La plebe, parte I - 25

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dirmi, ed io da dire a lui? Il nostro sarebbe un colloquio di mutoli....
E piove sempre della più bella!... Eccomi condannata tutto il giorno a
stare rinchiusa... Che noia!
Mancava forse un'ora al momento di andare a pranzo, quando la cameriera
tornò nel salotto della signora contessa. Il dottor Quercia supplicava
d'essere ricevuto.
— Venga: disse la contessa, e forse senza neppur badarci, prese
un'attitudine sul suo sofà la più seducente ed avvenevole che si possa
immaginare, e con una ratta occhiata consultò lo specchio
sull'espressione della sua fisionomia. Lo specchio le rimandò la vista
d'un volto giovanile, su cui una fiera tinta d'orgoglio aristocratico,
ma bellissimo sotto ogni riguardo.
Luigi Quercia entrò coll'agevolezza rispettosa ed elegante di maniere,
che può mostrare il più forbito gentiluomo e il più avvezzo alle usanze
sociali.
I miei lettori conoscono già le esteriori apparenze di questo
personaggio. L'hanno visto nella taverna di Pelone, vestito di abiti da
popolano, conservare pur tuttavia sotto di essi una certa nativa
distinzione ed un'elegante leggiadria che lo rivelava a primo aspetto
superiore a quei suoi compagni ond'era circondato, e sui quali egli
aveva un'incontrastata supremazia ed esercitava un impero che non
trovava ribelli.
Ora, agli occhi della contessa, rivestito del suo soprabito rasciutto,
e' si presentava nei panni alla moda del damerino cui mostrava saper
portare come la vera divisa della propria condizione.
Aveva a quel tempo ventitre anni, e la sua florida giovinezza gli
brillava in viso in una splendida avvenenza. I suoi occhi vivacissimi
gettavano lampi; la bella sua fronte lisciamente rispianata, non aveva
il solco di quella ruga fra le sopracciglia che abbiam visto dare a
tutta la sua fisionomia un'espressione di ferocia; le sue labbra rosse
di sì voluttuosa avvenenza sorridevano graziosamente; il suo contegno
aveva la sicurezza non immodesta d'un uomo che conosce il suo merito.
Innanzi a quell'aspetto, l'orgoglio della contessa riconobbe un suo
pari; e il cuore della donna sentì un principio d'interesse che potrebbe
anche dirsi simpatia.
Candida staccò dalla spalliera del sofà la persona e chinò leggermente
la testa per rispondere al riverente saluto che le faceva il visitatore.
— Il signor dottor Quercia? Disse la contessa guardandolo un momentino
colle palpebre semichiuse, come farebbe chi avesse vista corta.
— Quel desso: rispose il compagno d'infanzia di Maurilio.
La contessa colla sua manina accuratamente inguantata gli accennò una
poltroncina che si trovava a pochi passi dal sofà e gli disse, con
accento che era più gentile di quello usato nel fargli la prima domanda:
— S'accomodi.
Gian-Luigi sedette, e un momentino stettero le due giovani e leggiadre
creature guardandosi con tutta quella curiosità che la buona creanza
poteva loro permettere. Quel primo esaminarsi aveva in sè quasi una
diffidenza, si sarebbe potuto dire un'ombra di sospetto. Pareva che il
caso avendoli posti a contatto, un segreto istinto ammonisse ambedue che
le loro esistenze sarebbero state fatalmente intrecciate l'una
nell'altra, e che quindi, prima di cominciare ogni relazione, volessero
scrutarsi a vicenda. Il loro contegno avrebbe potuto paragonarsi a
quello di due schermitori che innanzi d'incrociare il ferro si osservano
l'un l'altro per indovinare l'abilità e il modo di tirare
dell'avversario.
L'uomo avvisò che a lui toccava di rompere quel silenzio, il quale
benchè non avesse durato che un mezzo minuto, era tuttavia già troppo
lungo.
— Devo chieder perdono alla signora contessa, diss'egli, se di
complicità col tempo mi sono permesso d'entrare nel suo castello, come
un bersagliere all'assalto.
La contessa ricordò il modo con cui quel giovane si era introdotto nel
cortile e non potè a meno di sorridere.
Un sorriso ottenuto da una donna in un colloquio, è una barriera che si
abbatte fra lei e l'interlocutore.
