La plebe, parte I - 03

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Era davvero un bel giovane. Alto e ben piantato, spalle quadre e petto
robusto, un capo svelto e una faccia con espressione di coraggio
indomabile e di naturale distinzione; uno di quegli sguardi che fanno
abbassare gli altrui; sulle labbra carnose e rosse del color del sangue
un abituale sorriso pieno d'ironia, di scherno e di superbia;
nell'occhio grifagno alcun che di feroce; fra le sopracciglia, nella sua
fronte giovenile, a volta a volta si disegnava il solco profondo d'una
ruga, che dava alla sua bella fisionomia un aspetto di durezza e di
minaccia, che pareva un segno di maledizione stampatogli dalla collera
divina, come la traccia del fulmine di Giove sul capo dei ribelli
Titani.
Chiamato dal rumore, accorreva per solo impulso di curiosità; dietro gli
si aggruppavano le figure triste ed ignobili di coloro che gli erano
compagni nell'altra stanza, vicino a lui veniva la Maddalena.
La comparsa di questo giovane in mezzo a quei miserabili, fu come quella
d'un'autorità senza contrasto riconosciuta. Tutti gli fecero largo
perchè potesse giungere al luogo del tafferuglio, e Marcaccio medesimo
voltosi di scatto alla voce del giovane, s'indietrò alquanto e credette
necessario di spiegargli le ragioni del suo procedere.
— Ecco.... Le dico subito, signor _medichino_.... _Che_ scusi!... Ma gli
è questo furfante qui che è una spia, e volevo io allungargli un momento
le orecchie a modo mio.
La fronte del _medichino_ si corrugò tremendamente, e le sue pupille
mandarono veri sprazzi di fiamma.
— Una spia! Esclamò egli avanzandosi minaccioso verso lo sconosciuto, il
quale pareva sul punto di svenire dallo spavento.... Una spia qui?...
Per la Madonna!
Quando si trovò in faccia a quel giovane pallido, tremante, annichilito,
l'espressione del suo volto cangiò di subito per far luogo, ad una
superba quasi disdegnosa compassione. La ruga in mezzo alle sue
sopracciglia sparì; egli incrociò le braccia al petto, abbozzò colle
labbra un sorriso e disse col tono d'un superiore che parla ad un suo
dipendente:
— Che? Sei tu Maurilio?
Il giovane salutato con questo nome sollevò timidamente gli occhi ancora
smarriti, in volto a chi gli parlava, e rispose con voce tuttavia
tremante:
— Son io, Gian-Luigi.
Questi allora si volse alla frotta dei cenciosi che facevano cerchia
dietro di lui e disse loro con accento di comando:
— Andate a' vostri posti. Quell'animale di Marcaccio ha preso
Sant'Antonio per un tedesco.
— _Che_ scusi: ripeteva l'ubriaco affine di difendersi: l'animale è
stato qui, mastro Pelone... Io non ci pensava neppure... Egli è stato a
venirmi susurrare...
— Sei un fiero cocomero: interruppe l'oste colla sua voce cavernosa; io
non ho fatto che consigliarti la prudenza, e tu...
— Basti! Comandò Gian-Luigi con tono che non ammetteva altra ribattuta.
E tu, soggiunse volgendosi a colui che aveva chiamato Maurilio, poichè
ti trovo, sii il bengiunto. Vieni qui meco un istante, che ho giusto
assai piacere di parlarti.
I bevitori erano tornati al loro desco, rassicurati compiutamente dalla
parola di colui che essi chiamavano il _medichino_, il quale pareva
esercitare su tutti coloro una non contrastata autorità.
All'invito di Gian-Luigi, Maurilio si alzò; era sempre pallido, e le
gambe gli tremavano ancora; ma il suo sguardo aveva già ripreso
quell'espressione di superiorità che davagli l'intelligenza.
— Aspettami qui, diss'egli al ragazzo, il quale era tornato ai suoi
voraci bocconi; e intanto mangia finchè te ne basta l'appetito.
