La plebe, parte I - 06

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spente.
La vecchia e Maurilio si guardarono l'un l'altra, come avviene fra due
che si trovano a fronte e non si sono mai visti.
Di quella poteva dirsi col Boccaccio «una vecchia che pareva pur santa
Verdiana che dà beccare alle serpi,» tanto la era strema, vizza, sporca,
brutta e scontrosa. L'occhio avea rimesso e maligno, la bocca asciutta,
tirata e sottile, il naso adunco, il mento aguzzo e volgente all'insù
con sopravi radi ma lunghi peli di barba grigia: un aspetto di tristo e
d'abbietto, di maltalento temperato dall'impotenza.
Maurilio provò un senso di profonda ripugnanza, quasi di malessere
innanzi a quella figura. E' non si scoprì la faccia e stette lì, com'era
per istrada, col cappello fin sugli occhi e il mantello fin sopra la
bocca.
— Chi è Lei? Domandò la vecchia colla sua voce squarrata. Gli è di me
che cerca? Che cosa vuole?
L'uomo si appoggiò ad un desco zoppo che stava contro al muro presso
l'entrata, e rispose:
— Son venuto a portarvi dieci soldi, perchè non vogliate battere quel
vostro bimbo là.
La vecchia volse un suo sguardo invelenito sul fanciullo, il quale
s'interrompeva dal piangere di quando in quando, per soffiare a pieni
polmoni sulle braci, a cui cercava scaldare le sue mani intirizzite e
gonfie dai geloni.
— Che cosa gli ha contato quel bugiardello di Gognino? Che sì che gli
mostro io!
E la minaccia si sarebbe certamente risolta in fatti, se la vecchia non
avesse visto lo sconosciuto porre nel taschino del panciotto il pollice
e l'indice della sua mano sinistra; allora ella, interrompendosi tosto
nel discorso, tese la destra e stette ad aspettare.
Maurilio trasse fuori un pizzico di monete, le fece scorrere sulla palma
della mano, e siccome, oltre poche di rame da cinque centesimi, non ce
ne aveva che di argento, ne prese una da un franco e la porse alla
vecchia, la quale fu lesta a farla ingoiare da un tascone della sua
gonnella, dove, sonando cupamente, diede segno di essersi andata ad
affratellare con il buon numero di soldacci grossi di rame. Poi ella
sogguardò così di sbieco il donatore e con un cotale accento di timore,
di peritanza, di rincrescimento, impossibile ad esprimersi, gli domandò:
— Ho da tornarle indietro il soprappiù?
Un sorriso ed un moto di spalle fatti dall'uomo, ella s'affrettò ad
interpretare per una negativa, diede un colpetto colla mano alla sua
saccoccia, come per chiuderla, e riprese con tono più umano e dolciato:
— Che Dio la benedica, signor mio, per questa carità.
Si volse verso il piccino che seguitava ad infrignare:
— Vuoi smetterla, Gognino, o che io vengo a levarti il ruzzo collo
staffile?
Maurilio volle parlare, ma la vecchia non gliene lasciò tempo, e
riprendendo a discorrergli come prima, soggiungeva:
— Per Lei, vorrò dire la terza parte del rosario, a favore dell'anima
dei suoi morti.
La faccia di Maurilio si contrasse leggermente, ma ella nol vide.
— E sentirò domattina la messa alla Madonna del Carmine. Io sono sempre
lì sulla porta della chiesa che vendo abitini, rosarii e candelette. Se
mai avesse bisogno di me per alcuna cosa, la mi ci troverebbe. E se
vuole, domani accenderò le candelette per lei all'altare delle
indulgenze.
— No: interruppe Maurilio. Ciò ch'io vorrei si è che non batteste più
quel povero bimbo.
