La plebe, parte I - 28

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fiamma viva, ella spiccava sulla doratura monotona di tutto il teatro,
come una nota acuta in un canto grave e solenne. Era, per dir così, una
piacevole disarmonia. L'acconciatura di lei appariva come il portato
d'un'arte selvaggia, istintiva, ma tanto più efficace; ed aveva intanto
il merito rarissimo di uscir fuori dello stampo comune. Possibile che
non piacesse, ma impossibile che su di lei non si fermasse l'attenzione
di chicchessia.
Il _medichino_ che seguendo la direzione dei cannocchiali della platea
scoprì ancor egli la bizzarra, brillante figura di quella donna, la
quale sporgeva fuori del parapetto il suo busto audacemente
scollacciato, fece un moto di contentezza e schiuse le labbra ad un
sorriso. Aveva riconosciuto la _Leggera_.
Ella vide pure Gian-Luigi in platea; i loro due cannocchiali
s'incontrarono e si scambiarono un saluto da intimi amici ed un segno
d'intelligenza. La _Leggera_ fece un cenno che invitava a salire da lei
il _medichino_, e questi rispose con un leggero atto di acconsentimento.
Ora la contessa, quantunque guardasse in apparenza in tutt'altra parte,
per uno di quei meravigliosi sguardi delle donne che vedono ciò appunto
a cui non volgono gli occhi, la contessa si accorse di questo scambio di
segni e ne sentì una penosa puntura al cuore. I suoi sospetti intorno
alle relazioni fra Luigi e quella donna non erano punto svaniti; ed ecco
quei semplici cenni, ad un tratto confermarglieli ed afforzarglieli. Un
dubbio crudele subitamente l'assalse; non era per lei che Luigi era
venuto al teatro; era per quella donna ch'essa sentiva fatale al suo
destino. Vide tosto dopo Luigi partirsi dalla platea, e pochi minuti di
poi la _Leggera_ rivolgersi all'interno del suo palchetto, dare un
saluto e una stretta di mano a qualcuno, e rimanere colle spalle voltate
al pubblico per confabulare vivamente con chi era entrato e stava
indietro nella loggia affine di non esser visto. Candida non dubitò
punto che Luigi trovavasi colà. Senza comprenderne il perchè i
visitatori della contessa s'accorsero che l'umore di lei diventava più
bizzarro e più forzata la sua falsa allegria.
— Che? Tu qui! Disse Gian-Luigi, entrando nel palchetto della _Leggera_.
E non s'avvisa nemmanco la gente, di guisa che se un azzardo non mi
avesse menato in teatro io non ne avrei saputo nulla!
La _Leggera_ guardò il giovane bene in faccia con que' suoi occhi color
di mare.
— Ebbene? E con ciò?
— Con ciò voglio dire che se avessi avuto bisogno di vederti non avrei
saputo dove prenderti.
— Il bisogno di vedermi, tu ce l'hai quando io ho da esserti utile a
qualche cosa.
Il _medichino_ prese la mano inguantata della donna e la strinse, mentre
i suoi occhi mandavano sulle giovanili, seducenti attrattive di lei
l'omaggio di accesi desiderii.
— Oibò! oibò! Diss'egli in tono di galanteria. Possibile che mi giudichi
così male! Ho bisogno di vederti quando mi occorre ricrearmi l'animo
nell'amor tuo.
La _Leggera_ scosse l'abbondante sua fulva capelliera.
— Ah! ti conosco, bel mobile: soggiunse. Amore tu per una donna? Eh via!
Cerchi in noi povere creature uno spasso od uno stromento, a seconda, ma
del resto....
Con una crollatina di spalle espresse, meglio che non avrebbe fatto
colle parole, la fine della sua frase.
— Ah Zoe! Tu fai le parti alla rovescia e attribuisci a me colle donne
ciò che tu usi fare degli uomini.
I loro occhi s'incontrarono, e sorrisero in quella ambedue come
riconoscendosi e confessandosi pari.
— Lasciamola lì: rispose Zoe, aggiustandosi al seno proeminente l'orlo
della veste scollacciata. Forse gli è appunto perchè sei tale che mi
piaci.... Imperocchè, brutto mostro che sei, tu mi piaci.
Gian-Luigi s'inchinò con quel suo sorriso ironico, superbo e pur
leggiadro.
— Ho lasciato detto a casa, continuò la donna, che se tu ci venivi, ti
avvisassero che io era qui.