S'avviò, preceduto da Gian-Luigi, verso la stanza vicina, dell'uscio a
vetri. Quando furono per entrarci, il _medichino_ si volse a coloro che
gli erano compagni là dentro e che parevano volervelo di nuovo seguire.
— State qui: disse loro seccamente. Ho da parlare con questo signore.
Tutti si fermarono colla più sommessa obbedienza.
Maddalena insinuò amorosamente il suo braccio su quello di Gian-Luigi e
facendo vezzucci e boccuccia gli domandò:
— Ho da portarvi qualche cosa da bere?
— Non seccarmi, curiosona che sei: disse con impazienza il _medichino_;
ma poichè vide la ragazza lasciar cascare il braccio e chinar la testa
tutta mortificata: — via via, soggiunse ridendo, non mettermi il
broncio, Lenuccia. Tosto che avrò finito di discorrere con quest'amico,
ti chiamerò.
E per placarla di meglio, le passò un braccio attorno alla vita, e le
diede un bacio che le fece sbocciare sulle labbra il più lieto sorriso.
Pochi videro quest'atto, e di questi pochi uno fu il garzone dell'oste.
Meo, il quale stava sempre colla testa fuori della botola a guardare.
Alla vista del bacio dato da Gian-Luigi a Maddalena, la faccia da scemo
di Meo si contrasse violentemente in modo che dinotava sdegno e dolore
profondissimi, ed un sospiro cupo e soffocato gli uscì dal petto, uguale
a quello di chi avesse ricevuto una trafittura nel cuore.
La testa di Meo scomparì giù nella botola; ma chi fosse stato colà
avrebbe sentito il povero diavolo borbottare fra i denti.
— Ah quel Gian-Luigi!... Se potessi mai fargliela pagare!.... Ed anche a
lei!.... Mi costasse un occhio della testa che sarei contento.
I due giovani entrarono nella camera dall'uscio a vetri, e Gian-Luigi
chiuse accuratamente la porta dietro a sè.
Il fuoco fiammeggiava sempre allegramente nel caminetto. Pur tuttavia il
_medichino_ prese una brancata di ramoscelli secchi e due pezzi di legna
e ve li gettò sopra ad accrescere la vampa.
— Siedi, egli disse poi a colui che ora sappiamo chiamarsi Maurilio: ed
egli stesso, presa una seggiola e postala innanzi a quella su cui s'era
messo il compagno, vi si assettò a cavalcioni, appoggiando le braccia
alla spalliera. Mio caro Maurilio! Continuò Gian-Luigi. Con quanto
piacere ti rivedo! Oltre che tu mi ricordi la nostra infanzia, è da
qualche tempo che sto pensando a te, perchè..... sarò schietto.....
perchè da qualche tempo il mio animo, la mia risolutezza hanno bisogno
del tuo cervello, ch'io so valere assai più del mio, e di quanti altri
forse stanno sotto la calotta del cranio degli uomini che vivono oggidì.
Maurilio aveva accavallate le gambe l'una sull'altra ed appoggiando al
ginocchio superiore il gomito destro faceva sorreggere alla mano la sua
grossa testa reclinata, guardando acutamente, di sotto alle dita tese a
paralume, l'interlocutore che gli stava dinanzi.
Alle parole di quest'ultimo che or ora ho riferite, le labbra di
Maurilio si contrassero ad un sottile sorriso in cui c'erano malizia,
ironia, una lieve tinta di scherno; ma non una parola fu da lui
pronunziata.
La fronte di Gian-Luigi si rannuvolò alquanto e comparve leggermente
accennato in mezzo alle sue sopracciglia il solco di quella ruga che ho
detto. Fissò i suoi occhi ardenti in quelli di Maurilio, ma lo sguardo
di quest'esso non si chinò nè sminuì punto di luce e di fermezza.
