La plebe, parte II - 02
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sonno salutare; vinse il timore e la si allontanò chetamente come la era
venuta.
— Quanto mi ama! Esclamò Francesco, giungendo le mani con un fervido
accesso di riconoscenza. Povera madre mia!
Pochi momenti dopo il giovane vestì il pastrano, si pose in testa il
cappello e pigliate le due lettere che aveva scritte, discese con passo
guardingo nel cortile, passando per la medesima scaletta per cui era
salito. Nell'officina, nelle scuderie, nella casa, tutto era ancora
chiuso, scuro e muto. Francesco picchiò all'uscio della loggia del
portiere e chiamò a voce contenuta ma vibrata:
— Bastiano!
Il grosso uomo che abbiamo già veduto non tardò a rispondere
all'appello, e venne fuori avvolto nel suo pastranone.
— Fa il piacere, gli disse il giovane, apri lo sportello. Ci devono
venire due amici a cercarmi e non voglio che abbiano a picchiare.
Bastiano obbedì senza la menoma osservazione, quantunque trovasse strana
la venuta di visitatori sì mattinieri. Francesco fece avvivare il fuoco
nella stanza del portinaio e sedutosi presso il camino stette
aspettando. Il portiere notò la preoccupazione del giovane, ma non osò
interrogarlo. Il sospetto però che qualche cosa di disaggradevole fosse
avvenuto o minacciasse di avvenire al padroncino lo assalse. Suonavano
le sette all'orologio dell'officina, quando una carrozza si fermò sul
viale dirimpetto al portone della casa, e tosto dopo il dottor Quercia
entrava nell'andito dove Bastiano, mandatovi dal padrone, stava col lume
in mano per guidarlo nel camerino in cui Francesco aspettava.
Non ebbero ad attendere gran tempo che giunse correndo Giovanni Selva.
— Andiamo: disse Francesco alzandosi con risoluzione.
— Ho pensato di venire colla mia carrozza: disse Gian-Luigi; e credo che
la ci può servire.
— Avete fatto benissimo.
I tre giovani uscirono. Bastiano era lì sul passo dell'uscio, col lume
in mano, irrequieto, dubbioso, con ansiosa curiosità. Francesco,
passandogli innanzi, prese a quel brav'uomo una mano e glie la strinse.
— Addio Bastiano: gli disse con accento in cui c'era più affetto che non
nelle occasioni ordinarie.
Il vecchio e fidato servitore sentì un certo rimescolo, che gli parve un
funesto presentimento. Volle parlare e non seppe che cosa dire; volle
trattenere il padroncino e non osò; stette lì intento a guardarlo mentre
attraversava le file degli alberi del viale e saliva coi suoi due
compagni nella carrozza. Questa era già partita, e il buon Bastiano era
ancora là piantato.
— Mah! Diss'egli poi togliendosi da quel luogo e crollando la testa:
tutto ciò mi ha un'aria grandemente sospetta.
Una pallida luce incominciava a diffondersi pel grigiastro orizzonte e
su per la campagna coperta di neve: questa cadeva tuttavia a lenti
fiocchi e tutto era silenzioso come la tomba.
L'ombra d'un uomo, che nessuno aveva scorto, si staccò da una pianta
dietro cui si nascondeva; fece alcuni passi sollecitamente per il viale,
e mandò un fischio: due altre ombre si staccarono dai tronchi degli
alberi, e vennero a raggiungere quella prima; queste due ultime avevano
la montura di carabiniere.
— Al cimitero: disse vibratamente, con accento di comando, il primo di
questi individui colà appiattati: correte.
I carabinieri non aspettarono altro, e presero la corsa nella direzione
medesima per cui s'era avviata la carrozza.
E diffatti queste medesime parole — Al cimitero — aveva dette il dottor
Quercia al cocchiere, salendo l'ultimo nel suo legno; poichè infatti
colà era stato fissato il ritrovo ed il luogo pel duello che doveva aver
luogo quella mattina fra il marchesino di Baldissero e l'avvocato
Francesco Benda.
Quest'ultimo, in carrozza, affidò a Giovanni Selva le lettere che aveva
preparate per suo padre e sua madre, da consegnarsi loro quando a lui
toccasse la peggior sorte; Luigi Quercia diede alcune istruzioni ed
ammonimenti a Francesco intorno al modo di governarsi sul terreno: e
venti minuti non erano trascorsi da che avevano abbandonato la casa
Benda, quando le grigie muraglie del Campo Santo e gli alti filari de'
pioppi nudi di foglie apparvero agli occhi del dottore, che stava
guardando traverso i cristalli.
— Ferma: gridò egli al cocchiere.
I tre giovani scesero di carrozza.
— Gli è qui che ci dobbiamo incontrare cogli avversarii; disse Quercia,
mostrando il viale che conduce all'ingresso principale del Campo Santo.
Siamo noi i primi al convegno, e non me ne dispiace.
Diffatti non c'era anima viva in quel luogo, e Francesco e i suoi
padrini si diedero a passeggiare, aspettando, sulla neve che copriva
tutta la strada.
CAPITOLO II.
Poco tempo dopo la uscita di Francesco, l'officina Benda era tutta in
moto, e si svegliava altresì la casa del proprietario di essa. Gli
operai avevano cominciato il lavoro, i tanti rumori delle diverse opere
s'intrecciavano e si confondevano in un rumor solo, gli alti camini de'
fornelli fumavano, le fiamme delle fucine si curvavano e strepitavano
candidissime al vento de' mantici che soffiavano con pesante raucedine,
la voce sonora d'alcuni lavoratori accompagnava col canto il batter de'
martelli sulle incudini, e su tutto questo seguitava a cadere lenta
lenta a larghe falde la neve.
Il signor Giacomo, il principale, secondo il solito è sceso un dei primi
nell'officina a dare gli ordini opportuni, a curare l'avviamento de'
lavori, a provvedere con intelligente prontezza intorno a quanto occorra
per la mattinata. È un uomo che passa i sessant'anni, ma forte e
robusto. La razza laboriosa e dura alle fatiche a cui appartiene, lo
stampo dell'uomo nato pel lavoro manuale che fu quello dei suoi
maggiori, si scorgono ancora in lui, mentre nel figliuolo, che ha il
vantaggio di costituire già una terza generazione in quella famiglia di
agiati, la cui ricchezza cominciò coll'opera dell'avolo, nel figliuolo,
dico, quello stampo e l'indizio della razza di proletario sono quasi
affatto scomparsi. Giacomo, giovane, lavorò ancora materialmente e
indefessamente sotto la vigilanza di suo padre che non era stato
tuttavia assalito dalla malattia moderna dell'ambizione di imbrancarsi
ad una più alta sfera sociale che la sua non fosse. L'abitudine
dell'operosità aveva in Giacomo lasciato svolgere molti de' germi fisici
e morali della sua natura originaria d'operaio: nel figliuolo invece,
l'educazione signorile e il frequentare la classe oziosa ed elegante,
hanno con un ambiente diverso prodotto altri gusti, altre qualità, altre
tendenze, quasi direi, altre forme esteriori altresì.
