La plebe, parte I - 26

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l'unica sua occupazione era un tempo il darsi spasso ed ora s'era fatto
l'amore per lei? Che non avesse ricevuto l'invito di venire?
Impossibile! Il mezzo ond'ella si serviva per farglielo pervenire era
sicurissimo. Che cosa adunque poteva averlo impedito, se non qualche
ragione fatale per essa?
Era la logica istintiva ed assurda dell'amore, la quale raramente
sbaglia.
Quando già spuntava l'aurora all'orizzonte, Candida si ritrasse dal
verone affranta come dopo una notte di febbre, confusa la testa, pieno
di amarezza il cuore. Si gettò sul suo letto, il seno gonfio di pianto,
senza pur avere lo sfogo delle lagrime; il corpo stanco chiedeva il
riposo del sonno, ma un mulinìo turbinoso d'idee, d'immagini, di
propositi nella testa, non la lasciava dormire. Si assopì pur finalmente
in un sonno leggero, affannato dai più tristi e maledetti sogni. Sorse
tardi, colle traccie in volto che parevano d'un sopportato malore.
Nel pomeriggio, sentendosi bisogno di prender aria fece attaccare i
cavalli, e corse, come soleva un tempo, in una passeggiata senza meta.
L'azzardo, la sua maligna stella la condusse in luogo dove la carrozza
in cui essa s'abbandonava ai suoi turbativi pensieri, incontrò un'altra
carrozza occupata da un'altra donna, la cui figura, l'abbigliamento e il
contegno erano tali affatto da chiamare l'attenzione di chicchessia.
Qual istinto segreto è quello che alberga nell'essere sensitivo della
donna e lo avvisa dei pericoli che lo minacciano per quanto coperti essi
sieno, dei nemici nascosti che gli si presentano nel cammino? Candida,
all'aspetto di quella donna sentì una scossa interiore, come un urto
nell'anima. Si tirò su della persona e incrociò lo sguardo con quello
della sconosciuta, la quale a sua volta lasciò lo sguaiato abbandono in
cui stava sdraiata per esaminare con attenzione quasi insolente la
contessa che passava. Fu un ratto istante, poco più d'un baleno in cui
le due carrozze si passarono a fianco, al trotto serrato dei cavalli; ma
in quel fugace momento le due donne ebbero campo pur tuttavia, con quel
meraviglioso loro sguardo complessivo, di vedersi in una a vicenda le
sembianze, i modi, le vesti, i difetti della bellezza e del gusto.
Candida dovette giudicare senz'altro che quella giovane — poichè la era
giovane — non apparteneva nè alla sua classe nè ad alcun'altra di donne
oneste. Era sfarzosamente vestita di stoffe abbaglianti, ma come tale
che più si compiace di attrarre addosso a sè l'occhio dei riguardanti
che non di contentarlo con acconcia armonia di colori ed avvenenza di
complesso. Sulla faccia non brutta, ma più provocante che bella, eravi
troppo belletto, troppa sensualità e troppa impudenza. Il più strano di
quel volto erano certi occhi verdi del color del mare, acuti, ora freddi
come una lama d'acciaio, ora ardenti come la voluttà, ora feroci come
quelli d'una tigre. Piantandosi in faccia a qualcheduno parevano
dilatarsi e sprizzar fuori un fascio di raggi acuminati, per così dire,
che vi stillavano nel sangue a seconda o il gelo del sospetto, d'una
soggezione indefinita, quasi d'una paura, oppure nell'uomo il fuoco dei
desiderii sensuali. C'era in quello sguardo alcun che dell'animale
selvatico non affatto addomesticato, in cui la prisca selvaggia natura
ricomparisce a tratti sotto la spalmata vernice della coltura.
Quella donna sentì forse ancor essa che nella vita di Candida doveva
intrecciarsi la sua e l'una sull'altra esercitare un fatale influsso a
vicenda, funesto troppo per la nobil dama? Il vero è ch'ella saettò
sulla contessa uno di quei suoi sguardi felini di cui Candida non potè
sostenere l'incontro, ne fu tutta conturbata in quell'atto, e dopo
appena oltrepassata la carrozza ne provò lo sdegno maggiore come di
ricevuto oltraggio.
Si piegò ella verso il cocchiere e gli domandò con indifferenza non
affatto sincera:
— Conoscete voi chi sia quella donna?
Il cocchiere fece un certo atto colle spalle e sorrise in certo modo che
dicevano di molto.