Stettero così un istante come due lottatori che si osservano a vicenda
per conoscere l'un dell'altro le forze e l'abilità, e sapersi regolare a
seconda.
Il _medichino_ fu il primo a chinare lo sguardo. Trasse di tasca un
elegante astuccio di sigari che contrastava stranamente co' suoi abiti
da plebeo, ed apertolo tese la mano verso il compagno:
— Fumi?
Maurilio scosse la testa in segno negativo senza disserrar le labbra.
Gian-Luigi scelse con cura un sigaro nell'astuccio, ripose questo in
tasca, chinatosi al fuoco prese uno dei ramoscelli fiammanti ed accese
il sigaro che s'aveva posto fra i denti. Ma in questo frattempo e
durante questi atti compiti con garbo che pareva d'uomo avvezzo alle
maniere signorili della più elegante società, si sarebbe potuto notare
in lui una certa preoccupazione, come di chi sia incerto del modo di
affrontare un discorso e vada fra sè studiando il migliore.
Del resto era cosa degna di nota il cambiamento che, appena varcata la
soglia di quella stanza, era avvenuto in que' due e fra quei due
personaggi, che sono i principali della storia, la quale sta per
isvolgersi innanzi a noi.
Nello stanzone precedente, in mezzo a quella folla concitata e
minacciosa, là dove la forza dei muscoli e il coraggio fisico avevano il
predominio, Maurilio appariva inferiore, debole, l'ultimo di tutti, e le
superbe sembianze del robusto Gian-Luigi che colla sua forza e colla sua
ardimentosa risoluzione ne imponeva a tutta la turba colà raccolta,
potevano a ragione assumere quell'espressione che abbiamo notata di
protezione e di compassione altezzosa; ma ora qui, fronte a fronte,
questi due esseri in cui fortemente era impressa una diversa e ben
definita personalità, nel colloquio da Gian-Luigi provocato, qui dove
non più la forza muscolare in un contrasto materiale, ma era in giuoco
il valore intellettivo in una che ambedue gli attori sentivano dover
essere scherma di propositi e di idee, qui le apparenze della
superiorità erano passate dalla parte della vasta e travagliata fronte,
del volto scarno e pallido ma intelligentissimo di Maurilio.
Fu Gian-Luigi a rompere il silenzio, poichè ebbe avviato per bene il suo
sigaro, mandando fuori rapidamente dalle labbra tre o quattro dense
nuvole di fumo.
— Quanti anni sono che non ci siamo più visti?....
— Sei, rispose asciuttamente Maurilio.
— Tò gli è vero. Avevo allora vent'anni, ed ora ne conto presto
ventisette Mah! come il tempo passa!.... Tu ne avevi diciotto allora,
non è vero?
Maurilio fece un segno affermativo col capo, conservando sempre la sua
medesima positura.
— E' mi pareva un secolo che noi eravamo divisi: riprese Gian-Luigi;
eppure ora nel rivederti mi torna ad un tratto come se ieri ancora noi
fossimo insieme.... E tu? Mi hai tu dimenticato, Maurilio?
— No: disse quest'ultimo.
Gian-Luigi avvicinò ancora di più la sua alla seggiola del compagno, e
tendendogli la mano soggiunse:
— Noi abbiamo vissuto nei primi anni come fratelli..... La nostra sorte,
le nostre condizioni sulla terra sono le medesime. Perchè non ci
uniremmo noi nel cammino della vita?
Maurilio pose freddamente la sua grossa mano in quella che gli tendeva
Gian-Luigi (una mano elegante, quasi potrebbe dirsi aristocratica, di
cui si vedeva il suo possessore averne gran cura); ma non tardò a
ritrarnela senza pure avere corrisposto alla stretta di quella del suo
compagno.
— E tua madre? Disse ad un tratto Maurilio piantando più acutamente
ancora il suo sguardo negli occhi del _medichino_.
