La plebe, parte II - 16

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granduchi, duchi, principi e principini. La parte più importante del
nostro disegno, quella in cui abbiamo posta la maggior cura e pogniamo
la maggiore speranza di buon esito, consiste nell'impadronirsi quella
sera medesima, non che delle persone dei singoli regnanti, ma di tutte
le loro famiglie.
— Cospetto! Esclamò Gian-Luigi. Questo sarebbe daddovero un bel colpo!
— Per la famiglia regnante di Torino, sono poco meno che sicuro della
riuscita. Vi dissi che io stesso dal palco scenico del teatro Regio
avrei dato il segnale della rivoluzione....
— Comincio a capire: interruppe vivamente Gian-Luigi, abbassando la voce
quasi avesse paura che in quella solitudine sotterranea altro orecchio
pur tuttavia potesse intendere le sue parole. Il Re con tutta la sua
famiglia, quella sera assisterà allo spettacolo in pompa solenne nel
gran palco della Corona.
Mario Tiburzio fece gravemente un segno affermativo col capo. Tacquero
un istante tutti e due, guardandosi fiso, come per leggersi entro
l'animo a vicenda; poi l'emigrato romano disse lentamente, e con voce
più sommessa ancor egli:
— Quando suoneranno le nove io mi avanzerò alla _ribalta_, e in faccia
al Re, ai Principi ed a tutta la Corte, griderò alto, snudando la mia
spada da teatro: _Viva l'Italia! Abbasso l'Austria e i Principi suoi
vassalli!_ Il fondo della platea e l'atrio delle scale saranno occupati
dai nostri; a questo mio grido irromperanno nella loggia reale,
superando le Guardie di Palazzo e le Guardie del Corpo; tutta Casa
Savoia sarà nostra prigioniera.
— E?... Domandò Luigi.
— E i successivi avvenimenti, soggiunse Mario, decideranno della sua
sorte.
Successe un nuovo silenzio; cui ruppe dopo alcuni minuti il _medichino_.
— In complesso la cosa non è mal combinata; e in tutto codesto quale la
mia parte?
— Far concorrere la plebe al movimento; persuaderla che le mutazioni
politiche da noi tentate andranno in util suo, staccarla dalla devozione
alla monarchia per consecrarla alla devozione alla patria.
— Va benissimo. E le mutazioni di Governo, quando eseguite lealmente le
condizioni da me poste, andranno in effetto a vantaggio del povero
proletario.... Io posso aiutarvi più forse che non crediate. Quella sera
medesima dello scoppio della rivoluzione, a sviare la Polizia, a
disperderne le forze, io sono in grado di far prorompere in varie parti
della città moti popolari che abbiano puramente sembianza... dirò
così... economica. La miseria è grande in questa stagione, e io posso
slanciare su per le strade delle turbe che tumultuino ad un grido ancora
più efficace che quello della patria e della libertà, al grido di
_Abbiamo fame e vogliamo del pane_. Le due insurrezioni si daranno la
mano sulla rovina della monarchia. Ma il nerbo d'ogni guerra è il
denaro. Ne avete voi del denaro?
— Quanto occorre per le meditate imprese.
— E per noi? Datemi un milione ed io metto in campo trentamila insorti.
— Questo non possiamo assolutamente.
— Se non darcelo prima, almeno assicurarcelo pel poi. La rivoluzione
vincitrice avrà in suo possesso le casse pubbliche; ne vogliamo la
nostra parte.
— Ah! Disse Mario Tiburzio con subita freddezza, quasi con sospetto,
tirandosi indietro sulla seggiola.
— Voi esitate?
— Quei denari dovranno essere sacrosanti perchè destinati alle necessità
della patria.
— E la patria non la salverete senza saper usare di quei denari ammodo.
Gli uomini ond'io dispongo non si fanno sgozzare per una parola —
chiamatela pure un'idea; e senza di me — ve lo dico chiaro e tondo — voi
non riuscirete in nulla.
