La plebe, parte II - 07

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sta lontano e d'un bel tratto... Fuori di città sui viali, nella casa
del signor Benda, se lo conosce, quel gran fabbricante di ferro...
— Ah, ah! Esclamò il poliziotto che parve prestare alcuna attenzione a
questa circostanza.
— Dunque un bel giorno gli si lascia aperto l'usciolo della gabbia (al
cardellino), ed egli frrrt! se ne volò via per la finestra che vallo a
vedere!...
— O diavolo! Esclamò Barnaba giungendo le mani con vivo interesse, e
sedendo intanto sopra un trespolino ch'era lì presso, per ascoltare più
divotamente la mirabile storia.
— Lo credevo perso senza più redenzione, quando la Marta — una mia amica
e vicina che quella volta ne fece per miracolo una di bene, perchè è la
più melensa e sragionata femmina che sia sotto la luna... e una lingua
poi! oh quanto a lingua non dico altro che darebbe dei punti alle
forbici del sarto — basta, la Marta venne ad avvisarmi in gran segreto
che comare Polonia, la rivenditrice di pignatte e pentoloni che sta di
faccia, aveva nelle sue gabbie... — la tiene delle gran gabbione tutte
piene di ogni fatta uccelli che abbia creato Iddio — la aveva un uccello
di più, e precisamente un cardellino. E la cosa era naturale. Il mio
_Fifì_ — lo chiamavo _Fifì_ — era venuto per tornare a casa sua, s'era
fermato sulle gabbie di Polonia, e quella sorniona lo aveva acchiappato
e poi fatto mostra di niente... Dunque io corro da Polonia, e fra cinque
o sei cardellini che la ci aveva — noti bene cinque o sei — riconosco
subito alla fisionomia _Fifì_, e non c'è stato santi che tenessero, me
lo feci restituire e la Polonia ci dovette stridere.
— Cospetto! L'ammiro di molto. E quel prezioso cardellino?
Sora Ghita prese l'aria dolorosa di colui a cui si riapre un'antica
piaga dell'anima.
— Mi cascò un giorno nel beverino e mi si annegò.
Barnaba assunse un aspetto adatto alla circostanza.
— Che disgrazia!
— Or dunque, che cosa dicevo?.... Ah!..... Nel veder Lei, mi parve
subito di riconoscere qualcheduno già visto altra volta. Di certo Lei
abita da queste parti..... To'! Badi se la indovino..... Lei è il
_fumista_ e _stufista_ che sta alla cantonata di via Santa Teresa.
Il poliziotto fece il suo sorriso più grazioso ed adulatore, per
temperare la negativa con cui doveva rispondere.
— No, non sono il fumista.
— Per bacco! Avrei giurato..... Si rassomigliano come le due chiappe
d'una mela..... Ma senza fallo Lei la deve abitare in questi quartieri.
Barnaba col medesimo sorriso rispose:
— Veramente no..... Abito anzi piuttosto lontano..... Però (s'affrettò a
soggiungere) pratico frequente da queste parti.
— Ecco! Appunto! Gli è ciò. Volevo ben dire! E Lei dunque cerca di
qualcheduno? Mi pare che abbia detto che cercava di qualcheduno.
— Sì. Mi fu supposto che in questa casa ci deve stare o ci deve venire
alcune volte un medico, un bravo medico, giovane ed elegante, che si
chiama... che si chiama..... Ho lì il nome sulla punta della lingua.....
Non saprebb'ella aiutarmi, _madama_?
Ghita appoggiò al suo mento onorato d'una lanugine che quasi poteva
chiamarsi barba, la punta di uno de' suoi ferri da calza, in atto di
profonda meditazione.
— Un medico? Diss'ella. No, veramente qui non ce ne abita nessuno di
medici... Ah sì... Al secondo piano c'è un dentista.
— No, non gli è ciò.