Giacomo è piuttosto basso di statura, grosso e tarchiato, ha una testa
voluminosa, colla fronte bassa e quadrata, e con una folta ed arruffata
capigliatura tutto grigia. Nel volto ha il colore acceso dei
temperamenti sanguigni, e l'aria franca e decisa d'un'indole generosa e
d'un carattere fermo; la forza della volontà gli si appalesa nello
sguardo sicuro, nelle linee nette ma non dure della bocca facilmente
dischiusa al riso. Cammina quasi sempre affrettato, come uomo spinto da
premurose bisogne, le spalle rotonde, il passo pesante, le mani in
tasca. Parla piuttosto volentieri, e, quando discorre della sua
industria, come di cosa che conosce a perfezione, parla con una certa
caldezza ed evidenza che non tornano disgradite; ma pur troppo non sa
nulla più in là delle cose del suo mestiere, e discorsi di arte,
letteratura e politica lo fanno sbadigliare. Veste ricchi panci senza
affettazione, anzi senza eleganza affatto: e le sue mani corte, tozze,
rugose, di color bruno, colle dita a punte quadrate, sono
irreconciliabili nemiche coi guanti.
Quella mattina in cui Francesco andò a battersi col marchesino di
Baldissero, adunque, il sig. Giacomo, fatta la sua solita comparsa e il
suo solito giro nell'officina, attraversava il cortile per rientrarsene
in casa, quando, alzato il viso vide dietro i cristalli d'una finestra
l'allegra faccia color di rosa d'una fanciulla sorridergli amorosamente
con cenno di saluto. Era sua figlia Maria, che, saltata giù allor allora
dal letto, tutto arruffata ancora le sue abbondevoli chiome di color
castano, veniva a contemplare il cader della neve coi suoi grandi
occhioni neri pieni di dolcezza e di giovanile allegria. La sorella di
Francesco non avrebbe potuto essere esaltata come un tipo di bellezza.
Le irregolarità delle sue fattezze erano troppe in faccia alla severa
esigenza delle regole estetiche. Nulla di men greco della sua fronte un
po' sporgente, del suo naso capriccioso, della sua bocca troppo larga,
de' suoi occhi troppo grandi; ma questa unione di difetti formava un
complesso graziosissimo a vedersi, a cui davano una simpatica
piacevolezza la liscia e rosata carnagione, il fiore della gioventù,
un'espressione indicibile di lieto umore e di bontà. Maria era la
vivacità incarnata della casa, e suo padre soleva chiamarla l'uccello
della famiglia; che infatti il suo frugolo e leggero correr di qua e di
là, e il suo allegro chiaccherare imperlato di risa poteva paragonarsi
al saltellare ed al cinguettìo d'un augelletto.
Vedendo suo padre traversare il cortile sotto il fioccar della neve,
Maria non si contentò di salutarlo col moto del capo e col sorriso; aprì
vivamente le invetrate e porse in fuori alla fredda brezza di quella
mattinata invernale il suo visino color delle rose e le sue labbra color
delle ciliegie.
— Buon giorno, _papalino_: gridò essa coll'accento petulantello d'un
beniamino: hai dormito bene?
Giacomo volle corrugare la sua fronte bassa per darsi un'aria di
severità e di malumore, cui non riuscì a prendere.
— Sei matta? Esclamò egli colla sua voce robusta. Vuoi prenderti un
raffreddore? Aprir la finestra ed esporsi all'aria con questa
temperatura! Dentro subito e chiudi più che in fretta.
La capricciosa ragazza scosse vezzosamente la testa da cui piovevano in
disordine le sue treccie ricchissime.
— Oibò! Sai bene, papà, che io non patisco nulla..... Guarda la bella
neve che vien giù!.... È un piacere il vederla..... Com'è tutto
bellamente bianco, pulito! Si direbbe che la natura ha fatto il bucato
ed ha steso sulla terra le lenzuola..... To' aspettami un momento,
babbo; salto giù e vengo teco a scalpitarne un poco di quella bella neve
che nessuno ancora ha toccato. Voglio mangiarne una bella manciata. A me
mi piace tanto mangiar la neve!
E prima che il padre avesse tempo a dire pure una parola, Maria aveva
richiuso le invetrate ed era sparita dalla finestra; ed un minuto dopo,
per la scaletta da cui abbiam visto passar Francesco, la si precipitava
saltellando nel cortile, coperto il capo da un cappuccio, avvolte le
spalle in un mantelletto.
Fu in un balzo presso il padre che voleva rampognare e non poteva che
sorridere.
— Ah! non far nemmanco mostra di sgridarmi, chè già non ne hai voglia:
diss'ella gettando le sue braccia al collo del padre e baciandolo
sonoramente sulle due guancie. Vedi! A me questo po' di aria libera mi
fa bene.
— Avviluppati, se non altro, con più cura, disse Giacomo, serrando egli
stesso i lembi del mantello al petto della figliuola. Sei tu almeno
calzata a dovere?
— Altro che! Esclamò la ragazza trionfante, e colle due mani sollevando
alquanto la sottana, mostrò sotto i lembi di essa, tendendo il suo
piedino destro, uno stivaletto di cuoio colla pelliccia. Guarda! Potrei
viaggiare per tutte le nevi della Siberia.
E tenendo così sollevate le vesti, la bricconcella, corse senz'altro nel
mezzo del cortile, dove la neve era più alta, affondando in essa fin
quasi alla caviglia: i due cani di guardia imitarono l'esempio della
giovane padrona e lietamente abbaiando, vennero a saltellare intorno e
con lei che si piaceva di eccitarneli con qualche carezza. Il padre,
fermatosi ad un lato, guardava quella piacevol scena e sorrideva
lietamente: sentiva in quel punto tutta la sua felicità paterna.
— E Francesco? Gridò egli in quel punto a Maria, come se avesse bisogno
di associare alle dolci impressioni di quel momento il nome di suo
figlio per averne compiuto il suo diletto di padre.
Maria aveva presa una buona manciata di neve colle sue manine sguantate,
a cui un critico severo non avrebbe potuto trovare che tre difetti:
d'essere un po' rosse, d'aver le unghie un po' corte e non abbastanza
convesse, di avere la punta dell'indice della mano sinistra tempestata
di piccole forature prodotte dall'ago nell'opera del cucire. Levò verso
suo padre la faccia e mordendo tuttavia in quella neve co' suoi dentuzzi
più bianchi di essa, rispose:
— Oh! sor avvocatino dorme. È stato a ballar tutta la notte lui; perchè
egli è un uomo e può andar a ballare.
Giacomo sorrise.
— Vorresti esserci stata anche tu, eh?
— Vorrei di meglio: soggiunse la ragazza ridendo. Esserci stata è tempo
passato, e quello che è passato è passato: vorrei andarci in avvenire.
Crollò le spalle, diede un'abboccata alla neve che teneva in mano e
riprese con tutta filosofia:
— Ma la mamma dice che le ragazze non ci devono andare a quei balli, e
che ci vanno soltanto le maritate, le quali mi pare dovrebbero rimanere
a casa a far le madri di famiglia.... E aspetto adunque d'essere
maritata ancor io per andarci.
E si mise di bel nuovo a saltellare in mezzo alla neve, e i cani di
conserva con lei.
— Che matta! Esclamò col medesimo tono giulivo il padre; ma poi tosto
con accento più serio: — Oh basta ora. Maria, che ti vuoi render
fradicia? Vieni qui subito.
La fanciulla ubbidì senza mostrare troppo rincrescimento, e fu a lato
del padre. Questi le aggiustò alcune ciocche di bellissimi capelli che,
saltate fuori del cappuccio, le cascavano sul volto animato dai più
vivaci colori della gioventù e della salute, e soggiunse:
— Sarai tu sempre bambina quel medesimo? Parli di maritarti, e pare che
non abbia più di dodici anni!
— Oh oh ne ho sedici suonati; disse la giovanetta con tono d'importanza,
tirandosi su della persona.
