La plebe, parte II - 20

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medesima, se io così tosto mettessi in libertà chi si è fatto reo di
tale eccesso, ancorchè non ci fosse altra ragione nessuna da tenerlo
custodito in cittadella?
— È giusto, è giusto: disse il barone approvando col capo e colla mano.
— Quindi non posso nè anche accogliere le vostre osservazioni intorno ai
diportamenti della nostra polizia. Essa è affidata ad un uomo
fedelissimo ed intelligente del suo mestiere, senza del quale io non so
come il conte Barranchi ed io stesso potremmo bastare all'ufficio. Voi
capite ch'io intendo parlare del commissario Tofi. Esso ha tutta la mia
fiducia e quella del Generale dei carabinieri; e finchè io avrò l'alto
onore di godere la fiducia di S. M. e di coprire questa carica, nè
quell'uomo, nè il sistema di polizia attualmente in vigore non saranno
punto cambiati.
Il padre di Candida tornò ad inchinarsi tra mortificato e confuso.
— Quanto a quell'agente subalterno, di cui mi avete parlato, a quel
Barnaba, io sono d'avviso che egli si è regolato affatto bene, e invece
che censura merita lodi e ricompensa.
— Voi avete ragione... Ero mal informato.... Vi prego a non dare al
passo che ho fatto presso di voi altra importanza che quella di
amichevoli chiacchere in aria.
Il Governatore fece un sorriso protettore d'annuenza.
— Se mi permettete, continuava il barone, vi farò soltanto ancora
un'interrogazione.
— Fate, fate pure, caro La Cappa.
— In codeste mene rivoluzionarie voi credete compromesso quel tal dottor
Quercia?
— Come vi ho detto, il suo contegno nella circostanza della
perquisizione in casa Benda me ne fa sospettar forte..... Ma non voglio
precipitare il giudizio, lo faremo sorvegliare.
— Vi spiego la cagione dell'interessamento che prendo per lui. Quel
giovinotto ha molta attinenza con mio genero, il conte di Staffarda.
— Lo so: disse il Governatore con un certo sorriso di cui il barone non
notò la malizia.
— Capite che un uomo onorato della intimità del conte Langosco non è
presumibile sia un rivoluzionario.
— Certamente io ho la maggior stima pel conte di Staffarda.....
— Ed è a nome appunto del conte che vi prego di avere alcun riguardo per
quell'individuo, e di non farlo segno di nessuna misura di polizia,
prima che sia accertata la sua colpa.
— Terrò conto della vostra raccomandazione, caro Intendente..... in
quanto sarà compatibile coll'esigenza de' miei doveri.
Il padre di Candida capì che non avrebbe ottenuto altro miglior
risultamento; e stava per torre commiato, quando si annunziò nel
gabinetto del Governatore S. E. il marchese di Baldissero, ministro di
Stato.
— Avanti, avanti: disse con premura il Governatore, alzandosi da sedere.
— Sono certo, soggiunse parlando al barone, che il marchese viene
appunto per questo affare medesimo.
E fece quello che non aveva fatto all'ingresso del barone; andò sino
alla soglia dell'uscio del gabinetto a ricevere colla mano tesa il
signor di Baldissero che vi compariva colla sua grave ed imponente
fisionomia da vero gentiluomo.


CAPITOLO XVII.

Ettore di Baldissero, figliuolo del marchese, era tornato a casa sua
disgustato, mortificato, corrucciato dell'arresto di Benda, mercè cui
non aveva potuto aver luogo il duello tra essi indetto. Indignati del
pari n'erano i padrini del marchesino.
— Se sapessi a cui attribuire questo _mauvais tour_, sclamava Ettore
scalpitando con rabbia la neve nella camminata a piedi che col conte
San-Luca e coll'altro suo compagno dovette fare per restituirsi in
città, affè che gli vorrei mostrare il modo di regolarsi!...
— Certo e' ti fu reso con ciò un cattivo servizio: disse San-Luca; e se
fosse tuo padre che avesse avuto questa infelice idea....
— Non è mio padre: interruppe seccamente il marchesino.
— Eh! chi sa? I padri, quando si tratta di salvare da un pericolo che li
minaccia i loro figliuoli, hanno la smania di non arrestarsi innanzi a
nessun'altra considerazione.... Tu poi in qualità di primogenito, hai
per tuo padre una esistenza ancor più preziosa....