— Al primo c'è un notaio con sua moglie e sua madre... Liti del diavolo
fra la suocera e la nuora. Un giovane di mercante che abita uscio ad
uscio fa gli occhi dolci a quest'ultima... La Marta dice che li ha
trovati insieme, lei e lui, una mattina in una strada scartata. Basta!
Non facciamo giudizi temerarii come fa quella maldicente d'una Marta. Di
sopra dunque c'è il dentista e un impiegato al Ministero, un brav'uomo
che ha mezza dozzina di ragazzi. Al terzo piano abitano il calzolaio che
ha bottega qui vicino al portone, il pizzicagnolo ed una di quelle donne
che vanno ad impegnare per altrui la roba al Monte di Pietà. All'ultimo
piano poi c'è una frotta di giovani...
Barnaba si accostò alla vecchia ciarliera con un interessamento che era
più vero di quello manifestato fino allora.
— Giusto! Il medico che cerco sarà forse tra quelli, od almeno sarà loro
conoscente, e verrà a vederli.
— No: disse la donna, tornando a riflettere. Di medici non ce n'è punto.
C'è un pittore, che anzi è quello che ha preso a pigione tutto il
quartiere.
— E si chiama? Domandò con aria innocente il poliziotto.
— Antonio Vanardi.
— Ah bene..... L'ho sentito nominare..... E con lui ci stanno
parecchi...
— Tre... Anzi adesso quattro... Ma nessuno di loro è medico. Due devono
essere avvocati..... Ma di quegli avvocati di cui ce ne regge mille
sopra un ramo... Credo che non abbiano mai visto l'ombra d'un cliente...
Scrivono su per le gazzette e stampano libri o qualche cosa di simile...
Spiantati, in una parola.
— E si chiamano? Tornò a domandar Barnaba colla medesima aria innocente.
— Uno, che ha l'aria d'essere un po' più innanzi degli altri negli anni,
si chiama Romualdo, l'altro Giovanni Selva. Il terzo, che non è punto
avvocato nè altro, ma fa lo scrivano pubblico e scrive suppliche e
poesie, ha nome Maurilio Nulla: un originale a cui nessuno è capace di
far dire quattro parole..... È rientrato poco fa in casa, e l'ho visto
passare attraverso il vetro del finestrino..... Ma non c'è pericolo che
mai e poi mai dica uno straccio di parola di saluto.
Barnaba si stampava tutti questi nomi nella memoria. Il giovane ch'egli
aveva visto nella bettola di Pelone, poi sotto l'atrio del palazzo
dell'Accademia Filarmonica, dove aveva fatto un cenno di meraviglia
incontrandosi col dottor Quercia; quel giovane chiamavasi dunque
Maurilio Nulla, era scrivano ed abitava insieme con due che alla polizia
erano già noti da tempo come liberali e, secondo s'usava dire, patrioti
rivoluzionarii.
— E ce n'è ancora un quarto? Soggiunse Barnaba per provocare la
portinaia a parlare.
— Sicuro, da poco tempo..... Saranno tre mesi tutt'al più... Questo è un
forastiere... un _italiano_. Parla così bene che par sempre un libro
stampato... È cantante e fa da secondo... com'è che si dice?... secondo
baritono al teatro Regio... Si chiama Medoro Bigonci... È venuto ad
affittare una camera in casa del pittore, e non so davvero dove diavolo
lo abbiano cacciato... Di medici fra tutti costoro non c'è nemmanco
l'ombra. Forse gli è qui nella casa vicina che Lei dovrebbe andare. Ci
sta un flebotomo che un tempo aveva anche la bottega da barbiere, ed ora
s'intitola dottore. Un uomo grande e grosso, colla faccia color del
vino.....
— No, no, non è quello che cerco io: disse Barnaba. Io intendo anzi
parlare d'un bel giovanotto che veste proprio coi fronzoli e porta due
baffetti neri. Mi si diceva che qualche volta venisse a trovare quei
giovani che abitano col pittore, e sopra tutto quel cotale che fa lo
scrivano.
