La plebe, parte II - 29
sensazioni che il genio del musico aveva voluto suscitare, e percepire
più chiaro, più giusto, più completo l'ideale della sua creazione. Non
ero geloso di tutti gli altri che dividevano meco la felicità di
respirare nel medesimo ambiente di lei, di commuoversi delle medesime
dolcezze; nessuno di certo sapeva innalzarsi alla altezza delle
sensazioni di quell'angelica creatura; io superbamente mi dicevo che
coll'ardore dell'amor mio ci arrivavo. Non ero geloso il meno del mondo
di quegli eleganti che nel suo palchetto ciarlavano e ridevano con
zazzere arricciate, con baffi incerati, con guanti bianchi alle mani e
la lente nell'occhiaia, azzimati, ornati, studiati nell'acconciatura e
nelle mosse, leggiadrissimi di bellezze da figurino, ameni fors'anco ed
ingegnosi ed arguti nella conversazione e nel motteggio, ma senza un
lampo nella fronte e negli occhi d'una superiorità qualsiasi dell'anima
o dell'ingegno. Perchè esserne geloso? Ella se ne curava così poco!...
«Lo spettacolo dopo quel canto a due fu interrotto, e grandi applausi
suonarono per tutto il teatro durante più d'un quarto d'ora. Capii di
poi che un atto era finito. Quel fracasso, a cui non ero abituato, mi
rintronava fieramente con dolorosa vivezza entro la testa. Mi serrai al
petto le braccia e chiusi gli occhi come se isolandomi per la vista,
potessi anche sceverarmi dal baccano di quella folla strepitante in
quella gran sala, che si apriva come un vasto pozzo luminoso al di sotto
di me, entro il quale mi pareva rimuggisse il demoniaco tumulto
dell'inferno di Dante.
«Mi pareva così di rientrare alquanto in me stesso, e ne avevo immenso
bisogno. Quel giorno era troppo ricco d'emozioni per l'anima mia. Due
tremende rivelazioni mi si erano fatte: quella dell'amore e quella d'un
nuovo mondo nell'arte. L'intelligenza vacillava abbracciata tenacemente
dalla passione, e sentiva che da questa stretta, fatale come la lotta di
Giacobbe coll'angelo, doveva uscirne o ringagliardita con più forti ali
al volo, o spossata ed impotente. L'idea vedeva squarciarsi dinanzi un
velo, e il suo sguardo penetrava nella zona senza limiti e misure del
sentimento dalle forme indefinite, e capiva che scorrendo in quel campo
od avrebbe attinto nuova grazia alle sue creazioni, o si sarebbe
smarrita nelle incertezze di contorni sfumati d'una sentimentalità senza
sostanza. E l'amore intanto mi stringeva come con una tanaglia il cuore,
mentre mi cantava sotto il cranio la melodia di quell'ultimo accento
d'addio dei due amanti.
«Le palpebre abbassate non mi precludevano così bene l'adito alle
pupille della luce ond'era invaso il teatro, che nel campo scuro innanzi
ai miei occhi non tardasse ad aprirsi come un cerchio rossigno, il quale
allargandosi occupò tutto lo spazio indefinito della mia visione, e nel
centro, frammezzo ad un'aureola più luminosa, mi apparve la figura di
lei, quale avevo vista testè, quale non avevo che ad aprire gli occhi
per vedere viva e reale.
«La contemplai meco stesso, come un'immagine stampata nella mia mente.
Intorno alla seria e dolce sua fisionomia aleggiavano, per così dire, le
note melodiose di quel canto d'amore onde l'anima mia s'era impregnata;
i suoi sguardi lampeggiavano di una luce sovrumana e mi parevano fissi
su me raggiandomi addosso un soave calore. Ebbi di botto il bisogno di
vedere la realtà di quell'immagine. Aprii gli occhi. Aimè! Essa era
volta verso l'interno della loggia e non mi presentava più che le ricche
ed abbondanti treccie dei suoi capelli dorati raccolte in un voluminoso
ammasso sopra della sua nuca.
«Ricominciarono i suoni ed i canti. Non ti dirò tutte le sensazioni che
passarono nell'anima mia, perchè non la finirei più. Era un sogno, un
mirabile succedersi di fantasie, di visioni impossibili, di chimere
ineffabili. Non vivevo più della vita terrena; ero trasportato come in
un'esistenza superiore, con altri sensi, con altre percezioni; ero nel
delirio della pazzia o del genio: non mi riconoscevo più me stesso; non
sentivo più di me che il mio amore in un turbine d'emozioni
inesprimibili.
«Il dramma musicale seguitava la sua splendida evoluzione di melodie.
Udii i gemiti della fanciulla innamorata cui sacrificavano all'interesse
in un matrimonio abborrito, imponendole un tradimento alla sua fede;
udii i canti di festa per le infaustissime nozze; udii la voce di dolor
disperato e il grido di maledizione che mandò l'amante tradito, tornato
giusto a tempo per assistere all'irrevocabil sanzione di quell'infame
patto che gli toglieva l'amor suo per sempre. Rabbrividii,
raccapricciai, riarsi. Vissi della vita immaginata di quell'infelice,
sentii me stesso trasportato in quegli avvenimenti ed io parte
principale; soffrii del dolore di quella musica che piangeva, che
minacciava, che supplicava, che malediva. Il concerto sublime, affatto
nuovo per me, di suoni e di voci in quel grandioso finale che svolgeva
la sua imponente frase solenne, mi produsse un magico effetto. Parevami
di sentirmi capace di qualunque maggior virtù, di qualunque eroismo, di
qualunque sacrifizio. Per lei, innanzi a lei, avrei incontrato felice la
morte del martire....
«Ella pure era trasportata e commossa.... Sì, certo; non era una folle
superbia la mia, le nostre due anime si incontravano nei sentimenti
medesimi.....
«Come passarono rapidi quei momenti i quali pur tuttavia furono occupati
da tanta immensità di pensieri e di sensazioni!.. Ella, prima che lo
spettacolo terminasse, si partì. Non potei più rimanere colà neppur io.
Feci il possibile per affrettarmi a venir fuori da poterla ancora vedere
prima che salisse nella carrozza; ma la troppa gente che era stipata nel
loggione, e traverso cui dovetti aprirmi il passaggio, mi ritardò
talmente che quando fui alla porta del teatro, la carrozza da cui ella
era trasportata più non poteva non che raggiungersi, vedersi
nell'oscurità della notte.
«Girai lungamente per le strade e le piazze di Torino, senza direzione,
senza pensieri ben precisi nella testa, con tutto un caos di idee
indiscernibili e di inesprimibili affetti. Batteva la più limpida luna
che esser possa. Quei concenti musicali mi ronzavano dentro il capo,
confusi l'uno coll'altro, vaghe reminiscenze che non potevo afferrare e
far concrete. Pensavo a lei, pensavo al mio avvenire; poi ad un tratto
mi ricordavo del villaggio e della mia infanzia, dei maltrattamenti
della Margherita e delle soavi parole e della fisionomia amorevole di
don Venanzio; di colpo tutto quel mulinìo di pensieri cessava e svaniva,
e mi trovavo colla testa vuota, con una smemorataggine strana e che mi
stupiva, con non altra sensazione più che una specie d'indolorimento nel
cervello affaticato. I piedi mi si piantavano di per sè a quel punto
dove mi trovavo; guardavo stupito o meglio stupidito intorno a me;
fissavo la luna, le stelle, l'ombra scura delle case allungata nelle
vie, il rossigno chiarore oscillante dei lampioni alle cantonate. Mi
riscuotevo in sussulto ed un nuovo èmpito di pugnaci pensieri m'invadeva
il cervello.