— Ah! rispose la vecchia. Lei crede ch'io gli faccia del male a quel
piccino. Si sbaglia, sa! Io non fo che per suo bene. È dura cosa alla
mia età allevarsi su un figliuolo di quella fatta. Io sono tutt'altro
che cattiva. Ne potrebbe domandare a chiunque, e se le si dirà che la
_Gattona_ è una senza cuore, voglio sprofondare. (Da un buon pezzo di
tempo mi chiamano la Gattona; ma il mio vero nome è Modestina....
Modestina Luponi.... Ma, sa bene, tra noi povera gente si comincia,
tanto per ridere, ad affibbiare ad uno un sopranome, lo si ripete una
volta ed altra, e buona sera, gli è come se gliel'avesse dato il prete
coll'acqua santa.) Dunque le dico che quel ghiottoncello là, di certe
ore, tirerebbe le botte di mano ad un san Giobbe. Sono una povera
vecchia io che il lavoro non può più darmi nessun guadagno. Vivo della
carità della gente io, e deve sapere anche Lei, se la carità della gente
la è tanto larga. Oh stia là, che a me quel biricchino gli è un grave
peso a portare!
— Siete sua nonna, voi?
— Signor sì. Ma vorrei ben essere piuttosto.... Dio mi perdoni, che
quasi ne direi qualcuna di grossa. È il figlio d'una mia figliuola, la
quale dopo avermi dato i mille dispiaceri e perduto a me il rispetto, a
sè l'onore, morì tra la miseria, lasciandomi sulle braccia quel coso. La
ne aveva fatte di ogni razza quella disgraziata ed era proprio caduta al
più basso.
— E voi, sua madre, come non avete potuto avviarla al bene?
— Eh sì! Che cosa vuole ch'io facessi? Bisognava ben lavorare per
vivere.... Un tempo, me la ricavavo bene.... Sono stata in casa di
signori.... e di certi signori.... Basta.... Venne un dì che la mia
ragazza dovette andare in giornata da una parte ed io dall'altra. Sa
come succedono queste cose. Cominciò per innamorarsi d'uno che la
piantò. Poi diede retta alle offerte d'un ricco che la fece scialare per
bene durante un po' di tempo. Quindi da questo a quello, che vuol ch'io
le dica? Patatrach nella miseria e nell'abbiezione.... E fu allora, noti
che provvidenza maligna! che le nacque codesto marmocchio della malora.
Io avrei creduto che lo gittasse all'ospizio. Niente affatto. Quella
creatura, che era stata senza cuore per sua madre e per tutti, volle
tenersi il figliuolo, e per esso sostenne ogni sacrifizio ed ogni
privazione.
— Ciò prova che vi era del buono in lei.
— E codesto la fece morire tisica all'ospedale a vent'ott'anni. Sono
intorno a nove anni fa; me ne ricordo sempre; la mi fece chiamare al suo
letto dove rantolava che faceva spavento, e mi disse con quel poco di
voce che le restava e serrandomi la mano colle sue che bruciavano come
carboni accesi: — Mamma, tu mi hai da promettere di non abbandonare mio
figlio e di allevarlo su un onesto uomo. Che cosa vuole ch'io facessi?
Promisi tutto quello ch'ella volle.
— Ed avete fatto bene.
— Oh! me ne ho dovuto pentire più d'una volta, glie lo dico io.... Avrei
fatto meglio a dar retta al consiglio di alcune amiche, che era di
piantarlo là e lasciar pensare a lui quella provvidenza che l'ha fatto
nascere.
Maurilio sentì un profondo ribrezzo, ma stimò inutile il mostrarlo, e
dopo un momento domandò:
— E suo padre?
— Chi? Il padre di quel bastardo? Chi l'ha mai visto o saputo chi fosse?
Se l'avessi conosciuto, glie ne avrei portato bravamente e dettogli: —
Mantenetevi voi la vostra carne ed il vostro peccato, ch'io, che cosa ci
ho da entrare io?
— Però voi da questo piccino tirate alcun profitto.