Ettore proruppe ancora più secco di prima:
— Ti dico che non è mio padre, il quale possa nemmanco pensare soltanto
cosa che non sia secondo i più rigorosi dettami delle più strette
obbligazioni d'onore. Tu San-Luca dovresti conoscerlo abbastanza per non
farle neppure queste supposizioni ch'io a mia volta poi non posso e non
voglio ascoltare.
San-Luca parve comprendere che aveva torto e chinò il capo senza
aggiunger parola.
— Sai tu chi sia il colpevole? Soggiunse il marchesino ad un tratto,
come illuminato da una subita idea. Gli è piuttosto tuo zio il Generale.
— Barranchi? Esclamò San-Luca levando vivamente la testa. Certo che sì.
L'hai indovinata appuntino di sicuro. Gli è il suo genere. «Arrestatemi
quell'uomo» è il suo motto d'ordine universale.
— Egli mi sentirà! Che modo gli è questo di venirmisi ad attraversare
nelle mie contese d'onore? L'avesse fatto arrestare dopo il duello, non
ci avrei nulla da ridire. Intanto bisogna ad ogni modo che egli mi
restituisca il mio avversario per lasciarmi dar esito alla mia faccenda.
Adesso adesso corro da lui e non lo lascio in pace più finchè non me
l'abbia posto in libertà.
Il nipote del Generale fece un atto d'incredulità.
— Uhm! Diss'egli. Mio zio non è così facile ad abbandonare la preda....
— Tu mi ci aiuterai: soggiunse Ettore con vivacità. Sei il suo beniamino
tu, sarai il suo erede; ti fa delle ramanzine e ti paga i debiti; gli
tieni luogo di figliuolo.
San-Luca continuò a scuoter la testa.
— Si, mi vuol molto bene; ma quanto all'indursi a fare qualche cosa che
non gli piaccia solamente pei miei belli occhi, è un altro paio di
maniche. S'egli ha fisso il chiodo di voler fare ammuffire
quell'avvocatino in cittadella, non saranno nè i tuoi rimproveri, nè le
mie ragioni che ne lo smuoveranno.... Ci vorranno argomenti di maggior
peso.... Sai chi potrebbe ottenere questo risultamento? Tuo padre.
— Mio padre? Ripetè il marchesino con una certa esitazione. Ah tu
credi?....
— Oltre l'autorità che dànno al marchese il suo grado, i suoi titoli e i
suoi meriti, presso mio zio avrà molto effetto quella deferenza ch'esso
ha per lui. Se tuo padre si reca egli stesso dal Generale a pregarlo di
liberare il signor Benda, è quasi certo che ci riuscirà. Fa a modo mio,
parlane col marchese, ed invoca il suo intervento.
Ettore parve accogliere questo consiglio con mediocrissima
soddisfazione.
— Desidererei non immischiare in codeste cose mio padre: diss'egli.
Proverò dapprima di agire io stesso direttamente presso tuo zio; e se
poi non ne otterrò nulla, allora manderò da lui mio padre.
Con questi discorsi erano giunti nella città, e ciascuno dei giovani si
diresse alla propria casa alfine di cambiarsi abiti e calzamenta
immollati dalla neve.
Il marchesino di Baldissero entrando nelle stanze a lui destinate
nell'antico, grandioso palazzo avito della sua famiglia, trovò il
cameriere specialmente addetto alla sua persona, il quale lo aspettava
nella camera che precedeva quella da letto.
— S. E., disse il domestico inchinandosi, ha mandato a vedere se Ella
era in casa.
Ettore fece un legger moto di contrarietà.
— È molto tempo? Domandò egli.
— Sarà mezz'ora.
— E mandò detto qualche cosa?
— Nulla. Michele (era il cameriere del marchese) non fece altro che
domandare d'ordine di S. E. se V. S. era in casa. Udito che no, se ne
partì senza soggiunger parola.
— Sta bene. Portatemi biancherie, abiti e calzature da cambiarmi.
Entrò nella sua camera preoccupato, coll'aspetto d'uomo scontento di sè
e delle cose sue, pieno di malavoglia e incerto di quello che debba o
non debba fare. Si domandava se aveva da recarsi presso suo padre a
dirgliene come fosse tornato, ad udire se alcuna cosa volesse da lui.