— Peuh! Diss'egli. La signora contessa ne avrà udito a parlare. È quella
tale che fin dalla primavera ha preso in affitto la _Villa-lunga_, a
poche miglia qui distante.
— Ah! Fece la contessa che in vero aveva sentito alcuna cosa di
quell'avventuriera. È una ballerina, credo....
— Mah! Se ne dicono tante sul suo conto! Il più certo pare che fosse una
di quelle che saltano sui cavalli. La chiamano ancora _La Leggera_.
Dicono che qualche considerevole personaggio l'ha tolta dal dorso dei
cavalli per metterla in un elegante appartamento con mobili, servitù,
carrozza all'avvenante. Anzi si bisbiglia che i protettori sieno più
d'uno. Quel che è certo, si è che nella _Villa-lunga_ c'è baldoria tutti
i giorni: conviti, festini, balli, giuoco tutta la notte..... e peggio,
che non si finisce mai; e vi accorre gran gente d'ogni fatta; e si
spendono allegramente dei gran denari.
Candida — e non sapeva il perchè — ascoltava con molto interesse le
parole del suo cocchiere. Ad un punto s'accorse di questo suo eccesso di
curiosità non troppo degna, e vergognatasene, arrossì leggermente.
— Non vi ho domandato la storia di madamigella _Leggera_: diss'ella con
accento più severo di quello che il bisogno non fosse, e si ricacciò in
fondo la carrozza, tornando a darsi in preda ai suoi confusi e
disordinati pensieri.
Chi le avesse detto che quelle volte in cui Luigi era stato veduto in
quei dintorni, prima ancora che essa lo conoscesse, egli o veniva dalla
_Villa-lunga_ o vi si recava a passar la notte in quelle baldorie della
_Leggiera_! Chi le avesse detto che quel giorno stesso in cui il
temporale lo fece riparare al castello di lei, Luigi era diretto a
quella volta!
Due giorni dopo quell'incontro, la cameriera, fosse per interesse che
sentisse verso la padrona, fosse per malignità femminile, trovò modo di
far capire alla contessa che Luigi la sera innanzi era stato visto in
que' luoghi e la mattina medesima era stato incontrato sulla strada per
a Torino. Ora al castello egli non s'era lasciato vedere. Candida sentì
quella certa spina infitta nel cuore dar sangue dolorosamente.
E perchè il suo pensiero corse allora a quella donna che aveva
incontrata per via?
Il conte era allora al castello; Candida non poteva chiamare Luigi a sè
perchè venisse a scolparsi; gli scrisse quattro pagine di rimbrotti e di
accuse, invitandolo a difendersi per lettera ancor egli. Luigi rispose
laconicamente affettuoso. Essa aveva fatto riguardo alla mancanza di
quella notte mille supposizioni ed accolto mille sospetti; ma, diceva
egli, aveva dimenticato la cosa la più semplice ad immaginarsi, che era
la vera: esser egli, cioè, quel giorno stato preso da un malore che non
gli aveva concesso la gita. Esser vero, soggiungeva, che una notte aveva
egli passato nei dintorni del castello, ma ciò aver egli fatto per
conseguir modo di poter meglio accostarsi a lei, di fare che più liberi
e più frequenti potessero essere in avvenire i loro convegni. Le avrebbe
spiegato a voce il mistero.
Difatti pochi giorni di poi questa spiegazione avvenne. Il conte si
allontanava di quando in quando, ma non facendone prima avvertito
nessuno, Candida non poteva mandare il solito invito a Luigi. Era
avvenuto così che il marito passasse eziandio la notte fuor del
castello, senza che la moglie pur lo sapesse, credendo ch'egli tornasse
ad ora tarda e, secondo l'usato, senza prendersi la briga d'andarla a
disturbare per darle un saluto, rientrasse chetamente nel suo quartiere.
Dove si recasse il conte in quelle gite, Candida non si curava per nulla
saperlo; ma pure, da alcune vaghe parole udite dai servi, aveva finito
per indovinare che egli era alla _Villa-lunga_, dove il vecchio
libertino passava le molte ore di sua assenza. Cotesta scoperta aveva
fatto nell'animo della contessa una strana sensazione ch'ella medesima
non sapeva spiegare. Da una parte le pareva questa come una nuova scusa
al suo fallire alla fede coniugale, e insieme una nuova ragione di
maggior libertà per essa, dall'altra sentiva una specie di ripugnanza e
di sgomento al sapere che quella donna, di cui essa in quel solo vederla
di sfuggita aveva portato sì avverso giudizio; che quella donna, dico,
avesse attinenza con due uomini che maggiormente le appartenevano, il
marito e l'amante; poichè Candida non dubitava punto che anche Luigi
fosse stato là quella notte.