— Santa Madonna della Consolata! A che cosa può giovare di buono un
bardassotto di quella guisa? Gli vo comperando qualche dozzina di mazzi
di fiammiferi, perchè li rivenda e venga così raspando qualche
solduccio: chè adesso che si vuol far tutto in nuovo, hanno proibito
anche l'elemosina.... pena il Ricovero. S'e' volesse avere testa a
partito, potrebbe pure guadagnarmi qualche cosuccia di questo modo; ma
sì, egli è più vizioso di quanto si voglia credere, e non è ancora fuor
di casa che con altri sbarazzini di sua risma, ei non sa far altro che
giuocare alle biglie, o alla trottola, alle castelline e sciupare il
tempo e i denari, e va apparando non altro che difettacci.
— Questo è vero. E voi non mantenete così la promessa fatta al letto di
morte di vostra figlia; di allevarlo un onest'uomo.
— Oh sante piaghe! Che cosa ho da farne? Ei non vuol saperne di nulla
delle cose da bene. Padre Bonaventura, un buon reverendo dei Padri
Gesuiti lì del Carmine, mi aveva detto di mandarglielo in sacristia a
far qualche piccolo servizio che gli avrebbero mostrato a servir la
messa, e dato qualche elemosina di tanto in tanto, ed inculcatogli
quanto meno il santo timor di Dio...... Eh sì! _Gognino_.... (lo
chiamano Gognino, ma il suo vero nome è Luca).... Gognino è sempre
scappato come il diavolo dall'acquasantino.
— Perchè non lo acconciate con qualcuna di quelle scuole infantili che
ora si sono fondate?
— Scuole? Tutte baie!... Padre Bonaventura dice che non vi si tiran su
che dei miscredenti..... E poi chi mi compenserebbe i dieci soldi che me
ne fo portare?
— Ah!
Maurilio parve riflettere un poco. Diede una nuova e più minuta
sguardata intorno a sè, si inoltrò nella soffitta ed esaminò meglio il
ragazzo, il quale, tutto rannicchiato al focolare, aveva cessato di
piangere, e teneva fisso sulla nonna e sullo sconosciuto gli occhioni
larghi ed attenti. Poscia Maurilio si volse di nuovo alla vecchia e le
disse:
— A quel bambino, di leggere e scrivere, voi non glie ne avete neppur
parlato?
— Madonna santissima! E perchè mai? E che vuole ch'ei ne faccia? A che
cosa giovano elleno queste cose per noi, povera gente, per quel
disgraziato che gli toccherà sbrandellarsi la pelle se vorrà mangiar
pane?
Maurilio non credette opportuno entrare in discussione colla vecchia
sull'utilità del saper leggere e scrivere. Si rivolse al bambino e gli
disse:
— Vieni un po' qui tu.
Gognino lo guardò con occhio ancora più largo, ma non si mosse.
— Hai sentito. Luca? Gridò la Gattona. Vien qui dal signore. E così,
tristerello, vuoi obbedire o no? Subito, ti dico; chè se vado io a
pigliarti.....
Fece un passo. Gognino tosto fu dritto e s'accostò adagio, mostrando nel
muovere delle spalle e nel frusciarsi i panni addosso tutta la sua
malavoglia.
— Luca, domandogli Maurilio, sai tu che cosa sia leggere e scrivere?
Gli occhi del fanciullo diedero un leggiero lampo d'intelligenza.
— Sì: rispose. Vedo bene che quando appiccan qualche cartello alle
cantonate tutti ci si fermano.
— E di saperlo ne avresti voglia?
— Sicuro. L'altro giorno che hanno menato a morire quel bel giovane, e
che io sono andato a vedere, e che tutto il mondo correva, che dicevano
avesse ammazzato il suo padrone.... Ebbene avrei voluto poter leggere
anch'io la sentenza su pei muri, come faceva l'altra gente.
Maurilio mandò un sospiro e scosse dolorosamente la testa.
— E voi, diss'egli alla vecchia, lasciate questo ragazzo andare a
siffatti spettacoli?