— Ah ah! Esclamò la portinaia come illuminata da una nuova idea. Sì che
ci viene, ed anco di frequente, un giovane signore, ma signore per
davvero e coi baffetti, ma questi baffi invece che neri sono biondi, e
chi li porta non è medico altrimenti, ma avvocato ancor egli come il
signor Selva e il signor Romualdo. E non è altri che il figliuolo del
signor Benda il fabbricante presso cui è allogato il mi' uomo.
— Viene di sovente?
— Soventissimo. E ci si ferma per delle ore: Certe volte io ho già
chiuso il portone, sono già andata a letto, sono già bella e
addormentata che sor Francesco.... l'avvocato Benda si chiama
Francesco.... non è ancora partito.
— Capisco. Una frotta di giovani. Faranno delle baldorie, cene, giuochi
e donnette...
— Oibò! oibò!.... Prima di tutto c'è la signora Rosa, la moglie del
pittore, una donna che ha lingua, ed anche le unghie, se occorresse, per
farsi rispettare, la quale non tollererebbe mai una cosa simile.... E
poi conviene essere giusti, quei giovani sono a questo riguardo
veramente esemplari. Io che ho buoni occhi ed ho buon naso in queste
cose.... come nelle altre.... non ho mai potuto accorgermi di tanto così
che avesse un'aria sospetta riguardo ai costumi.
— Lei mi stupisce. Ci credo perchè gli è Lei che me lo dice; ma che
tanti giovinotti si radunino insieme e stieno chiusi in casa sino a
notte inoltrata per far che?.... Per guardarsi semplicemente addosso?...
Uhm! la stenterei a mandar giù.... Ci deve essere qualche segreto
motivo.
— Eh! il motivo ci sarà fors'anco. In verità pare che abbiano le gran
cose d'importanza di cui discorrere. La signora Rosa, la quale si ferma
alcune volte a scambiar meco quattro ciarle, non sa nemmanco ella, dice,
che cosa facciano, ma dice che si chiudono in una stanza tutti insieme e
parlano fitto fitto sottovoce. Ella ha bensì origliato alla porta, ma
dice non aver mai potuto capire una parola; ed una volta, dice, che dopo
uno di questi colloquii suo marito era più cupo e pensieroso del solito,
perchè quasi sempre, dice, dopo siffatte conferenze, il pittore si
mostra tutto sossopra; una volta dunque che essa l'ha voluto
interrogare, egli, dice, le ha risposto brusco brusco che non ficcasse
il becco in codesto che non erano cose di cui occuparsi una donna.
— Oh oh! Cospetto! Disse il poliziotto, il quale ora non aveva più
bisogno di fingere l'interessamento, ma anzi voleva dissimulare quello
vivissimo che provava in realtà. Ch'e' facciano i monetari falsi?
soggiunse sorridendo.
— Mai più! L'avvocatino Benda è straricco e non metterebbe le mani in
siffatto intruglio...
In quella giungeva il sedicente Medoro Bigonci, ossia Mario Tiburzio il
carbonaro, il quale, come abbiamo veduto, credeva opportuno confabulare
colla portinaia un momento prima di salire all'alloggio di Vanardi.
Se l'istinto di cospiratore, in Mario Tiburzio, gli aveva fatto
presentire la spia e il poliziotto nell'uomo che trovavasi nel camerino
della portinaia, l'istinto proprio del segugio di polizia aveva da parte
sua fatto subodorare a Barnaba in quel sedicente artista di canto
qualche cosa che sapeva della ribellione alle leggi ed all'ordine
vigente, e Mario non s'era niente affatto sbagliato, quando aveva
creduto di accorgersi che quello sconosciuto, tuttochè cercando
nascondersene, lo osservava con esperta attenzione.
Appena Mario venne fuori della stanza di monna Ghita, Barnaba disse
vivamente a quest'essa:
— Quegli è il cantante Medoro Bigonci?
