La plebe, parte I - 05

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larga, e guardava mastro Pelone con un'attonitaggine spaventata che fece
rompere la Maddalena in uno scoppio di risa.
Il bettoliere, rimessosi alquanto della emozione che lo aveva fatto
uscire in quella minaccia, disse al garzone colla sua voce più affranta
e più cavernosa di prima:
— Or va, sollecita, servi messer Barnaba, e bada di tenere la lingua a
segno.
Meo balbettò qualche parola inintelligibile, roteò gli occhi ancora
smarriti, fissando ora Pelone ora Maddalena, e salì la scala coi piatti
e col fiasco in mano, seguito dalle risate beffarde della giovane.
— Sei qui finalmente, lumacone d'un addormentato? Disse Barnaba vedendo
comparirsi dinanzi il povero Meo ancora tutto sconvolto. Eh! ci vuol
egli un secolo a portar questa poca roba?
Il garzone non rispose e mise innanzi all'avventore. Ma questi s'accorse
che nell'apparecchiargli in tavola, le mani di Meo tremavano, e
guardatolo in faccia, gli vide i segni del turbamento, da cui non s'era
ancora compiutamente riavuto.
— Che cos'hai. Meo, che la tua faccia par quella d'un mascherone da
fontana?
Meo crollò la testa, soffiò forte, e rispose in fretta a parole
mozzicate:
— Nulla, non ho nulla.
E fece per andarsene tosto: ma Barnaba lo trattenne.
— Sta qui meco un momento, che diavolo!... Tu hai dei dispiaceri, povero
tambellone, non è vero? Te lo leggo chiaro su quella luna piena che ti
serve da faccia.
Meo sospirò a suo modo, ma non disse verbo.
— Vuoi che te lo dica il tuo segreto? Tu sei innamorato morto.
Il babbuino si torse della persona con mossa di vergognoso, divenne
rosso in volto e fece nello stesso tempo il più scemo sorriso.
— Quella birbona di Maddalena, eh?
— Ah sì! Quella birbona! Non potè a meno di ripetere Meo con un grosso
sospiro.
— La è una civettuola che si lascia amoreggiare dal terzo e dal quarto.
— Ah si! Tornò ad esclamare Meo con un altro sospiro.
— Ed inoltre fra tutti i suoi galanti ce ne avrà qualcheduno di
preferito.
Altro sospirone ed altra esclamazione affermativa di Meo.
— E questo preferito non sei tu?
— Non son io: ripetè dolentemente il garzone chinando la testa, con un
sospiro più desolato degli altri.
— Ma sai tu almeno questo fortunato mortale chi sia?
Il giovane alzò vivamente la testa, ed un lampo balenò nei suoi occhi da
stupido.
— Oh! se lo so: diss'egli serrando i pugni.
Barnaba si sporse di più verso il garzone e soggiunse sotto voce:
— Si dice che sia un cotale che viene qui soltanto di soppiatto: un bel
giovane che fa il signore....
Meo digrignava i denti e seguitava a far girare le pallottole di vetro
dei suoi occhi, come fanno quelle certe figure dipinte su alcuni dei
pendoli a contrappesi.
Il poliziotto s'accostò ancora maggiormente al giovane, e continuò con
voce più sommessa ancora ma con accento autorevolmente affermativo,
fissando bene in volto l'imbecille:
— E questo tale è conosciuto qui col nomignolo di _medichino_.
A questa parola il povero Meo tutto si riscosse e si trasse indietro
vivamente spaventato, come alla vista improvvisa d'una voragine che gli
si aprisse sotto i piedi.
— Non so nulla: esclamò egli; non ho detto nulla; non mi fate dir nulla.
Barnaba lo prese ad un braccio e lo tirò presso di sè.
— Ah, ah! Disse. Ho posto il dito sulla piaga io. Vien qui, tambellone;
e non ti pentirai d'aver parlato meco; ne avrai anzi sotto ogni riguardo
vantaggio. Quel tal _medichino_, adunque...