La domanda parve a quest'ultimo non molto gradita. La faccia di lui si
contrasse alquanto con un'espressione di malavoglia a cui tosto successe
una sdegnosa impazienza, cui però fu sollecito a frenare.
— Mia madre! Rispose egli, chinando gli occhi innanzi a quelli del suo
interlocutore. Chi chiami tu mia madre?.... Sai bene che al par di te io
sono un misero derelitto, cui trovarono soverchio peso i genitori e
condannarono infamemente all'ingiusta infamia della condizione di
trovatello.... Oh gli scellerati! Quante volte li ho già maledetti, e
quante volte ne li maledirò.... e non finirò mai di maledirli fin che io
viva!...
Maurilio sollevò la testa e drizzò la persona con nobile mossa.
— Non maledire nessuno! Esclamo egli con accento pieno d'autorevolezza e
di forza. Che sai tu, che sappiamo noi se abbiamo il diritto di
maledire?
Gian-Luigi si tolse il sigaro che masticava rabbiosamente fra i denti e
lo gettò con impeto fra le fiamme del caminetto. Percosse con una mano
la spalliera della sua seggiola su cui si appoggiava, e proruppe con
vivacità che s'accostava alla violenza:
— Sì l'abbiamo, per Dio! Perchè i nostri genitori ci hanno lanciati nel
mondo con questa macchia di disonore sulla fronte?... Trovatello!...
Avessi tu il maggior ingegno, non potrai nulla, non sarai nulla, non
perverrai a nulla mai, perchè sei un trovatello. Oh che abbiamo noi da
portare così grave il peso e l'espiazione — noi innocenti — della loro
colpa?
— E se fosse della miseria? Interruppe con voce grave Maurilio. Tu sai
pure che cos'è la miseria! Tu l'hai vista faccia a faccia.... Non so ora
come tu stii con essa, e se hai trovato nelle forze della tua
personalità che sempre ho conosciute molte e potenti, il mezzo e la
fortuna di far divorzio completo con quella scarna Dea della plebe; pur
pure la ti fu compagna e scorta nei primi passi della vita... Non
dovresti aver dimenticato a quali crudelissime strette ponga questo
orribil flagello un'anima umana... Ah! io ne ho conosciute di queste
madri nella corta ma avvicendata commedia della mia vita; ne ho
conosciute di queste madri che col coraggio disperato con cui uno si
lacera le proprie viscere, si separano dal sangue del loro sangue, dal
nato dal loro seno, dall'unico amore, dall'unica gioia della loro vita
di stenti, perchè non hanno più un boccone di pane da farne una goccia
di latte pel figliuol loro.... Chi, chi su questa terra avrebbe la
crudeltà di maledirle?
Maurilio parlava lentamente, con voce contenuta e direi quasi rimessa e
sorda; ma in alcuni tratti quella voce velata vibrava in istrana maniera
e si imprimeva d'un certo affetto onde lo ascoltatore difficil era non
rimanesse commosso.
Ma però tale non rimase Gian-Luigi, che colla medesima concitazione di
prima proruppe nuovamente:
— E se non han pane da dar loro, perchè mettono al mondo figliuoli?
— Gian-Luigi! Esclamò con infinito rimprovero Maurilio.
Il _medichino_ rimase alquanto percosso nell'anima dall'accento del suo
compagno; frenò fra i denti una bestemmia e si morse con atto pieno di
contrarietà i neri baffetti che gli ombreggiavano assai leggiadramente
il labbro superiore.
— Ebbene, sia: diss'egli poi. Abbiano, non dirò il perdono, ma men
severa condanna od anche l'oblio coloro cui spinge a questo scellerato
passo la miseria. Ma se tu pensi che tale possa essere il motto
dell'infelice destino a cui ti condannarono quelli che incautamente o
colpevolmente hanno chiamato nel tuo corpo un'anima a dolorare in questa
infame lotta fratricida della vita, io di me non lo penso, io di me
sento che così non è. Il perchè e il come non saprei dirteli; ma sono
sicuro che altra più rea cagione ha fatto imperdonabilmente colpevoli
verso di me coloro che mi hanno data la esistenza.