In quella compariva ad una finestra della casa la buona faccia della
signora Teresa. Essa aveva aperto le invetrate e si sporgeva in fuori,
chiamando suo marito e sua figlia.
— Venite, diceva con voce riguardosa e contenuta: il caffè è pronto.
Maria si cacciava a correre verso la casa, gridando a gola spiegata
colla sua voce fresca ed armoniosa:
— Ah cattiva d'una mamma, me l'hai fatta anche questa volta! — E non mi
hai dato tempo di prepararlo io il caffè..... Aspetta aspetta che vado a
castigartene io con tanti baci da stordirti.
La madre colla mano e colla voce accennò alla figliuola non facesse
tanto chiasso.
— Vuoi azzittire? Tu sveglierai Cecchino che dorme e che ha bisogno di
dormire.
La giovane ammortò i passi e l'allegro suono della voce, ma non cessò di
correre verso la stanza della madre, dove fu in un battibaleno e dove,
gettate le braccia al collo della signora Teresa, mantenne ad esuberanza
la promessa fattale poc'anzi di darle tanti baci da stordirla.
Giacomo sopravvenne un istante di poi, quando la mamma sorridente sotto
quella grandine di carezze figliali, diceva a Maria con ischerzosa
minaccia:
— Vuoi star ferma, diavoletto che sei?..... Finiscila o t'aggiusto io.
— È bella e finita: disse la frugola ragazza, aggiustando in capo alla
madre la cuffia che le aveva mandato di traverso: e poi con tutta
serietà s'appressò al piccolo tavoliere su cui stava preparato il
vassoio colle chicchere e mescette il caffè.
Era abitudine costante di quella buona famiglia il radunarsi la mattina,
appena alzati, tutti insieme a prendere il caffè nella stanza della
mamma. Il padre sedeva sopra il seggiolone più presso al camino (quello
in cui poche ore prima di questo momento abbiam visto Teresa far
adagiare il figliuolo), la madre si assettava sovra una bassa seggiolina
innanzi al marito, e frammezzo a loro due solevano mettersi Francesco e
Maria, quello allato alla mamma, questa al papà. A questa radunanza non
ci mancava mai nessuno, fuorchè il giovane avvocato, quando avea passata
la notte, come ora era il caso, in qualche festa: e l'abitudine di esser
tutti insieme era tale che quelle volte riusciva sempre spiacevole agli
amorosi genitori il veder fra lor due la seggiola vuota, e sul vassoio
una chicchera che non si riempiva.
— È rientrato tardi Francesco stanotte? Domandò Giacomo fra un sorso e
l'altro di caffè.
— Poco più dopo le tre; rispose la madre.
— Tu già, secondo il solito, sei stata aspettandolo!
Teresa fece un piccol moto del capo che voleva dire: — È naturale.
— E questa mattina, continuò il padre, sor Francesco dormirà di sicuro
fino a mezzogiorno.
— Ne ha bisogno: disse vivamente la madre. Quando è rientrato stanotte
non si sentiva bene gran che....
Giacomo levò vivamente la testa, interrompendosi nel sorbire il caffè.
— Non si sentiva bene? Esclamò con vivo interesse.
— Ma non mi parve cosa d'importanza: s'affrettò a soggiungere la madre.
Disse che il troppo caldo gli aveva fatto venire mal di capo. Figurati
che per prendere aria, egli volle venire di Piazza San Carlo fin qua a
piedi.
— Che imprudente!... A rischio di pigliarsi una malattia ed a rischio
altresì di cascar nelle mani di qualcheduno di quei birbanti che pur
troppo tengono il campo la notte, e che formano quella banda che
chiamasi la _cocca_.
— È vero! Esclamò la madre spaventata ora da un pericolo a cui non aveva
pensato dapprima. E noi siamo così isolati e così lontani su questo
viale!
— Lo ammonirò io ben bene perchè ciò non gli capiti più: disse il padre.
E intanto chi sa ora come sta?
— Dorme tranquillamente, e spero che ciò gli vorrà far bene più d'ogni
altra cosa.
— Dorme? Ripetè Giacomo, il quale pareva esitante intorno al pensiero di
andarsene a chiarire coi proprii occhi.
Teresa che sospettò questo proposito nel marito, sapendo come per quanta
cautela egli usasse, il suo passo pesante, avrebbe svegliato il
figliuolo ove Giacomo fossegli venuto in camera, s'affrettò a
soggiungere:
— Sono già andata più volte ad origliare alla sua porta; ho anche
dischiuso pian piano l'uscio e non l'ho udito a muovere menomamente.
— Non l'hai visto in faccia?
— No, perchè la stanza è tutto scura e non volevo accostarmi al letto
per timore di destarlo.
— Hai ragione: disse il marito che capì come quello indirettamente era
un avviso a lui di non volerci andare. Lasciamolo dormire.
In quella s'udì un legger picchio all'uscio della stanza.
— Avanti: gridò Giacomo; e un domestico aprì il battente e mise dentro
la testa.
— C'è una povera donna che domanda di parlare a Madama.
— A me? Disse Teresa. Una povera donna? Non ha detto chi sia?
— No; rispose il domestico, ma io l'ho riconosciuta.
— E chi è dessa dunque? Domandò a sua volta Giacomo volgendo la testa
alla porta.
— Gli è quella poveretta che già venne parecchie volte a domandare
l'elemosina; la moglie di quell'operaio che lavorava qui nell'officina e
che si fece mandar via perchè era sempre ubbriaco.
Giacomo scosse la testa.
— Eh! questa non è un'indicazione precisa. Pur troppo sono parecchi gli
operai che debbono avere tal sorte.
— Quella mingherlina, malaticcia, nera di capelli; soggiunse il
domestico; a cui non è più d'un mese. Madama inviò in un fagotto alcune
vesti ed alcune biancherie.....
— Ah! Paolina: esclamò Maria, battendo le mani tutto lieta d'aver
indovinato; la moglie di quell'Andrea.
— Precisamente: disse il domestico: ora mi ricordo anch'io del nome.
Giacomo si alzò da sedere.
— E vuol parlare a mia moglie?
— Sì signore.
— Uhm! Gli è per domandare nuovi soccorsi.... Tu farai quello che vuoi,
Teresa, ma qualunque cosa tu le dia, gli è tanto che aggiungi a mantener
i vizi di quell'ubbriacone di suo marito.
— Giacomo! Mormorò la moglie con accento tra di supplicazione, tra di
rimprovero.
— Ti dico che ti lascio fare quello che vuoi: soggiunse vivamente il
marito che comprese quella velata rampogna; ma le mie parole sono vere
come il vangelo. Oh guarda, ne vuoi una prova? Tu le hai mandato vesti e
biancherie non è molto tempo: ebbene io son sicuro che non hanno più
nulla di nulla, nè la donna nè i bambini.
E rivolgendosi al domestico:
— Di' un po' tu; come la è vestita?
— Oh a strappi che la è una compassione, precisamente com'era quando
Madama le ha dato le vesti.
— Vedi! E se mai tu entrassi nella soffitta di quella gente, vedresti i
bambini senza uno straccio di camicia addosso. Ora vuoi tu sapere che
cosa ne fu di tutta quella roba che le hai dato? Sor Andrea l'ha venduta
per pochi soldi affine di andarsi ad ubbriacare. Ora io mi domando se
non è un alimentare il vizio il far carità a quella razza di gente.
Teresa non pareva molto convinta di quell'argomentazione del marito, ma
non sapeva trovare una parola da opporvi; ben la trovò Maria che
vivacemente proruppe:
— Ah babbo!... E i bambini?