Una sera adunque che il conte, allontanatosi dal castello, mancava da
più ore, Luigi comparve inaspettato agli occhi di Candida, la quale sola
nella sua camera ruminando i suoi tristi pensieri, sentiva sotto
l'influsso dei sospetti cambiarsi in profonda amarezza le primitive
dolcezze dell'amor suo.
Al vedersi innanzi improvviso l'amante, essa gettò un grido di sorpresa
e sorse come spaventata.
— Non ti sgomentare: disse col suo sorriso più amoroso Luigi; sono io...
Io che anelavo al momento di venire a dissipare tutto quell'ammasso di
brutti ed ingiusti pensieri che la tua lettera mi ha rivelato aver tu
rammontato nella tua testolina riguardo a me.
La contessa guardò intorno con aria ancora smarrita.
— Mio marito è al castello; disse sommessamente. Potrebbe averti visto a
venire, potrebbe vederti partendo. E' non entra mai di solito nel mio
appartamento, ma pure...
— Rassicurati: rispose Luigi, prendendole una mano. Egli è là donde io
vengo; l'ho lasciato a mezzo d'una partita di giuoco troppo interessante
perchè egli l'abbandoni di tutta la notte. Mi sono affrettato a perdere
tutto il denaro che avevo presso di me; poscia ho finto ritirarmi
imbronciato colla fortuna ed irmene a fare svanire il cattiv'umore
all'aria aperta. Avevo già ordinato mi si tenesse insellato il mio
cavallo. In un salto ci fui sopra, e in un tempo di galoppo eccomi qua.
Un'ora d'amore con te, anima mia, e poi ritorno colà che niuno avrà
potuto pur notare la mia assenza.
Volle abbracciarla, ma essa freddamente si fece in là ed anzi levò da
quella di lui, la mano che egli le aveva presa.
— Colà? Diss'ella con ironia sotto cui c'era sdegno e dolore. Dov'è egli
questo colà?
Luigi accennò a rispondere, ma Candida non glie ne lasciò, prorompendo
con impeto:
— Tacete! Non voglio nemmanco udirlo dalla vostra bocca. So tutto. Voi
pure v'imbrancate all'impuro corteo di _quella donna_.
Queste parole furono pronunziate con tanto disprezzo che il rossore ne
salì alla faccia di Luigi. I suoi occhi s'infiammarono un istante
tremendamente, e sulla fronte si disegnò quella certa ruga che i lettori
già conoscono, ma fu un baleno, e cambiata rapidamente quell'espressione
collerica, quasi feroce, in un sorriso, egli disse con accento pacato ed
amorevole:
— Via, via, non esageriamo, Candida mia. Ecchè? Potresti tu avere il
torto di credermi capace di fallire a ciò che debbo a te ed a me stesso?
Non conservare quell'aria sdegnosa, mio dolce amore; non mirarmi oltre
con quell'occhio irritato in cui mi è sì dolce, invece, veder la fiamma
della passione. Guarda che con una sola parola io posso abbattere tutti
i tuoi sospetti, e tu ti pentirai d'averli avuti..... Ebbene sì, senza
imbrancarmi a quell'impuro corteo, come tu dici, io mi sono recato
alcune volte alla _Villa-lunga_. Ma sai tu perchè?.... La vera e la sola
cagione ne sei tu.
— Io? Esclamò la contessa stupita.
— Tu stessa; ripigliò Luigi ancora più amoroso nel suo accento e nel suo
sorriso. T'ho scritto che ciò avevo fatto per potermi avvicinare di più
a te. Perchè non mi hai creduto?
— Ma come?
— Sapevo che colà avrei trovato il conte; volevo che fra lui e me si
stringesse tale attinenza che mi schiudesse liberamente la porta di casa
tua. Ho io avuto torto? Impiegai tutta l'arte di cui sono capace affine
di entrare nelle grazie di tuo marito. Egli mi ha già offerto di
presentarmi a te ed invitato al suo castello. Ho accettato senza
mostrare troppa premura per allontanare sempre meglio ogni sospetto. Un
giorno o l'altro egli mi guiderà per mano a te dinanzi.