«Corsi a casa e mi rinchiusi nella mia povera soffitta, entro cui
guardava con quella specie di suo calmo sorriso la sembianza di volto
della luna. Aprii le invetrate, e la fronte esposta all'aria fresca
della notte mi appoggiai coi gomiti al davanzale e stetti là continuando
quella corsa matta del mio cervello fra le più strane immagini alla più
impossibile chimera.
«La luna venne calando mano a mano, e poi sparì; mi rimanevano dinanzi
le stelle tremolanti che mi parevano uno scintillìo di sguardi che mi
osservassero dal fondo dall'infinito.
«— Che cosa siete voi, esseri misteriosi dello spazio interminato?
Esclamai tendendo loro le braccia con aspirazione dissensata. Soli di
mondi innumerevoli, vedete voi travagliarsi nelle vostre sfere
l'intelligenza? lottare la vita? palpitare l'amore? Vivete voi? Soffrite
voi? Amate voi?.... E perchè? A quale conclusione camminate voi o mondi
nell'eterno avvolgimento delle orbite vostre?.... La spiegazione di
tutto l'universo è il nulla, il risultamento di tutto il lavoro della
immensa natura è una cieca necessità senza ragione che in un momento può
distrursi da sè stessa e ripiombare la materia nella fusione primitiva,
e noi intelligenze che possiamo apprendere al nostro passaggio un lembo,
un adombramento della verità, dobbiamo disfarci e disperderci nel nulla,
perchè questa verità intiera non sia mai da nessuna intelligenza, da
consciente volontà abbracciata? Perchè avremmo adunque l'idea
dell'infinito? Perchè allora quest'amore che mi pare coesista eterno
nell'anima mia e debba accompagnarmi nell'eternità del futuro?.... Oh
amore! Sei tu dunque l'ultima ragion delle cose?.... Sei tu il centro di
attrazione dell'universo? Sei tu il Dio supremo dell'esistente?
«Un fiotto di fede e di poesia invase l'anima mia, su cui era passato
l'amaro soffio della negazione. I versi e le immagini sobbollirono nel
mio cervello. Mi slanciai al mio tavolino, accesi la mia lucernetta e
con mano convulsa sotto l'impeto della pressante ispirazione, indirizzai
a quella sublime bellezza che mi era apparsa nella vita, un secondo inno
d'amore.
«La testa mi abbruciava, il cervello mi doleva come se la fronte fosse
un cerchio di ferro che soverchiamente stringesse l'intelligenza; il mio
cranio pareva un letto di Procuste all'espansione del mio spirito; il
sangue mi si affoltava nei polsi con penosa violenza. Mi parve ad un
punto che il mio collo era troppo debole a sostenere il mio capo invaso
e saturo da un mondo d'idee; posai le braccia sul piano della tavola e
sopra di esse reclinai la testa occupata da tanta tenzone. Non mi parve
chiudessi gli occhi, ma pure innanzi alle mie pupille la fiammella della
lucerna si affievolì, si scemò, si ridusse ad un punto impercettibile
che pareva una di quelle stelle di menoma grandezza che mi apparivano
poc'anzi nell'abisso de' cieli. Dalla finestra che avevo lasciata
aperta, entrò un fresco alito di vento che corse ne' miei capelli come
la carezza leggiera d'una mano amorosa, che mi temperò l'ardor della
fronte sfiorandola come il soffio d'un bacio soave. Nella mia stanza non
era tenebra, e non vi era tuttavia luce terrena. Un indescrivibile
chiarore pallido, azzurrigno, mite come il riflesso d'una perla, era
diffuso intorno a me quasi una nebbia leggiera; somigliava alla luce
delle nebulose, cui travede nelle incalcolabili distanze dello spazio il
telescopio dell'astronomo. Era un sopore il mio? No. Ero tolto al
movimento della vita, alle impressioni più grossolane dei sensi
corporei, ma perdurava in me la coscienza di me stesso. Vi ha una razza
d'insetti, i cui figli, appena sbocciati vermiciattoli, hanno mestieri
di cibarsi del corpo vivo d'un'altra specie di animaletti. I genitori di
questi crudeli vermi, i genitori che muoiono tosto dopo allogate nel
nido le uova che saranno i loro figli cui essi non vedranno mai; i
genitori, dico, per ammirabile guida di quell'istinto che è uno dei più
grandi misteri della natura, vanno alla caccia di quegli animaluncoli
della cui carne i loro nati avranno bisogno di pascersi, e poichè
occorre che questa carne sia viva tuttavia, presili, col loro
pungiglione li feriscono in guisa che la vita permane in essi, ma ogni
possibilità di movimento è loro tolta da poter difendersi dal morso dei
neonati e nemmanco fuggirlo.
«Io era press'a poco in quella condizione. Vivevo e sentivo di vivere,
ma nello stesso tempo era come dire sospeso il giuoco per cui la volontà
trasmette i suoi cenni ai muscoli per via dei nervi, pareva fra la parte
di me che determina e quella che obbedisce, sciolto momentaneamente il
legame.
«Tra la luce della lucerna offuscatasi e me, parvemi veder sorgere come
un fumo biancolastro, come un vapore, una forma diafana che s'atteggiò a
sembianze di donna. Un'intima contentezza mi nacque nel cuore e si
dilatò per tutto l'esser mio. Era la mia visione che da tanto tempo mi
aveva abbandonato: era dessa che tornava a visitarmi. La medesima
incertezza sfumata di sembianze, ma in essa pure il medesimo
adombramento di quel soave ed amoroso sorriso. La salutai con
un'aspirazione del cuore entro il mio corpo immobile come un cadavere.
Ella mi rispose con un moto avvenente del capo, poi si chinò verso di
me; udii intorno a me suonare come un lieve susurro; parevami fosse quel
venticello della finestra che murmurasse entro i miei capelli. Ma questo
susurro, ma questo mormorio parlava. Capii le seguenti parole:
«— Ella si chiama Virginia!
«Virginia! Questo nome si ripetè come da un'eco sotto la volta del mio
cranio, penetrò come una dolcezza sino al mio cuore, si stampò nella mia
memoria per non iscancellarsene mai più. Intorno ad esso mi parvero
raggrupparsi tutte le armonie che avevo udite quella sera o che mi
risuonavano ancora in tumulto entro la testa. Mi parve che in vero non
altro nome poteva essere il suo fuor di codesto; che dovevo saperlo e
che l'avevo dimenticato; che invocandola con questo dolcissimo nome
verginale doveva al mio rispondere il suo pensiero.
— E questo, in realtà, è egli il nome di quella ragazza? Domandò
Giovanni Selva.
— Lo è: rispose Maurilio. Il mio spirito benigno non mi ha mai
ingannato.
— Senti: disse allora Giovanni con serio accento ponendo amorevolmente
la destra sulle mani che Maurilio teneva intrecciate sulle sue
ginocchia. Io non voglio contraddire per vaghezza di discussione le tue
credenze a questo riguardo; ma in faccia ad avvenimenti che escono dalla
cerchia comune dei fatti terreni, consentimi, ed anzi deve essere tuo
desiderio eziandio, che tali avvenimenti si cimentino alla critica della
ragione, e se si potrà trovare ad essi una spiegazione che non esca dai
limiti della natura....