Giacomo guardò sua figlia come sovraccolto; stette un poco e poi disse:
— Hai ragione. I bambini non ci hanno colpa e qualche cosa per essi non
convien rifiutarlo.
Teresa colse a volo questa più esplicita permissione maritale, sorse
lesta e frugando nelle profonde saccoccie del grembiale che portava
dinanzi, ne trasse un pizzico di monete che andò a porre nella mano del
domestico.
— Prendete, recatele codesto.
Quando il domestico fu uscito. Maria disse a mezza voce:
— Sarebbe forse stato meglio che l'avessimo ricevuta quella povera
donna.
Il padre che udì quelle parole si volse alla figliuola con qualche
vivacità:
— Avresti udito dei piagnistei che ti avrebbero commossa inutilmente.
— Perchè inutilmente?
— Perchè rimediare a quei mali ti sarebbe impossibile.....
— Impossibile! Esclamò la ragazza crollando la testa. Non siamo noi
ricchi?
Giacomo sorrise.
— Bambina! La nostra ricchezza non tarderebbe a sfumare, se tu volessi
riparare dalla miseria i poveri che ti domandano soccorso. L'elemosina
non può che recare un rimedio temporaneo; e dev'essere così, altrimenti
non ci sarebbe giustizia, ed una malintesa carità premierebbe
l'infingardaggine. Dà retta. Io credo usare assai meglio dei miei
capitali impiegandoli nella mia industria e facendo così guadagnare il
vitto a tante famiglie di laboriosi operai, che non se dividessi le mie
sostanze con tre o quattro miseri per farli vivere nell'ozio in
un'agiata mediocrità.
Maria non capì bene del tutto la teoria economica cui adombravano le
parole di suo padre, ma sentì pur tuttavia che in esse vi era un fondo
di vero. Stava per muovere una sembianza d'obbiezione affine di farsi
spiegar meglio la cosa, quando il domestico si presentò di nuovo
all'uscio.
— Quella donna, diss'egli, ringrazia con tutto calore Madama della sua
carità, ma insiste, piangendo, perchè voglia farle la grazia di
riceverla, e dice che questa sarà una carità più fiorita ancora.
Teresa, avvezza a dipendere in ogni cosa dalla volontà di suo marito,
volse verso di lui uno sguardo interrogatore; ma quella petulantella
d'una Maria, senz'attendere dell'altro, esclamò tutto animata:
— Oh sì, sì, bisogna riceverla.... Fatela venire.... Non è vero, mamma,
non è vero, babbo, che bisogna farla venire?
Il padre fra il pollice e l'indice della mano destra prese il mento di
Maria e disse scherzosamente:
— Che testolina che vuol fare a suo modo!... Ricevete pure quella povera
donna. Voi siete due buone anime pietose, ed è anche necessario che si
dia alimento alla vostra pietà. Badate però che non bisogna mai credere
tutto quello che contano i poveri per eccitare la compassione
altrui.....
S'interruppe come pentito d'essersi lasciato sfuggire queste parole.
— Però, riprese, non è mai in codesto che il lasciarsi ingannare sia
colpa nè disdoro.
Il domestico era ito a prender la donna; Giacomo s'avviò alla porla che
metteva nella sua stanza e nel suo studiòlo.
— Vi lascio in santa libertà.
Era già mezzo fuor dell'uscio, quando il bravo uomo si rivolse indietro
a soggiungere:
— Quella poveretta, venendo fin qua per questo tempo, sarà tutta
immollata. Potreste darle la tazza di caffè che non ha presa Francesco.
E sparì chiudendo l'uscio dietro sè.
— Com'è buono il babbo! Esclamò Maria. Con tutte le sue teorie
utilitarie ha un cuore più tenero del nostro.
E chi avesse voluto in quel medesimo istante avere una prova del cuore
tenerissimo che albergava in quel corpo di grossolano aspetto, non
avrebbe dovuto che seguire il buon Giacomo quando uscì della stanza di
sua moglie.
Egli s'era avviato verso il suo studiòlo, ma non aveva fatto la metà del
cammino che aveva cambiato direzione e s'accostava alla camera in cui
credeva che dormisse il figliuolo. Giuntone all'uscio, si fermò, stette
un momento ascoltando, posò piano piano la destra sulla gruccia della
serratura ed aprì, poi spinse il battente e cacciò dentro lo sguardo: la
stanza era tutto scura da non potercisi vedere null'affatto. Volendo
ficcare in mezzo ai battenti la sua testa, Giacomo spinse ancora un poco
l'uscio, e questo mandò uno scricchiolìo. Il brav'uomo trasalì, come
spaventato, rimase immobile a quel posto un istante, e poichè nulla udì
muoversi tuttavia, mandò un sospiro, richiuse piano piano la porta e
disse seco stesso:
— Per fortuna non s'è desto. Povero Cecchino! Lasciamolo dormire.
E se ne andò adoperando ogni possibil cautela per ammorzare il suo passo
pesante.
Paolina frattanto era stata introdotta nella camera della signora
Teresa, dove quest'essa e la figliuola Maria stavano aspettandola.
Nella prima parte di questo racconto, abbiamo visto la infelice donna
andar cercando suo marito Andrea nella ignobile taverna di mastro
Pelone, affrontare i mali trattamenti di Andrea e le insolenze del
perfido amico di lui, Marcaccio, ma riusciva pur tuttavia a trarsi seco
il suo uomo per ricondurlo alla denudata soffitta dove aspettavano pane
i loro figliuoli. Abbiamo visto come fosse tale il miserevole aspetto di
questa donna da ispirar compassione a chiunque la mirasse; livida,
macilenta, strappata, senza forze qual essa era[1]; ora, nel momento in
cui timorosa, tremante per emozione e per freddo, gli occhi rossi, ella
si presentava sulla soglia della stanza della signora Teresa, la notte
che era trammezzata, pareva aver condotto sul capo a quella infelice un
doppio cumulo di anni, di stenti, di dolori e di fisica infermità.
Paolina si fermò un istante come per prender fiato; il petto le ansimava
penosamente; la sua tosse profonda suonava più cupa e più dolorosa che
mai ad udirsi; le sue povere vesti, sottili pel rigore di quella
stagione, le stavano serrate addosso sulle gracili membra, immollate
com'erano dalla neve piovutale su per la lunga tratta di cammino che la
misera aveva fatto a venir sin lì. Girò essa gli occhi intorno quasi
smarrita; volle parlare per dare un saluto, ma dalle tremole labbra
allividite non uscì che un balbettìo di debol voce; esitò, fece uno
sforzo ancora per avanzarsi e parlare; e ruppe in pianto disperatamente.
[1] Vedi _I Derelitti_, capitolo VII.
Teresa e Maria le furono accosto con affettuosa premura; la presero per
quelle mani magre, quasi diafane, fredde come ghiaccio e la trassero
vicino al fuoco; le dissero generose e soavi parole di incoraggiamento,
d'interesse e di compianto.
— Sedete qui, povera donna; e Teresa le additava la bassa seggiola, su
cui stava poc'anzi ella stessa: riscaldatevi un po'..... Santa Madonna
della Consolata, come siete tutta fradicia!... Lì, così: via, calmatevi;
abbiate coraggio... Vi è capitata qualche disgrazia?... Fiducia nella
Provvidenza, mia cara, e rassegnazione ai voleri di Dio.
Maria frattanto, con quella leggiadra lestezza di mosse che le era
particolare, aveva riempito di caffè una delle tazze che col vassoio si
trovavano tuttavia sul tavolino, ed agitando in essa il piccolo
cucchiaio d'argento per farvi fondere lo zuccaro, la porgeva a Paolina,
venuta.