Tacque un istante, e poi abbassandosi di nuovo verso il suo
interlocutore, soggiunse vibratamente:
— Questa mattina — e gli è per avvisarvene ch'io vi ho mandato a
chiamare — questa mattina furono arrestati Francesco Benda e Giovanni
Selva.
Mario Tiburzio fece un soprassalto e mandò una esclamazione.
— Furano arrestati, continuava Gian-Luigi; e nella casa di Benda ebbe
lungo una perquisizione, la quale son persuaso si sarà fatta del pari
nell'alloggio di Selva.
— Nè presso l'uno, nè presso dell'altro possono aver trovato cosa che
riveli in alcun modo il complotto.
— Ma questo arresto non può egli essere indizio che si ha sentore del
medesimo e che se ne vanno ricercando le fila?
Mario Tiburzio, per quanto fosse padrone di sè medesimo, impallidì.
— Impossibile! Esclamò egli. Converrebbe che alcuno dei più fidati capi
dell'impresa ci avesse traditi.
Tacque un istante, e poi domandò a Quercia lentamente, guardandolo fiso:
— Ma voi, come sapete che que' due giovani furono arrestati e come
ch'essi sieno della congiura?
Quercia sorrise.
— Vi ho detto che tengo ancor io la mia Polizia segreta, e potrei farmi
onore della medesima che mi avesse informato; ma preferisco dirvi la
verità qual essa è.
Raccontò le scene a cui aveva assistito quella mattina, come avesse
arguito che quei giovani dovessero aver parte nell'impresa ch'egli
sapeva iniziata da Mario, e fosse stato chiaro di ciò dalla risposta che
Giovanni Selva aveva data alla interrogazione da lui mossagliene in
fretta nel momento della irruzione degli operai nella sala della
famiglia Benda.
Gli avvenuti arresti, soggiunse, potevan essere o l'effetto di dubbi
senza fondamento soltanto, ed allora non avevano altro danno che di
togliere all'opera due complici, od erano cagionati da qualche positiva
conoscenza della congiura, ed allora era gravissimo il caso: nell'una e
nell'altra supposizione egli domandava a Mario che cosa avrebbe
determinato di fare.
Tiburzio tornò ad appoggiare i gomiti alla scrivania, riaccostando il
suo al volto del _medichino_.
— Prima di tutto ho bisogno di sapere esattamente da quali ragioni sieno
stati determinati questi arresti.
Fece una pausa, come attendendo dall'interlocutore risposta. Gian-Luigi
non si mosse.
— Se la congiura non è conosciuta, l'arresto di Selva e di Benda sarà
pur sempre un danno grave, perchè essi sono due de' più risoluti capi e
che abbiano una parte principale nell'impresa. Converrebbe adunque
tentar di tutto per liberarneli.
Nuova pausa di Tiburzio; nuovo silenzio di Quercia che parve tutto preso
dall'attenzione con cui fumava l'ultimo pezzo del suo sigaro.
— Se poi la congiura è davvero scoperta in tal caso...
Mario s'interruppe e fece un cenno di eroica rassegnazione che voleva
significare: «Allora ci tocca morire ed io son pronto.»
Quercia disse allora:
— Quando una congiura è scoperta non rimangono che due partiti: o
precipitarne lo scoppio, quando ella sia matura, od aggiornarlo
indefinitamente, sciogliersi i congiurati e fare scomparire ogni traccia
del complotto.
— Il primo da noi non si può, e il secondo troppo ci rincresce farlo
senza un'assoluta necessità che lo comandi. Piuttosto, anche colla
certezza di soccombere, si lotti....
