La plebe, parte I - 17

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i pomelli sporgenti, le occhiaie infossate e al fondo le pupille accese
d'un luciore di febbre.
«— Da bere, da bere: seguitava a dire il misero colla manchevol voce,
ma con una specie d'irritazione nell'accento: da bere, un po' d'acqua
per amor di Dio!... E non ci sarà un cane che mi dia una goccia... e mi
lascieranno crepare senza pur darmi una stilla d'acqua!...
«Come avrei voluto potere saltar giù e andargliene a ministrare! Ma mi
sentivo inchiodato nel letto del pari e forse più ancora che quegli non
fosse; e ad un tratto mi assalì il pensiero che se ancor io avessi avuto
quel tormento della sete non avrei potuto levarmelo, e nessuno sarebbe
venuto neppure in mio soccorso. Bastò questo pensiero perchè tosto mi
paresse davvero già esserne assalito ancor io. Volli chiamare e mi mancò
la voce: mi parve che un'altra voce mi pronunziasse entro la testa: «—
qui ci lascieranno crepare senza darci neanche una stilla d'acqua.»
«Intanto guardavo sempre quell'uomo, ed egli guardava me. Quegli occhi
lucenti cupamente in mezzo a quel viso giallo di cadavere mi facevano
paura: e non potevo distogliere da essi i miei quasi affascinati.
«Egli si lamentava sempre. Ad un punto cessò di fissar me per volgere il
suo sguardo al tavolino verso il tazzone di terra in cui c'era la
pozione da bersi. L'intensità del desiderio che c'era in quello sguardo,
l'agonìa di arrivare a quella bibita, il tormento di non poterlo, erano
indescrivibili. Vidi agitarsi lievemente la coltre sopra il petto di
quell'infelice, e poi una mano scarna uscirne fuori a rilento,
protendersi verso quell'agognata tazza, allungarsi, allungarsi, mentre
quello sguardo brillava sempre più e più di desiderio. Già la mano era
per arrivarvi; il corpo s'era stentatamente voltato ancor esso ad
assecondare quel movimento; io seguiva con infinito interesse
quell'atto, parevami che a vedere quel dolorante afferrare la tazza e
potersi saziare la sete, ne avrei provato grandissimo sollievo ancor
io... Ma quando già era per toccare la sospirata meta, quella povera
mano di botto ricadde; un sospiro o meglio un gemito sfuggì da quel
petto affranto; il capo del giacente rimase più abbandonato sul
guanciale, gli occhi si chiusero ed un'immobilità di morte gli tenne
tutte le membra. Lo credetti estinto. Quella faccia cadaverica esprimeva
nella contrazione de' suoi lineamenti una rabbia profonda: la mano
giaceva sulla sponda del letto, pendente all'infuori; era una rozza mano
di un rozzo uomo della plebe; ma ora la pelle villosa e bruna si piegava
sulle ossa rugosamente, in modo che ogni falange, ogni tendine, ogni
vena ne spiccava al di sotto con brusco risalto. Pensai che quella mano
un tempo era di certo forte da sollevare ogni peso, ed ora non poteva
nemmanco prendere una tazza d'acqua; così era quel povero uomo ridotto
dalla malattia!
«Dopo un tempo che mi parve abbastanza lungo, il mio vicino risensò e si
rifece da capo a lamentarsi, ma più fiocamente, e a domandar da bere, ma
con appena intelligibili parole.
«E così durò lo spasimo di quell'infelice, senza che niuno venisse in
suo soccorso, finchè il momento non giunse della visita medica.
«Io, che non avevo mai visto ospedale, nè uditone parlare, quasi mi
spaventai quando vidi quella frotta d'uomini vestiti di nero,
accompagnati da una monaca, che s'avanzavano pell'androne, si fermavano
a tutti i letti, ora un po' più, ora un po' meno, ma non oltre i dieci
minuti mai, borbottavano alcune parole fra di loro e passavano.