— Ella fece veramente da bersagliere, diss'ella. Vedendola saltare con
tanta agilità, non mi sarei mai più immaginato che mi arrivava in casa
un seguace d'Esculapio..... Poichè ella fa bene il mestiere di medico?
Gian-Luigi s'inchinò con tutta gentilezza.
— Direi per servirla, rispose, se invece non fossi costretto ad
augurarle che ella non debba mai aver bisogno di questa razza di gente.
Quanto a me poi sono medico è vero, ma ci ho una circostanza attenuante,
ed è che non esercito quella nobile professione che ho studiato.
Queste ultime parole egli le disse senz'affettazione, ma non senza
pesare alcun poco su di esse per farle notare, nella stessa maniera che,
se le avesse scritte, avrebbe tirato sotto di esse un frego.
Candida si morse le labbra; un momento fu per cedere ad un po'
d'irritazione che gliene nacque e rispondere aspramente; ma poi tosto
capì che era suo il torto, e che quell'espressione che ella aveva usato
conteneva una gratuita impertinenza, di cui l'aveva fatta avvertita il
giovine dottore nella guisa la più urbana.
— Veramente, soggiuns'ella con garbo, lei è troppo giovane per un
medico.
— Ah! è questo un difetto di cui pur troppo mi correggo tutti i giorni.
— Ella è pratica di queste vicinanze?
— No signora. Il trovarmici è un azzardo. La mia è una piccola
odissea... che può avere anche la sua Calipso.
La contessa fece un atto di scontento. Egli si affrettò a soggiungere:
— Venuto per trovare un amico, ho perso la strada e la tramontana sotto
il crosciar del temporale. Un lampo mi ha illuminata la fronte severa di
questo castello, ed io lo salutai come un rifugio.
— Se pure non è uno sbaglio, alcuno crede averla già vista altre volte
in questi dintorni.
La fronte di Gian-Luigi s'annebbiò fugacemente, e i suoi sguardi, acuti
come lame di spada, si piantarono negli occhi della contessa. Stette un
momento così guardandola senza rispondere. Candida provò una suggezione
nuova, strana, indefinita. A tutta prima le nacque volontà di riagire
contro l'audacia di quello sguardo, ma poi sentì, come da una potenza a
cui non valesse a resistere, avvilupparsi l'anima e dominare lo spirito.
Rimase confusa, non isdegnata nè offesa; le parve che quelle sue parole
fossero state una grande indiscrezione.
Gian-Luigi da canto suo pensava:
— Perchè mi dice ella codesto? Fu ella stessa a vedermi? Saprebb'ella
mai dove mi reco? È impossibile..... Per Dio quanto è bella! In quegli
occhi c'è un ardore che domanda solamente un soffio per essere
suscitato. È ricca a milioni. Non sarebbe forse la mia buona ventura che
mi ha gettato qui? Se ne approfittassi?....
Tutto ciò passò in un lampo. Il giovane aveva già preso la sua
determinazione, allorchè dopo un minuto secondo riprese a parlare.
— È vero, diss'egli. Non è la prima volta che mi aggiro in queste parti.
Ma credevo che la mia presenza non avesse potuto essere notata da
nessuno, ed era tale la mia intenzione. Venivo di soppiatto e partivo la
notte, contento d'aver visto da lontano in mezzo alle masse degli alberi
il comignolo d'un tetto.
— Quello dell'amico che mi disse poc'anzi: disse con un leggiadro
sorriso la contessa.
— Quello che alberga la luce a cui mi chiama intorno un impulso
superiore alla mia volontà....
— Come la luce delle candele chiama le farfalle a bruciarsi le ali:
soggiunse Candida ridendo.
— E sia pure bruciarsi! Le farfalle sono felici. Ardere e consumarsi
nell'oggetto del proprio desiderio, è la felicità maggiore che si possa
sperare.
— Ah! le farfalle sono l'emblema della incostanza.
— Ma della passione che si sacrifica, altresì.
Gli sguardi del giovane davano alle parole significazione ancora
maggiore e più chiara.
Candida si sgomentò di quel _marivaudage_, che spingeva il discorso
sopra una china assai sdrucciolevole. Prese la sua aria più severa e con
tutto quell'orgoglio che permetteva la gentilezza, interruppe:
— Ma queste hanno tutta la sembianza di confidenze; e il poco tempo da
che ci conosciamo, se pure possiam dire di conoscerci, non autorizza nè
lei a farmene nè me ad ascoltarle.