— Quanto mi ama! Esclamò Francesco, giungendo le mani con un fervido
accesso di riconoscenza. Povera madre mia!
Pochi momenti dopo il giovane vestì il pastrano, si pose in testa il
cappello e pigliate le due lettere che aveva scritte, discese con passo
guardingo nel cortile, passando per la medesima scaletta per cui era
salito. Nell'officina, nelle scuderie, nella casa, tutto era ancora
chiuso, scuro e muto. Francesco picchiò all'uscio della loggia del
portiere e chiamò a voce contenuta ma vibrata:
— Bastiano!
Il grosso uomo che abbiamo già veduto non tardò a rispondere
all'appello, e venne fuori avvolto nel suo pastranone.
— Fa il piacere, gli disse il giovane, apri lo sportello. Ci devono
venire due amici a cercarmi e non voglio che abbiano a picchiare.
Bastiano obbedì senza la menoma osservazione, quantunque trovasse strana
la venuta di visitatori sì mattinieri. Francesco fece avvivare il fuoco
nella stanza del portinaio e sedutosi presso il camino stette
aspettando. Il portiere notò la preoccupazione del giovane, ma non osò
interrogarlo. Il sospetto però che qualche cosa di disaggradevole fosse
avvenuto o minacciasse di avvenire al padroncino lo assalse. Suonavano
le sette all'orologio dell'officina, quando una carrozza si fermò sul
viale dirimpetto al portone della casa, e tosto dopo il dottor Quercia
entrava nell'andito dove Bastiano, mandatovi dal padrone, stava col lume
in mano per guidarlo nel camerino in cui Francesco aspettava.
Non ebbero ad attendere gran tempo che giunse correndo Giovanni Selva.
— Andiamo: disse Francesco alzandosi con risoluzione.
— Ho pensato di venire colla mia carrozza: disse Gian-Luigi; e credo che
la ci può servire.
— Avete fatto benissimo.
I tre giovani uscirono. Bastiano era lì sul passo dell'uscio, col lume
in mano, irrequieto, dubbioso, con ansiosa curiosità. Francesco,
passandogli innanzi, prese a quel brav'uomo una mano e glie la strinse.
— Addio Bastiano: gli disse con accento in cui c'era più affetto che non
nelle occasioni ordinarie.
Il vecchio e fidato servitore sentì un certo rimescolo, che gli parve un
funesto presentimento. Volle parlare e non seppe che cosa dire; volle
trattenere il padroncino e non osò; stette lì intento a guardarlo mentre
attraversava le file degli alberi del viale e saliva coi suoi due
compagni nella carrozza. Questa era già partita, e il buon Bastiano era
ancora là piantato.
— Mah! Diss'egli poi togliendosi da quel luogo e crollando la testa:
tutto ciò mi ha un'aria grandemente sospetta.
Una pallida luce incominciava a diffondersi pel grigiastro orizzonte e
su per la campagna coperta di neve: questa cadeva tuttavia a lenti
fiocchi e tutto era silenzioso come la tomba.
L'ombra d'un uomo, che nessuno aveva scorto, si staccò da una pianta
dietro cui si nascondeva; fece alcuni passi sollecitamente per il viale,
e mandò un fischio: due altre ombre si staccarono dai tronchi degli
alberi, e vennero a raggiungere quella prima; queste due ultime avevano
la montura di carabiniere.
— Al cimitero: disse vibratamente, con accento di comando, il primo di
questi individui colà appiattati: correte.
I carabinieri non aspettarono altro, e presero la corsa nella direzione
medesima per cui s'era avviata la carrozza.
E diffatti queste medesime parole — Al cimitero — aveva dette il dottor
Quercia al cocchiere, salendo l'ultimo nel suo legno; poichè infatti
colà era stato fissato il ritrovo ed il luogo pel duello che doveva aver
luogo quella mattina fra il marchesino di Baldissero e l'avvocato
Francesco Benda.
Quest'ultimo, in carrozza, affidò a Giovanni Selva le lettere che aveva
preparate per suo padre e sua madre, da consegnarsi loro quando a lui
toccasse la peggior sorte; Luigi Quercia diede alcune istruzioni ed
ammonimenti a Francesco intorno al modo di governarsi sul terreno: e
venti minuti non erano trascorsi da che avevano abbandonato la casa
Benda, quando le grigie muraglie del Campo Santo e gli alti filari de'
pioppi nudi di foglie apparvero agli occhi del dottore, che stava
guardando traverso i cristalli.
— Ferma: gridò egli al cocchiere.
I tre giovani scesero di carrozza.
— Gli è qui che ci dobbiamo incontrare cogli avversarii; disse Quercia,
mostrando il viale che conduce all'ingresso principale del Campo Santo.
Siamo noi i primi al convegno, e non me ne dispiace.
Diffatti non c'era anima viva in quel luogo, e Francesco e i suoi
padrini si diedero a passeggiare, aspettando, sulla neve che copriva
tutta la strada.
CAPITOLO II.
Poco tempo dopo la uscita di Francesco, l'officina Benda era tutta in
moto, e si svegliava altresì la casa del proprietario di essa. Gli
operai avevano cominciato il lavoro, i tanti rumori delle diverse opere
s'intrecciavano e si confondevano in un rumor solo, gli alti camini de'
fornelli fumavano, le fiamme delle fucine si curvavano e strepitavano
candidissime al vento de' mantici che soffiavano con pesante raucedine,
la voce sonora d'alcuni lavoratori accompagnava col canto il batter de'
martelli sulle incudini, e su tutto questo seguitava a cadere lenta
lenta a larghe falde la neve.
Il signor Giacomo, il principale, secondo il solito è sceso un dei primi
nell'officina a dare gli ordini opportuni, a curare l'avviamento de'
lavori, a provvedere con intelligente prontezza intorno a quanto occorra
per la mattinata. È un uomo che passa i sessant'anni, ma forte e
robusto. La razza laboriosa e dura alle fatiche a cui appartiene, lo
stampo dell'uomo nato pel lavoro manuale che fu quello dei suoi
maggiori, si scorgono ancora in lui, mentre nel figliuolo, che ha il
vantaggio di costituire già una terza generazione in quella famiglia di
agiati, la cui ricchezza cominciò coll'opera dell'avolo, nel figliuolo,
dico, quello stampo e l'indizio della razza di proletario sono quasi
affatto scomparsi. Giacomo, giovane, lavorò ancora materialmente e
indefessamente sotto la vigilanza di suo padre che non era stato
tuttavia assalito dalla malattia moderna dell'ambizione di imbrancarsi
ad una più alta sfera sociale che la sua non fosse. L'abitudine
dell'operosità aveva in Giacomo lasciato svolgere molti de' germi fisici
e morali della sua natura originaria d'operaio: nel figliuolo invece,
l'educazione signorile e il frequentare la classe oziosa ed elegante,
hanno con un ambiente diverso prodotto altri gusti, altre qualità, altre
tendenze, quasi direi, altre forme esteriori altresì.