«Era il medico capo con dietro a sè gli allievi del corso. Prima
d'arrivare al mio dovevano incontrare il letto di quel mio vicino di
destra, e li vidi, come altrove, fermarvisi. Il professore, che
camminava primo, s'inoltrò fino all'altezza della testa del giacente;
gli allievi si aggrupparono a' pie del letto, e senza riguardi, con
brusca strappata, tirarono via le cortine per poter veder bene tutti la
faccia del malato. Notai che alcuni fra essi chiaccheravano fra di loro,
parevano di tutt'altro occupati che dello spettacolo che avevano innanzi
agli occhi, e ridevano come se di nulla fosse. Uno di essi, che era il
più prestante della persona, il più elegante di abiti e tale per ogni
verso da richiamare specialmente l'attenzione di chicchessia, attrasse i
miei occhi, che, appena vistolo, non seppero staccarsene più. Ei mi
pareva tutto tutto il mio compagno d'infanzia Gian-Luigi.
«Intanto il dottore aveva preso il polso del malato e gli aveva
domandato come si sentisse.
«— Da bere! Aveva susurrato il miserello per tutta risposta.
«— Ah sì, avete sete: rispose il medico: una sete ardentissima non è
vero? È naturale, me la aspettavo.
«E rivoltosi alla monaca che l'accompagnava:
«— È stato tranquillo?
«— Tranquillissimo: rispose con tutta assevezione la suora.
«— Uhm! Fece il dottore crollando il capo, in modo che pareva dinotare
poca credenza in quella affermazione; poi, senz'altro preambolo, prese
le coltri che coprivano il malato e le trasse giù fino a mezzo il letto:
scoprì della camicia lo stomaco del giacente, vi pose su la mano
sinistra piatta e si diede a battere su questa colle dita della destra
fatte a gruppo; poi si curvò a mettere l'orecchio su quello stomaco e
stette ad ascoltare. Drizzatosi rivolse la parola ai giovani che lo
accompagnavano pronunziando barbari motti che io non capiva. Il petto
rimasto denudato di quell'infelice era macilento come quello d'uno
scheletro che fosse stato coperto da una pelosa epidermide; ancor esso
era di color cereo, e nello stentato respiro sibilante del malato si
alzava ed abbassava con una fatica che facevano pena a mirare. Quando il
dottore ebbe finito di parlare, alcuni dei giovani vennero a lor volta a
percuotere di quel modo sul petto del malato e porvi su il loro
orecchio. L'infermo guardava tutta quella gente e i loro atti con occhio
incerto, inquieto, ansioso, interrogatore. A me ispirava un senso di
disgusto, quasi direi di ripugnanza e di ribrezzo il vedere tutti questi
ignoti affollarsi indifferenti intorno al letto del soffrente,
esaminarlo, guardarlo, palparlo come un oggetto di curiosità peggio. Mi
dicevo che a momenti sarebbero stati del pari intorno a me e mi
avrebbero fatto quel medesimo; e ciò mi faceva una pena che non ti
saprei spiegare, tale che se avessi avuta la forza sarei saltato giù dal
letto e me ne sarei fuggito.
«Quando il dottor capo si mosse per partirsi, uno del seguito, che
teneva in una mano una specie di registro e nell'altra una penna, si
avanzò domandando se si aveva da scrivere qualche ordinazione pel
malato. Il medico crollò le spalle con un atto che significava
chiaramente: è tutto inutile. Io mi sentii ghiacciare nel vedere
quell'atto: pensati quell'infelice che stava appunto fissando il dottore
coll'ansia interrogativa di chi aspetta la sua sentenza! Una specie di
singhiozzo ruppe dal petto affannoso dell'infermo, e fra due sibili del
suo faticoso rifiato egli disse:
«— Per me dunque la è finita?
«— Peuh! Esclamò senz'altro il medico dondolando il capo ed avviandosi.