Ben gli diceva una intima voce che questo era il dover suo: ma a
compirlo sentiva una ripugnanza poco meno che invincibile. Dopo lo
scandalo avvenuto la sera innanzi all'Accademia filarmonica e da lui
promosso, Ettore non aveva più visto suo padre, di cui conosceva troppo
l'indole e i pensamenti, per non essere sicuro di averne la maggior
disapprovazione e per non temerne quei severi rimbrotti che tanto erano
più efficaci quanto erano più parchi sulle labbra sdegnose del vecchio
gentiluomo. Ora poi a quel timore si aggiungeva una specie di vergogna
che aveva di dovergli narrare la strana maniera con cui si era conchiuso
l'intimato duello, per la quale maniera, benchè egli non ci avesse
colpa, sembravagli tuttavia che una qualche offesa ne risultasse a
quella suscettiva delicatezza dell'onore che era quasi una seconda
religione per suo padre, e che in verità era carissima a lui pure,
comechè per tanti rispetti diverso dal padre suo. E poi era egli ben
vero che nell'arresto di Benda, Ettore non ci avesse nessuna colpa? Si
ricordava come il suo amico San-Luca, lui presente e non dissenziente,
avesse raccontato al conte Barranchi la scena intravvenuta, e
raccontatala non in modo affatto imparziale. Non era suo debito allora
imporre all'amico di non dir nulla al comandante della Polizia, di
contestare la verità della cosa come veniva esposta, di protestare al
Generale dei Carabinieri che nulla era successo per cui egli avesse
diritto di immischiarvi comecchessia la sua autorità? E se il padre gli
avesse domandato se così avesse fatto, che cosa avrebbe dovuto
rispondere Ettore, il quale, per quanto fosse lontano dalla vera nobiltà
d'animo di suo padre, non era pur tuttavia così oblioso della sua
dignità e del suo sangue da mentire sfacciatamente?
Cominciò per abbigliarsi, rimandando al poi ogni decisione.
— Non c'è stato nulla di nuovo in casa? Domandò egli al domestico che lo
vestiva, come per isviare la mente da quelli che la occupavano ad altri
pensieri.
— Nulla: rispose il servo: eccetto che la contessina di Castelletto è
uscita colla sua governante e con Giacomo saranno venti minuti e non è
ancora tornata.
— Oh oh! Esclamò il giovane con qualche interesse: che passeggiata
mattiniera!... e per questo tempo!
Il cameriere prese un'aria umilmente insinuante e piena di zelo, e
soggiunse a mezza voce:
— Se sor marchesino lo desidera, io farò di sapergli dire dove la
contessina siasi recata.
Ettore non rispose, e il domestico interpretò quel silenzio per un
assentimento. Il moderno servitorame è di regola generale un parassita
che sfrutta e svolge i difetti e le triste passioni dei ricchi. Quel
servo aveva indovinato — e qual segreto si può egli nascondere
all'occhio del proprio cameriere? — come il suo padroncino non fosse
niente affatto indifferente alla bellezza della sua cugina, madamigella
Virginia, la quale teneva verso di Ettore un contegno che nella sua
gentile famigliarità era tale pur tuttavia da non incoraggiare in lui
nessuna speranza.
Per un momento il pensiero del marchesino, obliando ogni altra cura,
corse in traccia della leggiadra giovane. Che Francesco Benda amasse
Virginia, Ettore aveva facilmente scoperto. Vi è un istinto nell'animo
di ciascheduno che gli fa indovinare per quanto si celi, il suo rivale
in amore; e Francesco amava troppo appassionatamente per saperlo con
arte nascondere. Codesto amore di un borghese per sua cugina, il superbo
primogenito di Baldissero aveva naturalmente trovato una impertinenza
degna di qualche buona lezione ch'egli stesso si prometteva e si
augurava di dare a quell'avvocatuzzo alla prima occasione; e l'accorto
lettore ha già indovinalo che tale era stata la prima e principalissima
cagione del suo villano diportarsi verso Francesco nella festa da ballo.