— Il poco tempo che ci conosciamo! Esclamò con fuoco il sedicente
dottore. E chi le assicura che noi non ci conosciamo invece da secoli?
Chi sa che in una vita precedente noi non siamo stati intimissimi? Su
questa terra s'incontrano persone che dopo anni in cui le frequentate vi
sono ignote come prima; altre invece che al primo accontarsi vi
penetrano nell'anima e vi lasciano penetrare nella loro. Io credo alla
favola di Platone. Ogni anima umana, prima d'incarnarsi, ha rapporto
strettissimo con parecchie anime omogenee. Di queste, nella vita
terrena, alcune saranno suoi amici, una sarà l'oggetto dell'amor suo.
Quando si trovano, sentono un misterioso legame che le attira l'una
verso dell'altra e le avvince. Riconoscono, senza saperlo, il vincolo
preesistente e la legge della predestinazione. Non si sono mai visti, ma
non sono estranei. Non sanno le vicende l'un dell'altro, ma già si
conoscono e si amano. Così mi avvenne quando vidi la prima volta
quell'essere divino di cui le feci cenno poc'anzi. Sentii che la mia
vita era sua, che il mio destino era tutto nelle bianche mani di quella
splendida bellezza.
Il cuore di Candida palpitava. Perchè? Non lo sapeva dire; e non sapeva
neppure se ciò le piacesse o rincrescesse. Avrebbe voluto imporre
silenzio a quel giovane, e non osava: e parevale un affettato soverchio
riserbo. Voleva parlare e temeva che la sua voce svelasse il suo
turbamento che non riusciva a dominare.
Fece uno sforzo per prendere un'aria scherzosa e indifferente.
— Signor dottore, mi pare che la sua sia una buona e bella malattia di
cui dovrebbe pensare a guarirsi.
— Mai più! Disse con sempre maggior fuoco Gian-Luigi. Perchè lo vuol
ella chiamare un male? È un tormento sì, ma questo tormento mi è caro.
— E quell'essere divino, com'ella dice, trovasi in questa contrada?
Non aveva ancora pronunziato queste parole che già Candida n'era pentita
ed avrebbe voluto ad ogni costo non averle dette; ma il giovane
temerario non era tardo a coglier la palla al balzo.
— Trovasi qui, diss'egli con impareggiabile soavità d'accento; sola,
nell'uggia di un vecchio castello, illuminando della sua beltà queste
antiche sale, come il sole illumina le vecchie piante del parco.
— Signore... Disse Candida impacciata, sentendo venirle alla fronte un
rossore che avrebbe fatto qualunque cosa per iscacciare.
Ma egli continuando con più ardore:
— Dal primo istante che l'ho veduta io rimasi tutto suo. Fu un
abbagliamento dello spirito, fu una rivelazione del cuore. Non avevo
ancora amato. Amai da quel punto.
Candida si levò in piedi.
— Che discorsi sono questi? La prego, signor dottore, a volersi
ritirare.
Gian-Luigi invece d'ubbidire, con maggiore ancora l'ardimento le si
accostò, pose un ginocchio in terra e prese una mano alla contessa, che
nel suo turbamento non ebbe la forza nè pure il pensiero di ritirargli.
— Oh! mi lasci parlare: disse il giovane supplicando. Fra un'ora io sarò
partito; e s'ella il comanda, mai più non mi presenterò innanzi agli
occhi suoi. Non avrà difficoltà nessuna ad obbliare le mie parole — le
parole d'un infelice, a cui ella avrà usato pietà, la pietà
d'ascoltarlo. È così poca cosa codesta! E che danno ne avrà ella mai?
Questo momento l'ho desiderato tanto, ed ora che Iddio me lo concede,
non voglia ella levarmene il bene!
Candida si appoggiò tremante alla spalliera di una seggiola che si trovò
vicina; il giovane con appassionato accento, sempre in quella positura,
continuò il suo discorso.