— Pazzie! Interruppe Luigi crollando le spalle. Qui non si tratta
d'esser martiri, si tratta di riuscire. Orsù date retta, e non sciupiamo
tempo e parole. Io, quest'io che guardate con tanto d'occhi, vi saprò
dire che cosa sa o non sa la Polizia; se non si tratta che di sospetti
in aria, io vi farò aver liberi i due arrestati, al momento della pugna
io getterò nella strada una turba terribile per impeto e per furore che
non solo paralizzerà ma distrurrà la forza pubblica. Ma oltre i patti
già da voi consentiti occorre ancora una cosa: che voi sin d'ora
assicuriate l'impunità a qualche eccesso di saccheggio che si commetta
nella foga della riotta, che del pubblico tesoro, mi lasciate subito
prendere quanto mi occorrerà per assoldare e contenere questi che
saranno i nostri pretoriani della rivolta.
Mario Tiburzio per la prima volta travide in qual baratro quel
pericoloso alleato voleva trascinarlo.
— Ma noi, esclamò egli, non vogliamo di questi pretoriani, noi non
vogliamo eccessi....
Gian-Luigi si levò con impeto, sfavillante lo sguardo di potente ironia.
— Voi non volete? Voi non volete? Ma che concetto vi siete dunque fatto
dell'opera vostra e delle condizioni sociali, da credere possibile una
rivoluzione all'acqua di rosa, che finisca in canzoni e serenate? Chi
vuole il fine deve volere i mezzi, e credete voi possibile arrovesciare
il mondo senza che venga al di sopra ciò che sta di sotto, senza che si
levino in bollore gli strati inferiori del mondo sociale, e con questo
bollore salga alla cima del fiotto la schiuma? Il vostro, signori
patrioti, è un liberalismo all'antica, sullo stampo greco o romano, che
vede nella massa da una parte una casta di cittadini a cui concedere i
diritti politici e rispettatissimo il diritto di proprietà, e dall'altra
parte una turba di iloti e di schiavi a cui lasciare in retaggio la
miseria e il freno crudele delle leggi penali. Se voi poteste trionfare
da soli, passi: al dispotismo della monarchia oligarchica sostituireste
addosso al proletario quello d'una borghesia mercantile, industriale ed
avara; e il proletario non cambierebbe che di stromento della sua
schiavitù economica e civile; ma, il vostro liberalismo più potente di
frasi rettoriche che di braccia e di coraggio, ha bisogno del
proletariato, ed avendo compreso questa verità è venuto a cercarne
l'alleanza. Io, che rappresento la plebe, sono pronto a stringere
quest'alleanza; ma voglio per Dio che a questa povera plebe, sia
concessa alfine la libertà....
Mario sorse in piedi ancor egli, e interruppe parlando eziandio di
forza:
— Sì la libertà, ma non la libertà del delitto. Sì la plebe la vogliamo
emancipata anche noi, emancipata dalla miseria e dall'ignoranza, che è
la peggiore delle miserie, ma non emancipata dal freno delle leggi del
giusto e dell'onesto, che sono la salvaguardia d'ogni società. Voi,
dottor Quercia, confondete colla plebe quella vil feccia che pur troppo
esce in maggior numero dalle più povere classi sociali per arrabattarsi
nel fango dell'infamia e della colpa. Con questa non transigiamo, non
facciamo alleanza: essa non ha che la nostra compassione talvolta,
sovente il nostro disprezzo.
Gian-Luigi impallidì e si morse le labbra, ma tacque.
Tiburzio continuava:
— Una rivoluzione che saccheggi si disonora; se noi trionferemo, sarà
nostra cura far appendere alle forche qualunque che faccia onta al
nostro successo con un latrocinio.
La fronte del _medichino_ si corrugò un istante, e i suoi occhi
lampeggiarono molto minacciosi; ma fu un lampo daddovero; innanzi alla
serena, fiera, nobile guardatura di Mario, egli riprese tantosto
l'amenità della sua fisionomia da elegante frequentatore di
aristocratici salotti.