— Bisogna bene. Così vedendo il castigo, imparano a non fare il male.
— Oh miseria dell'ignoranza! Mormorò il giovane; poi, come per una
risoluzione subitamente presa, disse alla vecchia:
— Sentite. Voi quando aveste da questo ragazzo i vostri dieci soldi al
giorno, nulla dovrebbe importarvi ch'egli se ne andasse attorno per le
strade ad imparare i vizi, e il padre di essi, l'ozio, oppure da
qualcheduno che gli desse un po' d'educazione. Non è vero?
— Certo. Ma se non vende fiammiferi o se non cerca l'elemosina, come
razzolar dieci soldi? La mi par cosa impossibile.
— No: è fatta. Io gli darò dieci soldi al giorno e voi mi condurrete a
casa ogni giorno, per lasciarmelo quanto tempo mi piacerà, il vostro
Luca.
La Gattona guardò bene entro gli occhi l'uomo che le faceva una simile
proposta.
— Scusi: biascicò ella: ma che cosa vuol fame lei di Gognino?
— Mostrargli a leggere e scrivere.
— Dassenno?
— Che cosa pensereste ch'io ne facessi?
— Ah! non saprei, ma di questi giorni se ne vedono tante!... Lei è
dunque un maestro?
— Un maestro che vuol pagarvi invece d'essere pagato.
— To' gli è vero! L'è una bella opera che vuol fare!
— Bella no; mi ci voglio provare.
— Ed io avrò dieci soldi al giorno?
— Senza fallo..... finchè non mi stanchi o non abbia altrimenti da
cessare, perchè non prendo già un impegno per un dato tempo. Finchè
dura, dura. Quando il vostro piccino non vi porterà più a casa i dieci
soldi, potrete rifarne quel che vi piacerà. Siamo intesi?
— Ah! dieci soldi sono tanto pochini. Gognino cresce ogni giorno più....
Fra poco sarebbe in grado di fruttarmi assai di vantaggio. Mettiamo
venti soldi.
— No. Sono povero ancor io. Questo lo posso fare, non di più. Se vi
accontentate, bene; altrimenti sia per non detto.
— Via, come vuole.....
— Comincieremo da domani.
— A suo senno.
— Sapete leggere voi?
— Signor sì..... Come le ho già detto non fui sempre la misera donna che
Lei vede in adesso. Quand'ero giovane.... Eh! Ho vissuto bene un poco
ancor io.... Ma poi delle disgrazie.... Un vero romanzo se glie l'avessi
da contare..... L'ingratitudine di certa gente.... Basta! Non gli accade
ora di far parola di codesto.... So leggere come un notaio.
Maurilio trasse di tasca una cartolina compagna a quella che aveva data
poc'anzi a Gian-Luigi.
— Prendete, disse porgendola alla vecchia, questo è il mio indirizzo.
Domattina alle nove vi ci aspetterò col vostro nipote.
E fatta una carezza al ragazzo si mosse per uscire. La Gattona, presa la
lucerna, gli tenne dietro a rischiarargli l'andito e la scala, e quando
lo sconosciuto fu per ispiccarsene, ella lo ritenne.
— Ah signore, gli disse, d'una cosa la voglio avvertire. Se mai per
caso..... poichè vedo che Lei è tanto generosa..... se le avvenisse di
voler fare qualche maggior carità a Gognino..... in più di quei dieci
soldi......; ebbene, la prego a non dar niente a lui. È malizioso come
il fistolo, sa, e sarebbe capace di tenersi i denari e sciuparli al
giuoco, non dicendomene neppur motto. Sarebbe meglio che li dèsse a me
direttamente.
— Va bene, va bene; rispose Maurilio, e partendo di buon passo lasciò lì
la vecchia, a piè della scala.