— Appunto. Gli è un pezzo che mi ha promesso dei biglietti d'entrata al
teatro per me e per mio figlio.... il quale si chiama Bastiano come suo
padre, ma spero che non diventerà un bestione come suo padre.
Barnaba meditava fra sè.
— L'aspetto di quell'uomo non mi è nuovo. Fra le tante figure che mi
sono passate innanzi nella mia vita così avvicendata, vi fu certamente
anche quest'essa; ma dove e quando e come?.... L'accento della sua
parola è romano.... che io abbia dunque veduto codestui nel mio
soggiorno a Roma?
Ad un tratto la nebbia che avvolgeva i suoi sovveniri parve
squarciarsegli innanzi alla mente, e credette veder chiaro in essi, col
suo vero nome e col vero esser suo, la figura dell'uomo che era passato.
Non potè frenare un'esclamazione, mentre e' si diceva a se medesimo:
— Conviene che ne esamini di meglio la persona, che lo veda almanco a
camminare.
— Che cos'è stato? Disse la portinaia stupita, vedendo il suo compagno
alzarsi di scatto.
Il poliziotto non ebbe altro spediente per ispiegare la sua mossa che
dire la verità.
— Mi pare aver ravvisato quel signore per un cotale che ho conosciuto
altrove, e voglio chiarirmi se ciò gli è vero o no.
Uscì sollecito dal camerino e seguitò con passo riguardoso il
cospiratore, la cui ombra vedeva disegnarglisi innanzi nello scuriccio
della scala male illuminata.
Mario Tiburzio s'accorse d'esser seguìto, ma non mostrò di porvi mente e
continuò col suo solito passo il suo cammino.
Quando furono giunti all'ultimo pianerottolo, i sospetti di Barnaba
s'erano quasi convertiti in certezza.
— Gli è lui senza fallo: disse a se stesso. È il rivoluzionario che
fuggì in Roma medesima ai gendarmi papali che l'avevano arrestato.
Poichè Mario si fu introdotto nella stanza dove l'aspettavano i
compagni, Barnaba s'accostò con cautela all'uscio, pose l'occhio e poi
l'orecchio alla toppa, e vedendo che non poteva nulla scorgere nè udire
di quanto avveniva colà dentro, si dirizzò della persona e collo stesso
andar riguardoso si tolse di là e tornò nello stanzotto di monna Ghita.
— M'ero affatto sbagliato, diss'egli a costei; quel signor cantante mi è
perfettamente sconosciuto. Ora non mi resta che ringraziarla della
gentilezza con cui Lei mi ha trattato e partirmene che gli è tardi.
— Si figuri!... Tutta a suo servizio. La Ghita è conosciuta per essere
la più servizievole del mondo. Mi rincresce non saperle dir nulla del
medico che Lei cerca...
Il poliziotto pensò fare ancora uno sperimento.
— Ah! Ora me n'è venuto in mente il nome: esclamò egli. Si chiama il
dottor Quercia.
La portinaia tornò a riflettere un momentino e poi rispose:
— Non lo conosco davvero; non l'ho mai sentito a menzionare.
Barnaba soggiunse:
— È amico dell'avvocato Benda. Glie l'ho visto insieme più volte.
— Allora forse mio marito che è portiere alla casa Benda saprebbe
dirgliene qualche cosa.
— Lei non lo vede mai suo marito?
— Una volta ogni morte di vescovo..... e non cerco di più sicuramente.
Un villanzone manesco che quando è in collera usa certi argomenti per
aver ragione..... E non c'è verso di parlargli senza farlo andare in
collera. Avrebbe avuto bisogno di aver per moglie un ceppo di legno e
non una donna viva. Con lui avrei dovuto tagliarmi la lingua, cucirmi la
bocca e vivere come una mummia..... Basta! Una buona ispirazione glie ne
venne, sono già anni parecchi, d'andarsene egli pei fatti suoi e di
lasciar me ai miei. È tornato al servizio dei Benda, dove era già stato
fin da giovinotto. Ha una divozione per quella famiglia, che la
sommission del cane pel suo padrone non gli è nulla.