— Il gran punto, caro mio, sta adunque nel trionfare. Del resto voi non
mi avete capito, e non voglio che ci guastiamo per un malinteso. Siamo
più d'accordo di quel che vi paia, e quando gli avvenimenti avranno
volto a seconda dei nostri desiderii, vi accorgerete voi stesso che
l'assolutezza del vostro puritanismo dovrà transigere colle necessità
del momento. Per assicurare la vostra rivoluzione medesima sarete
obbligato a compensare del perduto lavoro infinito numero di plebei che
il movimento avrà gettati sulla strada.... Gli è di questi che intendevo
parlare.
— Ed a costoro provvederemo.... Agli onesti.
— Eh! Disse Gian-Luigi levando le spalle. Ne avranno ancora maggior
bisogno e saranno più pericolosi gli altri... Ma il tempo passa....
Trasse dal taschino del panciotto un prezioso oriuolo d'oro.
— È oramai da un'ora che noi stiamo qui discorrendo, e ci siamo detto
tutto quanto pel momento occorre. Separiamoci. Appena avrò appreso alcun
che ve lo comunicherò tosto; così voi a me se alcun nuovo fatto
intravviene. E frattanto disporremo tutto, ciascuno da parte sua, per la
domenica ventura. Ora abbiale la compiacenza di lasciarvi rimettere la
fascia sugli occhi.
Glie la pose egli stesso, poi aprì la porta dello stanzino. Il mariuolo
che gli faceva da domestico era là che aspettava come una sentinella. Il
_medichino_ gli disse all'orecchio:
— Conduci fuori costui per la taverna di Pelone. Se _Macobaro_ è ancora
costì mandamelo qui subito.
Mentre Mario cogli occhi bendati era condotto via dal tristo che serviva
da domestico a Gian-Luigi, questi gli tenne dietro collo sguardo, finchè
spari del tutto nella tenebra della galleria che conduceva alla taverna.
— Un nobile carattere, sì: diceva egli fra sè: un'anima generosissima in
cui albergano i più elevati sentimenti; ma conosce egli, codestui, gli
uomini ed il mondo? Ma con tanta riguardosa coscienza, a che si riesce?
Crollò le spalle e fece il suo sogghigno più ironico e più scettico.
— Stolti! Soggiunse il capo della _cocca_. Stolti che vengono da noi,
che chiamano il nostro aiuto e credono, a battaglia vinta, misurarci la
parte della torta. Ma per Iddio! se vinceremo, i padroni saremo noi...
sarò io!!
Si drizzò della persona e gettò nello spazio quello sguardo di
dominazione che Maurilio al villaggio gli aveva già visto gettare sulla
lontana città, quando s'apprestava a venire in essa per conquistarsi la
supremazia sociale.
Stette alquanto così, in quell'attitudine fiera e superba: poi si
riscosse e volse gli occhi fiammanti verso la galleria per cui era
partilo Mario Tiburzio; un passo trascinante vi si fece sentire e nella
penombra del _Cafarnao_ apparve il profilo asciutto e la persona curva
di Jacob Arom, il vecchio rigattiere ebreo.
Era il ritratto dell'avarizia e della viltà, colle sembianze d'una
sordida miseria. In forme e panni maschili, l'accompagnatura della
schifosa figura della _Gattona_. Il naso adunco in quel volto osseo e
magro, a zigomi sporgenti ed occhi incassati, ricordava il becco d'un
uccello da rapina; la bocca sdentata rientrava nelle mascelle incavando
ai due lati della faccia un avvallamento pieno di rughe; piccolo, a
spalle strette, a petto incurvato, a membra gracili, Jacob camminava a
corti passi, senza far rumore, guardando in terra dove sembrava sempre
cercar qualche cosa, respirando in modo particolare, quasi affannoso,
tra il sospiro ed il gemito. Parlando aveva la voce debole e rauca e
quell'accento tra gutturale e nasale che è carattere del popolo
israelita, esagerato nella feccia di quella povera razza dispersa. Sopra
una spalla portava accavallati due o tre abiti logori; in mano un
ombrello di stoffa di cotone.