— Ella me non vide pur mai. Se la mia temerità, se il caso benigno non
m'avessero pôrto quest'occasione a venirle innanzi, ella avrebbe
ignorato pur sempre perfino la mia esistenza: ma io da lungo tempo,
nascosto, perduto nella folla, seguo con incessante adorazione lo
splendore della sua bellezza nel mondo, come il povero pastore segue la
stella del mattino nel suo corso del cielo. Se il pastore volge le
braccia alla stella e le manifesta i suoi aneliti, la sua adorazione, la
stella non s'offende, e continua a brillar mite e benigna, consolandolo
de' suoi raggi pietosi. Perchè sarebbe ella più crudele con me? Io non
domando di più. Un amore ardente come il mio, nel mondo, non è facil
cosa, glie lo giuro; e nella sua ardenza esso è il più modesto e
rassegnato. Che fastidio deve recare a lei che io l'ami? E forse non
sarà senza alcuna dolcezza neppure per lei il pensiero che un uomo è là,
celato, umile, noncurato, il quale l'adora ed è pronto a dare tutto il
suo sangue per lei. Venga un giorno in cui ella abbia bisogno della vita
d'un uomo; la non avrà che una parola da dire, che un cenno da fare, e
quest'uomo accorrerà lietamente, pronto al sacrifizio.
Il temporale pareva raddoppiare di furore. Le nubi erano così dense e
basse che oscurato ne rimaneva il giorno. I lampi frequenti saettavano
su tutti gli oggetti una luce livida, fugace, che dava strani aspetti
alle cose. I nervi fremevano per l'elettricità ond'era satura
l'atmosfera. Candida, sempre appoggiata alla spalliera della seggiola,
aveva un tumulto nell'anima che non le lasciava facoltà d'avviso. Le più
fiere risoluzioni s'avvicendavano rattamente nell'animo suo colle più
cedevoli tentazioni: voleva suonare il campanello, fare scacciar dalla
sua presenza quel temerario; poi tosto si compiaceva stranamente di
abbandonarsi alla dolcezza che le insinuavano nel cuore quelle parole
più soavi d'una musica, quelle parole che aveva udito nelle sue
fantasticaggini mormorare da un essere immaginario e che ora le
suonavano con irresistibile malìa d'accento dalla bocca d'un giovane
onde ogni donna avrebbe tenuto a pregio l'essere amata. Volse ella uno
sguardo a quello spirito tentatore; nello scuriccio di quel momento la
fronte bianca di Gian-Luigi spiccava come un'aureola, i suoi occhi
brillavano come due diamanti che riflettano la luce di mille fiamme.
Egli era supremamente bello. Il sogno delle sue ore di solitudine s'era
dunque incarnato; ed essa viveva in realtà in quell'ambiente di passione
vagheggiato cotanto! Non le sembrava vero e pur si diceva con palpito
concitato di gioia che era così. Tutto l'ardore del suo sangue si
destava nelle sue vene e vivaci fiamme le salivano al volto nel suo
turbamento più leggiadro ancora. L'orgoglio del suo titolo ispiratole
dall'educazione, la virtù e la dignità di donna lottavano debolmente
contro l'invadere della passione — di quella passione ond'ella con
fatale imprudenza aveva rammentati in sè gli elementi e che ora ad un
tratto divampavano. Il capo le tenzonava: i battiti del cuore erano
frequenti e convulsi, come se timore e speranza, la gioia e l'affanno,
tutti i più vivi sentimenti umani l'assalissero in una.
Il seduttore vide quello sguardo e seppe tutta interpretarne la
significanza.
— Oh! t'amo: susurrò egli con voce che pareva un sospiro ed era dolce
come la flebil nota notturna dell'usignuolo.
E premette le sue labbra ardenti sulla mano che ella, obliosa,
conturbata com'era, non aveva pensato a togliere dalle sue.
A quel bacio — a quel caldo bacio che conteneva tutte le aspirazioni di
voluttà d'un uomo desioso — a quel primo bacio appassionato di cui
sentisse l'ardenza la sua epidermide, Candida fu scossa da un brivido, e
come una vampa le corse per le vene e pei nervi. In quella un baleno più
vivace illuminò del suo biancolastro chiarore la stanza, e il volto di
quel giovane i cui sguardi gettavano fiamme negli occhi di lei, e la sua
pallida figura, che Candida vide nello specchio drizzarsi come uno
spettro. Gettò ella un gridolino soffocato e vacillò sotto l'èmpito
delle varie emozioni. Gian-Luigi fu ratto a sorgere e l'accolse nelle
sue braccia.