«Un nuovo gemito uscì dal petto affranto di quel misero; e mentre tutti
da lui si partivano egli ripeteva con quel po' di voce che gli restava:
«— Almeno... da bere..... da bere..... che muoio di sete.
«Ma nessuno — da me infuori — badava alle sue parole. La comitiva col
dottore a capo veniva al mio letto; io mi sentiva il cuore a palpitare,
quasi di paura.
«Avvenne intorno a me, precisamente come era avvenuto intorno al mio
vicino. Gli allievi si aggrupparono ai piedi; il dottore, la monaca ed
alcuni pochi vennero a lato.
«— Oh oh! Eccolo tornato in sè questo giovanetto: disse il dottore
appena mi ebbe visto; e voltosi alla monaca: gli è molto, domandò, che
si trova di nuovo in cognizione?
«— Credo di no: rispose la suora; perchè passando non è guari di qua
l'ho udito vaneggiare come il solito e dire le più strane cose del
mondo.
«— Bene! disse il medico: l'accesso è vinto, ma per precauzione ci
vuole un'altra dose di chinino. — Si ripeta la ricetta del solfato:
soggiunse parlando a colui che teneva il registro, il quale scrisse in
fretta in fretta due parole; poi, dirigendosi di nuovo alla monaca, il
dottore continuava: dieta assoluta, acqua semplice da bere, il farmaco a
cucchiai ogni due ore, da lasciarsi lì tosto, appena v'accorgiate che
ripigli un po' di febbre. — Andiamo.
«Io non aveva detto neppure una parola: quella malavoglia, quella
confusione per vedermi attorniato da tanta gente che mi guardavano non
era cessata; ma la mia attenzione era principalmente rivolta su quello
dei giovani che seguivano il dottore, il quale mi era sembrato essere
Gian-Luigi.
«E' s'era venuto a postare a pie' del mio letto, precisamente come aveva
fatto al letto del mio vicino, se non che a me accordava ancora meno
attenzione di quella che avesse data a quell'altro. Quando l'ebbi
davanti a quel modo, ogni dubbio in me scomparve: gli era proprio desso,
più bello e più superbo che mai, tutto letizia, prosperità e brio.
Parlava animatamente con un suo compagno, e pareva che l'argomento dei
loro discorsi fosse le mille miglia lontano da quell'infelice luogo di
miserie e di dolori ove si trovavano, poichè sorridevano spesso, e
talvolta rompevano anche in piene risate, cui frenavano però tosto, se
il dottor capo volgesse verso loro lo sguardo.
«Quando il medico, dopo quelle poche parole, si mosse per recarsi ad un
altro letto, Gian-Luigi s'avviò ancor egli senza nè anche volgere uno
sguardo alla mia volta. Non che non riconoscermi, io credo che non mi
ebbe nemmanco veduto.
«Io, facendomi forza, chiamai la monaca che per fortuna s'era indugiata
un poco affine di aggiustare le cortine del letto state scostate dagli
allievi.
«— Che cosa volete? Diss'ella venendomi allato e curvandosi su di me.
«— Quel povero uomo da un'ora domanda da bere; abbiate la carità di
dargliene.
«Il mio vicino pareva aver rinunciato alla sua inefficace richiesta;
taceva e guardava. Certo non potè intendere le parole che io pronunziai
con tanta voce appena da farmi udire dalla suora, ma le indovinò di
sicuro, e ne fu certo, quando vide la monaca accostarglisi e porgergli
finalmente alle labbra quel tanto agognato tazzone.
«Il misero bevve avidamente; poi, quando la monaca ebbe raggiunta la
schiera de' medici egli mi rivolse uno sguardo pieno di gratitudine e mi
disse la parola _grazie_ con un accento di tanto affetto, che io ne fui
tutto commosso ed anche adesso, ricordandolo, me ne sento intenerito.
