domandò la contessa.
— Insistere, per Dio! Rispose vivamente Quercia. Insistere in quel modo
che tu sai, al quale non v'è resistenza possibile.
Candida sorrise con dolorosa amarezza.
— Risparmiatemi queste assurde adulazioni. Troppo vi siete adoperalo voi
stesso a provarmene la falsità col fatto vostro. Ho insistito una volta
sola presso di voi — questa notte — e il mio successo fu tale da non
insuperbirmi.
Luigi non seguitò la donna su questo nuovo campo ch'ella apriva al
discorso. Egli si fece più presso ancora alla contessa, tornò a
prenderle quella mano ch'ella gli aveva tolta, e coll'accento più
persuasivo e più insinuante ond'egli fosse capace, soggiunse:
— E non è più per lettera che tu insisterai presso tuo padre. Quattro
pagine di scritto non hanno l'efficacia di due parole di viva voce dette
da quelle labbra di corallo. Tu darai ordine di attelare i cavalli,
passerai tu stessa dal barone e non lo lascierai più finchè non esca
teco; lo condurrai colla tua carrozza medesima alla porta del
Governatore; ed ecco fatto tutto.
La contessa guardava con una specie di meraviglia quell'uomo che con
tanta sicurezza disponeva di lei.
— Sapete che voi siete un uomo sorprendente davvero!
— Io! Perchè?
— Voi credete di potere in ogni modo e sempre far di me quel che vi
piace.
— Io credo poter fare a fidanza colla vostra generosa bontà.
Candida cedendo all'impeto dei sentimenti che la dominavano, proruppe
con accalorato accento:
— Ieri sera io vi ho implorato in nome del nostro amore, quasi colle
lagrime, coll'oblio certamente della mia stessa dignità...
— Ah! non dite così, contessa.
— Voi foste irremovibile. Voi vedeste il mio dolore e la mia
umiliazione, e nulla potè ispirarvi nemmanco una parola di promessa. Voi
sapeste che mi lasciavate ad una notte di angoscia, ma il vostro egoismo
non se ne diede per inteso...
— Permettete, contessa...
— Questa mattina ricevo un vostro biglietto..... Ho avuta l'ingenuità
d'illudermi un istante. Egli mi scrive, pensai, per temperare con parole
d'affetto la sua cruda ripulsa di ieri sera; forse per promettere al mio
amore quel lieve sacrificio che gli domandò la mia gelosia. Aprii
palpitando quella carta... Ah! non parlava in essa menomamente l'amore.
— Parlava l'amicizia che ho per quei due giovani, i quali hanno bisogno
del nostro intervento. Quando io amo — uomini o donne — amo con ardore;
e quelli per cui vi scrissi mi sono molto cari.
All'udire fatto cenno da Luigi della sua ardenza nell'amare, Candida
atteggiò le sue labbra alla tacita protesta d'un amaro sogghigno. Ora
ella volle parlare, ma il giovane non glie ne lasciò tempo, e
prendendole anche l'altra mano per istringerla insieme con quella che
già teneva fra le sue, continuò egli a parlare sempre più insinuante,
più affettuoso, più seduttivo:
— Ascoltami, Candida, per l'amor del cielo, che io t'ami, e come, hai tu
bisogno ancora d'udirmele a dire ed a giurartelo sull'anima mia? Non
vedi che tutti gli atti della mia vita ad altro non sono intesi fuorchè
a questo unico scopo: vederti, esserti presso, vivere in quell'ambiente
in cui tu vivi, seguirti in quelle splendide sfere che tu, astro
brillante e benigno percorri? L'udire da te manifestato pure un sospetto
sulla intensità e sulla fedeltà dell'amor mio, è per me un oltraggio che
mi offende, e innanzi a cui s'inalbera e riagisce — troppo forse anco —
l'orgoglio della mia natura, la coscienza di non meritarlo. Ecco perchè
ieri sera alla tua domanda opposi forse troppo aspro il diniego...
Serrò con una sola delle sue le piccole mani di Candida, e si passò la
destra sulla fronte e sugli occhi, mandando un profondo sospiro, come
uomo assalito da una delle più penose sensazioni.
— Ieri sera, inoltre, io mi trovava, come mi trovo tuttora, sotto la più
trista impressione d'una delle maggiori disdette che mi sieno toccate.
La contessa vide la bella faccia di Luigi, così abile ad esprimere ogni
fatta sentimenti, dipingersi di tanto cordoglio ed abbattimento che ne
sentì tosto e profondo tocca la sua anima pietosa di donna innamorata.
— Che cosa t'avvenne? Domandò essa vivamente chinandosi verso di lui.
— Nulla, nulla. Non parliamo di ciò...
— Parliamone invece. Tutto ciò che riguarda te, non tocca me pure?...
Dimmi la verità, Luigi.
— Perchè amareggiarti inutilmente?... Volevo che tu nulla riuscissi
nemmanco a sospettare, e ier sera nascosi tanto bene la mia passione,
che tu hai piuttosto accusato l'amor mio che indovinata la mia sciagura.
La necessità di combattere i tuoi sospetti, che troppo sono dolorosi al
mio cuore, mi fece ora sfuggire dalle labbra quelle parole. Ti bastino
per ispiegare il mio contegno, e non voler sapere di più.
— Sì, voglio, e ci ho diritto..... Perchè sarebbe inutilmente ch'io
apprenderei questa tua nuova traversìa? Chi sa ch'io non possa venirti
in aiuto!...
— No: prorruppe con impeto Luigi: questo poi no. Troppo già mi adonto di
quello che hai fatto per lo addietro a mio vantaggio. Non voglio più
nulla da te.
Candida così era chiara di che si trattava. Guardò un istante Luigi che
teneva gli occhi volti alla terra e poi disse:
— Tu hai bisogno di denaro.
Quercia chinò la testa.
— Di molto?
— Moltissimo: rispos'egli a voce bassa.
— Quanto?
— Cinquanta mila lire.
Tacquero un istante tuttedue.
— Oh! come procurarsele? Disse poi la contessa.
Luigi scosse la sua testa leggiadra.
— A questo penserò io; tu intanto, dolce amor mio, non crucciartene. Ho
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