Si svincolò essa; si allontanò d'alcuni passi; ma non c'era sdegno nel
suo aspetto, nè entro i suoi sguardi. Ell'era tutto tremante. L'audacia,
la risoluzione, la forza di quel giovane avevano fatto in lei troppa
impressione. Gian-Luigi venuto nel momento il più opportuno che si
potesse per la seduzione di quella donna abbandonata e infastidita, si
giovò di tutto l'interno lavorìo che aveva già fatto in essa la
immaginazione malaticcia e sregolata; raccolse il frutto delle letture
malsane, degli esempi perniciosi, del tumulto insoddisfatto dei sensi
ond'era turbata la giovinezza di Candida. Le tante seducenti attrattive
onde natura aveva fornito il compagno di Maurilio furono agli occhi
della contessa ancora addoppiate dalla propria immaginativa che gli
aveva preparato il terreno, che lo circondava di tutte le qualità del
vagheggiato eroe.
Gian-Luigi — alla contessa conosciuto soltanto col nome di Luigi — tornò
altre volte pur troppo in quel castello, mentre la giovine donna lo
stava aspettando col cuor palpitante. L'Eden amoroso dietro cui ella
aveva nella sua solitudine anelato cotanto, fu aperto all'incauta donna
dalla mano di quel temerario che le appariva fornito d'ogni bellezza,
d'ogni valore, di quella inesprimibile malia di forza e di affetto, onde
l'uomo domina l'indole, l'anima e il cuore della donna.
Essa lo amò con tutta la potenza dell'anima sua, la quale dell'amore,
sin dapprima, s'era fatto un bisogno, un idolo, un dovere, e non
aspettava altro più che la venuta di quell'essere che di tanto tesoro
sapesse impadronirsi. Luigi era venuto come un trionfatore e l'aveva di
botto conquisa: era sua; le sembrava che avrebbe dovuto essere così ad
ogni modo, che con ciò ella non faceva che acconciarsi agli obblighi del
suo destino. Il suo orgoglio era tutto una umiltà in cospetto
dell'amante. Quella superba figura da regina che nel mondo tutti
accusavano di soverchia alterigia, nel solo a sola col suo diletto si
cambiava nella devota natura di una schiava innamorata, pronta ad ogni
cenno del suo possessore. Quella bellezza da tanti ammirata e
desiderata, cui tutti avevano creduta inaccessibile: quella bellezza si
concedeva con lieto e voglioso abbandono agli ardori d'uomo che
compariva ricco e ben educato in società, ma cui pure nessuno sapeva chi
fosse.
Il _medichino_ a sua volta era stato sovraccolto dalla beltà di Candida;
trovandosi con essa, quella prima volta, aveva ceduto alla subita
ispirazione, allo ardore della gioventù, ed aveva mentito un amore che
non esisteva ancora; poscia la sua tanta ventura, per quanto superbo
egli fosse di sè, gli aveva prodotto una specie d'ebbrezza che diede ai
suoi rapporti con lei tutte le sembianze d'un vero amore infuocato. La
giovane donna ebbe dalla sua adultera passione momenti di trasporto
ineffabili, gioie pur nella colpa sovrumane, delirii di paradiso.
Ah! infelice, con quante lagrime doveva ella scontare quegli istanti
fugaci di un bene colpevole!
L'amore la dominava senza sua possibil difesa. Tutto il resto del mondo
aveva essa obliato, o, per dir meglio, tutto concentrato in codesto.
Luigi colla sua bellezza, colla sua ardenza, colla temerità della sua
passione, rispondeva all'ideale che la sviata fantasia della contessa
s'era formato d'un amante, rispondeva ai bisogni della sua indole, alla
stranezza medesima dei sogni onde aveva cullato la sua noia precedente
ed occupata la vacuità del suo spirito e del suo cuore.
Candida non aveva più cercato di saper nulla del suo amante. Si
contentava di quel poco che egli avevale detto de' fatti suoi, — ed era
invero sì poco! Le bastava conoscerlo quale a lei si presentava.
Nell'espansione de' trasporti onde le inebriava l'anima, in quel fuoco
di voluttà che le gettava nelle vene, la innamorata donna vedeva ogni
ragione di essergli soggetta, di darglisi tutta, d'esser cosa di lui.
Chi fosse, che contasse nel mondo, quali le sue attinenze, che cosa
importava a lei?