La Gattona, risalita alla sua soffitta, pose la lucerna in sul desco, e
curiosamente si fece a leggere le parole scritte sulla polizzina datale
dallo sconosciuto. Esse erano le seguenti: MAURILIO NULLA, _scrivano
pubblico, via porta num. 7, piano quarto_.
— Maurilio! Esclamò la vecchia sovraccolta. Oh! Che cosa mi ricorda
questo nome! Sono più di venti anni che non l'ho più udito; che non
trovai più nessuno che lo portasse....... E costui potrebbe egli avere
alcuna attinenza con quell'altro là?.....
Scosse le spalle, come si fa quando ci viene un'idea assurda pel capo.
— Eh via! Gli è impossibile.
Allora domandò conto a Gognino di quanti denari avesse raccattato
durante la giornata; e poichè vide che in luogo di dieci non le aveva
portato a casa che quattro soldi, si diede a batterlo secondo l'usato,
precisamente come se l'intervento di Maurilio non avesse avuto luogo.


CAPITOLO X.

Maurilio s'allontanava da quella casa col capo più basso e coll'animo
più triste di prima. Andava lentamente traverso la nebbia fattasi più
folta, come uomo a cui la volontà non dirige il cammino, ma si lascia
trasportare a caso dalle sue gambe. L'umido spruzzolìo di prima s'era
convertito in buona e bella neve che calava giù lenta, lenta, fra la
nebbia, a larghi fiocchi, e già vestiva d'un bianco strato il terreno su
cui ammortiva il suon de' passi ai rari cittadini che per quella
melanconica sera si affrettavano a rientrare nelle case loro.
Ad un tratto il nostro giovane si riscosse. Era uscito dal povero
quartiere della miseria e dell'abbiezione, e trovavasi in una strada
larga, fiancheggiata da superbe abitazioni del ceto signorile. Innanzi a
lui, un palazzo dei più suntuosi gettava nelle tenebre della notte dagli
alti suoi finestroni delle ondate di luce che faceva brillare al
passaggio i candidi fiocchi della neve. L'alto e imponente portone da
via, per cui s'entrava in un atrio elegante di severa architettura, era
spalancato, e nell'atrio medesimo stava una magnifica carrozza chiusa, a
cui attaccati due stupendi cavalli di prezzo che scalpitavano e
scuotevan la testa impazienti. Certo questa carrozza attendeva i padroni
di quel palazzo che stavan per uscire: e così pensò tosto Maurilio, il
quale nel cocchiere vestito di terraiuolo impellicciato, seduto con
altezzosa imponenza sull'alto sedile colle redini in una mano e la
frusta nell'altra, in una classica mossa che qualunque cocchiere inglese
gli avrebbe invidiato, riconobbe tosto la livrea della nobile famiglia a
cui quel palazzo apparteneva.
Maurilio s'era lasciato condurre passivamente dalle sue gambe, e queste
lo avevan portato là dove tanto spesso volava il suo pensiero.
In faccia a quel portone, il giovane sostò, si volse a quel bagliore che
pioveva dalle ampie finestre, guardandovi fiso con occhio e con
sembiante pieni di mille espressioni, profferse parole cui nessuno,
anche udendole, avrebbe pur potuto capire.
Parve esitare un istante, poi con evidente sforzo si staccò dal posto in
cui stava piantato e fece alcuni passi per allontanarsi; ma tosto si
arrestò di nuovo; una lotta si combatteva nel suo animo; tornò vivamente
indietro, e senza che alcun lo vedesse, guizzò sotto l'atrio e corse ad
appiattarsi dietro ad un gruppo di colonne. Là si appoggiò al freddo
marmo d'una di queste colonne e si premette con ambe le mani il cuore
che gli batteva così violentemente da minacciar di scoppiare.