Si alzò e incrociò le braccia al petto, piantandosi in tutta la venustà
e l'imponenza della sua persona innanzi a Maurilio.
— Guardami! Diss'egli con superba sicurezza, la quale non appariva a chi
lo guardasse che la giusta coscienza di sè medesimo. Ti sembro io il
figliuolo d'un plebeo? Queste forme, queste membra, queste sembianze non
dicono esse che un sangue gentile scorre nelle mie vene? È il grido che
esce spontaneo dalle labbra di tutti, appena mi vedono; è il motto che
fin dalla mia culla mi suonò all'orecchio sulla bocca d'ognuno che mi
incontrasse: — e' pare il figliuolo d'un principe. Vedi tutti quei
miserabili che s'accalcano nella stanza di là, ignobili di forme, di
gusti, di pensieri. Quelli sono i figliuoli della miseria, non io!.... A
contatto con loro, non ebbi mestieri che di volere, e mi si prostrarono
innanzi, che di comandare, e mi obbedirono come servi. Perchè? Perchè mi
sentirono d'una razza a loro superiore E queste aspirazioni, questo
rabbioso anelare verso tutto ciò che è bello, tutto ciò che è splendido,
tutto ciò che è grande? Oh! non è forse l'essere mio che tende a
quell'altezza che gli compete?
Maurilio mirava fisso il suo compagno con isguardo freddo sempre,
osservatore e severo.
— Questo, diss'egli col suo solito accento, è l'agognare dell'anima
umana alla gioia ed al piacere che le sfuggono a mano a mano dinanzi. Tu
hai forse posto più in alto la mira perchè le circostanze ti fecero
capace di apprezzare altri diletti nella vita che quelli non sono, i
quali appariscono alla ignorante fantasia della plebe; ma il sentimento
è quel medesimo che poc'anzi informava le parole di quell'ubbriaco
Marcaccio quando voleva indurre il suo compagno a bandire la guerra ai
ricchi col latrocinio.
Gian-Luigi si riscosse come tocco da un ferro rovente: il solco della
ruga frontale apparve in mezzo alle sue sopracciglia.
— Che di' tu? Che sai tu? Prorupp'egli con fierissimo impeto. Mi
metteresti a mazzo con quei bari e ladroncelli?
— Io non so nulla: rispose Maurilio sostenendo lo sguardo acceso del suo
compagno. E ad ogni modo mi guarderei bene dal porre te al loro livello
ed essi al tuo. Tu nell'oblio del dovere e nel disprezzo della legge
avresti a mille doppi maggiore che non essi la colpa, perchè tu sai, ed
a loro la profonda ignoranza è scusa.
Il _medichino_ parve prossimo a cedere ad uno di quegl'impulsi dello
sdegno che spingono alla violenza; divenne in volto del color del fuoco,
le labbra gli tremarono e gli occhi balenarono d'una luce sinistra; ma
con uno sforzo della sua volontà potentissima si contenne. Mandò
un'esclamazione che pareva una specie di ruggito mozzicato fra i denti,
e levatosi a forza dal luogo dove stava piantato, fece due o tre giri
per la stanza; poi tornò presso il caminetto, trasse fuori un altro
sigaro e lo accese con tutta pacatezza.
Maurilio aveva ripreso il suo atteggiamento abbandonato e come stracco;
tornava a sorreggere colla mano il capo che avreste detto essergli
grave; e seguitava a guardare Gian-Luigi colla stessa attenzione
osservativa; se non che un po' di compassione pareva ora congiungersi al
sentimento scrutatore di prima.
— Io so, io so! Disse Gian-Luigi. Appunto perchè so, grido contro
l'ingiustizia dell'assetto sociale e contro la barbarie di chi mi ha
abbandonato povero e solo in questa empia lotta del mondo dove non vince
che il danaro.