Appena lo vide, Quercia gli gridò col tono d'un padrone non benigno ad
un cane in disgrazia:
— Avanzati un po' qua, vecchio scellerato, apri le orecchie, e sta
pronto a dir sì, senza tanti discorsi, chè tu sai come a me non
piacciano gl'indugi delle parole inutili, e ti avviso inoltre che al
presente ho molta fretta.
Jacob tirò giù il suo cappello frusto, unto e bisunto, tutto bozze ed
ammaccature, e scoprì un capo arruffato con foltissimi capelli corti,
ricciuti, che parevano, per forma e per colore, la lana delle pecore in
montagna, quando la piova da lungo tempo non è più venuta a lavarla.
— Eccomi agli ordini suoi: diss'egli con tono tutto raumiliato,
avanzandosi proprio coll'andatura del can barbone che teme le botte. Mi
comandi, e se la è cosa ch'io possa fare, si accerti....
Il _medichino_ lo interruppe bruscamente:
— Mi bisognano fra due giorni cinquanta mila lire in denaro sonante, e
tu me le hai da dare....
— Dio d'Abramo! Esclamò Jacob alzando le mani alla vôlta con espressione
quasi di spavento, e lasciando per la soverchia sovrappresa cadere in
terra il suo cappello frusto. E come vuole che io possa procurarle una
somma sì enorme?
— Pigliandola dove ce l'hai; nelle tue casse, nei tuoi nascondigli in
cantina, vecchio avaro.
— Per l'anima di Melchisedech! Ancor Ella crede le fole che i
piacevoloni si divertono a spacciare sul mio conto? Che io nuoto
nell'oro, ed ho tutti i tesori del re Salomone nelle mie cantine. Ma Lei
che è un uomo superiore, come può dar retta a simili cantafère? La vede
bene che vita miserabile è quella ch'io meno....
Luigi nuovamente lo interruppe con quel suo accento a cui pochi erano
tanto arditi da ribatter parola:
— Ti dico che ho bisogno di quella somma, e che la voglio. Risparmia
adunque tutte le tue ciancie con cui suoli sgozzare altrui nel tuo
mestiere da usuraio, degno emulo di quello scellerato Nariccia. Come tu
abbia da fare per procurarmi quel valsente io non lo voglio nemmanco
sapere, ma ciò che voglio si è che fra due giorni al più tardi esso
trovisi in mio potere. Tu mi conosci qual sono; e regolati in
conseguenza.
Il ferravecchio raccolse da terra il suo cappello e per un poco parve
tutto intento a lisciarlo e rilevarne la ammaccature. Pareva
rannicchiatosi di corpo da essere diventato più piccolo; aveva saputo
accrescere l'umiltà, la miserevolezza, la debiltà di quel suo aspetto
che era sempre debolissimo, miserrimo ed umilissimo.
— Come mai, diss'egli di poi con timidezza, può esservi bisogno di un
tanto capitale? Le casse della _cocca_ dovrebbero essere ripiene; ogni
giorno le si vengono rifornendo con qualche nuovo versamento: l'altro dì
ancora le ventimila lire di Bancone....
Quercia crollò le spalle con atto disdegnoso.
— Peuh! Esclamò. Una secchia d'acqua nel letto d'un fiume. Le spese sono
molte; abbiamo un esercito di miserabili a cui, poca o assai, ci vuole
la sua parte; dei valori non monetati tu e Pelone, birbanti tuttedue, ce
ne rubacchiate la buona metà del prezzo....
Jacob Arem protestò con un'esclamazione a cui il _medichino_ non diede
retta.
— E poi, continuava egli, la impresa per cui li domando questi denari è
tale che assorbe al di là dei mezzi pecuniari che può avere accumulati
la nostra associazione....