Maurilio interruppe vivamente:
— Ma nulla di quanto accade nell'universo mondo, non esce mai dai limiti
della natura. Perchè l'uomo non ha tuttavia certificati con una scienza
che ha la vista corta alcuni fenomeni cui trova più comodo negare;
perchè non ha scoperto ancora le leggi onde questi fenomeni hanno
origine e regola, superbamente afferma che quei fenomeni non sono nella
natura, e che questa non ha leggi per essi. Ma la diva natura, che è la
volontà e la logica di Dio, abbraccia tutto, tutto, tutto, l'esistente
ed il possibile, il sensibile e il sovrasensibile; ed è uno strano e
temerario rimpicciolirla il volerla rinserrare negli angusti termini
dell'intelligibile e dell'apprensibile umano. Per me non vi ha nè
sopranaturale, nè oltrenaturale; vi ha una immensa natura di cui l'uomo
non apprende che una menoma parte: quella più direttamente in contatto
con esso, della quale ha già ampliata colla scienza di molto la
cognizione e l'amplierà ancora in avvenire, ma per non giunger mai in
questa vita terrena ad abbracciarne pur l'idea del complesso. La chimica
e la fisica hanno allargato di molto alla cognizione umana il campo
della scienza della natura: le meraviglie dell'elettrico e del
magnetismo afferrate dallo studio di questo secolo sarebbero parse cosa
sopranaturale alla poca scienza dei nostri padri; la poca scienza di noi
rigetta ancora fra le favole e le illusioni fenomeni cui non solo
crederà ma spiegherà, come ha spiegato la legge dell'attrazione, la
scienza dell'avvenire. Nulla dunque di sopranaturale, bensì di sottratto
alla volgarità comune dei sensi dell'uomo...
— Come vuoi: soggiunse Giovanni: ma pur tuttavia mi ammetterai che
questi sensi, per quanto volgari, sono dati all'uomo perchè, mercè
l'aiuto della ragione, colla potenza riflessiva e critica, e' si faccia
capace di tutta quella verità cui possa arrivare. Quando la immensa
maggioranza degli uomini, e con a capo di questa alcuni eminenti per
ingegno e per istudio, affermano che certi fenomeni sono tutt'altro che
esistenti nella realtà naturale delle cose, noi abbiamo un elemento di
giudizio irrefragabile per credere piuttosto che la verità è dalla parte
di codestoro. Tu mi dirai: sono invece i pochi dall'altra parte che,
avendo una organizzazione speciale e più eletta, vedono e sentono meglio
e più in là della grossolanità sensitiva della comune degli uomini. Ma
chi ci può affidare della verità di siffatta ipotesi? È pur cosa posta
in sodo che il cervello umano è, in parecchi individui ed in parecchi
casi, soggetto all'allucinazione; nè tu vorrai darmi per apprensioni di
alcuna parte di vero i delirii della febbre e della pazzìa, le chimere
d'un fantasticante, le immagini dei sogni.
— Chi sa? Ve ne possono essere dell'una e dell'altra sorte: fallacie del
senso intimo e fugaci visioni guaste dal mezzo ambiente o dallo
stromento apprensivo.
— Ma quale allora la stregua a misurare il grado di attendibilità di
queste manifestazioni e sceverarne i vaneggiamenti dalle realtà?
— Quale? Quella ragione che tu invocavi poc'anzi colla sua critica
riflessiva.
— Ma la ragione comincia per dire a me che tutto questo è un
assurdo.....
— Ciò non è la ragione che lo dice; è un pregiudizio. Se tu, a mezzo del
secolo scorso, avessi detto all'uomo più colto di quel tempo di
criticismo e di acume osservativo, avessi affermato ad un enciclopedista
che sapevi un mezzo di dar moto e spasimi ad un cadavere, il tuo
ascoltatore, che voleva appunto mettere in seggie la natura e gettare
abbasso tutto ciò che credeva all'infuori di lei; egli che non aveva
ancora il menomo sentore del galvanismo, ti avrebbe risposto crollando
le spalle che la sua ragione gli diceva la tua assertiva essere un
assurdo.
— La ragione, se non altro, mi dice fondatamente che quando d'un
fenomeno si può dar la spiegazione che entra nei limiti delle leggi e
delle regole conosciute, è pericoloso e nocivo, o quanto meno, è vano
andar cercandone di strane spiegazioni che turbano ad ogni modo la
logica di quel complesso di regole e di fatti cui comprende l'uomo sotto
nome di natura...
— Ne turbano il falso e ristretto concetto; si armonizzano invece in una
più ampia apprensione dell'opera di Dio... E quando poi la ragione ti
dicesse che colla spiegazione dei tuoi limiti e regole conosciute non si
spiega niente?...
— Aspetterei allora a pormene il quesito; e prima di ammettere che la
scienza positiva ha torto, vorrei anzi ammettere che la mia intelligenza
o il mio organismo sono in difetto. Del resto io vado molto guardingo
nel riconoscere la realtà di questi fatti non ispiegabili colle norme
della nostra conoscenza scientifica moderna. Il più delle volte tali
avvenimenti non sono niente affatto certificati. Ora qui, nel caso
nostro, mi trovo a fronte una tua affermazione, a cui mi piace e devo
prestare ogni credenza. Ma del fatto così provato nella sua materialità,
lasciami cercare la ragione in quei fenomeni che per me sono naturali,
non in quelli che eccedono la comprensione ch'io posso avere della
natura. Se questa ragione la trovo in tal modo, perchè non mi vi
acqueterei più volentieri che non in un ordine nuovo di fenomeni e di
leggi a cui ripugna il mio intelletto, e di cui la scienza non mi dà la
menoma prova?
— Udiamo adunque la tua spiegazione materialista: disse Maurilio col suo
strano sorriso.
— Eccola. Lungo tutta la giornata la tua mente era rimasta fissa in un
solo pensiero, la tua anima ferma in un solo desiderio: il pensiero di
lei, il desiderio di saperne il nome. La passione, fattasi, appena
sorta, gigante nel tuo cuore, la tensione continua della facoltà
pensativa, l'effetto straordinario e profondo che fecero sulla tua
natura impressionabile una stupenda musica primamente udita, un nuovo
spettacolo non visto mai, cagionarono in te quel certo eccitamento
nell'organo cerebrale, cui produce con più o meno differenza ed
intensità la ebbrezza dei vapori alcoolici, il delirio della febbre, il
misterioso fenomeno del sogno, quello stato speciale morboso della parte
intellettiva pel quale certe fantasmagorie soggettive prendono
proporzioni e natura di cose estrinseche, oggettive e reali. Tu non
avevi pensato ad altro di tutto il giorno; era naturale che sognassi di
codesto; il tuo organismo è disposto a queste astrazioni della fantasia
ed a far concreti questi fantasmi del tuo cervello; nulla di più
naturale che ciò succedesse in siffatta occasione e con tanto maggior
potenza di verosimiglianza. Tu non hai visto che le idee del tuo
cervello prender corpo apparentemente all'infuori di te nella lanterna
magica d'un sogno, riflessione anormale ed inconscia del tuo pensiero.
Maurilio scosse la testa, sorridendo ancora a quel modo.
— E come va che questo sogno, che questa riflessione anormale, che
questa fantasmagoria morbosa, o come vuoi chiamarla, mi apprese una
verità che ignoravo? Poichè il fatto è che quel nome erami del tutto
ignoto, e quello dettomi dall'apparizione fu il vero.
Giovanni esitò un poco per cercare una ragione.
— È un indovinamento, disse poi, che forse non si deve che al caso.