Candida rimaneva perplessa e non rispondeva. In codesto sentiva essa
alcun che ond'era urtata la delicatezza della sua anima. Avrebbe
preferito che il marito e l'amante mai non si fossero trovati a fronte
nel suo salotto, che quest'ultimo mai non avesse dovuto lusingare con
compiacenti parole il primo, e stringergli la mano come amico. Le pareva
che ne sarebbe stato abbassato il loro amore. Vedersi soltanto nel
mistero — che niuno della società cui essa apparteneva, lo sapesse — le
pareva preferibile, più dignitoso, più confacente al suo sentire.
Luigi s'accorse di codeste impressioni che le sue parole facevano
nell'animo di lei, e quindi si affrettò a soggiungere:
— Pensa che se ciò non avvenisse quando tu sii ritornata in città le
occasioni di vederci sarebbero troppo rade e troppo pericolose per la
tua pace e pel tuo buon nome.
La contessa crollò leggermente le spalle, come per significare che
appetto all'amore ella considerava come cosa da poco tutto il resto del
mondo.
— Ed a questo; continuò con più calore Luigi; io debbo tenerci più
ancora che non tu stessa, e ci tengo.
Chi non sa com'è l'animo di donna innamorata? Quelle cose che a lei meno
paiono acconcie diventano tali per essa, appena l'eloquente parola
dell'amante ne la voglia persuadere. Con quanta facilità s'accolgono nel
cuore di lei i sospetti, con altrettanta si dileguano alle proteste
dell'uomo amato. Poco ci volle che Candida restò persuasa come d'ogni
fallo era innocente Luigi e com'egli s'era adoperato pel meglio di
tuttedue.
Diffatti qualche giorno dopo la contessa ebbe un rimescolo in tutto il
sangue nell'udire sulle labbra del marito il nome del dottor Quercia.
Si era di tardo autunno ormai, e il conte soleva invitare alcuni
conoscenti a partite di caccia nelle sue tenute. La vigilia di una di
siffatte partite, il conte disse alla moglie in fin di tavola, dopo
pranzo, come cosa di poco rilievo che allora soltanto gli fosse venuta
alla mente:
— Ah! Domani mi prenderò la libertà di presentarti un nuovo ospite. Un
giovanotto che ha abbastanza buone maniere per far dimenticare che non
ha titoli; un certo dottor Quercia, medico senza clienti, e credo senza
medicina.
Candida si volse dall'altra parte con un pretesto qualunque per
nascondere il suo subito turbamento. Il conte non aggiunse altro: nè
dove lo avesse conosciuto, nè come; la contessa non domandò nulla, e non
se ne parlò più.
Luigi aveva saputo realmente andare ai versi del vecchio conte, e
ricevuto il primo invito, seppe far di guisa da diventare in breve
famigliarissimo di casa.
Tornati a Torino il conte e la contessa, questa domestichezza non solo
si continuò ma si accrebbe.
Il mondo susurrò, poi parlò senza ritegno, prima indovinò, poi seppe. Le
migliori amiche della contessa compassionarono perfidamente la povera
donna che si perdeva in una tresca indegna con un uomo che non si sapeva
chi fosse.
Gli ultimi a sapere queste cose sono sempre i mariti: ma il conte di
Staffarda non era uomo da non vedere e da non capire. Cominciò per non
dar più la mano a Luigi quando lo incontrava in qualche luogo o quando
entrava nel suo salotto; si diede ad accoglierlo con un altezzoso
sussiego che era quasi un'insolenza. Luigi usava tutti i mezzi che può
un uomo di spirito per mostrare che non faceva attenzione a questo
contegno del conte ma frattanto aspettava un'occasione affine di
provocare una spiegazione che volgesse secondo quello ch'egli desiderava
ed aveva in previsione immaginato. Il conte eziandio da parte sua
cercava un'occasione per dire alla moglie il fatto suo, senza scene,
senza scandali, con tutta la forbitezza e la disdegnosa indifferenza
d'un vecchio libertino di marito allevato nelle tradizioni dell'elegante
corruttela del secolo scorso.
Queste occasioni aspettate vennero per ambidue, e prima pel conte.


CAPITOLO XXIV.