Gian-Luigi s'interruppe con un sorriso pieno di superbia.
— Ma che sto io rendendoti tutti questi conti? Ti dico che ne ho bisogno
e basta; ti dico che li voglio, e tu non uscirai di qua senza avermi
fatta la promessa solenne di darmi que' denari, per la tua legge e pei
tuoi profeti. Hai capito?
Il giudeo guardò intorno con aria profondamente sgomentata. Quercia gli
si accostò vieppiù ed appoggiandosi con una mano alla tavola soggiunse a
bassa voce, chinando la sua alta persona verso il miseruzzo vecchio:
— Qui siamo affatto soli. (E in realtà Graffigna erasi partito durante
il colloquio tra il _medichino_ e Mario: e il domestico era andato a
guidar fuori quest'ultimo, e poi ad eseguire le altre incombenze dategli
da Quercia). Siamo affatto soli, quasi nelle viscere della terra, e
nessuno fra i viventi può udire o veder quello che qui succede....
I lineamenti del vecchio Jacob si alterarono in modo eccessivo: si
ritrasse vivamente dal suo interlocutore e disse con voce balzellante
pel tremito:
— In nome dell'Eterno! Avrebbe Ella il coraggio di far violenza ad un
povero vecchio?
Il _medichino_ ruppe in una risata.
— Di che hai paura? Che io voglia far male a quel tuo vecchio carcame?
Se l'oro che possiedi, tu lo portassi come sangue nelle vene, potrei
metterti sotto allo strettoio per fartelo sudar fuori. Rassicurati e
riavvicinati. Credi tu ch'io sia tale da non averti saputo leggere
nell'anima? Io ho penetrato dentro quel vecchio tuo cranio e ci ho visto
l'idea fissa che lo domina, io ho sentito le passioni scellerate che
fanno battere quel tuo vecchio cuore inaridito.
Jacob sollevò sul viso di Quercia il suo sguardo umile e peritoso, e
disse con voce più debole che mai:
— Che passioni? Per la pietra di Oreb!....
— Vuoi che le le dica? Tu ami assai tua figlia....
— La mia Ester! Esclamò l'ebreo facendo scintillare alcun poco i suoi
occhi, fissi ancora sul volto di Gian-Luigi. Oh sì! È il fiore sbocciato
sul vecchio tronco percosso dal fulmine, è il sorriso della primavera
che rallegra il mio inverno, è la mite luce del mio vespro.
— Ma più di tua figlia, continuò il _medichino_ interrompendo, assai più
di tua figlia, ami il tuo denaro...e quello altrui.
Arom chinò il capo, abbassò gli occhi, e biascicò con voce più gutturale
del solito:
— Sono un pover uomo che ha tanto appena che basti per campar la
vita....
— Ma più forte dell'amor che hai per tua figlia, più forte ancora
dell'amore che hai pel denaro, sta nel tuo cuore un odio feroce,
accanito, profondo, che si è fatto tua natura, che ti guida in ogni
atto, che presiede ad ogni tuo proposito: l'odio contro i cristiani,
l'odio contro quelli che dominano, che trionfano, che brillano....
— Oh! che cosa dic'Ella mai? Esclamò l'ebreo, tenendo sempre più bassi
gli occhi e la faccia. Io pensare ad odiare ciò a cui devo sommissione e
rispetto! Un verme come sono io si lascia schiacciare ma non ha la
temerità d'aver nemmanco l'ombra d'un rancore contro il piede potente
che lo preme.