Giacomo è piuttosto basso di statura, grosso e tarchiato, ha una testa
voluminosa, colla fronte bassa e quadrata, e con una folta ed arruffata
capigliatura tutto grigia. Nel volto ha il colore acceso dei
temperamenti sanguigni, e l'aria franca e decisa d'un'indole generosa e
d'un carattere fermo; la forza della volontà gli si appalesa nello
sguardo sicuro, nelle linee nette ma non dure della bocca facilmente
dischiusa al riso. Cammina quasi sempre affrettato, come uomo spinto da
premurose bisogne, le spalle rotonde, il passo pesante, le mani in
tasca. Parla piuttosto volentieri, e, quando discorre della sua
industria, come di cosa che conosce a perfezione, parla con una certa
caldezza ed evidenza che non tornano disgradite; ma pur troppo non sa
nulla più in là delle cose del suo mestiere, e discorsi di arte,
letteratura e politica lo fanno sbadigliare. Veste ricchi panci senza
affettazione, anzi senza eleganza affatto: e le sue mani corte, tozze,
rugose, di color bruno, colle dita a punte quadrate, sono
irreconciliabili nemiche coi guanti.
Quella mattina in cui Francesco andò a battersi col marchesino di
Baldissero, adunque, il sig. Giacomo, fatta la sua solita comparsa e il
suo solito giro nell'officina, attraversava il cortile per rientrarsene
in casa, quando, alzato il viso vide dietro i cristalli d'una finestra
l'allegra faccia color di rosa d'una fanciulla sorridergli amorosamente
con cenno di saluto. Era sua figlia Maria, che, saltata giù allor allora
dal letto, tutto arruffata ancora le sue abbondevoli chiome di color
castano, veniva a contemplare il cader della neve coi suoi grandi
occhioni neri pieni di dolcezza e di giovanile allegria. La sorella di
Francesco non avrebbe potuto essere esaltata come un tipo di bellezza.
Le irregolarità delle sue fattezze erano troppe in faccia alla severa
esigenza delle regole estetiche. Nulla di men greco della sua fronte un
po' sporgente, del suo naso capriccioso, della sua bocca troppo larga,
de' suoi occhi troppo grandi; ma questa unione di difetti formava un
complesso graziosissimo a vedersi, a cui davano una simpatica
piacevolezza la liscia e rosata carnagione, il fiore della gioventù,
un'espressione indicibile di lieto umore e di bontà. Maria era la
vivacità incarnata della casa, e suo padre soleva chiamarla l'uccello
della famiglia; che infatti il suo frugolo e leggero correr di qua e di
là, e il suo allegro chiaccherare imperlato di risa poteva paragonarsi
al saltellare ed al cinguettìo d'un augelletto.
Vedendo suo padre traversare il cortile sotto il fioccar della neve,
Maria non si contentò di salutarlo col moto del capo e col sorriso; aprì
vivamente le invetrate e porse in fuori alla fredda brezza di quella
mattinata invernale il suo visino color delle rose e le sue labbra color
delle ciliegie.
— Buon giorno, _papalino_: gridò essa coll'accento petulantello d'un
beniamino: hai dormito bene?
Giacomo volle corrugare la sua fronte bassa per darsi un'aria di
severità e di malumore, cui non riuscì a prendere.
— Sei matta? Esclamò egli colla sua voce robusta. Vuoi prenderti un
raffreddore? Aprir la finestra ed esporsi all'aria con questa
temperatura! Dentro subito e chiudi più che in fretta.
La capricciosa ragazza scosse vezzosamente la testa da cui piovevano in
disordine le sue treccie ricchissime.
— Oibò! Sai bene, papà, che io non patisco nulla..... Guarda la bella
neve che vien giù!.... È un piacere il vederla..... Com'è tutto
bellamente bianco, pulito! Si direbbe che la natura ha fatto il bucato
ed ha steso sulla terra le lenzuola..... To' aspettami un momento,
babbo; salto giù e vengo teco a scalpitarne un poco di quella bella neve
che nessuno ancora ha toccato. Voglio mangiarne una bella manciata. A me
mi piace tanto mangiar la neve!
E prima che il padre avesse tempo a dire pure una parola, Maria aveva
richiuso le invetrate ed era sparita dalla finestra; ed un minuto dopo,
per la scaletta da cui abbiam visto passar Francesco, la si precipitava
saltellando nel cortile, coperto il capo da un cappuccio, avvolte le
spalle in un mantelletto.
Fu in un balzo presso il padre che voleva rampognare e non poteva che
sorridere.
— Ah! non far nemmanco mostra di sgridarmi, chè già non ne hai voglia:
diss'ella gettando le sue braccia al collo del padre e baciandolo
sonoramente sulle due guancie. Vedi! A me questo po' di aria libera mi
fa bene.
— Avviluppati, se non altro, con più cura, disse Giacomo, serrando egli
stesso i lembi del mantello al petto della figliuola. Sei tu almeno
calzata a dovere?
— Altro che! Esclamò la ragazza trionfante, e colle due mani sollevando
alquanto la sottana, mostrò sotto i lembi di essa, tendendo il suo
piedino destro, uno stivaletto di cuoio colla pelliccia. Guarda! Potrei
viaggiare per tutte le nevi della Siberia.
E tenendo così sollevate le vesti, la bricconcella, corse senz'altro nel
mezzo del cortile, dove la neve era più alta, affondando in essa fin
quasi alla caviglia: i due cani di guardia imitarono l'esempio della
giovane padrona e lietamente abbaiando, vennero a saltellare intorno e
con lei che si piaceva di eccitarneli con qualche carezza. Il padre,
fermatosi ad un lato, guardava quella piacevol scena e sorrideva
lietamente: sentiva in quel punto tutta la sua felicità paterna.
— E Francesco? Gridò egli in quel punto a Maria, come se avesse bisogno
di associare alle dolci impressioni di quel momento il nome di suo
figlio per averne compiuto il suo diletto di padre.
Maria aveva presa una buona manciata di neve colle sue manine sguantate,
a cui un critico severo non avrebbe potuto trovare che tre difetti:
d'essere un po' rosse, d'aver le unghie un po' corte e non abbastanza
convesse, di avere la punta dell'indice della mano sinistra tempestata
di piccole forature prodotte dall'ago nell'opera del cucire. Levò verso
suo padre la faccia e mordendo tuttavia in quella neve co' suoi dentuzzi
più bianchi di essa, rispose:
— Oh! sor avvocatino dorme. È stato a ballar tutta la notte lui; perchè
egli è un uomo e può andar a ballare.
Giacomo sorrise.
— Vorresti esserci stata anche tu, eh?
— Vorrei di meglio: soggiunse la ragazza ridendo. Esserci stata è tempo
passato, e quello che è passato è passato: vorrei andarci in avvenire.
Crollò le spalle, diede un'abboccata alla neve che teneva in mano e
riprese con tutta filosofia:
— Ma la mamma dice che le ragazze non ci devono andare a quei balli, e
che ci vanno soltanto le maritate, le quali mi pare dovrebbero rimanere
a casa a far le madri di famiglia.... E aspetto adunque d'essere
maritata ancor io per andarci.
E si mise di bel nuovo a saltellare in mezzo alla neve, e i cani di
conserva con lei.
— Che matta! Esclamò col medesimo tono giulivo il padre; ma poi tosto
con accento più serio: — Oh basta ora. Maria, che ti vuoi render
fradicia? Vieni qui subito.
La fanciulla ubbidì senza mostrare troppo rincrescimento, e fu a lato
del padre. Questi le aggiustò alcune ciocche di bellissimi capelli che,
saltate fuori del cappuccio, le cascavano sul volto animato dai più
vivaci colori della gioventù e della salute, e soggiunse:
— Sarai tu sempre bambina quel medesimo? Parli di maritarti, e pare che
non abbia più di dodici anni!
— Oh oh ne ho sedici suonati; disse la giovanetta con tono d'importanza,
tirandosi su della persona.
In quella compariva ad una finestra della casa la buona faccia della
signora Teresa. Essa aveva aperto le invetrate e si sporgeva in fuori,
chiamando suo marito e sua figlia.