«Pover'uomo! Quella doveva essere una delle ultime sue soddisfazioni.
«A me l'accesso non tornò più: ma che notte penosa e lunga fu quella che
succedette! Non potei chiuder occhio. Nel vasto e lungo camerone radi
lumicini, posti qua e là, spargevano una fioca e debole luce, per la
quale ricrescevano cupamente le ombre gettate dai letti. Ai miei occhi,
in causa della mia debolezza, quelle ombre arrampicantisi sulle pareti
come mostruosi ragni, stendentisi sul pavimento come giganteschi animali
sdraiati, pigliavano mille forme stranissime e paurose. Ora mi parevano
atteggiarsi a faccie orribili che mi facessero smorfie minacciose,
contorcersi in corpi convulsi o spasimanti per dolore o raccoglientisi
per un feroce assalto; ora mi parevano braccia immense terminate da mani
adunche di rapina che si tendessero verso me ad afferrarmi; e, come
rifiato di questo mostro indefinibile, inconcepibile, le respirazioni
affannose dei malati e il rantolo di questo, la tosse convulsa di
quello, i gemiti di tanti. Tutte queste voci di dolore facevano un
accordo penosissimo che mi turbava profondo nell'anima; alcune volte
però, per caso, capitava che tutti questi lamenti, questi suoni
tacessero un istante, ed allora si aveva un silenzio — un silenzio di
tomba — un silenzio che era più tremendo ancora, nel suo breve
passaggio, del rumorìo interrotto. Mi pareva che fosse sorvolato
l'angiolo della morte e colla sua ala potente avesse percosso ad un
tratto tutte quelle esistenze, mi pareva di essere io solo vivente in
mezzo ad una schiera di morti.
«Il mio vicino di destra era tra quelli che avevano più frequente il
lamento; si capiva che il male veniva rapidamente compiendo la sua opera
di distruzione, ed io ricordava l'atto del medico che annunziava
prossima la fine di quell'infelice e mi domandava se quelli non erano i
rantoli dell'agonia, se quei gemiti penosissimi, ma sempre più deboli,
non erano gli ultimi, se l'alba del mattino avrebbe ancora trovata
accesa la fioca oscillante fiammella di quella vita.
«Io non aveva mai visto a morir nessuno. Menico e Giovanna li avevo
trovati morti, ma non avevo assistito al tremendo momento della morte.
L'idea di questo istante mi riempiva di terrore. Al pensare che un uomo
lì presso stava per trar l'ultimo fiato, per diventare insensibile
cadavere, io sentiva un alto spavento possedermi tutto. La idea del poi
— di quel terribile ignoto che ci spalanca la tomba — il pensiero del
nulla — i quesiti in cui s'era già cotanto affannata fin quasi
dall'infanzia l'anima mia irrequieta, mi venivano ad assalire più vivaci
e pressanti che mai, e in quel momento, per la debolezza del mio
cervello, riuscivano ad una dolorosissima confusione, ad un più
tormentoso ancora avvicendarsi di dubbi, ad uno sforzo impotente e
penoso di padroneggiare e guidare i miei pensieri disordinati e strani.
«L'alba tanto desiderata e sì lenta ai miei voti, venne pur finalmente.