Già s'era fatto tardi. Luigi erasi indugiato più forse che non solesse
nel riposto stanzino della contessa. Nell'alto silenzio della notte, i
sontuosi arazzi del gabinetto di Candida entro il superbo palazzo dei
conti di Staffarda avevano udito suonare voci di rampogna e di sdegno
(imperocchè l'amore fra quei due già ne fosse venuto allo stadio dei
rimbrotti, delle accuse da parte di lei, delle impazienze e peggio da
quella di lui; e vi narrerò di poi le fasi di questo periodo ed i torti
e le colpe e — dirò fin d'ora la parola — l'infamia dell'indegno
amatore), poscia voci più miti di perdono e di supplicazione sulle
labbra della misera donna e per ultimo di tenerezza e di passione più
concitata quanto più era stata lungamente repressa da altri sentimenti.
Ad un tratto si grattò alla porta. I due amanti sussultarono. Era cosa
tanto nuova che in quei loro colloqui venissero disturbati! Tacquero un
momento stando in sospeso ad ascoltare se il segno si ripetesse. In
quella udirono l'orologio del campanile vicino suonar lentamente la
mezzanotte. L'ultimo tocco aveva appena finito di battere che all'uscio
fu dato un picchio abbastanza vibrato. Candida sorse di slancio, si
racconciò in fretta i panni un po' disordinati, ed invece di domandare
chi fosse si precipitò verso la porta e l'aprì con mano che tremava un
pochino.
Sì trovò in faccia la cameriera:
— Che cosa c'è? Domandò la contessa con qualche corruccio.
E la fante sollecita:
— Il signor conte fa domandare alla contessa se vuole riceverlo.
Candida si volse pallida ed agitata verso il suo amante.
— Mio marito! Diss'ella frettolosamente. Egli non viene mai qui a
quest'ora..... Parti!
Gli occhi di Gian-Luigi balenarono cupamente e nella fronte si incavò
quella sua ruga caratteristica.
— Ah! il conte: diss'egli incrociando le braccia al petto; ben venga il
signor conte. Vorrebbe egli per azzardo far da marito di tragedia?
Candida gli fu accosto in un baleno e con atto pieno d'avvenenza e
d'amorevolezza gli gettò le braccia al collo.
— Parti, te ne prego: diss'ella.
La cameriera s'inoltrò d'un passo nel gabinetto, ed abbassando la voce,
soggiunse:
— Il signor conte è qui nell'altra stanza, e il signor dottore non può a
meno d'incontrarlo.
La contessa impallidì vieppiù.
— Va nella mia camera: diss'ella affrettatamente a Luigi. Il conte non
avrà gran cosa da dirmi e saprò sbarazzarmene tosto.
Gian-Luigi fece un sogghigno pieno di superbia e d'ironia.
— Fuggire! Diss'egli. Nascondermi! Nè l'un nè l'altro. Venga avanti il
signor conte, e se ha cose da dire a Lei che io non possa ascoltare,
allora mi ritirerò tranquillamente per la uscita comune.
— È mezzanotte: disse timidamente la contessa.
— Gli è che abbiamo saputo trovar abbastanza soggetti interessanti di
conversazione da far passare il tempo senza badarci. Questo fa onore al
nostro spirito, contessa.
Candida esitò un momentino, parve voler ancora dire alcuna cosa; ma ad
un tratto prese la sua decisione, e voltasi alla cameriera le disse con
accento affatto sicuro e tranquillo:
— Introducete il conte.
Poi si gettò a sedere abbandonatamente sulla sua poltroncina vicino al
fuoco, al quale volgendo le spalle stava dritto Luigi colla più agiata
disinvoltura di questo mondo.
Io non vi dirò che il cuore di Candida non battesse un po' più concitato
nell'udire sul pavimento dell'altra stanza il passo del conte che si
avvicinava; ma il suo aspetto era tranquillo, e quando l'uscio si aprì,
ella volse verso chi entrava un viso forse un po' pallido, ma per
l'affatto sicuro nella sua indifferenza.
Il conte s'inoltrò con un sorriso poco naturale, ma garbatissimo, sulle
sue labbra tirate. La sua fronte calva pareva più gialliccia
dell'ordinario riflettendo la luce delle due lampade che ardevano sul
camino. Nell'occhio grifagno c'era molto più del solito di quell'ironia
scettica e maligna che formava la base del suo carattere. Gli sguardi
del conte e di Gian-Luigi s'incrociarono; erano gli sguardi di due
uomini che non hanno timore. Stettero un attimo così fissi l'un
nell'altro, come due lame in un assalto prima che uno dei duellanti si
decida a trarre una botta. Prolungato per un minuto quello sguardo si
faceva una sfida, una minaccia, un insulto: era uno di quelli sguardi,
dopo i quali bastano poche parole per condurre due uomini sul terreno a
cimentare in un duello la vita.