L'agente della polizia che non aveva più cosa alcuna da spillare alle
ciancie di monna Ghita, troncò lì il discorso, salutandola ed
augurandole la felice notte con mille ringraziamenti, ed uscito di
quella casa, s'avviò di buon passo verso Piazza Castello.
— Ecco un uomo assai gentile e garbato: disse la portinaia chiudendo
dietro di lui il portone. È strana come ei rassomiglia al fumista!....
Ma guarda mò che ha finito per non dirmi chi egli è!


CAPITOLO VIII.

Barnaba, giunto in Piazza Castello, entrò nel Palazzo Madama e
s'intromise in una stanzaccia a pian terreno che serviva di anticamera
all'ufficio del Commissario. Due guardie di polizia sonnecchiavano là
dentro, mezzo sdraiate su panche di legno, vicino alla stufa in cui
ardeva un fuoco vivace. Allo entrare di Barnaba le guardie si alzarono
in piedi e salutarono militarmente con segno di rispetto.
— Il Commissario? Domandò con accento asciutto e vibrato il nuovo
venuto.
— È fuori dell'ufficio, rispose una delle guardie, ma ordinò che se Lei
veniva le si dicesse d'aspettarlo.
Barnaba fece un segno col capo come per dire:
— Sta bene; e passò in una camera vicina, a cui si accedeva per uno
stretto e scuro corridoio.
Era meno grande della stanza in cui si trovavano le guardie. Una lampada
ad olio con un cappello da riflettere il lume pendeva dalla metà della
vôlta e la rischiarava debolmente. Le pareti nude, colorite a calce,
erano grigie per la polvere e pei ragnateli. Il pavimento fatto di
quadrelli di cotto era ronchioso per sudiciume rammontatovi su dai piedi
di chi andava e veniva, senza che la granata si fosse immischiata mai a
tentare una spazzatura. Da due parti correvano presso la muraglia delle
panche lunghe, coperte di cuoio imbottito, ma questo cuoio, in parecchi
luoghi lacero, lasciava scappare qua e colà la stoppa dell'imbottitura,
come in varii punti pendeva a brandelli la lista, che, imbullettata
all'estremità presso il legno della panca, doveva formare l'orlo da
rattenere l'imbottitura. Alla parete che si trovava di faccia a chi
venisse dal corridoio, non c'era panca, ma si vedeva in mezzo una
scrivania posta in modo che chi vi sedesse avesse le spalle volte al
muro, e in un angolo una porticina stretta e bassa con un uscio di legno
di rovere irto delle capocchie di grossi chiovi, che pareva affatto un
uscio di prigione. A destra di chi entrava si apriva un gran finestrone
che guardava nei fossi del castello. Una tavola con sopravi un tappeto
di panno verde sbiadito e sporco stava a metà della stanza sotto la
lampada. Non c'era camino nè stufa e si sentiva entrando colà dentro un
freddo umido ed uggioso che vi penetrava nelle ossa.