Il _medichino_ fece un cenno col capo come per indicare che ciò era bene
e ne andava soddisfatto; poi domandò, quasi passando ad altro ordine di
idee:
— Da chi ti sei fatto offrire questo palchetto?
— Da San Luca.
— L'hai nelle branche?
Zoe scosse leggermente le spalle con atto che diceva: — Ne farei quel
che voglio.
— Benissimo. È ricco, vanaglorioso, superbo ed imbecille. È fatto
apposta....
— Per che cosa? Domandò come risentita la _Leggera_.
— Per quello che ne vuoi far tu: rispose freddamente Gian-Luigi.
Ella fece il suo solito moto di spalle e guardò in platea.
— Quell'animale piumato, te lo raccomando anzi specialmente. Non lo
posso soffrire. Osa aver certe arie con me che meritano una lezione; e
siccome avrei bisogno di mettere un centimetro di lama od una mezz'oncia
di piombo nel corpo di qualcheduno, sono lì esitante nella scelta del
mio piastrone o del mio bersaglio fra il conte di San Luca e il
marchesino di Baldissero meno vuoto di cervello, e superbo del pari.
La _Leggera_ si volse vivamente verso il suo compagno.
— No, il marchesino. È un bel giocattolo; una scatola magica
inesauribile di confetti....
— Vuoi dire di _marenghi_?
— Perchè guastarla?
— Tu mi decidi... Veramente avrei quasi preferito il marchesino, perchè
ne avrei ottenuto una maggiore importanza del fatto. Dopo uno scontro
avvenuto il più cavallerescamente possibile, in cui avrei dimostrato
chiaro come quel lampadario che ho risparmiata la vita di quel nobile
discendente di sì illustre stirpe; dopo uno scontro simile il marchesino
sarebbe diventato mio amico e la sua famiglia mia protettrice obbligata;
ma bah! anche San Luca appartiene a quell'aristocrazia che sta tutta
unita come una congrega od una consorteria, e nella famiglia Baldissero
d'altronde troverò altro modo meno tragico di introdurmi in buona vista.
Per non guastarti un giuocattolo a cui ci tieni, mi appiglierò a quella
testa vuota di San Luca.
— Vuoi fargli molto male? Domandò la donna coll'indifferenza con cui
avrebbe domandato: piove o fa bel tempo?
— Anzi poco: rispose Gian-Luigi giocherellando col suo cannocchiale.
Ecco il programma. Una ferita ad un braccio, due giorni di febbre,
quindici di malattia; un _déjeuner_ da Trombetta ed amiconi per la vita.
— Sai tu perchè ho voluto venire a teatro questa sera? Disse Zoe ad un
tratto, come saltando in altro discorso.
— Veramente tu non sei di quelle che non abbiano un fine riposto in
tutte le azioni loro, anche le più indifferenti. Se mi ci mettessi ad
osservare e studiare, forse potrei giungere a scoprire da me questa
ragione: ma per ora non ho tempo ed ho altro onde occuparmi. Se vuoi
ch'io sappia questa ragione, dimmela; e se non vuoi, avanzati la pena di
dirmi una bugia.
— Sono venuta per vedere la tua contessa.
— Ah!
— Non l'avevo ancora vista che di sfuggita in campagna, e ci tengo a
conoscere com'è fatta una donna onesta che cammina sulle nostre traccie
e ci ruba gli amanti. È una bellissima figura. Tu devi farle piangere
lagrime molto amare. Mi desterebbe compassione se non mi muovesse
dispetto. Ah! quante stupide pur troppo ci sono che guastano il mestiere
di donna!... Se non isbaglio, San Luca le faceva la corte.
— Glie la fa ancora.
— Gli è forse per codesto che vuoi bucargli la pelle?
— Se ti dicevo che avrei avuto più caro aver da fare con Baldissero!
— Ma anche questi bazzica molto intorno alla Langosco.
Gian-Luigi alzò le spalle con espressione di suprema indifferenza.
— La ragione te l'ho già fatta capire... A proposito, San Luca è già
stato qui a vederti?
— Non ancora.
— E il conte di Staffarda?
— Nemmeno.
— Benissimo. Converrà che tu faccia in modo da trarli senza fallo a casa
tua dopo il teatro.
— Li inviterò a cena. Ho già tutto disposto, e il tavoliere del Faraone
sarà là ad aspettarli.