— Ah! il caso? Esclamò Maurilio con accento di trionfo. Questa sì che è
la spiegazione per cui non si spiega niente: questo sì che è il comodo
mezzo d'uscir d'impiccio in ogni più grave quesito che vi affacci la
natura e l'anima umana. La creazione? Il caso. L'armonia infrangibile di
essa? Il caso. La presenza e la comparsa dell'intelligenza in mezzo al
mondo della materia? Il caso..... No: questo cieco Dio, cui crea la
cecità dell'uomo, non ispiega nulla. A seconda che sminuisce l'ignoranza
umana si restringe l'azione e la potenza di questo nume senza ragione.
Noi chiamiamo caso il risultamento di leggi che ci sono ignote così da
non averne sospettato pure l'esistenza. Se l'umanità potrà progredire di
tanto che legga in tutte le pagine del gran libro di Dio, il regno
dell'azzardo, che mano a mano si rimpicciolisce, sarà del tutto
scomparso.
Fece una pausa di pochi minuti, recandosi sovra se stesso e stringendosi
colle sue grosse mani la fronte vastissima, come per raccogliervi ed
ordinare le idee che vi si agitavano per entro. Poscia ad un tratto
risollevò il capo e riprese a parlare con più forza, e direi quasi con
più autorità:
— Ma non fu questo del nome di lei il solo vero che il mio benigno
spirito in quella notte memoranda mi apprese. Ti ho detto che sotto
all'influsso di quell'eccelso amore, già la fede aveva ripreso a
picchiare alle porte della mia intelligenza per abbattervi la negazione
trincieratavisi col sofisma, già aveva invaso l'anima mia colla
ineffabile forza dell'affetto; ma difettava tuttavia la ragione logica e
suprema che coordinasse gli elementi sparsi, che chiarisse i confusi,
che assodasse i dubbi di quel sistema completo di credenze onde si
compone la scienza prima dell'uomo: quella di Dio, dell'essere
dell'anima nostra e del suo destino. L'amoroso spirito delle mie visioni
mi formolò nella parola umana la verità apprensibile dal nostro
limitatissimo intelletto dell'essere e della ragion delle cose. Vuoi tu
udirla o Giovanni?
— Sì, sì, con molto piacere: esclamò Selva che, non ostante la sua sino
allora conservata indifferenza e quasi dovrebbe dirsi ripugnanza a tutto
ciò che sapeva di metafisica, di superiore cioè alla ristretta
materialità della creazione, sentivasi pur tuttavia vivamente
interessato come da una nuova curiosità che ne avesse assalito lo
spirito. Parla, chè io ti ascolto con ogni attenzione, non rinunciando
certo al diritto di critica della mia ragione, ma non disdegnando a
priori le allegazioni e gli argomenti della tua credenza.
Maurilio, senza prepararvisi dell'altro, cominciò a parlare.
CAPITOLO XXIII.
Fra i lettori di romanzi una buona parte non cerca che l'interesse il
quale nasce dalla combinazione degli avvenimenti e dalle manifestazioni
della passione; codestoro trovano superfluo e fuor di luogo, in un
lavoro d'immaginazione come in opera d'arte, tutto ciò che ha la pretesa
di toccare gli alti quesiti della filosofia, della scienza, della
politica e dell'economia pubblica; impazienti di arrivare allo
scioglimento del nodo bene o male raggruppato che si trovano presentato
dinanzi dalla favola del racconto, dispettano ogni indugio che nel
cammino venga frapposto da considerazioni o da esposizioni che non sieno
azione di dramma. Per questi cotali non è scritto il presente capitolo:
e siccome all'intelligibilità dell'intreccio drammatico ed alla
conoscenza dello svolgimento dei fatti non nuocerà per nulla affatto
l'ometterne la lettura; così io consiglio senz'altro chi non si piace di
queste cui giudica vane fisime e inutili sopraccapi di filosofia, di
saltare a pie' pari l'intiero capitolo e ricominciare al XXIV, dove si
riprenderà la catena della narrazione.
Avendo poi in animo di scrivere in questo lavoro la storia non solo dei
fatti materiali della vita, ma dell'anima di certe individualità, in cui
rappresentate intiere classi, non mi parve potere a meno che affrontare
eziandio il gravissimo quesito dell'essere, della natura, del destino
oltre questa terra dell'anima umana: quesito che comprende la quistione
della coesistenza del bene e del male e quella della divinità. Qual è
l'uomo che pensa, il quale, anche quando si tenga attaccato alla fede
impostagli autorevolmente nell'infanzia dall'affermazione presentatagli
come indiscutibile dei maggiori, pur tuttavia non si trovi in dati
momenti faccia a faccia con questi terribili enimmi gettatigli innanzi
di forza dalla sfinge della vita? In quest'epoca in cui ogni credenza
vacilla e la crosta esteriore, per così dire, di tutto il mondo sociale
è una strana miscela di scetticismo indifferente e di audaci negazioni
rincalzate da vantati progressi di scienze positive, con qualche chiazza
qua e là di vernice d'ipocrisia, a mio avviso, nel substrato
dell'umanità, nelle viscere di essa e forse appunto in quelle classi
inferiori non abbastanza apprezzate e curate fin qui, di cui tuttavia
non si dà abbastanza pensiero la parte gaudente del genere umano; in
quelle classi di cui è intenzione del presente lavoro tracciare i
principali elementi; in quelle classi che, come già pel passato
emanarono dal loro seno il ceto medio, dovranno nell'avvenire dar la
materia d'una società diversamente atteggiata e d'una civiltà novella;
in quelle classi dico, serpe, e si agita, e fa suo cammino
inconsciamente un bisogno di fede nuova, più pura di pregiudizi, meno
materiale, più logica, se così posso dire, almanco nella sua estrinseca
forma. È inutile il dissimularselo. Le agitazioni politiche, le quali
dalla caduta del colosso napoleonico fino ad ora — e non accennano
cessare — hanno scombuiato il mondo, non sono che i prodromi d'una
rivoluzione sociale; ma questa, come quella politica, non sono che un
rimutamento esteriore dell'umanità, il quale avendo luogo nella materia,
implica, ed è manifestazione ed effetto d'un rimutamento necessario
avvenuto o da avvenire contemporaneamente nello spirito. L'idea domina
il mondo: lo spirito regge l'uomo; avete bel decretare con impotenti
aforismi materialistici che lo spirito non esiste e che l'idea è una
creazione della sostanza cerebrale; sarà sempre la modificazione della
parte immateriale dell'uomo che cagionerà e guiderà i mutamenti e i
progressi de' suoi fatti esteriori e de' suoi istituti. Perciò voi
vedete la quistione religiosa far capolino da per tutto sotto quella
politica. Invano la volete escludere; invano volete rimandarla al di
poi; riuscirete forse a ritardarne l'aperto scendere in campo; ma, dopo
avere assalito l'intelligenza dei pensatori nelle loro veglie
travagliose, dopo avere lottato nell'arena scientifica coi crogiuoli del
chimico, lo scalpello dell'anatomico e le deduzioni sperimentali del
fisiologo, lotta che ne acuisce come cote le armi, e la purga da molti
elementi d'errore; dopo avere oscuramente, confusamente agitate le
coscienze delle plebi, un giorno scoppierà nelle manifestazioni della
vita sociale, non colla violenza materiale, speriamo, ma con quella
ancora più irresistibile d'una nuova evoluzione della mente umana che ha
bisogno di trovare la sua forma, d'una necessità del progresso.