Ma ciò ch'egli ignorava si era con qual disposizione d'animo Virginia
accogliesse il sentimento del giovane borghese, sentimento cui certo
ella non aveva mancato di scorgere. Ch'ella potesse corrispondere a
cotale affetto, Ettore credeva non fosse nemmanco da pensarsi, come non
era supponibile che una fanciulla di sì nobile prosapia si abbandonasse
alla vergogna d'un fallo disonorevole. Ella sapeva, ella doveva ben
sapere che fra lei e quell'uomo da nulla vi era una distanza ed una
barriera assolutamente insuperabili; egli stimava sua cugina di tanto da
crederla incapace di pur pensare ad un eccesso di degradazione, come
sarebbe quello di diventar moglie d'un non nobile — che per lui era poco
meno che sinonimo d'ignobile. E dunque?... Ma ciò non ostante la sua
gelosia gli aveva fatto giudicare che in quella gentilezza con cui
Virginia accoglieva il modesto, timido, rispettoso omaggio di Francesco,
c'era qualche cosa di più che non nella cortesia abituale ond'ella
soleva trattare con tutti; c'era un non so che di nascosto,
d'indefinibile, quasi una tinta di simpatia; e di questo suo sospetto il
marchesino aveva una rabbia che s'accresceva ancora, appunto perchè
doveva dissimularla, e perchè non avrebbe voluto a nessun costo che uomo
al mondo ne avesse sentore.
In questo istante in cui il domestico stava abbigliandolo, Ettore si
rammentò appunto dello sguardo di rimprovero che la sera innanzi
Virginia gli aveva slanciato, quando egli aveva provocata quella scena
scandalosa; sguardo che diceva più di molte parole; e ricordò eziandio
le poche, asciutte parole ch'essa gli aveva rivolte quando l'aveva
accostata di poi.
— Ettore, gli aveva essa detto, hai tu perduto il senno? Ora ti prego di
lasciarmi, il meglio che tu abbia da fare è lo startene lontano.
Ed aveva tanto pregato la zia che ne aveva ottenuto di esserne tosto
ricondotta a casa.
Il marchesino pensava come la cugina lo avrebbe accolto nel primo loro
rivedersi; e tanto più grave riuscivagli l'affrontarne la presenza, ora
che il duello dal suo oltraggio reso necessario non aveva potuto aver
luogo e il suo avversario per la piega presa dagli avvenimenti compariva
sempre meglio nella simpatica figura di vittima — e di vittima
coraggiosa.
— Le donne, diceva fra sè il giovane contrariato, hanno un così dilicato
sentire in queste faccende!.... Certe volte un sentire strano e quasi
matto..... Che cosa dirà ella, che apprezzamento sarà il suo, di tutto
codesto?
Ma qui gli tornò in mente che aveva da affrontare un altro giudizio
ancora più difficile e più momentoso di quello della fanciulla: il
giudizio di suo padre.
Era vestito di tutto punto e il domestico gli aveva domandato se doveva
porgergli il pastrano e il cappello.
— Sì: rispose asciuttamente il padrone.
Quando fu pronto per uscire e' si disse:
— Meglio ch'io vada subito da mio padre. Una volta scoppiato il fulmine
la paura è passata; ed egli poi in realtà saprà darmi quel buon
consiglio che mi ci vuole ed aiutarmi presso Barranchi.
S'avviò con passo risoluto, attraversò la camera che precedeva, passò
per quella in cui accoglieva gli amici a discorrere e fumare, percorse
una specie di galleria che metteva nella gran sala, ed entrato in questa
si diresse verso il quartiere che tradizionalmente era sempre occupato
dal capo della famiglia.
Ma se nei primi passi la sua andatura era stata risoluta, in seguito era
essa venuta rallentandosi a seconda che egli avvicinavasi
all'appartamento di suo padre; fu esitando che attraversò la gran sala,
fu con mano peritosa che aprì l'uscio di questa sala che metteva
nell'andito per cui si accedeva al gabinetto di lavoro del marchese, fu
in punta di piedi che si avanzò nell'andito per fermarsi innanzi
all'uscio serrato dello studio di suo padre. Due volte alzò la mano per
porla sulla maniglia della serratura, e due volte la lasciò ricadere.
Finalmente scosse le spalle, come impazientito di se medesimo e si disse
rampognante:
— Sono un ragazzo..... Andrò prima da Barranchi, e parlerò dopo, se farà
bisogno, con mio padre.
E si allontanò da quell'uscio più lesto di quel che ci fosse venuto.