Una maggior quietudine era in tutti i malati; avevano rimesso
d'intensità i rantoli, i lamenti e le tossi; il mio vicino aveva meno
ansimante il respiro. Ma che ora triste era quella pur tuttavia! I lumi
accesi gettavano ancora debolmente intorno a loro un cerchio di raggi
giallastri, oscillanti; i primi chiarori che penetravano per le alte
finestre erano d'un grigio livido e mettevano sugli spigoli degli
oggetti certi riflessi di tinte fredde, stonate affatto cogli ultimi
sprazzi mandati dai lumi che venivan spegnendosi. Un'indicibile
melanconia risultava da quell'aspetto di cose, dalla dubbiosità di
quell'ora, che non era più notte e non era ancora giorno. Mi sentivo
venire a folate alle nari più acre che mai il tanfo di tutte quelle
esalazioni malsane, di tutti quei respiri viziati; parevami, in
paragone, più tollerabile ancora l'atmosfera della carcere in cui avevo
sofferto pur tanto. Pensavo con amaro repetio alle belle aurore della
campagna, ove ero vissuto sino allora, a quelle pure brezze mattutine, a
quel mio diletto gruppo d'ontani vicino al rigagnolo corrente. Quando
avrei potuto far ritorno ad essi? E che cosa avrei dovuto andarci a far
tuttavia, ora che Menico e Giovanna non eran più? Parevami che gli
avvenimenti succeduti mi precludessero affatto la strada del ritorno a
quel diletto paese, che la mano del destino, la quale me ne aveva
violentemente tratto via ad un punto, fosse là tesa innanzi a me ad
impedirmene il passo.
«Quei giorni che avevo vissuti non sarebbero tornati più mai; e quali
altri avrei potuto e dovuto vivere io, povero trovatello, solo sulla
terra? Me se m'avesse raggiunto la falce della morte, che male
sarebb'egli stato? Per me, no certo nessuno; e per gli altri? Meno
ancora, poichè la mia vita a persona al mondo non era utile, nè potevo
pur dire diletta. E tuttavia un'intima ripugnanza si levava in me al
pensier della morte, ed ogni fibra dell'esser mio anelava alla vita!
«Il mio vicino aveva cessato quasi del tutto il suo rammaricarsi.
Credevo che dormisse, ma, essendomi rivolto verso di lui, lo vidi cogli
occhi aperti, levati in su e pieni di lagrime. Sentii più viva la
profonda compassione ch'egli m'ispirava, e parvemi che alcuna mia parola
avrebbe fatto un po' di bene a quel misero. Il mio miglioramento era
tale che m'era tornato in corpo un po' di voce da farmi sentire dal
letto del vicino distante appena se di due passi.
«— La va meglio stamattina: gli dissi.
«Stette un istante senza rispondermi. Parve raccogliere tanto di fiato
da poter parlare, e frattanto ringoiare quelle lagrime che gli velavan
la vista; poi mi disse a sua volta con voce cavernosa e stentata:
«— Il meglio della morte..... Purchè potessi durar tanto che mia moglie
e i miei figli venissero!... Oggi per fortuna è giorno di visita... Ma
morire senza averli intorno... senza più vederli!... Oh esser povero! Oh
morire all'ospedale!.....
«Fu interrotto di subito da un singulto, e come se troppo si fosso
stancato nello sforzo di pronunziare tali parole, l'affanno lo riprese
più forte di prima. Chiuse gli occhi, ned io osai più, nè ebbi voglia
altrimenti di disturbarlo.
«Ma le disperate parole del morente mi suonavano nel capo come una fiera
minaccia, come la pronunzia d'una tremenda condanna:
«Oh esser povero!... Oh morire all'ospedale!...
«A seconda che il giorno cresceva, crescevano pure nel mio vicino
l'agitazione e il rantolar del respiro. I suoi occhi irrequieti non
facevano che guardar fiso verso quella parte per cui s'inoltrava chi
venisse dal di fuori; stanco li chiudeva di quando in quando, ma al
primo rumor d'alcuno che si movesse li apriva sollecito con immensa
ansietà di desiderio a mirar chi venisse, e poichè mai non erano quelli
che con tanto spasimo stava aspettando, mandava un più desolato sospiro
e tornava ad abbassar le palpebre con rassegnata disperazione.