Frequenti erano i segreti loro convegni. Il conte passava la maggior
parte del suo tempo in città; per lettera ella avvisava Luigi quando
potesse venire, ed egli accorreva. La cameriera di necessità erasi
dovuta far complice, e la padrona ne comprava il silenzio con regali e
con meno dignitosa compiacenza. Che palpiti di cuore, che sussulti di
nervi, che orgasmi dell'anima eran quelli onde la contessa era
travagliata nelle ore lente e fugaci che precedevano il momento in cui
il suo amante l'avrebbe stretta fra le braccia! La notte, appoggiata al
verone, sporta all'infuori la sua bella persona, stava, l'occhio teso
per penetrar quelle tenebre e vedere da più lontano l'ombra del suo
diletto. Tratto tratto si staccava di là e correva nell'elegante
_boudoir_ illuminato, dove si guardava nello specchio con occhio
diffidente della sua bellezza; ed ora aggiungeva un fiore alle chiome,
ora una collana al niveo collo, ora un gioiello al seno, e si domandava
palpitante: — Sono io abbastanza bella per lui? Gli piaccio come voglio?
Il cristallo che le rifletteva lo splendore di sì giovanile beltà, la
rassicurava; si salutava con un sorriso pieno di fiducia e di malìa e
correva di nuovo al verone. Erano ore tormentose insieme e piene d'un
acre diletto.
Nessun'ombra era venuta ancora ad oscurare quella luce elisiaca di
amore, nessuna nube ancora era passata su quel sereno in cui nuotava
l'anima sua. Candida si sentiva e nel suo cuore con infinita gioia si
proclamava felice. Non un sospetto la amareggiava, non l'accenno neppure
d'un rimorso. Amava ed era amata: tutto il mondo era lì.
La prima spina che le si fece sentire fra quei fiori inebbrianti fu
quella della gelosia. La non ci aveva neppur pensato ancora mai. Luigi
era così ardentemente amoroso! Non poteva in niun modo entrarle in mente
pur l'idea che potesse volgere un istante d'attenzione non che un
desiderio ad altra donna. Una sera, aspettandolo secondo l'usato al suo
castello, e vistolo a comparire sotto i raggi della luna filtrati fra le
frondi delle piante, Candida si ritrasse dal verone ove era stata tanto
tempo aguzzando gli sguardi, e suo primo impulso fu correre giù delle
scale all'incontro dell'amante, per introdurlo essa stessa dalla segreta
porticina che soleva schiudergli il passo, per gettargli due minuti
prima le braccia al collo e sentire la voluttà per lei immensa di essere
stretta al seno di lui; ma un sentimento di dignità, ultimo sforzo del
suo orgoglio aristocratico soggiogato, pur la trattenne. Incaricata di
aprire chetamente la porticina a Luigi era la cameriera. La contessa
stette sulla soglia della prima stanza del suo appartamento aspettando
che il suo diletto, fatta di corsa la scaletta riposta, comparisse tosto
a prenderla, come soleva, fra le sue braccia in un amplesso pieno di
forza e di passione: e il suo cuore di donna innamorata le balzava nel
petto. Ma parecchi minuti erano trascorsi, e Luigi non veniva. Che
poteva far egli colaggiù? Un ratto sospetto corse come un lampo
nell'anima della donna; un sospetto affatto incerto e indefinito, ma che
pur valse a tutta conturbarla. Come sotto l'impulso d'un sentimento
irrefrenabile, aprì essa l'uscio e si slanciò fuori sul ripiano a
guardare giù della scala. In fondo a questa Luigi sorridente ciarlava
colla cameriera, la quale moineggiava con civetteria imitata in mal modo
dalle grazie e dagli attucci della padrona. La fante aveva in mano un
lume che rischiarava la scena, e la troppo chiara espressione del viso
di lui, e la simulata renitenza della giovane, traverso alla vita della
quale Luigi aveva passato il suo braccio. Candida in un attimo vide
tutto, e l'amplesso, e il riso rivelatore, e il bacio che egli osò
mettere sulle guancie fresche e rotonde della fanticella. Tutto il
sangue della contessa si rimescolò; un subito bollore le infiammò le
vene e si precipitò al cervello quasi offuscandole e la vista e la
intelligenza. Per primo impeto volle correre abbasso a schiaffeggiar
quella pettegola a scacciar di casa sua quello sciagurato sì vilmente
offenditore di lei e dell'amor suo; ma si trattenne. Ritirossi sollecita
nella sua camera col sangue che le pulsava dolorosamente nelle tempia. I
più fieri propositi passarono con turbinosa rapidità nella sua mente
eccitata. Mai più vederlo, piantargli un pugnale nel cuore, gettargli
sulla faccia il disprezzo degno di tanta viltà, farlo scacciare come un
ladrone dai domestici: mille pazzie in mezzo ad un fremito di furore.