Da poco tempo il marchesino erasi dipartito dal palazzo, quando vi
rientrava madamigella Virginia. L'agitazione dell'animo nella pietosa
fanciulla non era punto scemata, ma invece accresciutasi dopo il
colloquio avuto con Maria nel misero abituro di Paolina. Appena giunta
nella sua camera, Virginia aveva mandate a domandare novelle del cugino
Ettore. Il domestico che aveva accompagnata la ragazza nella sua gita
ebbe col cameriere del marchesino una interessantissima conferenza,
nella quale il servo di Ettore apprese dove fosse andata madamigella,
chi colà avesse incontrato, che cosa vi si fosse detto e fatto, e lo
staffiere mandato da Virginia seppe che il signor Ettore era venuto a
casa con aspetto molto cupo e quasi contraffatto, che aveva mostrato un
certo turbamento nell'udire come suo padre avesse mandato cercando di
lui, che, cambiatosi gli abiti bagnati e i calzari inzaccherati, come se
fosse stato a girare per istrade di campagna, egli era uscito di nuovo,
dopo aver mostrato di voler andare dal padre e fuggito poi dalle stanze
di lui, come uomo a cui non regga il cuore d'entrarvi.
Queste informazioni fedelmente riportate a Virginia ne accrebbero
l'inquietudine; anzi questa convertirono in una dolorosa certezza di
sventura toccata a Francesco. Se il duello aveva avuto luogo, come essa
non aveva ragione alcuna di dubitare che non fosse, l'essere tornato
Ettore sano e salvo, non era egli indizio manifesto che l'avversario di
lui era soggiaciuto? Se alcun dubbio poteva conservarsi a tal riguardo,
non lo toglievano essi per l'affatto i contegni del marchesino di cui
tanto s'era stupito ed affermava essersi sgomentato il cameriere del
giovane?
Virginia volle essere compiutamente chiarita della verità, ed al
medesimo domestico il quale esponevale quanto aveva appreso dal
cameriere del marchesino impose si recasse sollecitamente, senza il
menomo ritardo, alla casa dei Benda con una letterina ch'ella scrisse in
tutta fretta per Maria domandandole informazione delle cose avvenute.
Il domestico giunse alla fabbrica quando, non che cessata, non era
neanco diminuita nella povera famiglia di Francesco la profonda emozione
per l'arresto del giovane e per la fatta perquisizione. Maria,
rispondendo all'affettuoso biglietto di Virginia, narrò tutto l'avvenuto
e caldamente la pregò a volere adoperarsi ancor essa in favore di suo
fratello. Virginia non istette a pensarci dell'altro, ma con quella
lettera in mano corse nel gabinetto dello zio, il marchese di Baldissero
padre.
Precediamo la nobile ragazza nello studio del signor marchese.
Era un ambiente di pochi metri quadrati; in faccia all'uscio per cui
s'entrava era l'unica finestra per cui veniva illuminato: una finestra
alta e larga innanzi a cui cascavano cortine di seta damascata di color
tanè, e tende candidissime di rensa finissima. Presso alla finestra
stava una larga scrivania sul cui piano molte carte in disordine. Tutto
intorno alla parete correvano eleganti scancìe di legno d'ebano scolpito
e intarsiato negli spigoli d'avorio e madreperla, chiuse da invetrate,
traverso i cui tersi cristalli si vedevano schierati sui varii piani i
libri adorni di legatura d'una severa eleganza. Le scancìe erano
interrotte là, dove a mezzo della parete si apriva l'ampio camino adorno
di mensola e di stipiti di marmo nero d'un classico disegno
architettonico. Sopra il camino attraeva l'attenzione una gran croce di
legno d'ebano, su cui tendeva le braccia un Cristo d'avorio, oggetto
artistico di molto valore. Al di sotto di questo gran crocifisso
pendevano due cornici ovali di ebano ancor esse, entro cui i busti
dipinti a olio d'un uomo e di una donna colle foggie di pettinatura e di
abiti della fine del secolo scorso. Erano i ritratti del padre e della
madre del marchese. A dare a quella stanza un aspetto maggiore di
severità, di raccoglimento, di solenne mestizia, concorreva la
tappezzeria di cuoio cordovano di color tanè, fissata alla parete nelle
due estremità superiore ed inferiore da una filza di borchie d'acciaio
ossidato. Di legno d'ebano intarsiato, come le scancìe, nelle spalliere,
erano le poltrone e le seggiole. Un grande stipo di legno uguale ed
ugualmente lavorato s'innalzava innanzi al camino. Una lampada di bronzo
calava dal soffitto a metà della stanza, e un soffice tappeto a lana
lunga e di colore scuro copriva il pavimento.