Gian-Luigi, a niun patto, avrebbe voluto esser egli il primo a chinare
gli occhi. Sentiva entro il petto un orgoglio immenso dare rincalzo al
suo coraggio per non cedere neppure un minuzzolo alla superba guardatura
del conte. Il cranio pelato di quell'uomo che tutti conoscevano
abilissimo nell'arte di uccidere il suo simile ed il cachinno insolente
ed altezzoso di quella mordace ironia, solevano imporne a tutta la
gente; il trovatello Gian-Luigi, il figliuolo di nessuno, il compagno
d'infanzia di Maurilio, allevato nella più umile e nella più misera
delle condizioni, non ne provò la menoma soggezione. Amedeo Filiberto di
Staffarda che per lungo uso di mondo e trattare d'uomini, s'intendeva a
giudicare, dalla fisionomia e dal contegno di qualcheduno, della
fermezza e del valore del suo animo; il conte conchiuse fra sè che quel
giovane non era tale da poter essere nè dominato, nè soverchiato.
In questo modo passarono due minuti secondi di grave silenzio,
lunghissimi per la contessa, la quale con ansia stava mirando a sua
volta quella tacita lotta di sguardi di quei due uomini innanzi a lei.
Fu il conte che primo sviò gli occhi da quelli dell'avversario e ruppe
il silenzio.
— Ah! gli è Lei, dottore: diss'egli colla sua gentilezza aristocratica,
in cui nella compiuta forbitezza appariva pur sempre una tinta di
superiorità. Perdoni a' miei occhi miopi, se non l'ho tosto
riconosciuto.
Gian-Luigi fece un lieve inchino senza rispondere.
Candida tirò più libero il fiato. Le parole del conte ed il modo con cui
le aveva dette non erano già d'un uomo che si acconci a cedere per
paura, ma di tale che crede miglior convenienza lo evitare uno scandalo.
— Come mai, conte, a quest'ora? Domandò la donna con un'apparenza
scherzosa, in cui pure si sarebbe potuto sentir tuttavia la traccia
delle sue inquietudini.
— Che? Rispose il conte. È egli per ventura così tardi?
Guardò l'orologio che faceva muovere il suo pendolo sulla mensola del
camino, e per vederci l'ora avanzò la testa fin da essere presso presso
a quella di Gian-Luigi, il quale non si mosse, come se i suoi piedi
avessero piantate le radici sulla lastra di piombo che innanzi al
focolare difendeva il tappeto del pavimento dalle faville che potessero
mandare gli scoppi della legna.
— To'...... È passata mezzanotte: soggiunse il conte. Credevo fosse di
meno. Vuol dire che il tempo mi è volato via rapidamente questa sera,
come fors'anco per voi, contessa.
Candida arrossì un pochino.
— Sì davvero: diss'ella pigliando un parafuoco per ripararsi la faccia,
più che dal calore dei tizzi che ardevano nel focolare, dalla luce delle
lampade che pioveva dallo sporto del camino. Il dottor Quercia ha avuto
la bontà di sacrificarmi la sera per tenermi compagnia.
Il conte si volse di nuovo verso Gian-Luigi e gli fece un saluto del
capo che pareva quasi un ringraziamento, ed in cui l'ironia era di guisa
dissimulata e così fine che un uomo accorto non poteva a meno di
sentirla, ma uno mediocremente educato non avrebbe potuto in nessun modo
rilevarla.
Gian-Luigi corrispose con un altro saluto uguale; ma entro sè rodevasi
maladettamente di quella situazione in cui si trovava, che sentiva
ridicola e la più impacciosa che mai. Avrebbe dato non so che perchè la
maliziosa gentilezza del conte si voltasse in un buono scoppio di
collera.
Amedeo Filiberto disse allora alla moglie, con quel suo satirico
sorriso:
— È un sacrifizio che la galanteria del signor dottore avrà trovato
leggiero.
Prese la mano di Candida e gliela baciò mentre essa lo guardava tutto
stupita.