Ma in quella l'uscio a vetri s'aprì, e comparvero, prima il naso enorme,
poi la faccia cadaverica di mastro Pelone.
— Eh! marmotta: disse questi parlando a Meo. Si ha bisogno di te, e tu
pianti le radici dappertutto dove ti fermi.
Barnaba lasciò andare tostamente il braccio di Meo, il quale s'affrettò
a partire. Il poliziotto mirava con una certa intentività acuta e
maliziosa il bettoliere ed il garzone.
— Comandate qualche cosa? Chiese Pelone a Barnaba, avanzandosi verso il
suo desco.
— No, non mi occorre più nulla: rispose Barnaba. Va pure alle tue
faccende anche tu, che io mangerò tranquillamente questa roba
senz'altro.
L'oste che pareva desiderar mediocremente soltanto di rimanere un'altra
volta solo coll'agente della polizia, uscì sulle peste di Meo, e Barnaba
rimase solo.
Allora questi si alzò, e con passo leggerissimo corse all'uscio a vetri
a chiarirsi se di là ci fosse chi potesse vedere entro la stanza: tirò
bene le tendoline ai cristalli, e poi si diede ad esaminare minutamente
le pareti della camera, intorno alle quali correva ad altezza d'uomo una
impiallacciatura di legno volgare di pioppo mal verniciato.
Guardò, toccò, battè riguardosamente qua e colà colla nocca delle dita,
e ad un punto si fermò più lungamente che altrove. Gli parve poi udire
l'appressarsi di qualcheduno, e più lesto ed agile che un gatto, fu al
suo posto dove riprese a mangiare così tranquillo come se non si fosse
mai mosso.
— Va bene: diceva egli intanto fra sè. I miei sospetti s'afforzano e
spero diventeranno certezze. Andrò a far strabiliare il commissario... E
ad ogni modo quell'imbecille di Meo sarà uno stromento che saputo
maneggiare finirà per aprirci il segreto di ogni cosa.


CAPITOLO VIII.

Maurilio, uscito dalla stanza a vetri dopo il colloquio con Gian-Luigi,
venne sollecito al desco a cui aveva lasciato il ragazzo trovato per la
strada. Questi, dopo aver ben mangiato e ben bevuto, aveva appoggiate le
sue piccole braccia sulla tavola, messovi su la sua piccola testa, e
s'era saporitamente addormentato, a dispetto di tutto il baccano che
veniva facendosi intorno a lui entro al denso aere di quella stanza,
baccano che non era punto sminuito, ma piuttosto era venuto
aumentandosi.
Maurilio stette un istante a contemplare quel ragazzo. Ei dormiva così
tranquillamente, con tale una sembianza di benessere, che il giovane
ebbe un momento d'esitazione prima di svegliarlo per condurlo via. Ma
poi si decise a riscuoterlo, e già tendeva una mano per mettergliela
sulla spalla, quando una nuova scena sopravvenne che ne lo fece sostare,
tutta a sè chiamando la di lui attenzione.
Andrea e Marcaccio erano ancora a quel medesimo posto, in quella
medesima attitudine, tornati ai medesimi discorsi, se non che l'ebrietà
in ambidue era maggiore.
Marcaccio faceva allusione a quel furto vistoso di cui udimmo un cenno
sulle labbra di Barnaba, commesso a danno del signor Bancone, uno dei
principali banchieri della città; e con argomento che un maestro di
logica avrebbe chiamato _ad hominem_, diceva al suo compagno che se fra
quei capi di vaglia i quali avevano _fatto il colpo_ si fossero per
fortuna trovati ancor essi, avrebbero ora le tasche piene di denaro, e
potrebbero bere tutta la canova di mastro Pelone; alle quali parole
Andrea, che il lume della ragione omai ce l'aveva perduto tutto,
rispondeva; sempre più balbuziente, con dei _sicuro_ frammisti a voci
inarticolate ed accompagnati da pugni sulla tavola.