Io qui non sono nè propagatore di nuove dottrine, nè ambizioso cercator
di proseliti; sono espositore soltanto d'un complesso di pensieri a tal
riguardo, nel qual complesso mi pare scorgere che s'acquetino le
più chiaro, più giusto, più completo l'ideale della sua creazione. Non
ero geloso di tutti gli altri che dividevano meco la felicità di
respirare nel medesimo ambiente di lei, di commuoversi delle medesime
dolcezze; nessuno di certo sapeva innalzarsi alla altezza delle
sensazioni di quell'angelica creatura; io superbamente mi dicevo che
coll'ardore dell'amor mio ci arrivavo. Non ero geloso il meno del mondo
di quegli eleganti che nel suo palchetto ciarlavano e ridevano con
zazzere arricciate, con baffi incerati, con guanti bianchi alle mani e
la lente nell'occhiaia, azzimati, ornati, studiati nell'acconciatura e
nelle mosse, leggiadrissimi di bellezze da figurino, ameni fors'anco ed
ingegnosi ed arguti nella conversazione e nel motteggio, ma senza un
lampo nella fronte e negli occhi d'una superiorità qualsiasi dell'anima
o dell'ingegno. Perchè esserne geloso? Ella se ne curava così poco!...
«Lo spettacolo dopo quel canto a due fu interrotto, e grandi applausi
suonarono per tutto il teatro durante più d'un quarto d'ora. Capii di
poi che un atto era finito. Quel fracasso, a cui non ero abituato, mi
rintronava fieramente con dolorosa vivezza entro la testa. Mi serrai al
petto le braccia e chiusi gli occhi come se isolandomi per la vista,
potessi anche sceverarmi dal baccano di quella folla strepitante in
quella gran sala, che si apriva come un vasto pozzo luminoso al di sotto
di me, entro il quale mi pareva rimuggisse il demoniaco tumulto
dell'inferno di Dante.
«Mi pareva così di rientrare alquanto in me stesso, e ne avevo immenso
bisogno. Quel giorno era troppo ricco d'emozioni per l'anima mia. Due
tremende rivelazioni mi si erano fatte: quella dell'amore e quella d'un
nuovo mondo nell'arte. L'intelligenza vacillava abbracciata tenacemente
dalla passione, e sentiva che da questa stretta, fatale come la lotta di
Giacobbe coll'angelo, doveva uscirne o ringagliardita con più forti ali
al volo, o spossata ed impotente. L'idea vedeva squarciarsi dinanzi un
velo, e il suo sguardo penetrava nella zona senza limiti e misure del
sentimento dalle forme indefinite, e capiva che scorrendo in quel campo
od avrebbe attinto nuova grazia alle sue creazioni, o si sarebbe
smarrita nelle incertezze di contorni sfumati d'una sentimentalità senza
sostanza. E l'amore intanto mi stringeva come con una tanaglia il cuore,
mentre mi cantava sotto il cranio la melodia di quell'ultimo accento
d'addio dei due amanti.
«Le palpebre abbassate non mi precludevano così bene l'adito alle
pupille della luce ond'era invaso il teatro, che nel campo scuro innanzi
ai miei occhi non tardasse ad aprirsi come un cerchio rossigno, il quale
allargandosi occupò tutto lo spazio indefinito della mia visione, e nel
centro, frammezzo ad un'aureola più luminosa, mi apparve la figura di
lei, quale avevo vista testè, quale non avevo che ad aprire gli occhi
per vedere viva e reale.
«La contemplai meco stesso, come un'immagine stampata nella mia mente.
Intorno alla seria e dolce sua fisionomia aleggiavano, per così dire, le
note melodiose di quel canto d'amore onde l'anima mia s'era impregnata;
i suoi sguardi lampeggiavano di una luce sovrumana e mi parevano fissi
su me raggiandomi addosso un soave calore. Ebbi di botto il bisogno di
vedere la realtà di quell'immagine. Aprii gli occhi. Aimè! Essa era
volta verso l'interno della loggia e non mi presentava più che le ricche
ed abbondanti treccie dei suoi capelli dorati raccolte in un voluminoso
ammasso sopra della sua nuca.
«Ricominciarono i suoni ed i canti. Non ti dirò tutte le sensazioni che
passarono nell'anima mia, perchè non la finirei più. Era un sogno, un
mirabile succedersi di fantasie, di visioni impossibili, di chimere
ineffabili. Non vivevo più della vita terrena; ero trasportato come in
un'esistenza superiore, con altri sensi, con altre percezioni; ero nel
delirio della pazzia o del genio: non mi riconoscevo più me stesso; non
sentivo più di me che il mio amore in un turbine d'emozioni
inesprimibili.
«Il dramma musicale seguitava la sua splendida evoluzione di melodie.
Udii i gemiti della fanciulla innamorata cui sacrificavano all'interesse
in un matrimonio abborrito, imponendole un tradimento alla sua fede;
udii i canti di festa per le infaustissime nozze; udii la voce di dolor
disperato e il grido di maledizione che mandò l'amante tradito, tornato
giusto a tempo per assistere all'irrevocabil sanzione di quell'infame
patto che gli toglieva l'amor suo per sempre. Rabbrividii,
raccapricciai, riarsi. Vissi della vita immaginata di quell'infelice,
sentii me stesso trasportato in quegli avvenimenti ed io parte
principale; soffrii del dolore di quella musica che piangeva, che
minacciava, che supplicava, che malediva. Il concerto sublime, affatto
nuovo per me, di suoni e di voci in quel grandioso finale che svolgeva
la sua imponente frase solenne, mi produsse un magico effetto. Parevami
di sentirmi capace di qualunque maggior virtù, di qualunque eroismo, di
qualunque sacrifizio. Per lei, innanzi a lei, avrei incontrato felice la
morte del martire....
«Ella pure era trasportata e commossa.... Sì, certo; non era una folle
superbia la mia, le nostre due anime si incontravano nei sentimenti
medesimi.....
«Come passarono rapidi quei momenti i quali pur tuttavia furono occupati
da tanta immensità di pensieri e di sensazioni!.. Ella, prima che lo
spettacolo terminasse, si partì. Non potei più rimanere colà neppur io.
Feci il possibile per affrettarmi a venir fuori da poterla ancora vedere
prima che salisse nella carrozza; ma la troppa gente che era stipata nel
loggione, e traverso cui dovetti aprirmi il passaggio, mi ritardò
talmente che quando fui alla porta del teatro, la carrozza da cui ella
era trasportata più non poteva non che raggiungersi, vedersi
nell'oscurità della notte.
«Girai lungamente per le strade e le piazze di Torino, senza direzione,
senza pensieri ben precisi nella testa, con tutto un caos di idee
indiscernibili e di inesprimibili affetti. Batteva la più limpida luna
che esser possa. Quei concenti musicali mi ronzavano dentro il capo,
confusi l'uno coll'altro, vaghe reminiscenze che non potevo afferrare e
far concrete. Pensavo a lei, pensavo al mio avvenire; poi ad un tratto
mi ricordavo del villaggio e della mia infanzia, dei maltrattamenti
della Margherita e delle soavi parole e della fisionomia amorevole di
don Venanzio; di colpo tutto quel mulinìo di pensieri cessava e svaniva,
e mi trovavo colla testa vuota, con una smemorataggine strana e che mi
stupiva, con non altra sensazione più che una specie d'indolorimento nel
cervello affaticato. I piedi mi si piantavano di per sè a quel punto
dove mi trovavo; guardavo stupito o meglio stupidito intorno a me;
fissavo la luna, le stelle, l'ombra scura delle case allungata nelle
vie, il rossigno chiarore oscillante dei lampioni alle cantonate. Mi
riscuotevo in sussulto ed un nuovo èmpito di pugnaci pensieri m'invadeva
il cervello.