Il marchese stava seduto innanzi al camino, in una mossa che avreste
detta afflitta, sostenendo il gomito destro al bracciuolo del seggiolone
e la fronte alla palma della mano. Il suo occhio guardava il fuoco che
gli ardeva dinanzi fra gli alari di bronzo artisticamente lavorati, e
pareva seguitare con interesse i varii guizzi della fiamma; in realtà
esso seguitava le diverse immagini che passavano nella sua fantasia in
una dolorosa meditazione.
Era un uomo di circa cinquant'anni, sui lineamenti del quale scorgevasi
la vita non essere passata per esso senza lotte, senza emozioni e senza
travagli, e l'esperienza del mondo non essere via trascorsa come acqua
corrente su pietra, senza aver lasciato in quell'anima la amara dottrina
delle cose terrene e la più amara conoscenza degli uomini e delle loro
passioni. Una ragguardevole fisionomia la sua, nella quale i resti d'una
rara avvenenza virile preparavano la imponente bellezza d'una nobile
vecchiaia. Aveva il profilo caratteristico d'un cammeo romano e la
guardatura speciale dell'uomo avvezzo al comando. L'espressione precipua
del suo volto, con cui sempre e naturalmente si armonizzavano i suoi
contegni, le mosse del suo corpo così come la voce e la sostanza delle
parole, era l'espressione d'una dignità ognora presente a sè stessa. Si
sarebbe potuto dire ch'egli aveva preso fin dalla sua giovinezza a
sostenere una parte — la parte dell'uomo superiore agli altri uomini, ed
agli avvenimenti ed alla fortuna — ma che questa parte non la sosteneva
pel pubblico, ed innanzi a lui, per lasciar la maschera, quando faccia a
faccia con sè solo, sì invece la aveva assunta e voleva sostenerla per
sè e innanzi a sè, di guisa da sopravvegliar continuo sopra ogni sua
cosa, affine di non mancarci mai, e quindi agire, volere, pensare sempre
in modo coerente alla nobiltà di quel personaggio. Era un orgoglio
accompagnato dal sentimento incessante d'un incessante dovere; non era
una superbia cagionata da impertinente concetto di sè e disprezzo
d'altrui. Era l'incarnazione di quel bellissimo motto francese:
_noblesse oblige_.
Gli abiti onde vestiva erano mirabilmente assortiti alla severità di
quel gabinetto ed alla gravità della sua figura. Un soprabito nero
abbottonato alla militare sul petto avvolgeva la sua alta e ben
complessa persona: pantaloni neri cascavano sui suoi piedi veramente
aristocratici per piccolezza e per forma: un'alta cravatta bianca
sosteneva il suo mento, non colpevole mai d'una barba da radere.
Quella mattina, in cui per la prima volta noi facciamo la personale
conoscenza del marchese, era egli assorto, come già dissi, in una
meditazione, che pareva dolorosa. La sera innanzi aveva appreso la
condotta di suo figlio verso quel giovane borghese, cui egli stesso
onorava d'un amichevole saluto, e di ciò era egli stato dolentissimo,
come di cosa affatto indegna d'un vero gentiluomo e del nome del loro
casato. Non aveva però voluto far parola nessuna intorno a questo
argomento con suo figlio, perchè ben supponeva che un duello sarebbe
intravvenuto, e credeva maggior convenienza lo aspettare a rivolgere i
dovuti rimproveri al figliuolo dopo l'esito dello scontro. Era nelle sue
idee che egli dovesse non darsi per inteso di nulla fino a cose
compiute, perchè sapendo del duello, lo avrebbe dovuto impedire, e il
concetto ch'egli aveva dell'onore lo distoglieva assolutamente dallo
stornare comecchessiasi il figliuolo dal battersi.