Quegli altri dalle triste fisionomie, usciti fuor della camera vicina
con Gian-Luigi, si erano sparsi qua e colà per la bettolaccia, alcuni
rimanendo a gruppi fra di loro, altri ad uno, a due andandosi a
frammischiare alle brigatelle che già erano formate intorno ai deschi, e
susurrando a bassa voce nell'orecchio di qualcuno, con certe arie
misteriose che ti davan sembianza di gente che comunicasse qualche
parola d'ordine o qualche segreta istruzione.
In quella una donna miserissimamente vestita aprì l'uscio d'ingresso e
stette sulla soglia peritandosi d'entrare, quasi timorosa, lanciando
tutto intorno nell'aer crasso della bettola uno sguardo inquietamente
ricercatore.
Alcuni, cui dava fastidio l'aria fresca che s'introduceva per la porta
semiaperta, volsero a quella parte il capo e gridarono di mala grazia:
— Ehi là! Chiudete quell'uscio, che vi colga un accidente! Volete darci
una scarmana che ci mandi a far terra per le pignatte?
Uno di loro riconobbe la donna chi fosse.
— Ah ah! siete voi, Paolina?.... La solita storia eh?..... Venite a
cercare vostro marito, ci scommetto..... Entrate, Paolina, che diavolo!
Entrate e chiudete quel battente in vostra buon'ora... Vostro marito è
laggiù.
Paolina entrò del tutto e lasciò richiudersi dietro sè la porta. Era una
donna di età ancora giovane, ma dai patimenti affatto stremata. Il viso
color della cera, le labbra con livido pallore, livide le occhiaie
infossate, gli occhi ardenti dalla febbre. Aveva intorno alle membra
macilente una misera ciopperella di panno di cotone in più luoghi e con
istoffe d'altri colori rappezzata; copriva il capo con un fazzoletto
sbiadito, logoro, sfilacciato, ora tutto inumidito dal nevischio che il
tempo freddoloso pareva stacciare traverso la nebbia nelle strade, e di
sotto a questo fazzoletto le uscivano scarmigliate alcune ciocche di
capelli nerissimi, fra cui cominciavano immaturamente ad essere
frequenti i fili d'argento. Il dorso e il petto avea ricoperti da un
pezzo qualunque di stoffa che le serviva da scialle.
Non la miseria soltanto, ma la malattia ed il dolore erano stampati sul
viso di quella povera creatura che pareva reggersi e camminare con
istento.
Ella ringraziò colui che le aveva parlato ed aguzzò gli occhi
continuando a cercare per entro la densa atmosfera di quello stanzone.
— Dov'è egli, Andrea?
— Laggiù, vi dico: rispose ancora quel tale: in fondo, a sinistra.....
To', guardatelo là con Marcaccio.
Paolina fece un atto come di sdegno, il quale venisse a sopraggiungersi
all'abbattimento ed al dolore che già la possedevano; e i suoi occhi
vivamente balenarono fissandosi sulla testa di Marcaccio, la quale stava
curva verso quella di Andrea, parlando a costui come sappiamo che
faceva.
La donna, a quella vista, parve acquistare vigore e smettere affatto la
timidezza e la peritanza; camminò risolutamente verso il desco a cui
erano seduti i due uomini che abbiamo nominati, ed accostandosi al
marito, gli pose, senza pur dir una parola, la mano sopra la spalla.
Andrea si riscosse in sussulto e levò il capo che gli cadeva abbandonato
sul petto, mostrando la sua faccia imbestialita dall'ebbrezza.
Al vedere un'ombra comparire e stare presso di loro, anche Marcaccio
alzò gli occhi verso di essa, e visto chi fosse, corrugò minacciosamente
la fronte.
— Ah Paolina! Diss'egli con tono burbero ed impertinente. Ne siamo forse
di nuovo alle solite. Che cosa venite qui a fare? A romper le tasche a
vostro marito come sempre?