— Brava!
— Necessariamente anche tu vuoi essere invitato?
— Sì, ci tengo a questo favore.
— Hai bisogno di guadagnare?
— Voglio anzi perdere.... E desidero trovarmi insieme a quei due.
— Vuoi fare una scena in casa mia?
— Non isgomentarti. Sarà una scena di commedia. Se non mi riesce di
trarre San Luca a pie' del muro altrove, convien bene che lo cimenti a
casa tua.
Si sentì in quella una mano che si posava sulla maniglia della serratura
all'uscio del palchetto.
— Viene qualcheduno: disse affrettatamente Gian-Luigi. Siamo dunque
intesi. Io conto su te.
L'uscio si aprì e comparve il cranio pelato del conte Langosco di
Staffarda.
Gian-Luigi si alzò, strinse la mano a Zoe, e scambiato un lieve saluto
del capo col conte, uscì dalla loggia. Quando fu nel corridoio, trasse
di tasca un taccuino, ne strappò un foglietto e col toccalapis vi
scrisse le seguenti parole, in francese ancor esse:
«Non venite domani al convegno, non ci sarò. Se avete vergogna o
fastidio di me, non io son quello che voglia impormi o farvi arrossire.
Tenetevi la vostra boria e rinunciate all'amore. Io mi sento uguale a
qualunque dei più superbi fra i vostri visitatori, e mi sento degno di
voi. Se non lo credete non avrò la debolezza di volervene persuadere, e
mi allontanerò per sempre.»
Ripiegò questo pezzetto di carta e lo pose nel taschino del panciotto.
Poi discese rapidamente le scale, prese il suo pastrano al guardarobe,
uscì di teatro e corse sollecito sino alla bottega del confettiere Bass.
Vi comprò un'elegante scatola da dolci, e mentre la si riempiva, col
pretesto di assaggiarne uno, fece cascare molto destramente in fondo ad
essa la cartolina ripiegata che aveva presa fra le dita. Pagò senza
ribatter parola le trenta lire che il confettiere gli domandò per
prezzo, e presa la scatola tornò a corsa in teatro.
Pochi minuti dopo entrava nel palchetto di second'ordine, dove tutte due
le panche erano occupate dai visitatori che si stringevano intorno alla
contessa di Staffarda.
All'entrare del giovane che nella società elegante era conosciuto sotto
il nome di dottor Quercia, nessuno di quanti si trovavano in quel
palchetto fece il menomo cenno di saluto, e sogguardato appena chi
fosse, non prestarono meglio attenzione a lui di quel che facevano al
domestico quando veniva a porgere il cannocchiale incrostato di
madreperla alla padrona.
Gian-Luigi non fu niente del tutto impacciato per questa accoglienza.
Guardò bene l'un dopo l'altro in volto i presenti, fra cui notò non
senza soddisfazione che c'erano eziandio il marchesino di Baldissero e
il conte San Luca, quindi insinuandosi fra le gambe dei seduti tanto da
poter porgere la mano a Candida, disse ad alta voce con accento
rispettoso ma sicuro e con qualche tinta di amichevole domestichezza:
— Contessa, la saluto.
Candida fin dal primo momento che aveva visto Luigi entrare in teatro
andava domandandosi s'egli si presenterebbe nella sua loggia. Il
desiderio di pur vederla poteva averlo spinto a venire e il timore di
scontentarla avrebbe potuto tenerlo dal recarsi a farle visita. Glie ne
sarebbe stata riconoscente se così avesse fatto. Ma quando poi s'accorse
che il dottore era andato nel palco della _Leggera_, ella si disse con
irritazione concentrata che di certo egli non avrebbe più avuto
l'audacia di introdursi nel palchetto di lei, che se mai avesse tanta
temerità, non si potrebbe a meno che accoglierlo come un impudente
importuno a cui si fa capire quello non esser luogo per lui.
Col meraviglioso istinto di donna innamorata, ella aveva tosto sentito
all'aprirsi dell'uscio che chi entrava era egli; e una fiamma le era
salita al volto, per dissimulare la quale la povera donna non aveva
trovato di meglio che mettersi rapidamente il cannocchiale agli occhi e
guardare con tutta attenzione un punto qualunque in platea, dove la non
ci vedea nulla. Ella pensava intanto ad un tratto: non rispondere al
saluto del giovane, mostrare di non accorgersi della sua presenza,
oppure dirgli alcuna di quelle parole con uno di quei certi toni che
servono a dare formale congedo al più audace uomo di questo mondo. Il
suo cuore le palpitava penosamente e le tempia le battevano con
frequenza tormentosa.