— Il verme dove potesse scavare una fossa sotto al gigante il cui piè lo
calpesta, per farnelo rovinare da tutta la sua altezza, lo farebbe molto
volentieri. Tu hai visto che altri, con o senza coscienza dell'opera
loro, si adoperavano a scavar sotterraneamente questa fossa, e ti sei
giunto a loro ed hai posto al travaglio la mano. Tu al minuto sgozzi
coll'usura i cristiani che ti capitano sotto le unghie, collettivamente,
all'ingrosso, ti adoperi a spingere le passioni e le miserie che
arruolano alla _cocca_ tanti soldati, alla rovina di quello stato
sociale che fa alla tua razza una così trista condizione, che dà alla
tua persona una parte così umile, così soggetta e così precaria.
L'israelita sollevò un istante le sue palpebre floscie e rugose onde
copriva i suoi occhi tenuti fino allora volti alla terra, e lanciò verso
il suo interlocutore uno sguardo che era una fiamma viva; ma richinate
tosto le pupille si tacque nè si mosse altrimenti come se le parole del
_medichino_ non producessero in lui effetto di sorta.
Gian-Luigi continuava:
— Ti ho conosciuto per quello che eri fin dalla prima volta che ti vidi.
Io ti venni innanzi allora tratto per forza dalla mano del bisogno....
— Sì; disse allora Jacob facendo sgusciare di nuovo uno sguardo sulla
faccia del _medichino_ e parlando più umilmente colla sua voce più
nasale che mai. Ella non aveva ancora imparato ad avere una rivalsa
sicura nelle carte da giuoco.
Quercia fece un moto di contrarietà come quegli a cui si ricorda cosa
che non gli talenta udire accennata.
— Non aveva tuttavia, seguitava l'ebreo, alcuna attinenza colla nostra
associazione; ma possedeva le tante buone qualità che la fanno ora capo
così degno, così operoso e così intelligente della _cocca_, risuscitata
a nuova, più vasta e più fruttuosa esistenza, e chiamata, appunto per
l'iniziativa di Lei a maggiori destini. Ed io mi rallegro e mi
inorgoglisco nel mio nulla d'essere stato cagione di sì prezioso
acquisto, di sì meritata esaltazione di vostra signoria.
— Come io nel tuo, tu eziandio mi hai letto nell'animo. Hai capito che
quell'associazione di malfattori..... di ribelli alla legge sociale.....
così estesa e bene ordinata, poteva essere uno stromento efficace,
un'arma potentissima per abbattere il presente, per vendicare il
passato, quando la dirigessero una mano robusta, una ferrea volontà, una
intelligenza solerte, ardimentosa e feconda. Siffatte qualità le hai
presentite in me; le passioni che dovevano farmi voglioso dell'opera le
hai indovinate nella mia giovinezza irrequieta. In quel primo colloquio
il tuo sguardo non restò chinato alla terra, come sempre di poi, come
anco al presente; ma per gli occhi mi si affondò nell'animo, a scrutare
di me, come dice la tua Bibbia, il cuore e le reni. Si era nello
stanzone terreno della tua dimora: un antro oscuro come il covo d'una
belva; e in un angolo della stanza raggiava la precoce bellezza di tua
figlia, ancora quasi bambina....
Jacob Arom aveva levato non che gli occhi, ma la testa e la persona, e
guardava con inusata sicurezza e sorrideva con famigliarità compiacente.
Alle ultime parole di Gian-Luigi osò interrompere quasi rimbrottando:
— Ah! lasciamo stare mia figlia, la prego.
Gian-Luigi che parve non badare per nulla a quella interruzione,
continuava:
— Tu mi prendesti per la mano — la tua destra fredda come un pezzo di
ghiaccio e adunca come l'artiglio d'un falco da preda, s'intrecciò colla
mia, quasi a stringere un tacito patto solenne. Tu mi sorridesti colla
tua bocca sdentata, tu mi facesti balenare dinanzi il cupo splendore
della sciagurata sovranità che ora possiedo, tu, senza dirmene
apertamente, mi lasciasti travedere lo scopo immenso della nostra opera
tenebrosa, che sfugge alla intelligenza ristretta dei nostri consoci,
lieti di poco danaro guadagnato col delitto.... Mi rammento eziandio il
momento in cui tu sapesti il felice successo della prima di quelle
audacissime imprese da me immaginate e condotte che scoppiano come
fulmini a ciel sereno nella calma di questa città a spaventare i
cittadini colla loro terribilità misteriosa. Tu mi stringesti il braccio
con mani che tremavano e mi dicesti susurrando all'orecchio: «Bravo!