La donna fece guizzare verso Marcaccio un rapido ma ardentissimo
sguardo, in cui c'era tutto il rancore e tutto l'abborrimento che può
avere un'anima onesta verso il mal genio della sua famiglia e l'autore
di tutti i suoi mali; ma non rispose pure una sillaba.
— Andrea: diss'ella al marito con voce soffocata, affannosa, ma pur
tuttavia dolcissima, e con accento di amorevole rampogna: Andrea, vieni
a casa.
L'ubbriaco guardava la moglie coll'occhio stupidamente rimbambolito.
— A casa? Ripetè egli: sì a casa... Adesso ci vado appena che abbia
finito di bere..... Ma prima bisogna finire di bere... Ehi! oste del
contagio, porta qui una di barbèra.
— Andrea, bisogna venirci subito a casa: disse la moglie con una certa
autorità che a tutta prima fece impressione sull'ubbriaco.
Egli accennò volersi alzare, come per obbedire a quel cenno: ma il suo
corpo non era in caso di far ciò con tanta agevolezza, e Marcaccio
dandogli uno spintone, mentr'e' stava a mezza strada, lo fece ricadere
seduto com'era prima.
— Sei tu matto? Disse beffardamente Marcaccio. Da quando in qua le donne
hanno da comandare agli uomini come noi? che vuoi tu lasciarti metter le
dande e menar a lascia?
Andrea fissò il suo sguardo avvinazzato in quello del compagno, e ripetè
con una grossa bestemmia:
— Menar a lascia?... No giuraddio!
Alla donna un po' di sangue salito al viso arrossò un istante i pomelli
delle ceree guancie; ma non degnò Marcaccio neppure d'uno sguardo.
— Sentite, Paolina, le diceva intanto quest'esso; se volete, sedete lì
un momento, e vi daremo una volta da bere...
Paolina non potendo più frenarsi, gli si volse incollerita e colle
labbra tremanti ed accento pieno di sprezzo lo interruppe:
— Con voi non parlo.
La figura di Marcaccio divenne terribile per feroce e scellerata
espressione: ma poi tosto egli diede in una grassa risata.
— Oh oh! sentite che tono, la signora marchesa! Con noi non si degna!...
Allora date retta ad un mio consiglio, Paolina, e sarà il vostro meglio.
Alzate i tacchi, e non seccateci più la gloria.
Paolina tornò rivolgersi al marito, senza dare a Marcaccio altra
risposta.
— Vieni, diss'ella nuovamente con supplichevole accento. È tardi. Sai
che gli è fin dal primo imbrunire che ti attendiamo... Sono i tuoi
figliuoli che ti attendono... Tu dovevi venirci a portare i denari della
cena... E non sei venuto; e mentre tu stavi qui a sbevazzare, mentre ci
sei, i tuoi figliuoli hanno fame...
Andrea si passò la mano sulla fronte che incominciava a diventar calva,
e stette così un poco, come per raccogliere le sue sparse e confuse
idee.
— I miei figliuoli hanno fame: ripetè egli poi con accento doloroso,
come se quelle tremende parole avessero avuto potenza di farlo rientrare
in sè.
Marcaccio si mise a canterellare sull'aria d'una sconcia canzone de'
trivii.
— La la le ralà! Ci siamo colla solita storia... Hanno fame? Vadano a
letto. Chi dorme mangia, dice il proverbio... E ci lascino tranquilli.
Queste ciniche parole, però, non parvero andare compiutamente a' versi
ad Andrea, per quanto ebbro egli fosse.
— I miei figli! Balbettò esso. I miei poveri figli!
— Sì, i tuoi figli: riprese Marcaccio. Ecco lì il bel gusto di caricarsi
d'una famiglia. Si ha una frotta di marmocchi che vi strillano alle
orecchie e una donna che vi tien dietro e vi sta addosso come una
mignatta..... Che cosa hai tu da fare pei tuoi figli? Hai tu denaro in
tasca da recar loro?