Non attese lungamente. La grande invetrata che metteva al marmoreo
scalone venne aperta da un domestico in gran livrea a capo nudo; due
donne con fiori ne' capegli, avvolte in ricchi mantelli alla foggia
beduina di cascemir bianco con ricami in oro ed un uomo imbaccuccato nel
tabarro ed avvolto il collo sino alla faccia da una finissima fascia di
lana si diressero verso la carrozza, di cui corse ad aprire lo sportello
un altro domestico in soprabito lungo, a grossi bottoni d'argento
stemmati e col cappello coperto di tela incerata in mano.
Quelle due donne erano passate rapidamente, ma il nostro giovane le avea
viste, le avea saettate di suoi sguardi accesi come una fiamma,
ansimante il petto, battenti i polsi della testa, tremanti tutte le
fibre, le avea seguite collo sguardo intento.
O per dir meglio non aveva visto, ammirato, vagheggiato che una di esse:
— la più giovane. Era bella come un'apparizione nel sogno d'un poeta
d'Oriente. Alta della persona, dignitoso e graziosissimo il portamento,
mite e pur nobilmente superbo l'aspetto; un muover di collo che
ricordava l'avvenenza del cigno, una eleganza nativa, non ricercata, non
appresa, piena d'incanto; tutta la grazia aristocratica nel piglio,
senza l'offensività dell'orgoglio. A vederla passare soltanto, ogni
cuore si sentiva trascinato dietro lei con un omaggio d'ammirazione.
Chiunque avrebbe affermato senz'altro esser ella nata per andar prima in
tutto, per vedere tutto il mondo a que' suoi piccoli, ben arcati,
sottilissimi piedi. Un diadema di regina non avrebbe disdetto alla sua
fronte leggiadramente superba. I suoi capelli di color biondo un po'
fulvo, le facevano intorno al capo di sì fina struttura un'aureola
d'oro, come alla più bella vergine staccata da uno de' più bei quadri
del Luvini. Lo sguardo limpido, sereno, profondo balenava in occhi cui
meglio non avrebbe saputo disegnare il pennello di Murillo, del color
del mare. Il sorriso era grave in una ed infantile. Tutta la malìa della
gioventù accompagnata dalla più splendida bellezza, vi si trovava
insieme colla riflessività d'un'anima che sente, che ha già visto il
dolore, d'un cervello che pensa e d'un cuore che si commove. La sua
mano, da sola, chi non vedesse altro di lei, l'avrebbe fatta conoscere
per generata di purissimo sangue aristocratico. Era una mano esile,
lunghetta, a dita affusolate, ad unghie color di rosa elegantemente
convesse, bianche come l'alabastro ed appena se mostranti traverso la
pelle finissima l'azzurigno della rete venosa; una mano che uno scultore
avrebbe adorata.
L'altra donna era di età inoltrata e sul suo volto, che incominciava ad
esser troppo corso dalle rughe, non si leggeva che orgoglio, arroganza e
disprezzo d'altrui.
La giovane entrò prima nella carrozza, poi l'attempata, ultimo l'uomo.
Il domestico richiuse la portiera, si mise in testa il cappello, salì in
cassetta vicino al cocchiere, e la carrozza si mosse.
Già era uscita dal portone, già il domestico in livrea era risalito
negli appartamenti: già il portiere, venuto fuori a salutare con un
grande inchino il passaggio della carrozza, richiudeva il portone per
non lasciar aperto che l'usciolo a sportello, e Maurilio era ancora là,
appoggiato alla colonna, immobile, ma palpitante, gli occhi rapiti come
da una celeste visione.
Ad un tratto si scosse. Aveva bisogno di vederla ancora. Si slanciò fuor
del portone ratto come un baleno, passando presso il portiere
spaventato; vide allo svolto della via sparire i fanali della carrozza
che andava al piccol trotto de' suoi cavalli; corse come vola una saetta
in quella direzione; raggiunse il cocchio, s'aggrappò al predellino di
dietro, su cui stanno in piedi i servitori, vi si arrampicò, vi si
raggomitolò, vi stette sentendosi mancare il fiato, la lena e le forze.