Maurilio tacque un istante, poi replicò, e col medesimo accento di
prima, la domanda che già avea fatta poc'anzi:
— E tua madre?
— Ancora! Esclamò il _medichino_ con una bestemmia. Tu chiami con questo
nome la donna che mi raccolse?
— Sì, perchè questo santo nome la se lo merita. Quella povera donna ti
ebbe ad allattare dall'ospizio, ma ti pose vero amore materno. Ti allevò
come suo, tutta si sacrificò per te, come se tu fossi proprio suo
sangue. Quante volte la non si è tolto essa lo scarso boccon di pane
dalle labbra per darne a te, per soddisfare alcuno dei tuoi infantili
desiderii, e più tardi dei tuoi giovanili capricci! Or bene, che cosa
hai tu fatto di questa povera donna sublime? di questa ignorante ma
generosa creatura cui la Provvidenza, o se ti piace meglio il fato ha
posto sugli ultimissimi gradini della scala sociale e il cuore invece
alloga fra le più elette del genere umano? La tua condotta fieramente ti
accusa.....
— Come! Interruppe impetuosamente Gian-Luigi. Chi ti ha parlato di me?
Chi mi accusa? Che ti fu detto?
Maurilio pose una di quelle sue grosse manaccie sulla spalla del
compagno, e gli disse con accento mesto insieme e grave, come potrebbe
avere per un fratello un fratello maggiore, quasi direi per un figliuolo
un padre.
— Gian-Luigi, io t'ho amato molto, ed alcune volte nella solitudine in
cui vivo, riandando il passato, le poche dolci memorie che ho di esso mi
richiamano te alla mente, quale hai meco vissuto allora; e parmi
sentirti nel medesimo luogo tuttavia entro il mio cuore. Al cominciare
di questo colloquio tu hai fatto appello a cotali ricordi, ed io, a
dispetto della freddezza, dell'assoluta indifferenza che mi ero imposta
di aver sempre omai a tuo riguardo.....
Il _medichino_ sussultò sulla sua seggiola.
— Ma perchè? Dimmi in nome di Dio ciò di cui mi accagioni.....
— Lasciami parlare, e lo saprai: continuò col medesimo accento Maurilio.
A dispetto adunque di cotal risoluzione io nell'udirti parlare della
nostra infanzia, provai nell'animo un intenerimento che mi fece di nuovo
rivedere in te il fratello d'un tempo; quindi, se prima era mio pensiero
non dirti pure una parola di quelle cose che ora ti esprimo, determinai
di botto favellarti a cuore aperto. Tu accennasti a quel tempo, non dirò
felice, ma certo meno angosciato e men tristo — almanco per me,
quantunque di molto, come sai, mi toccasse soffrire. Ma poichè tu li
abbandonasti quei luoghi in cui passarono i nostri anni primi, e li
abbandonasti per l'agonia di godere le abbaglianti delizie mondane che
il villaggio non ti poteva dare, per arraffare alla sorte la tua satolla
di gioie della vita cittadina, le quali da lontano, traverso la nostra
ignoranza, ci apparivano quali al viaggiatore nel deserto la crudele
illusione della Fata Morgana; dacchè li abbandonasti quei luoghi, hai tu
cercato mai di rivederli? Io ne ho sentito tante volte, io ne sento
continuamente il bisogno. Quando ho il petto troppo affannato da questa
pesante atmosfera cittadina, quando ho l'animo troppo amareggiato dallo
spettacolo di queste miserie e di questi dolori; quando ho le mie deboli
membra troppo stanche da questo oscuro lavoro che mi dà scarsamente il
pane, io con più intensità di desiderio anelo alla bellezza di quel
soggiorno villereccio in cui primamente si ricordano d'aver visto la
luce i miei occhi, in cui primamente sentii pensare il mio cervello.