Andrea scosse dolorosamente la testa.
— Non ne hai: continuava Marcaccio. Ti ho trovato che ti aggiravi come
una mosca senza capo, per la città, disperato e senza saper che cosa
fare di te, pronto a dar la pelle per un quattrino in aria..... Non
avevi trovato lavoro da nessuna parte, non avevi la croce d'un maledetto
centesimo, e la pelle del ventre ti toccava l'osso della schiena. Che
cosa ti ho detto io eh? Andrea sono un amico o non sono un amico, corpo
di cento boja!..... Vieni qui all'osteria di Pelone che una frittata
alle cipolle ed un fiasco di vino, ce ne ho sempre da offrirteli a tua
disposizione. Si chiama parlar bene codesto o no, per le carezze di
mastro Impicca? Sei venuto, abbiamo fatto ballare de' bei boccali; puoi
tu lamentarti di qualche cosa? Saresti stato più allegro andando a casa
ad udire strillare i bambini e borbottare la moglie? Bella musica! Le
rampogne d'una donna con accompagnamento di guaìti fanciulleschi. Sì,
sì, va ora con lei. Gli è quel bell'accoglimento che ti prepara a casa.
Mi par già di sentirla. «Bel modo di regolarti! E che hai tu fatto qui?
E che hai tu fatto là?» Il fastidio dei rimproveri e l'umiliazione di
dover render conto dei fatti tuoi alla moglie.
Andrea fece un atto vivace di ripugnanza.
— No: esclamò egli, non voglio rimproveri, non li vo' tollerare
giurabacco!........ Un uomo non lo deve!
— Bene. Disse la donna frenando con tutte le forze che le restavano la
collera onde sentiva l'anima commossa verso Marcaccio. Sta certo. Non te
ne farò neppur uno di rimproveri, ma vieni a casa.
— Sì, proruppe beffardamente Marcaccio, vacci, bamboccio, e vedrai che
valore hanno le promesse delle donne.
Paolina non ci resse più.
— Tacete, Marcaccio: gridò volgendoglisi sdegnosamente. Non vi basta
ancora tutto il male che ci avete già fatto? Voi siete il diavolo
tentatore del mio pover'uomo.
— E voi non sapete quello che vi dite. Se questo buon uomo passa ancora
qualche momento d'allegria, lo deve a me; e se ascoltasse i miei
suggerimenti vivrebbe un poco meglio di quanto ora gli tocca.
— I vostri suggerimenti? Santa Vergine Maria! So di che genere sono; e
se mai Andrea li seguisse tutti e davvero avrebbe cessato di essere un
onest'uomo.
— Ohei! Che modo di parlare è codesto? Gridò Marcaccio battendo un forte
pugno sulla tavola. Sapete voi che queste parole non le soffrirei da
nessun uomo al mondo, fosse il più forte di tutti? E pensate voi voglia
lasciarmele sputare in faccia da una miseruzza di donnicciuola come voi?
Il suo aspetto di scellerato era tale veramente da incuter timore, ma la
donna è un essere che quando è posseduto da una giusta indignazione ha
un coraggio cui null'altro uguaglia.
— Credete voi d'impormene, Marcaccio? Riprese Paolina. I brutti musi non
mi fanno paura. E poichè vi trovo e mi ci avete incitata, vi dirò una
buona volta il fatto vostro. Siete voi che avete recato il disordine e
la miseria nella nostra famiglia. Siete voi che avete tolto a me ed a'
miei figli l'animo di Andrea. Sia maledetto il momento in cui avete
posto il piede in casa nostra, e siate maledetto voi stesso!.... Ma per
l'anima mia, vi dico che nella mia povera soffitta, là dove sono i miei
bambini, non vi lascierò entrar più o che mi caschi piuttosto la testa.
Marcaccio mandò una violenta imprecazione, poi afferrato il braccio di
Andrea lo scosse rozzamente.