Luigi era lì, ad un passo dal suo cuor palpitante, chinato verso di lei;
la voce di lui le aveva suonato all'orecchio, le stava dinanzi il guanto
paglierino della mano ch'egli le aveva porto; ed ella non sapeva ancora,
o meglio non sapeva più che cosa avesse da fare. Meccanicamente abbassò
il cannocchiale dagli occhi, volse un quarto della faccia verso
Gian-Luigi e senza punto guardarlo rispose con un'altezzosa freddezza:
— Buon giorno, dottore.
Poi si chinò verso il cavaliere che aveva seduto innanzi a sè a dirgli
con molto interesse una cosa di nessuna importanza.
L'accoglimento fattogli non era tale da metter molto a suo agio il
_medichino_; ma egli pur tuttavia, non apparve punto punto sconcertato.
Al primo istante la sua fronte ratto si solcò di quella ruga che noi già
conosciamo, ma poi tosto, per lo sforzo della sua potente volontà, si
rispianò più placidamente che mai, e la sua fisionomia continuò ad
essere la più serena e graziosa che si possa vedere.
— Contessa: soggiuns'egli col più soave accento della sua bella voce:
ecco qui alcuni confetti di Bass che desiderano far conoscenza col
corallo delle sue labbra[12].
[12] L'uso di recare in dono dolci e confetti alle signore che
si vanno a visitare in palco al teatro Regio vive ancora oggidì
— ma di vita stentata; — nei tempi addietro era assai più
generale e seguitato.
Candida prese con mano disdegnosa la scatola che Luigi le porgeva e la
lasciò cadere nella tasca che c'era nell'interno del parapetto.
— Grazie! Diss'ella asciuttamente.
Luigi si ritrasse in fondo alla loggia.
Siccome non c'era più luogo a sedersi, l'uso voleva che quello dei
visitatori il quale da maggior tempo trovavasi nel palchetto partisse
per lasciar posto, ma nessuno si mosse, e Luigi dovette restare in piedi
presso all'uscio, senza che alcuno gli rivolgesse la parola.
Sotto la placida espressione della sua figura, Gian-Luigi era come il
leone _quærens quem devoret_, scorrendo cogli occhi le varie faccie dei
presenti, affine di trovare sopra una di esse il pretesto per isfogare
il suo interno dispetto e far pagare a qualcheduno l'inflittagli
umiliazione, insistendo sopratutto nel fissare il conte San Luca, il
quale, meno ancora degli altri, pareva darsi per inteso della presenza
di lui.
Finalmente colui che sedeva in prospetto della contessa strinse la mano
alla signora, si alzò e partissi. Un altro, ed era il turno di San Luca,
passò a sedere sopra il seggio presso al parapetto rimasto vuoto;
ciascuno si avanzò d'un grado verso la contessa, e Luigi potè sedersi
sopra l'ultimo sgabello presso l'uscio. Si continuò a non rivolgergli la
parola, e quando egli volle intromettersi nei discorsi che si tenevano,
le cose ch'egli disse furono lasciate cadere come se non fossero state
udite da alcuno. Il _medichino_ sentiva aver bisogno di molta prudenza e
dissimulava; ma frattanto cercava di far nascere qualche occasione di
conflitto con San Luca, e in modo che a costui restasse tutto il torto.
Era il tempo del ballo e si applaudiva con frenesia la prima ballerina.
Il conte San Luca batteva ancor esso le mani con entusiasmo cui non
frenava neppure la presenza della contessa.
— Cara, carina, _charmante_! Esclamava egli colla sua voce mezzo blesa,
biascicando gli erre. Ma guardi, contessa, quanta grazia, che
precisione, che _aplomb_! E come va a tempo! Le dico che è una
_tempista_ di prim'ordine.
E per mostrare che la ballerina andava a tempo di musica, egli colla
mano segnava fuor di misura la battuta sul velluto del parapetto.
— Già non ci sono che le francesi per ballare così bene. Si vede subito
a primo colpo d'occhio che quella silfide lì è francese.
Gian-Luigi si sporse per far arrivare la sua voce sino al contino San
Luca.