Intanto pensava nel suo cervello cui veniva a martellare il sangue
concitato.
— Ella è là!..... Là presso a me..... Divisa da una sottile parete.
Appoggia forse a questo punto la sua bella persona... Se potessi vederla
nell'abbandono del suo atteggio!
La carrozza correva senza rumore sul tappeto già alto della neve caduta.
Quando la si arrestò Maurilio parve ridestarsi e guardò intorno dove si
trovasse. Era in piazza S. Carlo e la carrozza era venuta ad accodarsi
l'ultima di una schiera di cocchi che facevan la fila per entrare uno ad
uno nel portone d'un palazzo in mezzo a quel lato della piazza che
guarda l'occidente. Questo palazzo dalle sue finestre del primo piano
mandava torrenti di luce che correvano via lontano per la piazza a
illuminare i fiocchi cadenti della neve, a ripercotersi sul cimiero di
bronzo imbianchito ancor esso della statua equestre d'Emanuele
Filiberto, a riflettersi come un lampo sanguigno in mezzo a tutto
quell'albore sulla baionetta che brillava a capo del fucile stretto fra
le braccia dalla sentinella del monumento intirizzita.
Eravi gran ballo nelle sale della Società dell'_Accademia Filarmonica_;
uno di quei balli, come al giorno d'oggi non ne vediamo più, in cui il
fior di farina della borghesia, stacciato traverso il cribro de' più
permalosi pregiudizi, accoglieva la disdegnosa aristocrazia, la quale
era stimolata alla degnazione di arrendersi all'invito dall'esempio
della Corte, che onorava la festa di sua presenza.
Maurilio si ricordò in quel punto di aver udito parola di tal festa da
un suo amico, ricco, elegante e socio di quella congrega. Come fosse
amico d'un ricco, egli povero, senza nome e senza stato, lo sapremo in
appresso. Discese dalla predella su cui s'era aggomitolato, e si gettò
sotto il portico del palazzo coll'intenzione di introdursi fin sotto
l'atrio, fin nel vestibolo per aver la dolcezza di vedere ancora una
volta la incantatrice visione di poc'anzi apparirgli, val quanto dire
quella stupenda e superba bellezza di donna uscir di carrozza e
passargli dinanzi.
Ma l'impresa era più difficile di quanto ei si pensasse, e fu un momento
in cui per sua disperazione gli apparve impossibile. Sotto il portico,
ai due lati del portone, sul passaggio delle carrozze, che lentamente
sfilavano ad una ad una per lasciar giù nell'atrio le persone che
contenevano ed uscir poi da un altro portone di facciata, traversando il
cortile stato ricoperto con invetrate e ridotto a giardino; sotto il
portico, dico, s'erano formate due fitte siepi di curiosi che stavano
cogli occhi intenti a mirare nello scuriccio dell'interno de' cocchi le
ombre di color bianco o rosato delle acconciature femminili.
Il nostro giovane protagonista ben riuscì, non senza difficoltà, a
spingersi in prima riga di questa calca là dove facevano barriera a
contenerla indietro il cappello a becchi dei carabinieri, e la mazza dei
veterani, che si chiamavano _ordinanze del Comando di piazza_, i quali,
allora, servivano da guardie di polizia. Ma ciò non gli bastava: era
sotto il portone, era nell'atrio, era su per le scale ch'e' voleva
penetrare. Pensava che occorreva affrettarsi. Quantunque la fila delle
carrozze fosse assai lunga e procedesse lentamente, se Maurilio non si
sbrigava, poteva arrivare la volta di entrare a quel cocchio su cui
aveva rivolti tutti i suoi pensieri, prima ch'egli fosse là dove
desiderava allogarsi. Un nuovo ardimento entrò in lui. Si spinse
temerariamente innanzi e varcò la sacra soglia del portone conteso ai
profani. Ma colà si trovò innanzi la imponente corporatura d'un
gigantesco portiere con tanto di cappello a becchi gallonato, con tanto
di gallone sul soprabitone a spada, con tanto di budriere largo un palmo
traverso il petto, e con una gran mazza a pome di argento nella mano
vestita di guanto bianco di cotone.