Barnaba si diresse tosto verso la scrivania e guardò le carte che vi si
trovavan sopra. Erano rapporti di agenti subalterni, di carabinieri
reali e lettere diverse d'ufficio: tutte cose indifferenti che il
poliziotto scorse con occhio sbadato. Uno soltanto di quei fogli parve
commuoverlo. Era il rapporto d'una rissa avvenuta a Porta Palazzo sulla
piazza del mercato fra due saltimbanchi, di cui uno aveva ferito di
coltello l'altro: il feritore era stato arrestato. Barnaba lesse due
volte quel foglio, e la sua faccia si imbrunì stranamente; poi depose
colle altre quella carta e fece due o tre giri per la stanza, la testa
china, il volto cupo, come chi è assalito da dolorosi pensieri. Si fermò
un istante presso la finestra, appoggiò ad una traversa
dell'intelaiatura dell'invetrata la fronte, e rimase lì un istante a
guardar fuori, innanzi a sè, ma con certi occhi che non vedevano gli
oggetti esteriori, sibbene le immagini di qualche scena del passato
evocata dalla sua memoria. Dopo un poco egli si riscosse, mandò un
profondo sospiro, e venne a sedere presso la tavola di mezzo, sul
tappeto della quale appoggiò il suo gomito, facendo sorreggere la testa
alla palma della mano. Rimase immobile in quella positura, e pareva
tutto intento a guardare il fiato che usciva dalla sua bocca addensato
in vapore dal freddo ambiente di quella stanza.
Passò così più d'un'ora senza che quest'uomo si movesse altrimenti. Già
da tempo era suonata la mezzanotte alla chiesa di S. Lorenzo, quando una
voce rauca, ruvida ed imperiosa suonò improvvisa alle spalle di Barnaba.
— Ah! siete voi pur finalmente!
Barnaba sorse in piedi di scatto, e volgendosi si trovò in faccia al
sig. commissario Tofi.
Un uomo alto e magro, di ossatura grossa e di membra asciutte: una
faccia lunga colla mascella inferiore larga e molto sviluppata; una
bocca enorme ed un naso monumentale; una fronte quadra colle ossa
sopraccigliari proeminentissime e le occhiaie infossate; un colorito
ulivigno e i capelli neri brizzolati; non un pelo di barba sulla faccia
rasa accuratamente; un'espressione burbera e maligna; un alto e duro
cravattino sotto il mento, un lungo soprabitone abbottonato sino al
collo, con due grosse tasche ai due lati in sulle anche, un cappello
basso a larga tesa in testa: tale era il temuto e temibile commissario,
signor Tofi.
Barnaba lo salutò con umile deferenza, e l'altro, coll'accento più
severo di rampogna che possa usare un superiore verso un subordinato in
fallo:
— Gli è bene una fortuna, disse, che abbiate ancora avuta la degnazione
di venire: di tutta stassera non ci è stato verso di vedervi.
— Signor Commissario: rispose Barnaba: non ho mica impiegato tutto
questo tempo a divertirmi; e credo aver giovato anzi non poco al
servizio. Vengo apportatore di informazioni che ritengo assai preziose.
Il signor Tofi lo guardò un poco entro gli occhi con quell'espressione
feroce e minacciosa che gli era ordinaria.
— Sì? Diss'egli poi col medesimo tono ruvido e rimbrottoso. Udremo
queste meravigliose informazioni, e vedremo se il loro valore è da farvi
scusare del vostro ritardo. Intanto comincierete per istamparvi bene in
mente le istruzioni e gli ordini che vi ho da dare. Venite nel mio
gabinetto.
Camminò con passo militare verso l'uscio cui ho detto irto di chiovi di
ferro; trasse di tasca una grossa chiave che introdusse nella toppa, ed
aprì. Entrò esso primo ed a tastoni fu ad un caminetto, sopra la pietra
di sporto del quale eravi un candeliere con una mezza candela di cevo.
Accese quest'essa con un fiammifero che sfregò alla muraglia; depose il
candeliere sopra la scrivania che si trovava nella profonda strombatura
della sola finestra per cui là dentro penetrasse luce ed aria, e poi
volgendosi a Barnaba che stava dritto sulla soglia, dissegli con
quell'accento secco e imperativo:
— Entrate e chiudete.
Barnaba s'inoltrò, chiuse l'uscio e fece scorrere un catenaccio; poi
rimase lì aspettando i comandi e le interrogazioni del suo superiore.