«Corsi a casa e mi rinchiusi nella mia povera soffitta, entro cui
guardava con quella specie di suo calmo sorriso la sembianza di volto
della luna. Aprii le invetrate, e la fronte esposta all'aria fresca
della notte mi appoggiai coi gomiti al davanzale e stetti là continuando
quella corsa matta del mio cervello fra le più strane immagini alla più
impossibile chimera.
«La luna venne calando mano a mano, e poi sparì; mi rimanevano dinanzi
le stelle tremolanti che mi parevano uno scintillìo di sguardi che mi
osservassero dal fondo dall'infinito.
«— Che cosa siete voi, esseri misteriosi dello spazio interminato?
Esclamai tendendo loro le braccia con aspirazione dissensata. Soli di
mondi innumerevoli, vedete voi travagliarsi nelle vostre sfere
l'intelligenza? lottare la vita? palpitare l'amore? Vivete voi? Soffrite
voi? Amate voi?.... E perchè? A quale conclusione camminate voi o mondi
nell'eterno avvolgimento delle orbite vostre?.... La spiegazione di
tutto l'universo è il nulla, il risultamento di tutto il lavoro della
immensa natura è una cieca necessità senza ragione che in un momento può
distrursi da sè stessa e ripiombare la materia nella fusione primitiva,
e noi intelligenze che possiamo apprendere al nostro passaggio un lembo,
un adombramento della verità, dobbiamo disfarci e disperderci nel nulla,
perchè questa verità intiera non sia mai da nessuna intelligenza, da
consciente volontà abbracciata? Perchè avremmo adunque l'idea
dell'infinito? Perchè allora quest'amore che mi pare coesista eterno
nell'anima mia e debba accompagnarmi nell'eternità del futuro?.... Oh
amore! Sei tu dunque l'ultima ragion delle cose?.... Sei tu il centro di
attrazione dell'universo? Sei tu il Dio supremo dell'esistente?
«Un fiotto di fede e di poesia invase l'anima mia, su cui era passato
l'amaro soffio della negazione. I versi e le immagini sobbollirono nel
mio cervello. Mi slanciai al mio tavolino, accesi la mia lucernetta e
con mano convulsa sotto l'impeto della pressante ispirazione, indirizzai
a quella sublime bellezza che mi era apparsa nella vita, un secondo inno
d'amore.
«La testa mi abbruciava, il cervello mi doleva come se la fronte fosse
un cerchio di ferro che soverchiamente stringesse l'intelligenza; il mio
cranio pareva un letto di Procuste all'espansione del mio spirito; il
sangue mi si affoltava nei polsi con penosa violenza. Mi parve ad un
punto che il mio collo era troppo debole a sostenere il mio capo invaso
e saturo da un mondo d'idee; posai le braccia sul piano della tavola e
sopra di esse reclinai la testa occupata da tanta tenzone. Non mi parve
chiudessi gli occhi, ma pure innanzi alle mie pupille la fiammella della
lucerna si affievolì, si scemò, si ridusse ad un punto impercettibile
che pareva una di quelle stelle di menoma grandezza che mi apparivano
poc'anzi nell'abisso de' cieli. Dalla finestra che avevo lasciata
aperta, entrò un fresco alito di vento che corse ne' miei capelli come
la carezza leggiera d'una mano amorosa, che mi temperò l'ardor della
fronte sfiorandola come il soffio d'un bacio soave. Nella mia stanza non
era tenebra, e non vi era tuttavia luce terrena. Un indescrivibile
chiarore pallido, azzurrigno, mite come il riflesso d'una perla, era
diffuso intorno a me quasi una nebbia leggiera; somigliava alla luce
delle nebulose, cui travede nelle incalcolabili distanze dello spazio il
telescopio dell'astronomo. Era un sopore il mio? No. Ero tolto al
movimento della vita, alle impressioni più grossolane dei sensi
corporei, ma perdurava in me la coscienza di me stesso. Vi ha una razza
d'insetti, i cui figli, appena sbocciati vermiciattoli, hanno mestieri
di cibarsi del corpo vivo d'un'altra specie di animaletti. I genitori di
questi crudeli vermi, i genitori che muoiono tosto dopo allogate nel
nido le uova che saranno i loro figli cui essi non vedranno mai; i
genitori, dico, per ammirabile guida di quell'istinto che è uno dei più
grandi misteri della natura, vanno alla caccia di quegli animaluncoli
della cui carne i loro nati avranno bisogno di pascersi, e poichè
occorre che questa carne sia viva tuttavia, presili, col loro
pungiglione li feriscono in guisa che la vita permane in essi, ma ogni
possibilità di movimento è loro tolta da poter difendersi dal morso dei
neonati e nemmanco fuggirlo.
«Io era press'a poco in quella condizione. Vivevo e sentivo di vivere,
ma nello stesso tempo era come dire sospeso il giuoco per cui la volontà
trasmette i suoi cenni ai muscoli per via dei nervi, pareva fra la parte
di me che determina e quella che obbedisce, sciolto momentaneamente il
legame.
«Tra la luce della lucerna offuscatasi e me, parvemi veder sorgere come
un fumo biancolastro, come un vapore, una forma diafana che s'atteggiò a
sembianze di donna. Un'intima contentezza mi nacque nel cuore e si
dilatò per tutto l'esser mio. Era la mia visione che da tanto tempo mi
aveva abbandonato: era dessa che tornava a visitarmi. La medesima
incertezza sfumata di sembianze, ma in essa pure il medesimo
adombramento di quel soave ed amoroso sorriso. La salutai con
un'aspirazione del cuore entro il mio corpo immobile come un cadavere.
Ella mi rispose con un moto avvenente del capo, poi si chinò verso di
me; udii intorno a me suonare come un lieve susurro; parevami fosse quel
venticello della finestra che murmurasse entro i miei capelli. Ma questo
susurro, ma questo mormorio parlava. Capii le seguenti parole:
«— Ella si chiama Virginia!
«Virginia! Questo nome si ripetè come da un'eco sotto la volta del mio
cranio, penetrò come una dolcezza sino al mio cuore, si stampò nella mia
memoria per non iscancellarsene mai più. Intorno ad esso mi parvero
raggrupparsi tutte le armonie che avevo udite quella sera o che mi
risuonavano ancora in tumulto entro la testa. Mi parve che in vero non
altro nome poteva essere il suo fuor di codesto; che dovevo saperlo e
che l'avevo dimenticato; che invocandola con questo dolcissimo nome
verginale doveva al mio rispondere il suo pensiero.
— E questo, in realtà, è egli il nome di quella ragazza? Domandò
Giovanni Selva.
— Lo è: rispose Maurilio. Il mio spirito benigno non mi ha mai
ingannato.
— Senti: disse allora Giovanni con serio accento ponendo amorevolmente
la destra sulle mani che Maurilio teneva intrecciate sulle sue
ginocchia. Io non voglio contraddire per vaghezza di discussione le tue
credenze a questo riguardo; ma in faccia ad avvenimenti che escono dalla
cerchia comune dei fatti terreni, consentimi, ed anzi deve essere tuo
desiderio eziandio, che tali avvenimenti si cimentino alla critica della
ragione, e se si potrà trovare ad essi una spiegazione che non esca dai
limiti della natura....