Ma si ha bello essere tutto invasato da queste false idee di
suscettività d'onore che non permettono all'ingiusto oltraggiatore di
riparare all'oltraggio, e gli comandano invece di andare ad ammazzare
l'uomo oltraggiato; quando si è padre non può essere con indifferenza
che si passa la notte, finita la quale si sa che il proprio figliuolo si
esporrà a pericolo di morte; non può essere con calma che si attendono
le notizie dello scontro dal quale il proprio figlio può essere
trasportato indietro cadavere. Questo basti per farci sapere quale fosse
stata la notte, qual fosse attualmente la condizione dell'anima del
marchese. Fra lui e il suo primogenito non correva attinenza di molto
affetto, non quella fiducia e quell'abbandono che procura fra due anime
compagne e degne l'una dell'altra, tanto stretto vincolo di sangue; la
severa dignità del padre impacciava l'indiscreta tracotanza del
figliuolo, e le sregolatezze di condotta come le impertinenze di modi in
quest'ultimo, offendevano il dilicatissimo sentimento del dovere che
governava l'animo del marchese. Ma ciò nulla meno spenta non era nel
padre quella potente affezione che fa dell'esistenza dei figli
l'esistenza dei genitori; e il suo spirito aristocratico, per quanto
elevato, non andava esente da quel pregiudizio nobiliare trasmesso nel
sangue traverso tante generazioni, che dava un pregio maggiore alla vita
del primogenito che non a quella degli altri figliuoli. In realtà al suo
cuore erano più cari i due altri suoi nati che si preparavano alle
spalline da ufficiale nell'_Accademia militare_, e specialmente il
secondogenito nel quale pareva al padre, ed era in fatto, che
maggiormente rivivessero le qualità del suo animo e del suo spirito,
come più esattamente si riproducevano le sembianze del viso; ma tuttavia
— tanta è la potenza dei pregiudizi, anche nelle anime elette! — se il
marchese fosse stato posto nel dolorosissimo caso di dover sacrificare
la vita d'un suo figlio ed a lui fosse stata la scelta del capo da
immolarsi, ne avrebbe avuto infranto il cuore, ma avrebbe salvato il
primogenito a costo del sangue degli altri due.
Oltre ciò una ragione speciale affatto gli faceva più penosa, più
paurosa l'idea del duello che doveva compiersi, che stava per aver
luogo, che forse già era avvenuto; e questa ragione era una tristissima
memoria d'un orribile dramma successo nella sua vita, egli attore
principale. Molti e molti anni erano passati dopo quell'avvenimento: ma
il ricordo erane fresco ancora nell'anima del marchese, come con
raccapriccio parevagli che fresco ancora stesse sulla sua spada, perfino
sulle sue mani il sangue ch'egli — uomo di anima benigna e di pietoso
cuore — fatalmente aveva dovuto versare.
Ma di codesto tremendo segreto della sua vita, di cui la gente conosceva
appena un'ombra, e la famiglia, val quanto dire la moglie sua, i figli e
la nipote non avevano il menomo sentore: di questo segreto apprenderemo
forse alcuna cosa, ascoltando il soliloquio con cui il padre del
marchesino manifesta le intime sensazioni che gli si avvicendano
nell'anima.
Tutta notte quell'incessante pensiero aveva travagliato l'animo del
marchese: al mattino, affrettatosi, come vedemmo, a mandare a chiedere
di suo figlio, dalla assenza di lui così mattiniera, aveva arguito la
certezza che in quel punto medesimo avveniva il duello.
Nell'atteggiamento che ho detto, il capo sostenuto colla mano, egli così
pensava:
— In questo istante che sarà di lui? Ho io ancora il figliuolo mio
primogenito? Oh! se dovessi vedermelo a recare in casa esanime e
sanguinoso, morto senza più vedermi, morto senza l'ultimo mio amplesso,
morto senza la mia benedizione.... Ed egli non ha cercato punto punto di
vedermi, nè ier sera, nè questa mattina! Forse il suo cuore non glie ne
ha fatto un bisogno: forse non ha sentito il dovere nè il desiderio di
udire ancora la mia voce, di chiedere almeno al mio affetto un addio ed
un perdono.... e per tante cose ha egli bisogno di perdono, pur
troppo!... Oh forse temette le mie rampogne e ch'io potessi impedirgli
di battersi; no, non glie ne avrei mosso di rimproveri a quel momento
solenne, non avrei tentato in niun modo di trattenerlo, e s'egli codesto
ha temuto, è nuovo segno che non conosce per nulla suo padre. Non gli
avrei fatto che una raccomandazione sola: «Guardati dall'uccidere il tuo
avversario, se puoi salvare senza la sua morte, la tua vita! La memoria
d'un uomo ucciso di nostra mano, sia pur anche in duello, si incastra
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