— Odi tu le belle cose che dice tua moglie? Va là che sai fartene
proprio rispettare! Gli è lei che manda via di casa chi le pare e piace;
e se tu vuoi avere un amico hai da domandarle licenza, e devi fare ciò
ch'ella vuole, e levarti i calzoni e darglieli addirittura a lei.
L'ubbriaco pareva dagli occhi infiammati del compagno attingere la
collera ancor egli.
— Levarmi i calzoni, diceva lo sciagurato non più conscio menomamente di
sè: darglieli a lei!... No giuraddio!
— Gli è che sei un bamboccio, gli gridava Marcaccio sotto il muso, che
ti sei lasciato mettere i piedi sul collo e ti lasci menare pel naso.
— No, no, mille volte no, sacramento! Urlava l'ubbriaco.
— Non dar retta a questo tristo: supplicava Paolina con tutta
amorevolezza. Vieni a casa meco, te ne prego.
— Non seccarmi la gloria! Faccio quel che mi pare e piace.
— Bravo! Esclamò Marcaccio.
— Non voglio andare a casa, e non ci vado... e non ci vo!
E come per paura che lo venissero a strappar di là, si attaccò con tutte
due le mani al desco.
— Bravissimo! Tornò ad esclamare Marcaccio. E dille che i tuoi amici sei
in caso da sapertegli scegliere da te stesso e che in casa tua sei
padrone tu.
— Sì, sono padrone io...
— E che le donne non hanno da alzare il becco.......
— Non hanno da alzare il becco... Diceva Andrea come un eco.
— Altrimenti.....
E il tristo arnese faceva un cenno troppo chiaro di minaccia.
— Altrimenti... Ripeteva ancor esso l'ubbriaco, dominato per l'affatto
dalla volontà del compagno.
— Che? Prorompeva la donna vieppiù indignata. Minacci tua moglie tu? Sei
tu ancora il mio Andrea? Oh che cosa mai hanno fatto di te!...........
Andrea, ti scongiuro, vieni a casa.... Vieni a vedere i tuoi figli.....
E voleva cingerlo colle braccia; ma egli rigettandola:
— Lasciami ti dico; vacci tu a casa e non seccarmi dell'altro.
— No, non ti lascio: insisteva essa tornando a volerlo abbracciare;
voglio che tu venga meco.....
— Ah! Quanto sei babbeo a lasciarti _piantar di queste grane_: diceva
Marcaccio. Se foss'io, a quest'ora l'avrei già ridotta alla ragione.
— Va via: urlò l'ubbriaco serrando i pugni.
— Non vado: rispose animosamente Paolina. Sono venuta a prenderti per
condurti presso i tuoi figli; non esco se tu non vieni meco.
E siccome ella era sul punto di gettargli le braccia intorno al collo,
il disgraziato la respingeva allungando innanzi a sè il braccio col
pugno serrato, il quale colpiva violentemente a mezzo il petto la povera
donna.
Paolina gettava un grido e cadeva alla rovescia mentre una schiuma
sanguigna le veniva alle labbra.
— Bene! Ben fatto! Così la si mette a posto: diceva quello scellerato di
Marcaccio, mentre Maurilio in un salto era presso la donna e sollevatala
la adagiava sopra una panca vicina su cui quelli che v'eran seduti
s'affrettavano a farle posto.
Visto cader così sua moglie, un profondo e subito rimutamento si fece in
Andrea. Parve per un istante da lui dileguata ogni ebbrezza. Sorse di
scatto e fu presso alla misera donna, turbato, commosso, pentito.
— Paolina! Diss'egli con accento pieno d'affetto, di rincrescimento,
quasi di pianto, Paolina!
E parve volesse dire mille cose, ma che, l'intelligenza non
soccorrendogli, non sapesse in altro modo esprimerle che ripetendo il
nome di lei:
— Paolina! Paolina!
Maurilio intanto interrogava con molto interesse la donna.
— Vi sentite male? Se prendeste qualche sorso di brodo caldo? O meglio
se veniste alla più vicina farmacia a farvi dare un cordiale?