Bene! Oh! io aveva conosciuto l'uomo che era in Lei. Avanti, avanti!
Faccia a que' scellerati d'onest'uomini il maggior male che si
possa....»
L'ebreo stava tuttavia col suo corpo dritto e la faccia levata: lo
sguardo che non s'era ancora abbassato secondo suo costume scintillava
stranamente sotto la fronte proeminente.
— Essi a noi ne fanno tanto del male! Diss'egli colle labbra strette e
la voce soffocata nella gola. Se io mi rallegro del danno cagionato a
quella gente, chi può darmi torto? È una tirannica persecuzione di
secoli che si aggrava sulla dispersa stirpe d'Israele. I padri di
codestoro ci abbruciavano vivi; in questa età più mite, ma non più
giusta nè onesta, ci si misura la vita col disprezzo e colla prepotenza.
Dall'illustre cavaliere che ci tratta collo scudiscio al biricchino di
piazza che ci trae dietro al nostro passaggio le immondezze del suolo
pubblico, è una gara a chi più ci oltraggi e ci danneggi. Ognuno di noi,
fin da bambino, è la mira delle arroganze di tutti. Non v'è debole e
meschino fra i cristiani che in faccia ad un israelita non abbia sempre
la ragione del più forte. Noi cresciamo in mezzo ad un ambiente di odio
comune, isolati e maledetti come i leprosi al bando di ogni vantaggio
sociale; a cui non si concede aver possessi, nè cariche, nè onori,
neanco una patria, appena se la famiglia. L'altro dì, il nobile conte di
San-Luca, col suo carrozzino rovesciava a terra e faceva rompere il capo
ad un povero vecchio precisamente innanzi al caffè Fiorio. La folla si
raccoglieva pietosa intorno al caduto; ma visto appena chi fosse costui
la indignazione contro il giovine conte sfumava. Era un mio compagno di
mestiere e di religione. — «Ah! non è che un ebreo:» si esclamò con
indifferenza, ed appena fu se alcuno volle porger la mano ad alzare quel
miserabile. Il conte seguitò imperturbato il suo cammino, e non ebbe
nemmanco un rimprovero. Ogni giorno, ogni ora vede alcun sopruso fatto
ad alcuno di noi. Quante volte non ne fui vittima io stesso! Un
figliuolo di famiglia nobile, viene a farsi imprestare da me del danaro,
quel sacrosanto danaro che io mi guadagno con sì penoso ed incessante
lavoro; poscia trova più comodo non pagarmi i pattuiti frutti; il padre
titolato e potente ne dice un motto al Comandante della Polizia: il
commissario Tofi mi manda a chiamare e mi impone di contentarmi di
prendere indietro il mio povero capitale, perdendoci tutti gl'interessi
di vedermi imprigionato come usuraio. Non è questo un latrocinio?
Ultimamente, sotto il nome di un cristiano che la faceva da mio _uomo di
paglia_, prendo una considerevole impresa nelle forniture militari,
dalla quale impresa avrei potuto avere assai buoni guadagni. La cosa mi
era stata aggiudicata, era mia, e sotto un Governo onesto in una società
costituita secondo i dettami di giustizia, nissuna autorità avrebbe
avuto potere più di levarmela; ma qui e dai cristiani quale rispetto si
ha egli pel giusto? Il conte Barranchi aveva da favorire un suo protetto
non arrivato a tempo per concorrere all'appalto, si scopre che il vero
accollatario dell'impresa è un ebreo: che bel pretesto! Il solito
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