Allora, con più accanito lavoro da una parte e con maggiori privazioni
dall'altra, tento raccozzare il pane di pochi giorni di ozio, e una
volta guadagnato questo per me grandissimo capitale, io mi sento, io
sono ricco, più ricco di messer Nariccia che anche tu conosci e accumula
_marenghi_ sopra _marenghi_ pressurando il povero coll'arte infame
dell'usuraio; io parto con passo animoso dalla città, e corro, corro
verso quella valle, e a seconda che di qua mi allontano, sento più
libero il rifiato, più aitante il corpo affralito, più serena la mente,
troppo spesso e troppo conturbata. Allorchè là son giunto, con che
emozione rivedo quei conscii luoghi! La misera casipola dove vissi vide
pure molte mie lagrime di fanciullo; anzi quasi non altro che lagrime: e
tuttavia non passo mai davanti ad essa senza che il cuore mi palpiti. Mi
soffermo sulla soglia della porta di strada a guardar dentro lo stretto
e sempre sucido cortile, in cui nel fimo razzolan le galline, in cui
presso il truogolo grugnisce e s'impantana nella melma il maiale; vedo
la scura, bassa, angusta, affumicata cucina, e in fondo ad essa il
camino, entro cui nelle lunghe serate d'inverno io, accoccolato nel
cantuccio più rimoto, guardavo a brillare la fiamma che cuoceva la poca
cena e tutto intirizzito dal freddo fissavo quello splendore con
infinita intensità di desiderio; il petto mi si gonfia di sospiri e gli
occhi di lacrime..... E passo! Nessuno più mi conosce colà. Quelli che
mi tormentavano e mi davano quel poco di pane amarissimo che mi teneva
in vita, non ci sono più. Delle faccie sconosciute mi appariscono in
quel quadro. Eppure mi commuovo. Oh! se alcuno mi vi avesse amato come
ti amò la Margherita!.....
Gian-Luigi fece un movimento che Maurilio attribuì all'impazienza.
— Non isdegnarti..... Disse. Io son fatto così: o non dir nulla, o dare
pieno sfogo ai miei sentimenti. Poichè ho cominciato, lasciami dunque
dire a mia posta.


CAPITOLO VI.

Dopo una brevissima pausa, Maurilio riprese:
— Ah! se alcuno mi avesse amato, ah! se alcuno mi amasse colà! Quando
respiro quelle aure, io divento migliore. Anche colà, certo, sono e
miserie e dolori, ma l'umanità vi è men trista e la fatalità meno
crudele che non nei bassi fondi della cittadinanza, dove s'agglomera il
marame della massa sociale; ma colà vi ha pure una specie di egloga in
azione che la natura pietosa manda come una consolazione al diseredato
della gleba. La campagna ha il sole, ha la primavera, ha le feste sane e
moralizzatrici, del lavoro sotto la cappa del cielo, la fienatura, la
messe, la vendemmia.... Avessi potuto essere un coltivatore e maneggiare
l'aratro! Presso la spica e presso il grappolo ad ogni modo si soffre
meno. Qui in questa bolgia di fango, sotto una cappa di nebbia, la
miseria è più crudele, senza pure il temperamento della dolce vista del
paese..... Io mi reco sempre al cimitero. Non ci ho nissuno di mio
sangue che dorma là dentro; si consumano in quella terra le ossa di
coloro che hanno tormentata la mia infanzia. Non un affetto che mi leghi
alle ombre di quei morti. Eppure, io siedo con mesta e dolcissima
tenerezza su quei tumuli e il vento che geme sommesso fra le alte erbe
di quel campo solitario, mi canta in una grave armonia mille cose
inesplicabili che mi scendono al cuore e mi accarezzano l'anima. Poscia
vado alla chiesa parrocchiale, dove la mia voce di fanciullo suonava
sotto la volta del coro nel canto degli inni sacri, dietro la guida
della voce ancora robusta di don Venanzio. L'hai tu dimenticata la testa
canuta e grave di quel buon vecchio, vero sacerdote del Vangelo? Ecco
l'uomo che io ho amato di più nell'infanzia, che mi amò come amava tutti
al mondo, ch'egli comprendeva sotto il nome di prossimo, che mi avrebbe
forse amato anche di più, quasi come un figliuolo, se non avesse visto
la mia ragione, forse il mio orgoglio ribellarsi a quella schiavitù
ch'egli portava da tutto il tempo della sua vita e porta tuttora,
ch'egli trovava dolce e che voleva impormi, la schiavitù della fede.