Questi depose il suo largo cappello sopra un forzierino che trovavasi
presso il caminetto, trasse dalle tascone laterali del soprabito due
pistole a doppia canna e le mise sopra la scrivania, poi si accoccolò
presso il focolare e colle sue mani medesime si diede a frugar fra la
cenere se ancora vi fosse qualche carbone acceso; ne trovò alcuni, li
raccolse, vi pose su delle scheggie di legna, un po' di carte stracciate
che prese in una cesta apposita, e vi soffiò su robustamente colla sua
bocca; si scaldò un momento le mani grosse, quadrate, nere, villose,
alla fiamma che non tardò a levarsi, e poi drizzatosi della persona,
fregandosi ancora l'una contro l'altra le sue manaccie, si volse a
Barnaba, che era sempre stato immobile al suo posto, e gli disse:
— Ora a noi!
Sedette alla scrivania, e Barnaba si accostò fino ad appoggiarsi con una
mano all'orlo della medesima. La fiamma della candela, oscillando
all'aria che s'intrometteva dalle fessure della finestra, mandava una
luce rossigna, ora più, ora meno intensa, sulle fisionomie
caratteristiche di quei due uomini, sulle protuberanze della fronte
bassa, sulle linee aspre, direi quasi, della faccia del Commissario, sui
lineamenti pallidi ed incerti e sull'aspetto reso insignificante per
mirabile effetto di dissimulazione dell'agente segreto; al di sopra di
quest'ultimo quella luce oscillante faceva danzare le ombre sul fondo
della parete e tingeva di color sanguigno i busti di Carlo Felice e di
Carlo Alberto che sopra due mensole appiccate alla parete guardavano coi
loro occhi senza pupille e colla loro faccia impassibile di gesso le
misteriose scene che succedevano in quel _sancta sanctorum_ della
Polizia.
— Vengo adess'adesso da S. E. il conte Barranchi: così disse il
Commissario. E' mi ha mandato a chiamare per un grave scandalo che è
successo poco fa al ballo dell'Accademia filarmonica. Un borghese da
nulla ha osato insultare il figliuolo d'un'Eccellenza: il marchesino di
Baldissero; e ciò mentre nel palazzo medesimo trovavasi Sua Maestà!
Chinò il capo in atto di riverenza, e Barnaba fece altrettanto.
— L'insultatore è l'avvocato Francesco Benda.
Barnaba levò il viso, e fece un atto che significava:
— Conosco chi è e ne so le novelle.
Tofi seguitava:
— Spinse l'audacia fino a sfidare a duello il marchese. S. E. è decisa
d'impedire che un simile eccesso abbia luogo. Credevo che fosse per
ordinare senz'altro l'arresto di quell'avvocatuzzo, e glie ne dissi; ma
S. E. per certi nuovi riguardi preferisce farlo cogliere in sull'atto al
momento del duello. Ho pensato di affidare a voi questa operazione.
Conviene adunque che scopriate l'ora ed il luogo in cui dovrà succedere
lo scontro e che allorquando sieno coll'armi alla mano li sopraccogliate
_in flagranti_. Il marchese lo lascierete andare, l'avvocato, colle armi
che sequestrerete, lo condurrete qui. Avete capito?
L'agente fece un cenno affermativo.
— Ora, continuava il Commissario, vediamo un poco l'impiego della vostra
serata, e sentiamo quelle informazioni che voi dite tanto preziose.
Barnaba cominciò modestamente a parlare.
— Sono stato, come il solito, nella bettola di Pelone...
Il Commissario lo interruppe con ruvida ironia:
— E vi credete avere scoperto qualche cosa di nuovo intorno al furto
avvenuto la notte scorsa nella casa del signor Bancone?
— No: rispose ancora più modesto il poliziotto: non ho scoperto nulla;
ma mi sono persuaso sempre pili che gli autori di esso appartengono alla
famosa _cocca_, di cui i caporioni si radunano nella taverna di Pelone.