Paolina si asciugava colle mani medesime, in mancanza di pezzuola, la
schiuma sanguigna che le era venuta alle labbra, si sforzava ad
abbozzare un sorriso, e rispondeva colla voce affannosa:
— Non è nulla.... Grazie.... Non è nulla.... Da un pezzo di tempo sono
così debole, che il dito d'un ragazzo mi getterebbe in terra..... Soffro
sempre tanto qui....
E si premeva il petto con tutte due le mani.
— Paolina! Diceva ancora Andrea venutole presso, volendo prenderle la
destra.
— Lasciatela stare: proruppe vivacemente Maurilio indignato. Non avete
vergogna? Trattar così una donna, ed una donna ammalata!
Andrea curvò il capo tutto mortificato. Ma Paolina, dando al marito
quella mano che egli cercava, disse benignamente:
— Oh il mio Andrea è buono. Non è lui che ne abbia colpa. È il vino che
ha in corpo ed i consigli di certa gente... Va, te, ti perdono,
Andrea... So che mi vuoi ancora bene.
E l'uomo commosso:
— Sì che te ne voglio di bene.... tutto il mio bene....
Ed esaltandosi, come in ogni cosa agli ebbri suole avvenire, si cacciò
le mani negli arruffati capelli e stracciandoseli a ciocche, piangendo
ed esclamando soggiunse:
— Ma sono uno scellerato, un miserabile che merito le mazzate... sì, sì
le merito... Mia moglie! I miei figli! Uh! uh! uh!... Sono io che li ho
messi sulla paglia... Ah dovrei andarmi ad affogare, che sarebbe meglio
per tutti.
Paolina, già un po' riavutasi, gettògli le braccia al collo con
ispavento e con infinito amore.
— No, non dirle queste brutte cose. Andrea, ti prego..... Calmati, via,
non piangere... Io ti perdono........ I tuoi figli ti perdonano......
Purchè tu lo voglia, la nostra sorte può cambiare e ridiventar quella di
prima. Tu sarai di nuovo un buon operaio com'eri un tempo e guadagnerai
come allora, io guarirò; e torneremo a vivere quei giorni felici che
abbiamo già vissuto.
— Sono uno scellerato! Ripeteva colla sua ostinazione da ebbro il povero
Andrea.
— Sei sempre il mio uomo, sei sempre il padre de' miei figli. Vieni
presso di loro... E' t'aspettano. E' piangono per non vederti.
— Piangono!... Piango anch'io che sono un miserabile...
Marcaccio non s'era mosso di posto, e guardava ed ascoltava tutto
codesto con un sorriso di scherno e crollando le spalle.
— E quello è un uomo? Diceva egli così da poter esser udito da Andrea.
Che pan bagnato!
— Io! pan bagnato? Esclamava l'ubbriaco cambiando espressione, e
volgendosi a Marcaccio. Pan bagnato un corno!...
— Non dargli retta! Supplicava Paolina, tirando Andrea per i panni
affine di volgerlo dalla sua parte.
Maurilio le venne in soccorso; si mise innanzi ad Andrea, fra lui e
Marcaccio, e ponendo in testa allo ubbriaco il berretto che gli era
caduto in terra e il giovane aveva raccolto, disse alla donna:
— Avviatevi, e traetelo con voi, senza lasciarlo più parlare con
quest'altro.
Poi, dirigendosi ad Andrea, con quel tono autorevole che egli sapeva
assumere e che abbiamo visto produrre effetto persino su Gian-Luigi
avvezzo a comandare, soggiunse:
— Andate a casa vostra, e ringraziate il cielo che vi ha dato una tal
donna.
L'ubbriaco balbettò, parve un istante voler ribellarsi all'autorità con
cui quello sconosciuto si arrogava di parlargli, ma incontrato lo
sguardo potente di lui, dovette chinare il suo a terra. La moglie lo
tirò seco facendogli carezze e dicendogli dolci parole; ed Andrea finì
per cedere ed uscire di là borbottando ma con riluttanza leggiera e
facilmente superabile.