Maurilio interruppe vivamente:
— Ma nulla di quanto accade nell'universo mondo, non esce mai dai limiti
della natura. Perchè l'uomo non ha tuttavia certificati con una scienza
che ha la vista corta alcuni fenomeni cui trova più comodo negare;
perchè non ha scoperto ancora le leggi onde questi fenomeni hanno
origine e regola, superbamente afferma che quei fenomeni non sono nella
natura, e che questa non ha leggi per essi. Ma la diva natura, che è la
volontà e la logica di Dio, abbraccia tutto, tutto, tutto, l'esistente
ed il possibile, il sensibile e il sovrasensibile; ed è uno strano e
temerario rimpicciolirla il volerla rinserrare negli angusti termini
dell'intelligibile e dell'apprensibile umano. Per me non vi ha nè
sopranaturale, nè oltrenaturale; vi ha una immensa natura di cui l'uomo
non apprende che una menoma parte: quella più direttamente in contatto
con esso, della quale ha già ampliata colla scienza di molto la
cognizione e l'amplierà ancora in avvenire, ma per non giunger mai in
questa vita terrena ad abbracciarne pur l'idea del complesso. La chimica
e la fisica hanno allargato di molto alla cognizione umana il campo
della scienza della natura: le meraviglie dell'elettrico e del
magnetismo afferrate dallo studio di questo secolo sarebbero parse cosa
sopranaturale alla poca scienza dei nostri padri; la poca scienza di noi
rigetta ancora fra le favole e le illusioni fenomeni cui non solo
crederà ma spiegherà, come ha spiegato la legge dell'attrazione, la
scienza dell'avvenire. Nulla dunque di sopranaturale, bensì di sottratto
alla volgarità comune dei sensi dell'uomo...
— Come vuoi: soggiunse Giovanni: ma pur tuttavia mi ammetterai che
questi sensi, per quanto volgari, sono dati all'uomo perchè, mercè
l'aiuto della ragione, colla potenza riflessiva e critica, e' si faccia
capace di tutta quella verità cui possa arrivare. Quando la immensa
maggioranza degli uomini, e con a capo di questa alcuni eminenti per
ingegno e per istudio, affermano che certi fenomeni sono tutt'altro che
esistenti nella realtà naturale delle cose, noi abbiamo un elemento di
giudizio irrefragabile per credere piuttosto che la verità è dalla parte
di codestoro. Tu mi dirai: sono invece i pochi dall'altra parte che,
avendo una organizzazione speciale e più eletta, vedono e sentono meglio
e più in là della grossolanità sensitiva della comune degli uomini. Ma
chi ci può affidare della verità di siffatta ipotesi? È pur cosa posta
in sodo che il cervello umano è, in parecchi individui ed in parecchi
casi, soggetto all'allucinazione; nè tu vorrai darmi per apprensioni di
alcuna parte di vero i delirii della febbre e della pazzìa, le chimere
d'un fantasticante, le immagini dei sogni.
— Chi sa? Ve ne possono essere dell'una e dell'altra sorte: fallacie del
senso intimo e fugaci visioni guaste dal mezzo ambiente o dallo
stromento apprensivo.
— Ma quale allora la stregua a misurare il grado di attendibilità di
queste manifestazioni e sceverarne i vaneggiamenti dalle realtà?
— Quale? Quella ragione che tu invocavi poc'anzi colla sua critica
riflessiva.
— Ma la ragione comincia per dire a me che tutto questo è un
assurdo.....
— Ciò non è la ragione che lo dice; è un pregiudizio. Se tu, a mezzo del
secolo scorso, avessi detto all'uomo più colto di quel tempo di
criticismo e di acume osservativo, avessi affermato ad un enciclopedista
che sapevi un mezzo di dar moto e spasimi ad un cadavere, il tuo
ascoltatore, che voleva appunto mettere in seggie la natura e gettare
abbasso tutto ciò che credeva all'infuori di lei; egli che non aveva
ancora il menomo sentore del galvanismo, ti avrebbe risposto crollando
le spalle che la sua ragione gli diceva la tua assertiva essere un
assurdo.
— La ragione, se non altro, mi dice fondatamente che quando d'un
fenomeno si può dar la spiegazione che entra nei limiti delle leggi e
delle regole conosciute, è pericoloso e nocivo, o quanto meno, è vano
andar cercandone di strane spiegazioni che turbano ad ogni modo la
logica di quel complesso di regole e di fatti cui comprende l'uomo sotto
nome di natura...
— Ne turbano il falso e ristretto concetto; si armonizzano invece in una
più ampia apprensione dell'opera di Dio... E quando poi la ragione ti
dicesse che colla spiegazione dei tuoi limiti e regole conosciute non si
spiega niente?...
— Aspetterei allora a pormene il quesito; e prima di ammettere che la
scienza positiva ha torto, vorrei anzi ammettere che la mia intelligenza
o il mio organismo sono in difetto. Del resto io vado molto guardingo
nel riconoscere la realtà di questi fatti non ispiegabili colle norme
della nostra conoscenza scientifica moderna. Il più delle volte tali
avvenimenti non sono niente affatto certificati. Ora qui, nel caso
nostro, mi trovo a fronte una tua affermazione, a cui mi piace e devo
prestare ogni credenza. Ma del fatto così provato nella sua materialità,
lasciami cercare la ragione in quei fenomeni che per me sono naturali,
non in quelli che eccedono la comprensione ch'io posso avere della
natura. Se questa ragione la trovo in tal modo, perchè non mi vi
acqueterei più volentieri che non in un ordine nuovo di fenomeni e di
leggi a cui ripugna il mio intelletto, e di cui la scienza non mi dà la
menoma prova?
— Udiamo adunque la tua spiegazione materialista: disse Maurilio col suo
strano sorriso.
— Eccola. Lungo tutta la giornata la tua mente era rimasta fissa in un
solo pensiero, la tua anima ferma in un solo desiderio: il pensiero di
lei, il desiderio di saperne il nome. La passione, fattasi, appena
sorta, gigante nel tuo cuore, la tensione continua della facoltà
pensativa, l'effetto straordinario e profondo che fecero sulla tua
natura impressionabile una stupenda musica primamente udita, un nuovo
spettacolo non visto mai, cagionarono in te quel certo eccitamento
nell'organo cerebrale, cui produce con più o meno differenza ed
intensità la ebbrezza dei vapori alcoolici, il delirio della febbre, il
misterioso fenomeno del sogno, quello stato speciale morboso della parte
intellettiva pel quale certe fantasmagorie soggettive prendono
proporzioni e natura di cose estrinseche, oggettive e reali. Tu non
avevi pensato ad altro di tutto il giorno; era naturale che sognassi di
codesto; il tuo organismo è disposto a queste astrazioni della fantasia
ed a far concreti questi fantasmi del tuo cervello; nulla di più
naturale che ciò succedesse in siffatta occasione e con tanto maggior
potenza di verosimiglianza. Tu non hai visto che le idee del tuo
cervello prender corpo apparentemente all'infuori di te nella lanterna
magica d'un sogno, riflessione anormale ed inconscia del tuo pensiero.
Maurilio scosse la testa, sorridendo ancora a quel modo.
— E come va che questo sogno, che questa riflessione anormale, che
questa fantasmagoria morbosa, o come vuoi chiamarla, mi apprese una
verità che ignoravo? Poichè il fatto è che quel nome erami del tutto
ignoto, e quello dettomi dall'apparizione fu il vero.
Giovanni esitò un poco per cercare una ragione.
— È un indovinamento, disse poi, che forse non si deve che al caso.