Non aveva ella ancora preso determinazione di sorta, quando l'uscio
s'aprì chetamente, e Luigi le venne in istanza con sulla faccia quel
medesimo sorriso che aveva poc'anzi abbracciando la cameriera.
E' s'inoltrò colle braccia aperte per darle il solito amplesso. Candida
indietrò come inorridita. Un vivo rossore la colorò sino alla fronte,
poi tosto diede luogo ad una pallidezza di cadavere. In mezzo a quel
pallore i suoi occhi neri lucevano come due carboni accesi. Volle
parlare, ma le labbra le tremavano e non valse a pronunziar parola.
— Che è ciò? Disse Luigi arrestandosi stupito. Che cos'hai?
La contessa voleva tacere la ragione del suo sdegno. L'umiliazione che
l'uomo da essa amato le recasse sulla bocca le labbra calde ancora del
bacio della sua cameriera le pareva troppo e troppo vergognosa per
esprimerla, per lasciare pur supporre ch'essa la sentisse. In quel
tumulto in cui si trovava la sua mente, s'era detto, vedendo entrare
l'amante, di umiliarlo a sua volta col suo disprezzo, di troncare
violentemente con esso quel nodo di amore che pure fino a quel punto le
era stato così dolce, di bandirlo dalla sua presenza per sempre, senza
pur dirgliene una ragione. Sentisse, egli che la sapeva, la sua colpa,
ella non si abbasserebbe ad accuse nè a rimbrotti.
Ma la misera donna amava con tutta la forza dell'animo suo, e se codesto
fiero modo sia possibile a donna che ami, lo lascio dire a voi, mie
gentili lettrici.
Luigi domandò spiegazioni pressantemente, colla voce che pareva tremante
di dolore, colla eloquenza della passione, colla malìa che ha su cuore
di donna la voce dell'uomo amato. Alla resistenza di lei, all'asciutta
fierezza delle risposte, all'orgoglio onde essa respingeva le sue
supplicazioni, i suoi atti di amore, Luigi si disperò, parlò di morire,
passò a sua volta ai rimbrotti.
L'orgoglio della debol donna non era più che una mostra. Ella cedette,
disse tutto, e dalla maggior fierezza passando al più umile
abbattimento, pianse. Che disse, che fece Luigi? Difficile il ripeterlo.
Ben lo sanno gli amanti che si trovarono in tale situazione. Parlò con
enfasi, giurò e spergiurò, la strinse fra le sue braccia con ardore
irrefrenato, bevve le sue lagrime, la coprì di baci, la stordì con
parole e con atti di amore; breve, all'alba si partì lasciandola
persuasa che quella non era stata che una facezia, che il meglio era di
farne caso nessuno e di non parlarne più.
Ma la spina era penetrata nel cuore di Candida, e l'arte del seduttore
non l'aveva potuta estrarnela affatto, sibbene glie l'aveva infranta
nella ferita e lasciatavi la punta, seme perenne di sospetti e di
diffidenze, che avrebbe germinato.
Colla cameriera la contessa non disse nulla; e fuori di un maggiore
riserbo e di una più esigente severità verso la fante, nessun
cambiamento avvenne nella condotta della padrona. Fra i due amanti
neppure non fu più mai parola di ciò, nè Luigi prestò più mai pretesto a
somiglianti sospetti.
Ma un mese circa dopo questo avvenimento, per parte dell'amante accadde
ciò che ancora mai non era accaduto; cioè ch'egli mancasse al convegno.
Fu una notte crudele per la contessa. Sino quasi all'alba stette essa al
verone, inquieta, palpitante, ad aguzzar lo sguardo nella tenebra
inutilmente. Come suole, mille paure, mille sospetti, mille crucciosi
fantasimi l'assalsero. Che cosa poteva averlo trattenuto? Una disgrazia
od un tradimento: l'uno e l'altra orribili al suo cuore di donna
innamorata. In certi momenti faceva a calmare lo spasimo della sua
anima, la febbre della diffidenza che la occupava. Esponeva la fronte
alla brezza della notte per farsene rinfrescare il sangue; si sforzava a
sorridere come per compassione della sua follia, cui chiamava il senno a
vincere e domare. Voleva pensare che alcuna bisogna lo aveva trattenuto;
ma qual bisogna mai, mentr'egli le aveva più volte dichiarato che
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