«Quando la monaca di servizio gli si accostò per vedere s'egli alcuna
cosa desiderasse, l'infelice con quel po' di voce che glie ne rimaneva
onde appena nell'affanno del rantolo poteva formar le parole, domandolle
che ora fosse, e poichè la suora gli ebbe risposto che appena le otto,
egli non disse più verbo, non aprì gli occhi, ma quel sospiro desolato
gli uscì ancora più doloroso dal petto, e giù dalle guancie gli calarono
silenziosamente quelle lagrime che il giorno innanzi io gli aveva già
visto brillar nella pupilla. Il disgraziato aveva perduto ogni speranza
di vedere ancora i suoi.
«Poco stante venne la visita medica del mattino. Gli stessi individui,
lo stesso modo di procedere. Mancava però Gian-Luigi, pel quale quella
era forse ora troppo mattutina.
«Quando furono al letto del mio vicino di destra, il dottore non istette
nè a interrogare, nè a toccar polso nè altro. Il giacente aveva gli
occhi chiusi ed ansimava penosamente.
«— Siamo alla fine: disse il medico senza riguardo di sorta; e parlando
poscia alla monaca: chiamate pure il prete, soggiunse, che questo buon
uomo è già entrato in agonia.
«Il corpo del moribondo si scosse in un lieve sussulto, e gli occhi gli
si spalancarono vitrei, quasi opachi, ma pieni di spavento; guardò di
qua e di là esterrefatto, agitò le labbra, ma nessuna voce ne uscì, e
mentre i medici si allontanavano, un singhiozzo d'infinito dolore fisico
e morale prorompeva da quel petto affranto, già oppresso dall'affanno
della morte.
«La visita medica era finita in tutto il camerone, quando sopraggiunse
il prete fatto venir dalla monaca per confortare gli ultimi momenti del
moribondo. Io guardava con una curiosità mista d'ansia, di pena e di
terrore. Il prete s'accostò freddamente al letto del moribondo, come
uomo avvezzo a questa sorta di cose, nel quale perciò la sensibilità
rimane smussata. La faccia grossa e volgare diceva inoltre che in lui
quella sensibilità non doveva mai essere stata nè molta, nè viva; aveva
un libro sotto il braccio ed una stola in mano; camminava adagio
volgendo gli occhi di qua e di là, ed annasando lentamente una presa di
tabacco. Giunto presso il letto, guardò il giacente che teneva gli occhi
chiusi e rantolava in modo sempre più penoso, e domandò alla monaca:
«— È egli ancora in cognizione?
«— Mah! chi lo sa?
«Il prete si curvò sul letto del morente.
«— Ehi, brav'uomo, diss'egli con voce più alta, come per destare un che
dormisse, mi udite voi? capite voi quello che dico?
«L'infermo non fece segno alcuno che indicasse aver egli inteso.
«— Questo povero diavolo è più di là che di qua: disse il prete; ma ad
ogni buon conto qualche parola d'esortazione non può far male.
«E con voce trascinante, con quel tono convenzionale di bigotta che
prega, si diede a pronunziare le seguenti frasi all'orecchio del
giacente:
«— Pensate al vostro Salvatore che morì sulla croce per voi, pensate
all'agonia ch'egli soffrì su quella croce.
«Qui s'interruppe per dire colla sua voce naturale alla monaca:
«— A proposito, dove ci avete un crocifisso?
«La monaca prese un crocifisso di legno su tavolino dove lo aveva
posato, e lo porse al prete.
«— Eccolo qua.
«Il prete lo prese e lo pose sul petto del moribondo, poi ripigliò colla
voce dolcereccia, nasale che ho detto poc'anzi:
«— Gli è qui che vi assiste il vostro Salvatore; mettete nelle sue mani
l'anima vostra, e con profondo atto di contrizione domandategli perdono
di tutti i vostri peccati.... Voi state per comparirgli dinanzi....
«Il moribondo fece un sussulto e il suo rantolo cessò.
«— È passato: disse la monaca.
«— Non ancora: rispose il sacerdote; ma siamo proprio agli estremi.