— Scusi, conte, gli disse, ma il suo colpo d'occhio ha torto. Quella
furba d'una ballerina, sapendo come la scuola francese possa pretendere
maggior valore nella nostra smania di non istimare che le cose
forestiere, ha preso nome e linguaggio francese, ma è nata bravamente in
un villaggio di Lombardia, allieva della scuola di Milano e recatasi poi
a perfezionarsi nell'arte e nei costumi fra le corifee della Senna.
San Luca si volse in fretta a vedere chi fosse a contraddirlo, ma
trattandosi del dottore pensò superfluo e non conveniente il pur
rispondergli. Tornò a dirizzare la parola alla contessa.
— È una ragazza piena di spirito, sa contessa... Di quello spirito
eziandio che si trova solamente nelle donne parigine...
— Ah davvero? Esclamò con ironia la contessa.
— _Pardon!_ Voglio dire nelle donne di quel genere lì... Quello spirito
leggiero e _mousseux_ come il loro vino di Sciampagna.
— Ho l'onore di ripeterle, signor conte, disse a voce più alta
Gian-Luigi, ch'ella si sbaglia. Quella ragazza lì non è punto francese;
lo so di sicuro. E s'ella desidera, io son pronto a fare qualunque
scommessa più le piaccia a questo proposito.
San Luca continuò come se nessuno avesse parlato.
— Il barone di San Silvestro fa ogni sorta di follie per quella
furbacchiona lì. Dicono che le ha offerto una rendita di due mila lire
il mese se la voleva abbandonare le scene e dedicarsi interamente a far
felice l'amore cinquantenne di lui. Ella ha risposto che preferiva
continuare a volare in punta di piedi sulle tavole del palco scenico e
mangiarne quattro di mila lire al mese ai suoi molteplici adoratori.
Gian-Luigi lasciò che il conte pigliasse fiato; e poi con voce calma,
tranquilla ma ferma ed elevata da superare il bisbiglio delle
conversazioni di tutto il teatro e i suoni dell'orchestra, disse:
— Ella forse non ha badato, signor conte, che le ho diretto la parola e
che sono ancora in credito d'una risposta?
Il contino, così direttamente interpellato, rivolse un superbo cipiglio
verso chi gli parlava.
— Che? Pronunziò egli a mezze labbra. Ella dice? Siamo così lontani, che
le sue parole non arrivano fino a me.
L'intenzione di questa frase era notata con evidente affettazione nella
pronuncia.
Gian-Luigi rispose colla maggior calma e colla maggiore urbanità:
— La pregherò allora di farmi conoscere qual sia la distanza alla quale
sono accessibili le sue orecchie.
— Signore!... Esclamò il contino che divenne rosso come un galletto.
Candida fu sollecita ad intromettersi.
— Conte San Luca, diss'ella, mi saprebbe dire chi è quella signora
vestita in azzurro, là, quasi di faccia, al terz'ordine?
San-Luca rispose alla contessa e non disse più altra parola al dottor
Quercia: questi da parte sua non disserrò più le labbra.
Poco dopo, entrato un altro visitatore, fu la volta di San-Luca a
dipartirsi. Passando innanzi a Gian-Luigi per dar luogo a colui che
entrava e faceva ad inoltrarsi per salutar la signora, il contino
dovette accostarsi al _medichino_ e per disavventura gli pestò un piede.
Gian-Luigi alzò la faccia verso San-Luca come aspettandone una parola di
scusa, e poichè questa non veniva, egli disse forte colla medesima
calma:
— Le faccio osservare, signor conte, che quella cosa cui Ella ha
calpestato con sì poca destrezza è il mio piede.
San-Luca non se ne diede per inteso il meno del mondo ed uscì. Luigi
soggiunse allora a voce alta che tutti potessero udir bene:
— Ho sempre creduto sinora che chi facesse come ha fatto adesso il conte
di San-Luca e non si scusasse commettesse atto da villano.
Il contino certo udì queste parole, perchè l'uscio si riaprì di nuovo a
metà, come s'egli volesse rientrare; ma poi, cambiato avviso, continuò
il suo cammino.
Luigi non parlò più. Aspettò con santa pazienza che il suo turno venisse
di andarsi a sedere in prospetto alla contessa, e quando esso fu
arrivato invece di passare sul seggio che gli competeva, porse la mano
alla signora e ne tolse commiato.