Marcaccio guardava di traverso il giovane che si era intromesso in aiuto
di Paolina.
— Tant'è: diceva egli fra sè; questo cotale mi va a sangue come un
bicchiere di vin cercone. Poichè il _medichino_ lo conosce non sarà una
spia.... Ma gli è qualche cosa da non dirsela coi _nostri noi_.... Per
questa volta, in grazia al _medichino_, la passi liscia; ma se ancora
gli avverrà di trovarmisi fra le gambe, il suo muso s'accorgerà com'è
fatto il pugno di Marcaccio...... Quanto ad Andrea, e' non mi scappa
più. Può tardare di qualche giorno, ma ci cascherà. Abbiamo bisogno di
lui, e sarà nostro.


CAPITOLO IX.

Maurilio intanto aveva svegliato il bambino.
— Su, piccino, andiamo a casa tua adesso.
Il ragazzo s'era fregato gli occhi, s'era stirato le piccole membra ed
aveva risposto sbadigliando:
— Andiamo pure.
Venendo fuori dell'osteria, il piccino indicò la direzione del cammino
da farsi verso la parte più sporca e più brutta di quel bruttissimo e
sporchissimo quartiere.
Giunsero, dopo un po' di strada, ad una porta ad arco, ma bassa e
schiacciata, sotto la quale un lampioncino ad olio, di cui poteva dirsi
col poeta, che pareva spento, tramandava attraverso ai vetri affumicati,
tanto di luce tremolante e rossigna da poter scorgere che in quei muri,
su quello spazzo l'umidità e le sozzure ci stavano trionfalmente in
permanenza. Passarono un cortiluccio che di poco si discostava da una
fogna; giunsero ad una scala stretta, non illuminata, a corte branche, a
scalini alti.
— Se tu non mi dài mano: disse Maurilio al suo piccolo compagno, io non
verrò a capo di andar su per queste tenebre senza rompermi il naso.
Il bambino pose la sua manuccia destra in quella sinistra del giovane, e
questi scorrendo ancora coll'altra mano che gli restava libera lungo la
parete trasudante un umor freddo e viscoso, scalpitando ad ogni posar di
piede sempre nuove immondezze, pervennero ambedue alla fine della scala,
sotto alla travata del tetto, in un corridoio basso, angusto, soffocato,
tenebroso, che dava adito alle soffitte.
Fatti pochi passi per questo corridoio, il piccino si fermò innanzi ad
un uscio serrato per di dentro, dalle fessure del quale trapelava un
filo di luce del lume acceso all'interno, e vi picchiò col suo piccolo
pugno.
— Chi va là? Chiamò di dentro a quell'uscio una voce aspra, rauca,
stizzosa, che mal avreste saputo giudicare se era d'uomo o di donna.
— Son io: rispose il bambino. Allora s'udì un moversi di persona a
rilento, uno strascico di pianelle e un brontolio di parole
inintelligibili venir verso l'uscio.
— Sei proprio tu, _Gognino_? Domandò ancora la medesima voce.
— Sì, nonna.
L'uscio s'aprì e comparve fra i battenti una vecchia vestita a bardosso
d'un subisso di panni che non avevan forma nè colore, la quale, senza
badar più in là, per primo saluto allungò la mano, ghermì il
polpastrello dell'orecchio al bimbo, e si pose a tirare.
Il tristanzuolo si diede a strillare come se lo pelassero.
— Biricchino! Gridava la nonna frattanto. È l'ora di tornarne questa
qui? Le nove sono già ribattute alla campana della città.
Maurilio fece un passo innanzi; la vecchia lo udì, si volse, lo vide e
lasciò il fanciullo che andò a finire il suo lamento e il suo pianto
presso al misero focolare, dove s'accoccolò quasi sopra le braci mezzo
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