«Prese colle due mani la stola, ne baciò con atto puramente meccanico —
atto di abitudine — la croce che si trova a metà di essa e passandosela
sopra la testa se la pose in ispalla; poi aprì il libro che aveva recato
seco e si mise a borbottare le preghiere pei moribondi.
«La monaca s'inginocchiò a piè del letto e veniva rispondendo _amen_ di
tanto in tanto e finalmente quelle stupende parole della liturgia: _et
lux perpetua luceat ei!_
«Quando ebbe finito, il prete chiuse il libro, si levò la stola, che
ripiegò intorno al volume e mise così avvolta sulla sponda del letto. Il
giacente era immobile affatto; gli occhi gli si erano aperti, ma le
pupille erano appannate, fisse, senza sguardo; la bocca erasi contratta
e le labbra aperte ed immote pendevano da un lato.
«— Datemi un cerino, suora Genoveffa: disse il prete.
«La monaca trasse di tasca un cerino aggomitolato e lo diede al prete,
il quale levatosi di tasca un fiammifero lo sfregò per terra e con esso
infuocatosi accese il cerino. La fiammella fu posta innanzi alle labbra
ed al naso del giacente, e non si ebbe la menoma oscillazione che
potesse indicare il più lieve alito di fiato.
«Era proprio spirato.
«Il prete spense il cerino e lo restituì alla monaca; questa abbassò le
palpebre sugli occhi del morto, e tutti due si apprestavano a partire,
quand'ecco precipitarsi nel camerone e correre verso il letto
dell'infelice estintosi allor allora, una donna che poteva dirsi il
ritratto della miseria, trascinandosi dietro quattro bambini di varia
grandezza, ma di cui il maggiore non passava certo i dieci anni.
«— Il mi' uomo! Gridò essa disperatamente.
«— È spirato adesso adesso: disse freddamente il prete.
«La donna si fermò su due piedi e mandò un'esclamazione così dolorosa
che me ne vennero le lagrime agli occhi ad udirla; poi si contorse le
braccia con parossismo quasi furibondo di dolore, e levando al soffitto
gli occhi convulsi, pronunciò fra i più penosi singhiozzi:
«— Dio! Dio mio!
«La monaca più pietosa le venne allato e mettendole dolcemente una mano
sul braccio:
«— Coraggio e calma, le disse.
«Ma la sventurata, rigettandola quasi con ira:
«— Calma! calma? Il mio pover'uomo, il mio pover'uomo, il mio unico
sostegno.... la morte me lo ha tolto.... Ah! Dio non è giusto.
«— Oh! oh! Esclamò con tono di rimprovero il prete: guardatevi bene dal
bestemmiare, buona donna. Bisogna curvare il capo rassegnati innanzi a
Quel di lassù, e quando ci manda una prova, benedirne la mano che ci
percuote. Dunque non c'è nulla da farci e bisogna aver pazienza.
«Così dicendo, il prete fece ad allontanare la povera donna dal letto
del morto; ma essa, rigettandolo con più forza ancora e con più furore
di quello che non avesse fatto alla monaca, si pose a gridare:
«— Mi lasci passare, voglio vederlo il mi' uomo.... voglio vederlo per
Dio!... Nessuno mi potrà impedire di abbracciarlo l'ultima volta.
«E con abbandono disperato si gettò sopra il cadavere ancora caldo di
suo marito.
«— Oh perchè non ti ho potuto tener meco, mio pover'uomo? Diceva essa
in mezzo ai più strazianti singhiozzi: perchè ti hanno voluto trasportar
qui lontano da tutti i tuoi, qui dove ti hanno ammazzato?... Sì ti hanno
ammazzato coi loro salassi, colle loro droghe.... noi povera gente sì
che glie ne importa a loro che crepiamo.... tanti di meno a mangiar
pane.... io t'avrei guarito, io che avevo da conservarti ai miei
figli.... Ed ora che ne sarà di questi tuoi miserelli di figliuoli?....