Candida gli diede la punta delle sue dita.
— Ah! esclamò egli, come ricordandosi subitamente di qualche cosa. Debbo
ancora dare una risposta a quanto ella mi fece l'onore di domandarmi
ieri.
E chinatosi verso di lei, le disse sollecito sotto voce:
— Nella scatola c'è un biglietto; bisogna assolutamente che lo leggiate.
Poscia abbandonò il palchetto così calmo, sicuro e indifferente in
apparenza come quando era entrato.
Al fondo delle scale dei palchi, in quel piccolo atrio che mette in
platea, il _medichino_ trovò il conte San-Luca che discorreva vivamente
col marito di Candida; e s'avanzò verso di loro colla maggiore agiatezza
del mondo.
San-Luca si tirò su della persona con mossa piena di superba minaccia, e
guardando disdegnosamente Gian-Luigi, gli disse:
— Giusto lei che si aspettava. Ella ha bisogno d'imparare come si tratta
con i pari miei ed io avrò la compiacenza di mostrarglielo. Il mio
amico, il conte di Staffarda, ha ben voluto farmi il favore
d'incaricarsi di dirgliene il modo.
Gian-Luigi s'inchinò con aria leggermente ironica.
— Ne godo, rispos'egli. Così imparerò quella giusta distanza a cui ho
fatto allusione poc'anzi nella loggia della contessa.
Il contino represse un atto di dispetto, strinse la mano a Langosco,
fece un cenno di saluto col capo al suo avversario e partì.
Il _medichino_ ed il marito di Candida rimasero fronte a fronte, e si
guardarono per un poco ambedue negli occhi. Il conte si ricordava del
contegno tenuto la sera innanzi da quel giovane e non dubitava del suo
coraggio; Luigi che diffatti non temeva nulla, divisava d'essere modesto
e temperato pur tuttavia, per guadagnarsi i suffragi dello stesso
padrino del suo avversario.
Cominciò a parlare il giovane:
— Duolmi, assai che il conte di San-Luca mi abbia prevenuto in due
maniere; prima inviando a chieder da me quelle spiegazioni che io era in
diritto e nella precisa intenzione di chiedere a lui; secondo
incaricando di ciò colui appunto, al quale io aveva in animo di
rivolgermi per domandare consiglio e il suo potente sostegno.
— Me? disse il conte tutto stupito, mettendosi una mano sul petto. Era
suo proposito di richiedermi di farle da padrino?
Gian-Luigi s'inchinò.
— Non la avrei pregata subito d'essermi padrino, perchè codesto suppone
già il duello come necessario, ed io mi sarei lusingato che
coll'intervento della S. V. il contino di San-Luca avrebbe inteso
ragione, ed uno scontro si sarebbe potuto evitare.
— Oh oh! Esclamò il conte. Avrebbe forse più caro d'evitarlo?
— Signor sì: rispose fermamente Luigi pur con evidentissima audacia
nello sguardo: perchè se molto è l'onore per me nel cimentarmi col
signor conte, credo poi che la cosa in fondo non valga la spesa di
mettere a repentaglio la vita di due uomini, di cui uno d'illustre
prosapia e l'altro non voglioso affè di tirar giù così presto il telone
sulla commedia della sua vita.
— Di modo che: disse lentamente il conte di Staffarda, serrando le
ciglia per gettare uno sguardo acuto ed incisivo sul giovane che gli
stava dinanzi; di modo che lei rifiuterebbe uno scontro...
— Non dico questo: interruppe vivamente Gian-Luigi. Dico che se a me,
come si doveva, fosse stata lasciata l'iniziativa in questo affare —
imperocchè io sono l'offeso dai diportamenti del signor conte — io avrei
mandato non a recare un cartello di sfida, ma a domandare a chi mancò di
creanza verso di me le opportune spiegazioni...
— Il conte di San-Luca non dà spiegazioni di fatta alcuna: disse
asciuttamente Langosco.
— Ha torto; ribattè pacato il _medichino_. Perchè quando si oltraggia
qualcheduno senza ragione, si deve dichiarare che la cosa è successa
involontariamente, o si confessa che si è un prepotente...
— La prego di risparmiarmi i suoi apprezzamenti. Noi siamo qui ora per
altra bisogna. Accetta ella una disfida?
— Non la rifiuto e non l'accetto. Dico che c'è campo da trattare.