Gian-Luigi fece un sorriso di superba compassione.
— Quel povero vecchio! Diss'egli. Oh! se me lo ricordo. Fra tutti i
bambini ch'egli pigliava ad istruire per carità, non aveva tardato ai
accorgersi che noi due, tu ed io, avevamo nel cervello qualche cosa di
più che gli altri. Si mise con più cura a svegliare in noi quell'ingegno
che aveva travisto e voleva rivolgere a benefizio della Chiesa, a cui
egli appartiene. Il buon uomo aveva sognato di fare di noi due difensori
della fede; quando vide che quella non era la nostra strada, forse si
pentì d'averci tolti all'ignoranza. Mi ricordo che l'ultima volta in cui
lo vidi, mi disse con doloroso abbattimento: Credevo di guadagnarvi a
Dio; aimè! vi ho guadagnato al Demonio.
— Io ho per lui la maggior gratitudine che possa avere anima d'uomo:
ripigliò a dire Maurilio. Per lui ha incominciato a stenebrarsi la mia
mente. Quando entro, come ti dissi, in quella chiesa, che da bambino mi
pareva così vasta e solenne, ed ora trovo qual è, niente più che
un'umile e piccola chiesuola di campagna, io vado a sedermi nel coro,
sopra uno di quei banchi di legno rozzamente scolpito, dei quali un per
uno ho contati e toccati ed accarezzati tante volte i fiorami nelle ore
del catechismo e delle sacre funzioni, mi serro nelle mani la testa, e
tutto il mio passato mi difila dinanzi, illuminato dal sorriso mesto e
benigno di don Venanzio. E talvolta, alzando il capo, me lo vedo in
faccia lui stesso, sempre colla sua aria serena, colla sua bella aureola
di capelli bianchissimi, col mite e pietoso splendore de' suoi limpidi
occhi azzurri, che nella silenziosa solitudine di quel povero tempio, mi
appare come il buon genio del luogo. Ad ogni volta egli mi viene
incontro con una speranza che gli rallegra il viso:
«— Ah! Siete voi Maurilio? Dic'egli. È la mano di Dio che qui vi ha
scorto? È la grazia che vi ha tocco? Nei luoghi della vostra infanzia
siete venuto a cercare ed avete trovato la fede?
«Io crollo tristamente la testa; egli china con doloroso atto la sua,
lascia cader la mano che mi tendeva, ed esclama: — Siate il benvenuto,
nulla meno nella casa di Dio ed in quella del suo servo. Un giorno
verrà, io spero, in cui l'anima vostra sarà riacquistata a quella
divina, che lega la miseria della creatura alla grandezza del creatore;
e mi conceda Iddio che in quel dì io sia ancora sulla terra e possa
accogliervi nelle mie braccia.
— Eh! Fole! Esclamò Gian-Luigi sprezzosamente. Quel giorno saresti
rimbambito al par di lui: e non è dei caratteri e degli ingegni come i
nostri che si lasciano pigliare a ragne da femminette.
Maurilio aspettò un istante, e poi soggiunse:
— Ad ogni volta don Venanzio mi parla pure di te.
— Sì? Benone! Gli è desso dunque che mi accusa, ci scommetto. Che cosa
ti dice?
— La sera, rispose Maurilio, quando le ombre invadono quella chiesa
deserta, quando non un passo turba più il silenzio sepolcrale di quelle
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