Questo alto personaggio fiancheggiato da due _ordinanze_, guardò con
cipiglio disdegnoso ed impaziente l'audace dai panni logori colla neve
sulle spalle e sul cappello, che osava avventurarsi in quelle aure
olimpiche riserbate ai Dei e Semidei.
— Non si passa: disse il signor portiere con brusco accento, mettendosi
innanzi all'intruso.
Dietro le grosse spalle quadre del portinaio, balenarono agli occhi di
Maurilio le piastre di metallo colla croce in mezzo dei _sciacò_ delle
due _ordinanze_ pronte a mettere in esecuzione il bando formolato dalla
voce solenne dell'autorità della porta. E' si perdette un istante di
spirito; balbettò confuse parole e sentì un rossore accusatore salirgli
alla faccia.
— Andiamo, andiamo: riprese il portinaio, bisogna sgomberare. A momenti
arriva la Corte...
Un'idea per fortuna era venuta a Maurilio che si torturava il cervello
per trovarla. Si ricordò di quel suo amico che ho detto poco anzi, e
pensò invocarne la protezione del nome.
— Cerco dell'avvocato Benda....... È ben qui l'avv. Benda?
— Sicuro che c'è; rispose il gigante che faceva da cerbero; ma questo
non è il luogo nè l'ora di cercarlo.
Maurilio fece come il naufrago, che aggrappatosi a qualche cosa onde
spera salute, non vuole spiccarsene più; giunse le sue grosse manaccie
in atto di supplicazione ed insistette:
— Bisogna assolutamente ch'io gli parli.......... Si tratta di cosa
gravissima e che preme..... Mi contenterò d'aspettarlo sotto l'atrio o
su per le scale... Di grazia lo facciano chiamare... Darò il mio nome...
Vedranno che verrà tosto... Ripeto che è cosa importantissima.
L'accento, la figura, la mossa del giovane erano così turbati che il
portinaio credette realmente a qualche cosa di serio. Pensò inoltre alle
larghe mancie che soleva distribuire l'avvocato Benda, onde valeva la
pena di far cosa che potesse contentarlo. Il cerbero si fece più umano;
curvò le spalle ed abbassò d'un tono l'altezzosa impertinenza
dell'accento.
— Se è così... possiamo provare.... ma il difficile sta nel trovare
l'avvocato nella confusione di gente che c'è lassù...... Gli è quasi
come cercare un ago in un fastello di fieno..... Ma pur via......
Si rivolse dignitosamente ad una delle _ordinanze_.
— Fate il piacere, disse, accompagnate questo giovane lì nel vestibolo
in fondo alla scala e dite ad uno dei domestici il fatto suo.
L'_ordinanza_ fece un cenno affermativo col capo ed eseguito un
_dietro-front_, disse a Maurilio con tono di comando militare:
— Venite!
A Maurilio il cuore saltava in petto dalla gioia. Aveva sperato bensì
che lo avrebbero lasciato introdursi da solo, allora avrebb'egli ben
cercato dove appiattarsi da veder comodamente ciò che tanto desiderava:
ed invece doveva seguire i passi del soldato e proseguire nella menzogna
a cui aveva domandato soccorso: ma almeno egli era, per dirla in istil
militare, nella piazza, e ciò gli bastava.
Il veterano condusse il giovine fin sulla soglia del vestibolo dello
scalone, dove un servitore della Società in gran livrea stava appostato.
Già in quel vestibolo tutto era luce e profumi. Ricchi arazzi pendevano
alle pareti con ghirlande di fiori, un morbido tappeto copriva il marmo
del pavimento, ai due lati si schieravano enormi vasi ed eleganti, da
cui gettavano il soave effluvio de' loro fiori, cedri, aranci ed
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