— Noi non trattiamo. Se non vuole una disfida, è ella disposta a fare le
sue scuse al conte di San-Luca?
Un vivo rossore corse al volto del _medichino_; pure si contenne calmo e
diede lentamente la risposta.
— Farei queste scuse, quando fossi persuaso che il torto è dalla mia
parte; ma siccome invece è chiaro che tutto il torto è da parte di colui
ch'ella rappresenta, non posso far io una cosa che a lui in verità
toccherebbe di fare. Permetta, signor conte, che io le parli colla
franchezza cui mi pare che la non breve consuetudine facciano lecita al
suo compagno di caccia e di sollazzi: un duello io non lo desidero,
perchè ho l'onore di assicurarle che in un duello io sarei vincitore, e
l'aver ferito o peggio, il conte di San-Luca è un troppo pericoloso
onore per me. Quindi io sarò disposto a finir la contesa pacificamente
affatto.... ma ad una condizione: che non mi si domandi nulla che altri
non farebbe, che ella stessa, signor conte, non vorrebbe fare...
— Eh! io non farei nemmanco tante chiacchere: disse con impazienza il
conte Amedeo.
Gian-Luigi prese subitamente un aspetto più superbo e più fiero di
quello del suo interlocutore.
— Non facciamone più. I padrini del conte di San-Luca sono Ella e?....
— Il marchesino di Baldissero.
— Va benissimo. Li metterò tosto in rapporto coi miei...... To' per
farla più presto, potranno trovarsi tutti quanti dopo lo spettacolo in
casa la _Leggera_. In due parole tutto sarà combinato per domattina e a
noi medesimi comunicati i presi accordi. Sta bene così?
— Sta bene: rispose il conte.
Si salutarono gravemente e si separarono, questo ultimo per salire nel
palchetto di sua moglie, il _medichino_ per entrare in platea. Qui,
trovati due ufficiali suoi conoscenti, li informò di tutto, ottenne che
gli servissero da secondi, diede loro per mandato di scegliere la
pistola, poichè a lui come a sfidato si apparteneva la scelta dell'arma,
e finito il teatro li condusse con sè nella suntuosa abitazione della
_Leggera_, che faceva risplendere alla luce di centinaia di lumi la
sfarzosa farragine dei suoi arredi di prezzo e dei suoi mobili di lusso.


CAPITOLO XXV.

Anche la _Leggera_ era una povera creatura appartenente alla classe dei
derelitti. Ella aveva bensì avuta la buona sorte di nascere da legittime
nozze, nell'infima plebe, dove si stenta il pane ed è più travagliata la
vita. Le memorie che le ne erano rimaste di quella sua prima infanzia
erano debolissime, offuscate e cancellate dalle tante e sì strane
vicende che le erano intravvenute di poi. Solamente si ricordava di aver
avuto freddo l'inverno, caldo la state in una soffittaccia vuota di
masserizie, fame tutto l'anno, e troppo sovente l'accompagnatura di
battiture senza ragione.
Un bel giorno ella si ricordava essersi ferma sur una piazza a mirare
una schiera di saltimbanchi che faceva degli esercizi i quali a lei
parevano i più meravigliosi del mondo. C'erano due ragazze, presso a
poco della sua età, che con un sorriso fisso sulle labbra sottili
contorcevano le loro piccole membra in mosse le più forzate e violente.
Gli occhi della piccola Martuccia — allora la non si chiamava ancora nè
Zoe nè la _Leggera_ — erano attratti come per una malìa dai lustrini che
lucicchiavano nelle sottane corte e sporche di quelle sue coetanee, dai
ricami dorati nei loro corpettini frusti e sgualciti che agli occhi
della bambina abituati allo spettacolo della peggiore miseria parevano
poco meno che una sontuosità ed una ricchezza.
Il capo di quella schiera di saltimbanchi, un uomo grande, grosso,
straordinariamente membruto nelle braccia e nelle coscie, con un collo
da toro ed una voce eternamente rauca, una matassa arruffata di capelli
lanosi sulla grossa testa dalla fronte bassa, la faccia sempre sporca e
la barba sempre da radere; il capo adocchiò questa bambina pallida, ma
di avvenente aspetto e di sì ben costrutta corporatura che un ginnastico
ne sarebbe stato molto soddisfatto ed un artista ammirato, la quale con
tanto d'occhi stava intenta allo spettacolo offerto pubblicamente ai
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