— Venite, diceva con voce riguardosa e contenuta: il caffè è pronto.
Maria si cacciava a correre verso la casa, gridando a gola spiegata
colla sua voce fresca ed armoniosa:
— Ah cattiva d'una mamma, me l'hai fatta anche questa volta! — E non mi
hai dato tempo di prepararlo io il caffè..... Aspetta aspetta che vado a
castigartene io con tanti baci da stordirti.
La madre colla mano e colla voce accennò alla figliuola non facesse
tanto chiasso.
— Vuoi azzittire? Tu sveglierai Cecchino che dorme e che ha bisogno di
dormire.
La giovane ammortò i passi e l'allegro suono della voce, ma non cessò di
correre verso la stanza della madre, dove fu in un battibaleno e dove,
gettate le braccia al collo della signora Teresa, mantenne ad esuberanza
la promessa fattale poc'anzi di darle tanti baci da stordirla.
Giacomo sopravvenne un istante di poi, quando la mamma sorridente sotto
quella grandine di carezze figliali, diceva a Maria con ischerzosa
minaccia:
— Vuoi star ferma, diavoletto che sei?..... Finiscila o t'aggiusto io.
— È bella e finita: disse la frugola ragazza, aggiustando in capo alla
madre la cuffia che le aveva mandato di traverso: e poi con tutta
serietà s'appressò al piccolo tavoliere su cui stava preparato il
vassoio colle chicchere e mescette il caffè.
Era abitudine costante di quella buona famiglia il radunarsi la mattina,
appena alzati, tutti insieme a prendere il caffè nella stanza della
mamma. Il padre sedeva sopra il seggiolone più presso al camino (quello
in cui poche ore prima di questo momento abbiam visto Teresa far
adagiare il figliuolo), la madre si assettava sovra una bassa seggiolina
innanzi al marito, e frammezzo a loro due solevano mettersi Francesco e
Maria, quello allato alla mamma, questa al papà. A questa radunanza non
ci mancava mai nessuno, fuorchè il giovane avvocato, quando avea passata
la notte, come ora era il caso, in qualche festa: e l'abitudine di esser
tutti insieme era tale che quelle volte riusciva sempre spiacevole agli
amorosi genitori il veder fra lor due la seggiola vuota, e sul vassoio
una chicchera che non si riempiva.
— È rientrato tardi Francesco stanotte? Domandò Giacomo fra un sorso e
l'altro di caffè.
— Poco più dopo le tre; rispose la madre.
— Tu già, secondo il solito, sei stata aspettandolo!
Teresa fece un piccol moto del capo che voleva dire: — È naturale.
— E questa mattina, continuò il padre, sor Francesco dormirà di sicuro
fino a mezzogiorno.
— Ne ha bisogno: disse vivamente la madre. Quando è rientrato stanotte
non si sentiva bene gran che....
Giacomo levò vivamente la testa, interrompendosi nel sorbire il caffè.
— Non si sentiva bene? Esclamò con vivo interesse.
— Ma non mi parve cosa d'importanza: s'affrettò a soggiungere la madre.
Disse che il troppo caldo gli aveva fatto venire mal di capo. Figurati
che per prendere aria, egli volle venire di Piazza San Carlo fin qua a
piedi.
— Che imprudente!... A rischio di pigliarsi una malattia ed a rischio
altresì di cascar nelle mani di qualcheduno di quei birbanti che pur
troppo tengono il campo la notte, e che formano quella banda che
chiamasi la _cocca_.
— È vero! Esclamò la madre spaventata ora da un pericolo a cui non aveva
pensato dapprima. E noi siamo così isolati e così lontani su questo
viale!
— Lo ammonirò io ben bene perchè ciò non gli capiti più: disse il padre.
E intanto chi sa ora come sta?
— Dorme tranquillamente, e spero che ciò gli vorrà far bene più d'ogni
altra cosa.
— Dorme? Ripetè Giacomo, il quale pareva esitante intorno al pensiero di
andarsene a chiarire coi proprii occhi.
Teresa che sospettò questo proposito nel marito, sapendo come per quanta
cautela egli usasse, il suo passo pesante, avrebbe svegliato il
figliuolo ove Giacomo fossegli venuto in camera, s'affrettò a
soggiungere:
— Sono già andata più volte ad origliare alla sua porta; ho anche
dischiuso pian piano l'uscio e non l'ho udito a muovere menomamente.
— Non l'hai visto in faccia?
— No, perchè la stanza è tutto scura e non volevo accostarmi al letto
per timore di destarlo.
— Hai ragione: disse il marito che capì come quello indirettamente era
un avviso a lui di non volerci andare. Lasciamolo dormire.
In quella s'udì un legger picchio all'uscio della stanza.
— Avanti: gridò Giacomo; e un domestico aprì il battente e mise dentro
la testa.
— C'è una povera donna che domanda di parlare a Madama.
— A me? Disse Teresa. Una povera donna? Non ha detto chi sia?
— No; rispose il domestico, ma io l'ho riconosciuta.
— E chi è dessa dunque? Domandò a sua volta Giacomo volgendo la testa
alla porta.
— Gli è quella poveretta che già venne parecchie volte a domandare
l'elemosina; la moglie di quell'operaio che lavorava qui nell'officina e
che si fece mandar via perchè era sempre ubbriaco.
Giacomo scosse la testa.
— Eh! questa non è un'indicazione precisa. Pur troppo sono parecchi gli
operai che debbono avere tal sorte.
— Quella mingherlina, malaticcia, nera di capelli; soggiunse il
domestico; a cui non è più d'un mese. Madama inviò in un fagotto alcune
vesti ed alcune biancherie.....
— Ah! Paolina: esclamò Maria, battendo le mani tutto lieta d'aver
indovinato; la moglie di quell'Andrea.
— Precisamente: disse il domestico: ora mi ricordo anch'io del nome.
Giacomo si alzò da sedere.
— E vuol parlare a mia moglie?
— Sì signore.
— Uhm! Gli è per domandare nuovi soccorsi.... Tu farai quello che vuoi,
Teresa, ma qualunque cosa tu le dia, gli è tanto che aggiungi a mantener
i vizi di quell'ubbriacone di suo marito.
— Giacomo! Mormorò la moglie con accento tra di supplicazione, tra di
rimprovero.
— Ti dico che ti lascio fare quello che vuoi: soggiunse vivamente il
marito che comprese quella velata rampogna; ma le mie parole sono vere
come il vangelo. Oh guarda, ne vuoi una prova? Tu le hai mandato vesti e
biancherie non è molto tempo: ebbene io son sicuro che non hanno più
nulla di nulla, nè la donna nè i bambini.
E rivolgendosi al domestico:
— Di' un po' tu; come la è vestita?
— Oh a strappi che la è una compassione, precisamente com'era quando
Madama le ha dato le vesti.
— Vedi! E se mai tu entrassi nella soffitta di quella gente, vedresti i
bambini senza uno straccio di camicia addosso. Ora vuoi tu sapere che
cosa ne fu di tutta quella roba che le hai dato? Sor Andrea l'ha venduta
per pochi soldi affine di andarsi ad ubbriacare. Ora io mi domando se
non è un alimentare il vizio il far carità a quella razza di gente.
Teresa non pareva molto convinta di quell'argomentazione del marito, ma
non sapeva trovare una parola da opporvi; ben la trovò Maria che
vivacemente proruppe:
— Ah babbo!... E i bambini?