Chi ne darà loro da mangiare?.... O almeno saresti morto in mezzo a noi,
circondato da noi... e non qui, solo, senza uno de' tuoi allato...
«La sua voce suonava forte e straziante pel camerone: i bambini, che non
capivano molto, ma che vedevano la loro madre così disperatamente
desolata, si aggrappavano alle di lei vesti, la tiravano e strillavano
piangendo; era pei malati una troppo dolorosa commozione; gl'inservienti
e le monache accorsero in frotta al rumore. Presero in mezzo la donna e
i bambini, li ragionarono, li rampognarono, li confortarono, e tanto
fecero che la donna, diventata taciturna con grosse lagrime che le
colavano giù dalle guancie, si rassegnò a lasciarsi condur via. Ma
quando ebbe fatto appena pochi passi allontanandosi dal letto, tutta di
colpo si riscosse; si sciolse dalle monache ond'era attorniata, e
sclamando: — Ah! ch'io lo veda ancora una volta, tornò precipitarsi sul
morto corpo del marito il cui volto coprì di nuovo dei baci suoi. Quindi
se ne tolse da se stessa in apparenza più calma; si premette le mani
nere ed incallite sugli occhi e pronunziò con tale accento di dolore che
io non potrò obliare giammai, queste parole:
«— Non lo vedrò più.... più mai!... Oh almeno l'avessi visto a morire!
«E coi suoi figli aggruppati intorno si allontanò quindi mesta, curva,
barcollante, come spinta ed oppressa insieme dalla mano della sventura.
«Povera donna! Io era voltato col viso dalla parte del morto e avevo
innanzi gli occhi la faccia di quel cadavere. Non potevo staccarne lo
sguardo quantunque mi facesse una pena quasi paurosa a mirarlo. La morte
aveva passato su quei lineamenti contratti dal dolore pur dianzi, la sua
mano appianatrice: una gran calma sembrava spirare da quel volto
ingiallito, ma insieme una gran mestizia eziandio, una mestizia però
rassegnata e mite. Il misero aveva cessato di soffrire, ma quanta
angoscia non doveva essere stata la sua quando l'occhio smarrito,
sbarratosi negli ultimi fremiti dell'agonia, cercava invano intorno a sè
le care sembianze dei suoi! Ma qual dolore per l'infelice donna
superstite, che non aveva potuto consolarne gli estremi momenti, che non
aveva potuto far impartire l'ultima benedizione a' suoi figli così
presto orfani di padre!
«Oh! pensavo, anche la morte è dunque più trista pel povero?...
«Ed allora un'immensa amarezza m'invase, uno scoraggiamento, quasi uno
sgomento profondo dell'anima. Quel letto che al mio primo risensare mi
era parso così agiato, ora mi tornava irto di spine, l'atmosfera satura
di miasmi di quell'ospedale mi riusciva di botto gravissima a respirare,
quasi intollerabile, quel cadavere innanzi agli occhi mi faceva paura.
«Fu sollecita, è vero, la monaca che lo aveva assistito nell'agonia, a
tornare indietro, appena la donna fu uscita dal camerone, e tirò
tutt'intorno le cortine del letto in guisa che la vista del morto venne
tolta ad ogni sguardo; ma io sapeva che dietro quelle tende bianche e
bleu c'era un cadavere, e coll'occhio della mente lo vedevo pur sempre,
con quella sua bocca spalancata e storta, con quell'aspetto di mesta
rassegnazione e di abbandonata quiete.
«Più tardi vennero due uomini con una barella, questa deposero ai pie'
del letto, poscia entrarono sotto le tende e per parecchi minuti si
agitarono uno da una parte dal letto e l'altro dall'altra, imprimendo
alle cortine distese una nuova forma, nuovi sgonfi ad ogni loro mossa;
quando ebbero finito, trassero ai lati le cortine e il cadavere apparve
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