— Bella scoperta! interruppe di nuovo il signor Tofi, crollando
villanamente le spalle. Ve ne dirò io di più: fra i ladri c'erano di
sicuro i due galeotti scappati _Graffigna_ e _Stracciaferro_.
— Sì signore: disse con qualche calore l'agente subalterno: ma codestoro
non sono che il braccio che eseguisce. A immaginare, ordinare i piani e
condurre le imprese di quella _cocca_ c'è una mente superiore, ed è
l'uomo che la rappresenta cui converrebbe scoprire ed afferrare.
— Ah ah! Esclamò il Commissario con una specie di sorriso su quelle sue
labbra grosse. Sempre la vostra idea fissa?
— Signor sì. Ed ogni giorno più s'afforzano i miei sospetti.
— Eh! non sono che sospetti in aria.
— Pazienza! Spero un giorno o l'altro di convertirli in prove reali.
Nella bottega di Pelone capita sempre quel misterioso personaggio cui
chiamano il _medichino_ e che si nasconde così bene ch'io non ho ancora
potuto vederlo per quant'arte e cautele adoperassi. Questa sera, quando
io giunsi colà, egli era di certo nella camera riposta. Al vedermi
comparire, Maddalena, la fante dell'oste, si precipitò in quella stanza,
e quando io entrai in essa, e mi vi affrettai benchè alcuni tentassero
trattenermene per via, quando entrai colà dentro non c'era altri più che
la serva ed un giovane che non avevo ancor visto mai.
— E se ci fosse stato quell'altro, secondo che voi dite, interruppe il
Commissario, e' non avrebbe potuto svanire come un fantasma. Conosco
ancor io quella camera e so che non ci ha altra uscita fuor quella che
mette nello stanzone del banco.
Barnaba crollò la testa in segno negativo.
— Così credevo ancor io, soggiunse, ma da qualche tempo avevo sospettato
che fosse diversamente, e stassera mi sono affatto chiarito del
contrario. L'imbarazzo di Pelone, la sollecitudine di Maddalena, le
risposte che quell'imbecille di Meo fece ad alcune mie domande, mi
persuasero che il _medichino_ era sfuggito al mio sopraggiungere, e
siccome pensai ancor io ciò che Ella ha detto or ora, ch'e' non poteva
essere sfumato per aria, mi dissi che ci doveva essere un passaggio
nascosto nell'impiallacciatura di legno che copre le pareti di quella
stanza sino all'altezza d'un uomo. Rimasto solo un momento, mi diedi ad
esaminare attentamente quell'impiallacciatura, e credo aver trovato il
luogo preciso in cui s'apre l'uscio nascosto.
— Eh! questa è tal cosa che ha di certo la sua importanza: disse il
Commissario pensieroso. Finora ho sempre inchinato a credere che il
_medichino_ fosse un personaggio di fantasia.
— Ah no! Proruppe con calore il poliziotto. Creda pure a tutta la realtà
di esso.
— Allora bisogna assolutamente che ne sappiamo più precise le novelle. È
già troppo tempo che si nasconde.
— Io credo che potremmo averle compiute queste novelle, se le cercassimo
presso il dott. Quercia.
— Ecco la vostra idea fissa!
— È un istinto della verità. Non ho ancora nessuna prova positiva da
poterlo stabilire; ma io penso, ma io sento che il _medichino_ ed il
dottor Quercia sono una medesima persona. E stassera medesima ne ho
avuto un altro indizio.
Il Commissario guardò fisamente Barnaba a suo modo.
— Quale? domandò egli più breve e più imperativo.
— Le ho detto che nella camera riposta dell'osteria m'incontrai con un
cotale non ancora veduto mai. Or bene, più tardi questo medesimo
individuo io vidi sotto l'atrio del palazzo dell'Accademia Filarmonica
tosto dopo che era passata la Corte; il dottor Quercia entrava giusto in
quel momento, e il mio sconosciuto — allora era ancora tale per me, ora
non lo è più — nel vedere il dottore fece un atto di conoscenza e
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