Giacomo guardò sua figlia come sovraccolto; stette un poco e poi disse:
— Hai ragione. I bambini non ci hanno colpa e qualche cosa per essi non
convien rifiutarlo.
Teresa colse a volo questa più esplicita permissione maritale, sorse
lesta e frugando nelle profonde saccoccie del grembiale che portava
dinanzi, ne trasse un pizzico di monete che andò a porre nella mano del
domestico.
— Prendete, recatele codesto.
Quando il domestico fu uscito. Maria disse a mezza voce:
— Sarebbe forse stato meglio che l'avessimo ricevuta quella povera
donna.
Il padre che udì quelle parole si volse alla figliuola con qualche
vivacità:
— Avresti udito dei piagnistei che ti avrebbero commossa inutilmente.
— Perchè inutilmente?
— Perchè rimediare a quei mali ti sarebbe impossibile.....
— Impossibile! Esclamò la ragazza crollando la testa. Non siamo noi
ricchi?
Giacomo sorrise.
— Bambina! La nostra ricchezza non tarderebbe a sfumare, se tu volessi
riparare dalla miseria i poveri che ti domandano soccorso. L'elemosina
non può che recare un rimedio temporaneo; e dev'essere così, altrimenti
non ci sarebbe giustizia, ed una malintesa carità premierebbe
l'infingardaggine. Dà retta. Io credo usare assai meglio dei miei
capitali impiegandoli nella mia industria e facendo così guadagnare il
vitto a tante famiglie di laboriosi operai, che non se dividessi le mie
sostanze con tre o quattro miseri per farli vivere nell'ozio in
un'agiata mediocrità.
Maria non capì bene del tutto la teoria economica cui adombravano le
parole di suo padre, ma sentì pur tuttavia che in esse vi era un fondo
di vero. Stava per muovere una sembianza d'obbiezione affine di farsi
spiegar meglio la cosa, quando il domestico si presentò di nuovo
all'uscio.
— Quella donna, diss'egli, ringrazia con tutto calore Madama della sua
carità, ma insiste, piangendo, perchè voglia farle la grazia di
riceverla, e dice che questa sarà una carità più fiorita ancora.
Teresa, avvezza a dipendere in ogni cosa dalla volontà di suo marito,
volse verso di lui uno sguardo interrogatore; ma quella petulantella
d'una Maria, senz'attendere dell'altro, esclamò tutto animata:
— Oh sì, sì, bisogna riceverla.... Fatela venire.... Non è vero, mamma,
non è vero, babbo, che bisogna farla venire?
Il padre fra il pollice e l'indice della mano destra prese il mento di
Maria e disse scherzosamente:
— Che testolina che vuol fare a suo modo!... Ricevete pure quella povera
donna. Voi siete due buone anime pietose, ed è anche necessario che si
dia alimento alla vostra pietà. Badate però che non bisogna mai credere
tutto quello che contano i poveri per eccitare la compassione
altrui.....
S'interruppe come pentito d'essersi lasciato sfuggire queste parole.
— Però, riprese, non è mai in codesto che il lasciarsi ingannare sia
colpa nè disdoro.
Il domestico era ito a prender la donna; Giacomo s'avviò alla porla che
metteva nella sua stanza e nel suo studiòlo.
— Vi lascio in santa libertà.
Era già mezzo fuor dell'uscio, quando il bravo uomo si rivolse indietro
a soggiungere:
— Quella poveretta, venendo fin qua per questo tempo, sarà tutta
immollata. Potreste darle la tazza di caffè che non ha presa Francesco.
E sparì chiudendo l'uscio dietro sè.
— Com'è buono il babbo! Esclamò Maria. Con tutte le sue teorie
utilitarie ha un cuore più tenero del nostro.
E chi avesse voluto in quel medesimo istante avere una prova del cuore
tenerissimo che albergava in quel corpo di grossolano aspetto, non
avrebbe dovuto che seguire il buon Giacomo quando uscì della stanza di
sua moglie.
Egli s'era avviato verso il suo studiòlo, ma non aveva fatto la metà del
cammino che aveva cambiato direzione e s'accostava alla camera in cui
credeva che dormisse il figliuolo. Giuntone all'uscio, si fermò, stette
un momento ascoltando, posò piano piano la destra sulla gruccia della
serratura ed aprì, poi spinse il battente e cacciò dentro lo sguardo: la
stanza era tutto scura da non potercisi vedere null'affatto. Volendo
ficcare in mezzo ai battenti la sua testa, Giacomo spinse ancora un poco
l'uscio, e questo mandò uno scricchiolìo. Il brav'uomo trasalì, come
spaventato, rimase immobile a quel posto un istante, e poichè nulla udì
muoversi tuttavia, mandò un sospiro, richiuse piano piano la porta e
disse seco stesso:
— Per fortuna non s'è desto. Povero Cecchino! Lasciamolo dormire.
E se ne andò adoperando ogni possibil cautela per ammorzare il suo passo
pesante.
Paolina frattanto era stata introdotta nella camera della signora
Teresa, dove quest'essa e la figliuola Maria stavano aspettandola.
Nella prima parte di questo racconto, abbiamo visto la infelice donna
andar cercando suo marito Andrea nella ignobile taverna di mastro
Pelone, affrontare i mali trattamenti di Andrea e le insolenze del
perfido amico di lui, Marcaccio, ma riusciva pur tuttavia a trarsi seco
il suo uomo per ricondurlo alla denudata soffitta dove aspettavano pane
i loro figliuoli. Abbiamo visto come fosse tale il miserevole aspetto di
questa donna da ispirar compassione a chiunque la mirasse; livida,
macilenta, strappata, senza forze qual essa era[1]; ora, nel momento in
cui timorosa, tremante per emozione e per freddo, gli occhi rossi, ella
si presentava sulla soglia della stanza della signora Teresa, la notte
che era trammezzata, pareva aver condotto sul capo a quella infelice un
doppio cumulo di anni, di stenti, di dolori e di fisica infermità.
Paolina si fermò un istante come per prender fiato; il petto le ansimava
penosamente; la sua tosse profonda suonava più cupa e più dolorosa che
mai ad udirsi; le sue povere vesti, sottili pel rigore di quella
stagione, le stavano serrate addosso sulle gracili membra, immollate
com'erano dalla neve piovutale su per la lunga tratta di cammino che la
misera aveva fatto a venir sin lì. Girò essa gli occhi intorno quasi
smarrita; volle parlare per dare un saluto, ma dalle tremole labbra
allividite non uscì che un balbettìo di debol voce; esitò, fece uno
sforzo ancora per avanzarsi e parlare; e ruppe in pianto disperatamente.
[1] Vedi _I Derelitti_, capitolo VII.
Teresa e Maria le furono accosto con affettuosa premura; la presero per
quelle mani magre, quasi diafane, fredde come ghiaccio e la trassero
vicino al fuoco; le dissero generose e soavi parole di incoraggiamento,
d'interesse e di compianto.
— Sedete qui, povera donna; e Teresa le additava la bassa seggiola, su
cui stava poc'anzi ella stessa: riscaldatevi un po'..... Santa Madonna
della Consolata, come siete tutta fradicia!... Lì, così: via, calmatevi;
abbiate coraggio... Vi è capitata qualche disgrazia?... Fiducia nella
Provvidenza, mia cara, e rassegnazione ai voleri di Dio.
Maria frattanto, con quella leggiadra lestezza di mosse che le era
particolare, aveva riempito di caffè una delle tazze che col vassoio si
trovavano tuttavia sul tavolino, ed agitando in essa il piccolo
cucchiaio d'argento per farvi fondere lo zuccaro, la porgeva a Paolina,
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