— Ah! il caso? Esclamò Maurilio con accento di trionfo. Questa sì che è
la spiegazione per cui non si spiega niente: questo sì che è il comodo
mezzo d'uscir d'impiccio in ogni più grave quesito che vi affacci la
natura e l'anima umana. La creazione? Il caso. L'armonia infrangibile di
essa? Il caso. La presenza e la comparsa dell'intelligenza in mezzo al
mondo della materia? Il caso..... No: questo cieco Dio, cui crea la
cecità dell'uomo, non ispiega nulla. A seconda che sminuisce l'ignoranza
umana si restringe l'azione e la potenza di questo nume senza ragione.
Noi chiamiamo caso il risultamento di leggi che ci sono ignote così da
non averne sospettato pure l'esistenza. Se l'umanità potrà progredire di
tanto che legga in tutte le pagine del gran libro di Dio, il regno
dell'azzardo, che mano a mano si rimpicciolisce, sarà del tutto
scomparso.
Fece una pausa di pochi minuti, recandosi sovra se stesso e stringendosi
colle sue grosse mani la fronte vastissima, come per raccogliervi ed
ordinare le idee che vi si agitavano per entro. Poscia ad un tratto
risollevò il capo e riprese a parlare con più forza, e direi quasi con
più autorità:
— Ma non fu questo del nome di lei il solo vero che il mio benigno
spirito in quella notte memoranda mi apprese. Ti ho detto che sotto
all'influsso di quell'eccelso amore, già la fede aveva ripreso a
picchiare alle porte della mia intelligenza per abbattervi la negazione
trincieratavisi col sofisma, già aveva invaso l'anima mia colla
ineffabile forza dell'affetto; ma difettava tuttavia la ragione logica e
suprema che coordinasse gli elementi sparsi, che chiarisse i confusi,
che assodasse i dubbi di quel sistema completo di credenze onde si
compone la scienza prima dell'uomo: quella di Dio, dell'essere
dell'anima nostra e del suo destino. L'amoroso spirito delle mie visioni
mi formolò nella parola umana la verità apprensibile dal nostro
limitatissimo intelletto dell'essere e della ragion delle cose. Vuoi tu
udirla o Giovanni?
— Sì, sì, con molto piacere: esclamò Selva che, non ostante la sua sino
allora conservata indifferenza e quasi dovrebbe dirsi ripugnanza a tutto
ciò che sapeva di metafisica, di superiore cioè alla ristretta
materialità della creazione, sentivasi pur tuttavia vivamente
interessato come da una nuova curiosità che ne avesse assalito lo
spirito. Parla, chè io ti ascolto con ogni attenzione, non rinunciando
certo al diritto di critica della mia ragione, ma non disdegnando a
priori le allegazioni e gli argomenti della tua credenza.
Maurilio, senza prepararvisi dell'altro, cominciò a parlare.
CAPITOLO XXIII.
Fra i lettori di romanzi una buona parte non cerca che l'interesse il
quale nasce dalla combinazione degli avvenimenti e dalle manifestazioni
della passione; codestoro trovano superfluo e fuor di luogo, in un
lavoro d'immaginazione come in opera d'arte, tutto ciò che ha la pretesa
di toccare gli alti quesiti della filosofia, della scienza, della
politica e dell'economia pubblica; impazienti di arrivare allo
scioglimento del nodo bene o male raggruppato che si trovano presentato
dinanzi dalla favola del racconto, dispettano ogni indugio che nel
cammino venga frapposto da considerazioni o da esposizioni che non sieno
azione di dramma. Per questi cotali non è scritto il presente capitolo:
e siccome all'intelligibilità dell'intreccio drammatico ed alla
conoscenza dello svolgimento dei fatti non nuocerà per nulla affatto
l'ometterne la lettura; così io consiglio senz'altro chi non si piace di
queste cui giudica vane fisime e inutili sopraccapi di filosofia, di
saltare a pie' pari l'intiero capitolo e ricominciare al XXIV, dove si
riprenderà la catena della narrazione.
Avendo poi in animo di scrivere in questo lavoro la storia non solo dei
fatti materiali della vita, ma dell'anima di certe individualità, in cui
rappresentate intiere classi, non mi parve potere a meno che affrontare
eziandio il gravissimo quesito dell'essere, della natura, del destino
oltre questa terra dell'anima umana: quesito che comprende la quistione
della coesistenza del bene e del male e quella della divinità. Qual è
l'uomo che pensa, il quale, anche quando si tenga attaccato alla fede
impostagli autorevolmente nell'infanzia dall'affermazione presentatagli
come indiscutibile dei maggiori, pur tuttavia non si trovi in dati
momenti faccia a faccia con questi terribili enimmi gettatigli innanzi
di forza dalla sfinge della vita? In quest'epoca in cui ogni credenza
vacilla e la crosta esteriore, per così dire, di tutto il mondo sociale
è una strana miscela di scetticismo indifferente e di audaci negazioni
rincalzate da vantati progressi di scienze positive, con qualche chiazza
qua e là di vernice d'ipocrisia, a mio avviso, nel substrato
dell'umanità, nelle viscere di essa e forse appunto in quelle classi
inferiori non abbastanza apprezzate e curate fin qui, di cui tuttavia
non si dà abbastanza pensiero la parte gaudente del genere umano; in
quelle classi di cui è intenzione del presente lavoro tracciare i
principali elementi; in quelle classi che, come già pel passato
emanarono dal loro seno il ceto medio, dovranno nell'avvenire dar la
materia d'una società diversamente atteggiata e d'una civiltà novella;
in quelle classi dico, serpe, e si agita, e fa suo cammino
inconsciamente un bisogno di fede nuova, più pura di pregiudizi, meno
materiale, più logica, se così posso dire, almanco nella sua estrinseca
forma. È inutile il dissimularselo. Le agitazioni politiche, le quali
dalla caduta del colosso napoleonico fino ad ora — e non accennano
cessare — hanno scombuiato il mondo, non sono che i prodromi d'una
rivoluzione sociale; ma questa, come quella politica, non sono che un
rimutamento esteriore dell'umanità, il quale avendo luogo nella materia,
implica, ed è manifestazione ed effetto d'un rimutamento necessario
avvenuto o da avvenire contemporaneamente nello spirito. L'idea domina
il mondo: lo spirito regge l'uomo; avete bel decretare con impotenti
aforismi materialistici che lo spirito non esiste e che l'idea è una
creazione della sostanza cerebrale; sarà sempre la modificazione della
parte immateriale dell'uomo che cagionerà e guiderà i mutamenti e i
progressi de' suoi fatti esteriori e de' suoi istituti. Perciò voi
vedete la quistione religiosa far capolino da per tutto sotto quella
politica. Invano la volete escludere; invano volete rimandarla al di
poi; riuscirete forse a ritardarne l'aperto scendere in campo; ma, dopo
avere assalito l'intelligenza dei pensatori nelle loro veglie
travagliose, dopo avere lottato nell'arena scientifica coi crogiuoli del
chimico, lo scalpello dell'anatomico e le deduzioni sperimentali del
fisiologo, lotta che ne acuisce come cote le armi, e la purga da molti
elementi d'errore; dopo avere oscuramente, confusamente agitate le
coscienze delle plebi, un giorno scoppierà nelle manifestazioni della
vita sociale, non colla violenza materiale, speriamo, ma con quella
ancora più irresistibile d'una nuova evoluzione della mente umana che ha
bisogno di trovare la sua forma, d'una necessità del progresso.
Io qui non sono nè propagatore di nuove dottrine, nè ambizioso cercator
di proseliti; sono espositore soltanto d'un complesso di pensieri a tal
riguardo, nel qual complesso mi pare scorgere che s'acquetino le
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