— È un sacrifizio: soggiuns'egli, col tono d'un Don Giovanni dei tempi
di Luigi XV di Francia: che sarei disposto a fare ancor io molto
volentieri, se pensassi che potesse tornarvi ugualmente gradito.
Candida levò dalla mano del marito la sua che egli teneva ancora, si
tirò indietro colla poltrona, come per allontanarsi, e non rispose.
— Duolmi se io sono venuto disturbatore del vostro colloquio: riprese il
conte colla medesima bonarietà maliziosa: ma che volete, contessa cara?
Ho gran desiderio, e dirò anzi gran bisogno di aver con voi uno di quei
confidenti ed affettuosi colloquii che sono una delle maggiori gioie del
matrimonio, e — _ma foi!_ — non ho voluto ritardarmi questo regalo,
perchè se sono del parere di quell'antico non so chi, il quale soleva
rimandare gli affari al giorno di poi, credo invece che le dolci
soddisfazioni conviene procurarsele tosto, senza ritardo, appena si può.
Ciò detto, diresse il suo sguardo grifagno su Gian-Luigi, che stava
sempre al medesimo posto. Quello sguardo diceva apertamente:
— Conviene che mi cediate il luogo. È questo, se non altro, il mio
diritto di marito, e intendo di valermene.
Gian-Luigi comprese. Ben sapeva che gli toccava ritirarsi, e fin dal
primo momento che il conte era entrato, egli andava pensando come far
ciò senza mostra alcuna di debolezza. Ora esitò tuttavia un momentino.
Gli passò per la mente di rispondere un'impertinenza che obbligasse il
conte ad uscire da quel garbo artifizioso che gli faceva, per così dire,
una corazza adamantina; oppure di fare il sordo affine di spingere il
marito di Candida a più aperto parlare che desse a lui pretesto di
venirne a lotta dichiarata. Capì che avrebbe avuto assai torto sì a far
questo che a far quello. Inoltre la irritata suscettività del suo amor
proprio non fu tanto cieca da non lasciargli ricordare che il suo
interesse gli sconsigliava fortemente una palese e scandalosa rottura
col conte. Si staccò egli dal camino e andò lentamente a prendere il suo
cappello, che aveva deposto sopra un _guéridon_.
Il conte si pose tosto a quel medesimo luogo che il giovane aveva
abbandonato, come se anco materialmente volesse significare ch'egli
intendeva rivendicato il suo posto di marito sulle invasioni
dell'amante.
Gian-Luigi venne colla stessa andatura lenta fin presso alla signora, e
tendendole una mano con famigliarità da amico, le disse:
— Buona notte, signora contessa.
— Buona notte: s'affrettò a rispondere Candida, stringendo forte la mano
di lui, come per segreta intelligenza, come per ringraziarlo di cedere a
quel modo, timorosa ch'ella era stata alquanto non volesse il giovane
ribellarsi al pulito congedo intimatogli dal conte. Quando ci rivedremo?
Domani è mia sera di palchetto al Regio; spero che non la mancherà di
venirmi a far visita.
— Me ne farò un dovere: rispose Gian-Luigi. S'inchinò poscia leggermente
verso il conte, il quale abbassò il capo con mossa molto superba. Il
giovane uscì meno contento di sè di quanto avrebbe voluto, sentendo che
in quello scontro ad armi cortesi egli aveva avuto il dissotto, e
mulinando come avrebbe potuto conseguire una rivincita quale convenisse
non solo all'amor proprio, ma al suo interesse ed ai suoi disegni.
Il conte e la contessa rimasero soli; ella sempre seduta giuocherellando
col parafuoco di cui servivasi a riparare il suo volto dagli sguardi del
marito, egli dritto dinanzi al camino, dove poco anzi stava l'amante.
Per un poco non parlarono nè l'uno nè l'altra.
— _Charmant garçon_ quel dottorino: disse poi il marito mettendo le mani
dietro le reni come per riscaldarsele alla vampa.
Candida non rispose.
— A proposito! Di che cosa è egli dottore? Di leggi, no. Di medicina o
di chirurgia, o di tuttedue?
Aspettò un momento la risposta della moglie, che non venne.
— Voi non sapreste dirmelo, contessa? Soggiunse egli facendo piombare il
suo sguardo addosso alla donna che pareva assorta nella contemplazione
delle figure chinesi trapunte sulla seta del parafuoco.
Candida crollò le spalle.
— Non andate già sognando, io spero, che discorriamo di medicina e di
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